Ieri sera la terza di questa Leonore (sì, tanto vale cambiarle anche il titolo, operazione
filologicamente più corretta di quella di cambiarle… l’Ouverture, smile!) Per l’occasione è tornato il
titolare Florestanino Vogt dopo la
parentesi (a sorpresa, pare assai gradita dal pubblico della seconda, e che è servita al Sovrintendente
entrante per darsi grande lustro) del bel Jonas.
Ormai si è
detto e scritto tutto di questa apertura di stagione, che sembrerebbe aver
capovolto le recenti usanze (contestazioni del loggione e peana della critica
paludata): a SantAmbrogio2014 solo applausi anche dal loggione, mentre dai
critici solo… critiche (o quasi: personalmente ricordo un’unica eccezione in Gavazzeni sul Giornale). La costante
sembrerebbe quindi da individuare nella cronica opposta ricezione dello
spettacolo da parte di loggionisti e critici, quasi a prescindere.
Poi c’è anche
chi, come il sottoscritto, ha invece criticato sia le inaugurazioni recenti
(Traviata, Lohengrin, DonGiovanni, per restare all’ultima terna) che questa:
magari con argomentazioni diverse e riguardanti diverse componenti dello
spettacolo.
La
visione/ascolto del 7 in TV mi aveva fatto un’impressione decisamente negativa
sul lato suoni e, diciamo così, neutra su quello dell’allestimento teatrale.
Ecco, la fruizione live ha – appena
appena – migliorato il mio giudizio sulla parte musicale e non è servita a
migliorarlo su quella registica. Insomma: questo Fidelio per me resta una mezza
delusione.
Barenboim conferma il
suo approccio all’opera: che affronta come fosse… Parsifal (smile!) Già
nell’Ouverture l’Adagio diventa un Largo e l’Allegro un Andante, e
così via degradando: tutta la freschezza mozartiana di cui Fidelio è ricco,
soprattutto nel primo atto, si perde così in uno stracco e uniforme tran-tran
(non è il caso che l’atto duri quasi un’ora e mezza!) Un filino meglio il
secondo atto, stante la componente altamente drammatica, ma in complesso la lettura
del sostituendo Direttore Musicale non mi ha per nulla convinto. L’orchestra
invece non si è comportata male (perdoneremo la tromba che – dislocata
probabilmente in loggione nell’Ouverture – ha sfornato due strafalcioni in sole
sei battute del secondo richiamo).
Sul
fronte delle voci, pessime notizie da Mojca
Erdmann e Florian Hoffmann (Marzelline
e Jaquino) che evidentemente alla radio-tv si sentivano per via della
collocazione… laringea del microfono (smile!)
Che poi il pubblico li abbia applauditi quasi con lo stesso calore riservato a Youn,
Vogt e alla Kampe la dice lunga sulle illimitate possibilità di rifilargli
impunemente (al pubblico) qualunque bufala.
Ecco, la Anja Kampe ha confermato (alle mie
orecchie) i limiti che già parecchi anni fa (con Abbado) aveva denunciato:
difetto di potenza in particolare nella cosiddetta ottava bassa, dove è risultata poco udibile. Sugli acuti
così-così, mescolando cose dignitose ad urletti che è difficile dire se emessi
a bella posta per sottolineare frangenti drammatici, o… a bella posta per
mascherare delle deficienze congenite. Per me, un voto appena appena
sufficiente.
Una
sufficienza più ampia darò alla voce sempre efebizzante (si può dire?) del
redivivo Klaus Florian Vogt, che però
ha almeno il pregio di farsi sentire benissimo e di avere ottima intonazione.
Kwangchul Youn è uno che in teatro ci guadagna, rispetto alla
radio, che tende ad ingrossarne la voce (sempre per via dei microfoni,
immagino). Forse non è un basso profondo, ma il ruolo di Rocco non è mica detto
che tale debba essere per forza.
Il Pizarro di Falk Struckmann
tende pericolosamente allo schiamazzo, e come al solito gli andrebbe ricordato
che il cattivo non è autorizzato
anche ad essere cattivo cantante,
anzi! Peter Mattei fa il suo
compitino (cammeo, si dice in gergo)
con diligenza ed è quanto basta. Il Coro di Bruno Casoni mi è parso migliorato
rispetto alla prima, e bene hanno
fatto i suoi due membri (Oreste Cosimo
e Devis Longo) chiamati a parti
solistiche nel primo atto.
A proposito di
udibilità, quasi nulla si è sentito delle parti parlate: qualcuno potrebbe concludere con un grandissimo chi-se-ne-frega (tanto nessuno capisce
il crucco e anche se lo capisce chi se ne frega lo stesso perché non è cantato…) Allora però andrebbe
riconsiderata la decisione di continuare a proporre (sia pure ampiamente
mutilati) questi residui obsoleti del Singspiel!
La regìa della
Deborah Warner guadagna poco rispetto
alla ripresa TV (che ha il vantaggio, se usata sapientemente, di alternare
primi piani a campi lunghi). Al di là di tutte le dotte spiegazioni
filo-socio-antropologiche, si tratta di una pura e semplice lettura del
libretto, il quale presenta un soggetto archetipico, ergo facilmente trasportabile
sotto qualunque tempo e latitudine. Quindi la Warner, come si dice in gergo, ha
solo fatto il suo dovere, mettendoci poi qualche puerile ingrediente di
attualità: costumi casual e strumenti
di lavoro da oltre-cortina-anni50. Se
c’è una critica seria da fare all’allestimento è probabilmente il suo costo: secondo me, ogni euro speso in
più di 100.000 è stato buttato al vento (e sono soldi nostri!)
Sembra un
paradosso, ma uno dei pochi pregi di questa produzione è la rinuncia
all’inserimento della Leonore3 prima
dell’ultima scena: a parte che non avrebbe avuto senso a fronte della
scellerata decisione del Direttore di cambiare l’Ouverture, ma almeno ci ha
permesso di apprezzare la grande efficacia drammatica del finale così come
mirabilmente concepito – e con quale fatica! - da Beethoven. Non saprei dire se
l’unico, isolato buh che è arrivato dal
loggione al calar del sipario fosse per Warner o Barenboim (che però all’uscita ha
ricevuto solo applausi).
2 commenti:
Questa inaugurazione era comunque l' ultimo prodotto della gestione Lissner. Io confesso che un bell’ in cauda venenum da Lissner me lo aspettavo, anche se con tutte le porcate che ci aveva già fatto ingoiare non ce n' era davvero bisogno.
Il guaio è che lui, beato, crede veramente di fare cose egregie, per cui anche se gli dai legittimamente del pirla la reazione che ottieni è un doloroso stupore per la tua incapacità di comprendere l’ intrinseca bellezza del suo operato. Con uno così, la tremenda serie di (Baren)boiate che la Scala ci ha servito in questi anni forse è stata ancora il male minore.
Ciao!
@mozart2006
Sì, Barenboim non è certo stato il lato peggiore della gestione Lissner, anzi: solo per il suo Wagner (di qualità, ma anche di quantità, vedi i due cicli del Ring) il direttore molto di buono ha lasciato. Dal punto di vista musicale non so se o quanto il suo successore saprà far di meglio.
La mia sarà una fissazione dovuta ai miei precedenti professionali, ma quello che fatico a mandar giù è il livello infimo di "performance/price" che il teatro ha raggiunto negli ultimi tempi: davvero auspicherei una seria "spending review", che però facesse pagare ai responsabili le loro incapacità (e i loro conflitti di interessi).
Ciao!
Posta un commento