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12 dicembre, 2014

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 13


Zhang Xian torna a guidare la sua Orchestra nella prima di due kermesse tutte ciajkovskiane. Questa è decisamente musica classico-leggera, come titolava un’antica collana editoriale che personalmente contribuì (appunto, nell’antichità…) a farmi avvicinare alla musica nobile (!)

Si comincia con due ballabili (smile!) dall’Onegin. Il walzer è quello piuttosto casereccio che si suona, si balla (e si canta) in campagna, a casa della peraltro letterata (come minimo nell’accezione di scrittrice di missive…) Tatjana:


In realtà nell’opera il walzer accompagna per quasi l’intera durata il canto degli invitati, suddivisi in sezioni del coro: ospiti, vecchi gentiluomini, vecchie dame, ragazze; e poi un capitano, infine Onegin e Lenski, che proprio durante questo ballo avranno il primo attrito (a proposito di Olga). Per fortuna l’orchestra suona sempre la melodia principale, il che rende possibile l’esecuzione puramente strumentale del brano, senza fargli perdere praticamente nulla della freschezza originale.    

La polonaise invece accompagna una festa vip, dove però, guarda caso, ancora è protagonista quella medesima Tatjana, nel frattempo arrivata nei migliori salotti della città, grazie alle solite nozze d’amore di convenienza. A cui però lei attribuisce carattere sacro (ma qui non è il caso di ripetere la sinossi dell’opera…)


Questa polacca assomiglia vagamente ad altre polacche (o mazurke, che è poi quasi lo stesso, a parte sfumature di agogica): ad esempio quella che sempre mi viene all’orecchio, per simpatia, è la mazurka di Léo Delibes, dal primo atto di Coppelia:

E in effetti la velocità con cui la Xian la abborda la fa assomigliare più ad una mazurka. Calorosa accoglienza del pubblico, anche ieri non proprio foltissimo, ma quasi desideroso di stringere i ragazzi in un caldo abbraccio, dati i tempi grami che corrono…
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Però il calendario ci dice che siamo in pieno clima festaiolo, e così si prosegue con la Suite da La bella addormentata. I cui 5 numeri non rispettano per nulla la trama del balletto, ma la cosa non provoca certo alcun problema estetico.

Nel primo abbiamo la giustapposizione di due temi dal finale del prologo: quello della perfida Carabosse (la fata sbifida che scaglia la maledizione sulla povera Aurore) e della fata Lillà, che invece rintuzza, almeno in parte, quella maledizione. Il secondo è il celebre Adagio della rosa del primo atto, introdotto dagli svolazzi dell’arpa e chiuso con enfatiche perorazioni dell’orchestra. Poi dal terzo atto ecco il brevissimo intermezzo del Gatto con gli stivali. Quindi il bellissimo Panorama, dall’atto secondo (uno dei brani prediletti dal grande Vladimir Delman) e infine il celeberrimo Gran walzer campagnolo dal primo atto.

Ieri il Gatto è stato sacrificato (smile!) Il che non ha però fatto mancare applausi scroscianti per la trascinante esecuzione.
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Ora tocca al solista di violoncello Alban Gerhardt affrontare la prima delle sue due fatiche: il Pezzo capriccioso, un lavoro breve ma assai impegnativo.

La tonalità di base è SI minore, ma l’apertura è in MI, e poi ci sono ovviamente dei passaggi nella relativa RE maggiore. Curiosamente il tempo è sempre (salvo pochi e temporanei scostamenti) l’Andante con moto posto all’inizio del brano, eppure nella parte centrale (e poi conclusiva) abbiamo un deciso scatto di velocità: esso è però semplicemente determinato dall’affollarsi nel solista di successioni continue di biscrome, laddove in precedenza si toccavano al massimo le semicrome:


Chissà se fu questa parte virtuosistica del violoncello ad ispirare a Leroy Anderson, nel 1950, il suo simpatico pezzo per macchina da scrivere:

Ecco, il bravissimo Alban va davvero come un treno, superando come nulla fosse anche le difficoltà più ardite, come un trillo sul SI acutissimo, proprio a… fondo scala, dove l’esecutore rischia di impastarsi le dita di pece e di rovinare il successivo glissando. Insomma, una prova di grandissima tecnica.
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Come seconda fatica della serata Gerhardt ci propone le Variazioni rococò, nella versione realizzata, già ai tempi di Ciajkovski, da Wilhelm Fitzenhagen e dall’Autore tollerata a denti stretti. Sulle differenze fra questa versione (di gran lunga la più eseguita) e quella originale di Ciajkovski ho scritto qualcosa a suo tempo, in occasione di una precedente esecuzione qui in Auditorium.

Questo è un brano più lungo del precedente, ma con difficoltà virtuosistiche più concentrate, come la cadenza che chiude la variazione V o gli armonici fino al LA sovracuto che chiudono la VI. Gran trionfo per lui che ringrazia con un omaggio a Rostropovich. Dopodichè, proprio come aveva fatto nel 2010 dopo averci deliziato col concerto di Dvorak, si va a sedere nella seconda fila dei celli, dietro a Grigolato e a fianco di Scarpolini (le due prime parti dell’orchestra) per suonare l’ultimo brano in programma!
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Che è il… fracasso della 1812, la cosa forse più disdicevole composta da Ciajkovski, a parte proprio l’incipit dei violoncelli con l’inno Signore, salva il tuo popolo. Per il resto, musica buona magari per colonne sonore di cartoni animati, ecco. Qui si possono solo lodare i ragazzi per l’abnegazione dimostrata, come sempre. E fare a loro e a tutta laVERDI i più sinceri auguri per il futuro. 

1 commento:

mozart2006 ha detto...

Aggiungo anche i miei auguri.
La Verdi li merita.
Ciao!