Zhang Xian torna a
guidare la sua Orchestra nella prima di due kermesse tutte ciajkovskiane. Questa è decisamente musica classico-leggera, come titolava un’antica collana editoriale
che personalmente contribuì (appunto, nell’antichità…) a farmi avvicinare alla
musica nobile (!)
Si comincia
con due ballabili (smile!) dall’Onegin.
Il walzer è quello piuttosto
casereccio che si suona, si balla (e si canta) in campagna, a casa della peraltro
letterata (come minimo nell’accezione di scrittrice
di missive…) Tatjana:
In realtà
nell’opera il walzer accompagna per quasi l’intera durata il canto degli
invitati, suddivisi in sezioni del coro: ospiti, vecchi gentiluomini, vecchie
dame, ragazze; e poi un capitano, infine Onegin e Lenski, che proprio durante
questo ballo avranno il primo attrito (a proposito di Olga). Per fortuna
l’orchestra suona sempre la melodia principale, il che rende possibile
l’esecuzione puramente strumentale del brano, senza fargli perdere praticamente
nulla della freschezza originale.
La polonaise invece accompagna una festa
vip, dove però, guarda caso, ancora è protagonista quella medesima Tatjana, nel
frattempo arrivata nei migliori salotti della città, grazie alle solite nozze d’amore
di convenienza. A cui però lei attribuisce carattere sacro (ma qui non è il
caso di ripetere la sinossi dell’opera…)
Questa
polacca assomiglia vagamente ad altre polacche (o mazurke, che è poi quasi lo
stesso, a parte sfumature di agogica): ad esempio quella che sempre mi viene
all’orecchio, per simpatia, è la
mazurka di Léo Delibes, dal primo atto di Coppelia:
E in effetti
la velocità con cui la Xian la abborda la fa assomigliare più ad una mazurka. Calorosa
accoglienza del pubblico, anche ieri non proprio foltissimo, ma quasi desideroso
di stringere i ragazzi in un caldo abbraccio, dati i tempi grami che corrono…
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Però il
calendario ci dice che siamo in pieno clima festaiolo, e così si prosegue
con la Suite da La bella addormentata. I
cui 5 numeri non rispettano per nulla la trama
del balletto, ma la cosa non provoca certo alcun problema estetico.
Nel primo
abbiamo la giustapposizione di due temi dal finale del prologo: quello della
perfida Carabosse (la fata sbifida
che scaglia la maledizione sulla povera Aurore) e della fata Lillà, che invece rintuzza, almeno in parte, quella
maledizione. Il secondo è il celebre Adagio
della rosa del primo atto, introdotto dagli svolazzi dell’arpa e chiuso con
enfatiche perorazioni dell’orchestra. Poi dal terzo atto ecco il brevissimo
intermezzo del Gatto con gli stivali.
Quindi il bellissimo Panorama,
dall’atto secondo (uno dei brani prediletti dal grande Vladimir Delman) e infine il celeberrimo Gran walzer campagnolo dal primo atto.
Ieri il Gatto è stato sacrificato (smile!) Il che non ha però fatto mancare
applausi scroscianti per la trascinante esecuzione.
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Ora tocca
al solista di violoncello Alban Gerhardt
affrontare la prima delle sue due fatiche: il Pezzo capriccioso, un
lavoro breve ma assai impegnativo.
La tonalità
di base è SI minore, ma l’apertura è in MI, e poi ci sono ovviamente dei
passaggi nella relativa RE maggiore. Curiosamente il tempo è sempre (salvo
pochi e temporanei scostamenti) l’Andante
con moto posto all’inizio del brano, eppure nella parte centrale (e poi
conclusiva) abbiamo un deciso scatto di velocità: esso è però semplicemente
determinato dall’affollarsi nel solista di successioni continue di biscrome, laddove in precedenza si
toccavano al massimo le semicrome:
Chissà se
fu questa parte virtuosistica del violoncello ad ispirare a Leroy Anderson, nel 1950, il suo
simpatico pezzo per macchina da scrivere:
Ecco, il
bravissimo Alban va davvero come un treno, superando come nulla fosse anche le
difficoltà più ardite, come un trillo sul SI acutissimo, proprio a… fondo
scala, dove l’esecutore rischia di impastarsi le dita di pece e di rovinare il
successivo glissando. Insomma, una
prova di grandissima tecnica.
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Come
seconda fatica della serata Gerhardt
ci propone le Variazioni rococò, nella versione realizzata, già ai tempi di
Ciajkovski, da Wilhelm Fitzenhagen e
dall’Autore tollerata a denti stretti. Sulle differenze fra questa versione (di
gran lunga la più eseguita) e quella originale di Ciajkovski ho scritto qualcosa a suo tempo, in occasione di una precedente esecuzione qui in
Auditorium.
Questo è un
brano più lungo del precedente, ma con difficoltà virtuosistiche più
concentrate, come la cadenza che
chiude la variazione V o gli armonici
fino al LA sovracuto che chiudono la VI. Gran trionfo per lui che ringrazia con
un omaggio a Rostropovich. Dopodichè,
proprio come aveva fatto nel 2010 dopo averci deliziato col concerto di Dvorak,
si va a sedere nella seconda fila dei celli, dietro a Grigolato e a fianco di Scarpolini
(le due prime parti dell’orchestra) per suonare l’ultimo brano in programma!
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Che è il…
fracasso della 1812, la cosa forse più disdicevole composta da Ciajkovski, a
parte proprio l’incipit dei violoncelli con l’inno Signore, salva il tuo
popolo. Per il resto, musica buona magari per colonne
sonore di cartoni animati, ecco. Qui si possono solo lodare i ragazzi per
l’abnegazione dimostrata, come sempre. E fare a loro e a tutta laVERDI i più
sinceri auguri per il futuro.
1 commento:
Aggiungo anche i miei auguri.
La Verdi li merita.
Ciao!
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