ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

06 dicembre, 2014

La Lady sovietica a Bologna, per pochi intimi

 

Ieri sera è andata in scena al Comunale bolognese la seconda (delle sei) della Lady Macbeth di Dimitri Shostakovich. Purtroppo in un teatro semi-deserto, e andatosi ulteriormente a desertificare durante i due intervalli. Che dire? Perle ai porci… oppure Shostakovich come Renzi?

Spettacolo davvero eccellente quello della compagnia del Teatro Helikon di Mosca, arrivata qui con due cast che si alterneranno regolarmente fino alla conclusiva del 10, accompagnati da Orchestra e Coro del Comunale.

Il regista Dimitrij Bertman coglie in pieno lo spirito dell’opera, sia a livello della personalità dei protagonisti (Katerina in primis, una donna che non chiede altro che di essere amata) che a quello della denuncia sociale di una società dominata dall’avidità e dallo sfruttamento (dello schiavo e della donna). L’ambientazione è moderna, ma una volta tanto ciò non nuoce per nulla all’efficacia e alla coerenza del racconto.

La scena (di Igor' Neznyj) ha un fondo fisso, costituito da un labirinto di condotte d’acqua: richiamo all’attività degli Izmailov, proprietari di un mulino (con annessa diga e condotte forzate) ma anche alla condizione materiale e psicologica di Katerina, ulteriormente sottolineata da una serie di gabbie metalliche in cui la donna è spesso costretta a muoversi. Gabbie che bene servono nel terz’atto ad ospitare gli invitati alla festa di matrimonio e soprattutto nell’ultimo a rinchiudervi i carcerati destinati alla Siberia.

La fedeltà al libretto è pressoché totale, se si escludono alcune libertà che il regista si prende, come quella di far scardinare a Sergei la porta della camera di Katerina in occasione del loro primo incontro carnale, oppure di far tornare Zinovy accompagnato da due zoccole, o ancora di far ricomparire nel quarto atto, solo per camminare in lungo e in largo nella prigione, i… cadaveri dei due Izmailov. L’unica pecca (secondo me) da addebitare al regista è la comparsa (da sotto le gonne di Katerina, durante l’ultima sua drammatica esternazione del lago nero) di un bambolotto simboleggiante evidentemente un figlio: riferimento chiaro, quanto improprio, al contenuto del racconto di Leskov, ma del tutto incomprensibile qui… a meno di non considerarlo una sconfessione del programma etico e femminista di Shostakovich e un dar ragione alle pretese della società (zarista ma non solo) di ridurre la donna a puro strumento di riproduzione. La scena finale del tuffo in acqua di Katerina e Sonetka è sempre problematica da rendere con efficacia: anche qui niente tuffi, ma un altro sport: il tiro alla fune! Evabbè, scusato.

Ieri il ruolo di Katerina toccava a Svetlana Sozdateleva, che per me è stata assolutamente perfetta: innanzitutto vocalmente, perché interpretare una parte così senza cadere nel volgare (musicalmente parlando: urla e schiamazzi) è davvero difficile, e invece lei ha sempre mantenuto un perfetto controllo dell’emissione. Così come eccellente è stata la sua immedesimazione nella psicologia del personaggio.

Buono anche il Sergei di Vadim Zaplechny, che forse non è riuscito sempre ad imporre la sua voce (ad esempio nella scena delle molestie ad Aksynia).

Dei due Izmailov il vecchio Boris (80 anni!) sembrava più giovane del 50enne figlio (!) Comunque il padre (Dmitrij Skorikov) ha mostrato autorevolezza sia nel canto che nel portamento superiore a quelle del figlio (Dmitrij Ponomarev) il che tutto sommato quadra con testo e musica!

Maja Barkovskaja impersonava la cuoca Aksynia: efficace nella voce; forse troppo, come dire… arrendevole nella scena delle molestie (l’avvocato dei molestatori avrebbe buon gioco a farli assolvere!)

Eccellente il capo dei poliziotti (Alexandr Miminoshvili) che ha anche messo in mostra doti di showman durante il trascinante quanto satirico balletto del terz’atto alla stazione di polizia.

Stanislav Shvets impersonava il prete e il vecchio carcerato (nel finale): come prete mi è parso poco… brillo, ecco! Efficace la sua accorata cantilena sulla strada verso la Siberia.

Personalmente non ho troppo apprezzato il contadino cencioso (e ubriaco) di Mikhail Serishev, che nel terz’atto canta una vera e propria aria: a parte che il regista gli ha messo in mano un microfono da balera, è la sua voce ad essermi parsa inadeguata alla sarcastica drammaticità del ruolo.

Stesso discorso per la Sonetka di Ksenia Vjaznikova, poco efficace vocalmente, quanto… gnocca fisicamente (!)

Sorvolo sui comprimari, non certo per biasimo, ma per non scrivere ovvietà.

Invece un bravo all’Orchestra del Comunale e soprattutto al Coro di Andrea Faidutti, perfettamente all’altezza sia della parte vocale che di quella mimica.

Vladimir Ponkin è il concertatore dello spettacolo: mi è parso cercare l’enfasi in tutti i sensi: nei grandi momenti d’insieme (gli interludi, ad esempio) dove ha cavato suono e fracassi strepitosi da un’orchestra che aveva sì e no un terzo dell’organico previsto da Shostakovich (!) e tenendo tempi fin troppo sostenuti in altri momenti (esempio la scena finale del terz’atto). In ogni caso, una direzione encomiabile e segno di grande dimestichezza con questa ostica partitura.

Ecco, a parte le poltrone e i palchi vuoti… una serata da incorniciare.           


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