XIV

da prevosto a leone
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17 febbraio, 2024

L’Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano con Tjeknavorian

Nel giorno libero fra le due esecuzioni del concerto della stagione principale, Emmanuel Tjeknavorian ha pensato bene di dare una mano anche alla crescita della Sinfonica Giovanile (già passata al vaglio lo scorso dicembre da Treviño) dirigendo un bel concerto di musiche boeme.

Abbiamo così ascoltato la famosissima Moldava, che Smetana incluse come secondo poema sinfonico nel ciclo dei sei che costituiscono La mia Patria. La Moldava è in effetti il fiume simbolo della Boemia, che attraversa da sud a nord, sfociando nella più piccola Elbe (poco sopra Praga) alla quale lascia però cavallerescamente il nome per i restanti 600 Km che ancora separano il fiume dalla foce presso Amburgo, dopo aver attraversato mezza Germania. In poco più di 150 Km in linea d’aria (fra sorgente e foce) la Moldava compie un percorso di ben 430 Km, il che rende bene l’idea della sua importanza per quei territori.

Dopo che flauti e clarinetti (Allegro commodo non agitato, 6/8) hanno evocato le due sorgenti del fiume, ecco negli archi il famoso tema principale in MI minore (che viene dall’Italia e compare anche nell’inno nazionale d’Israele) che poi ci porta in DO e FA maggiore attraverso una caccia nei boschi, poi (L’istesso tempo, ma moderato, 2/4, SOL maggiore) ad una festa di nozze di contadini; quindi, modulando a LAb maggiore ad una danza notturna di ninfe, in 4/4; dopo un passaggio in MI maggiore, ritorna in MI minore, 6/8, il tema principale del fiume, che poi si getta - con diverse modulazioni di tonalità - nei gorghi e nelle rapide di SanGiovanni; riecco (Più moto) la Moldava nel poderoso procedere delle acque (ritorno del tema principale in MI maggiore) e poi si sale su a nord fino a passare ai piedi del mitico castello di Vyšehrad, che riconosciamo musicalmente dalla comparsa del suo tema, protagonista dell’omonimo primo poema del ciclo, che ci accompagna... alla foce.

A proposito ribadisco un mio auspicio: che laVerdi metta in cantiere l’esecuzione integrale del ciclo, che merita un concerto tutto per sé… magari diretto da Tjeknavorian, visto come ha saputo interpretare questa partitura, che mescola visioni paesaggistiche e di bellezze naturali a nobili contenuti storici e patriottici.

L’Orchestra, grazie anche alla presenza di alcuni tutor che militano in quella principale (la spalla Dellingshausen in testa) ha risposto benissimo al gesto essenziale ma efficace del Direttore. Bravissime in particolare le quattro flautiste/clarinettiste ad evocare ora i gorgoglii, ora le rapide del grande fiume. Applausi per tutti.
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Ha poi chiuso il pomeriggio la penultima sinfonia di Dvořák, l’Ottava, che ha poco da invidiare alla celeberrima che venne dal nuovo mondo… (Qui alcune mie note scritte in occasione di una precedente esecuzione di Xian, e basate su una registrazione del venerabile Kubelik).

Pubblico assai folto (non proprio come ieri, ma fuori impazzava il carnevale…) che ha subito applaudito l’Allegro con brio, e poi ha premiato tutti alla fine con lunghi applausi e l’ormai consueto rituale dei battimani ritmati in onore del Direttore, che evidentemente sta entrando in piena sintonia con i musicisti (senior e junior) ma anche con il pubblico. E che, a questo punto, siamo ansiosi di rivedere e riascoltare (salvo sorprese estive…) a settembre!

27 ottobre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°5


Altro simpatico ritorno in Auditorium (ieri peraltro assai poco frequentato): è quello di Wayne Marshall (e poi dicono che a Malta non vogliono gente di colore...) che ci presenta un programma fluvial-marino snodantesi fra ‘800 e ‘900, ma sempre saldamente in acque territoriali tonali amiche.

Subito una considerazione che si applica a tutti e tre i brani in programma: Marshall ha tenuto tempi non stretti, ma strettissimi, trasformando i fiumi in rapide e mandando i mari in burrasca! Ma - dato che l’Orchestra non è... annegata - il risultato deve considerarsi più che accettabile.  
  
Si parte quindi con Vltava, il secondo dei sei poemi sinfonici che Smetana dedicò alla sua patria (ciclo Má vlast). La Moldava è in effetti il fiume simbolo della Boemia, che attraversa da sud-ovest a nord-est, sfociando nella più piccola Elbe poco sopra Praga. In poco più di 150 Km in linea d’aria (fra sorgente e foce) compie un percorso di ben 430 Km, il che rende bene l’idea della sua importanza per quei territori.

Seguiamo un’esecuzione patriottica della Filarmonica ceca diretta da Jiri Belohlavek: dopo che flauti e clarinetti (Allegro commodo non agitato, 6/8) hanno evocato le due sorgenti del fiume, ecco negli archi (1’31”) il famoso tema principale in MI minore (che viene dall’Italia e compare anche nell’inno nazionale d’Israele) che poi (3’15”) ci porta in DO e FA maggiore attraverso una caccia nei boschi, poi (4’13”, L’istesso tempo, ma moderato, 2/4, SOL maggiore) ad una festa di nozze di contadini; quindi, modulando a LAb maggiore (5’48”) ad una danza notturna di ninfe, in 4/4; dopo un passaggio in MI maggiore, a 8’26” ritorna in MI minore, 6/8, il tema principale del fiume, che poi (9’15”) si getta - con diverse modulazioni di tonalità - nei gorghi e nelle rapide di SanGiovanni; riecco (10’29”, Più moto) la Moldava nel poderoso procedere delle acque (ritorno del tema principale in MI maggiore) e poi si sale su fino a passare (10’57”) ai piedi del mitico castello di Vyšehrad, che riconosciamo musicalmente dalla comparsa del suo tema, protagonista dell’omonimo primo poema del ciclo, che ci accompagna... alla foce.

A proposito, non sarebbe male se laVerdi mettesse in cantiere l’esecuzione integrale del ciclo, che meriterebbe un concerto tutto per sè...

Encomiabile la prestazione di tutti, ma come non segnalare flauti e clarinetti per la magistrale esposizione delle sorgenti del fiume.
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Ecco poi Benjamin Britten, con i Four sea interludes dal Peter Grimes. La sequenza dei quattro brani non rispetta quella dell’opera (come si può dedurre dallo specchietto sottostante):


Nell’opera gli interludi sono in effetti sei, equamente distribuiti nelle sue tre parti (prologo incluso) e non sono titolati. Il primo serve come preludio - dopo il Prologo al tribunale - al primo atto, ed evoca un mattino grigio al borgo affacciato sul mare. La tonalità è (appropriatamente) LA minore, il tempo Lento e tranquillo. Il secondo evoca la tempesta che si abbatte sul borgo alla sera (Presto, con fuoco) ed è in MIb minore, con diverse modulazioni. Il terzo (Allegro spiritoso) è in LA maggiore ed apre il second’atto accompagnando la serena atmosfera del villaggio in un giorno di festa. Il quarto è una Passacaglia (Andante moderato) che precede l’arrivo di Grimes e del suo giovane aiutante verso la baita del marinaio, dove il ragazzo troverà la morte. Il quinto (Andante comodo e rubato) è in MIb maggiore, apre il terzo atto ed introduce la scena di una notturna festa danzante. Il sesto (Lento) fa da preludio alla conclusione dell’opera, riprendendo l’atmosfera del primo interludio.

Nella suite Britten ha invece impiegato quattro dei sei interludi (la Passacaglia l’ha isolata in un brano ad-hoc) disponendoli secondo un principio di opposizione luce-tenebre (o giorno-notte). Dapprima la coppia di brani diurni (LA minore e maggiore) e poi quella di brani notturni (MIb maggiore e minore). Significativo il fatto che le due tonalità (LA-MIb) siano separate da un inquietante tritono, figura musicale assai appropriata a rappresentare l’insanabile dissociazione fra la personalità ribelle e misantropa di Grimes e il perbenismo un po’ bigotto della società nella quale il protagonista vorrebbe integrarsi, essendone viceversa ripetutamente emarginato.

Marshall sta abbastanza... calmo per i primi tre brani, poi si scatena nell’ultimo, che non a caso evoca una tempesta, suscitando l’entusiasmo dei fedelissimi.
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Chiude il programma Die Seejungfrau di Alexander von Zemlinsky. La sua ispirazione alla novella di Andersen (La Sirenetta) è tanto dichiarata quanto labile, non avendo il compositore indicato precisi e dettagliati riferimenti sulla partitura (ne esistono però in appunti stesi durante la composizione). Antony Beaumont, che ha curato l’edizione critica della partitura (data per persa un secolo fa e poi fortunosamente ritrovata a pezzi qua e là e rimessa insieme) scrive nella prefazione all’edizione Universal che Zemlinsky avrebbe cominciato a comporre questa musica dopo la cocente delusione provata in seguito al fallimento della sua vicenda sentimentale con la giovane e bella Alma Schindlersua allieva che aveva stravisto per lui, sognando nientemeno che di dargli un figlio (!) ma che poi di punto in bianco lo piantò in asso per accasarsi con tale Gustav Mahler...  Mah, forse lui si sentiva come la sirenetta respinta dal principe (!?)    

A proposito di Principe, il grande Quirino, in un sapiente saggio pubblicato sul programma di sala (che mi permetto di riprodurre qui, sperando che nessuno chieda la mia testa per aver violato diritti) propone una plausibile associazione fra le note di Zemlinsky e il testo di Andersen.

L’opera, che reca l’attributo Fantasia in tre movimenti per orchestra da una novella di Andersen, è appunto tripartita (quasi fosse una sinfonia) e ci si sente tutta l’influenza della musica contemporanea (siamo a cavallo del secolo) a Zemlinsky, che in sostanza si rifà ad un nome ben preciso e conosciuto: Richard Wagner (cui ovviamente si accodano Strauss e Mahler) e più remotamente a Liszt e Berlioz.

Grazie al lavoro di Beaumont si possono oggi ascoltare due versioni dell’opera, che differiscono sostanzialmente nel secondo movimento: del quale era stata in un primo tempo ritrovata una versione riveduta dall’Autore, che ne aveva tagliato una parte (79 battute, 4-5 minuti di musica); parte scoperta successivamente fra le sue carte. Riccardo Chailly ha eseguito e inciso più volte la versione riveduta (qui con la Radio di Berlino); quella originale si può ascoltare in questa bella esecuzione finlandese di Storgårds (il taglio riaperto va da 22’45” a 27’15”).

A questo punto diviene spontanea la domanda: ma laVerdi quale versione ha suonato? Ebbene, ha suonato quella originale (con le 79 battute reintrodotte); ma, grazie ai tempi forsennati di Marshall, la durata ha eguagliato quella (ad esempio) di Chailly che invece taglia quelle battute.

Successo clamoroso e applausi ritmati: Marshall ringrazia facendo chiari cenni verso i ragazzi, come a dire: merito loro!

Sarà una pura combinazione, ma questa Seejungfrau è anche nel programma del prossimo concerto dell’OSN (su Radio3 sabato 3 novembre, 20:30).

25 novembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°35


Jader Bignamini si trasferisce in Boemia per il concerto di questa settimana, che presenta lavori dei due musicisti-simbolo - nell’800 -  di quella regione posta nel cuore dell’Europa. La parte del leone la fa Antonin Dvořàk, mentre a Bedřich Smetana è riservato un intermezzo di grande notorietà: un’impaginazione un poco bizzarra, a dir il vero, con il pezzo forte in apertura, seguito da un brano famoso ma meno forte e poi ancora da spizzichi-e-bocconi di musica non proprio... impegnatissima, ecco.

Per dire, Vltava andrebbe assai più opportunamente inserito in un’edizione completa del ciclo Mà Vlast (6 poemi sinfonici) che ahinoi viene rarissimamente eseguito, e meriterebbe invece la rilevanza di un intero concerto; così come non ha molto senso prendere i numeri dispari delle Danze slave dell’op.46 e due numeri dell’op.72, invece di eseguire uno solo dei cicli, ma completo degli otto brani (sarebbe un po’ come eseguire sei numeri di Ciajkovski presi da Schiaccianoci, Addormentata, e Lago...)

Come detto, la parte più interessante della serata è stata la prima, dove il trentenne Maximilian Hornung ha sfoggiato le sue grandi capacità tecniche in un’interpretazione del Concerto per violoncello di Dvořàk, un vero pilastro di questo repertorio. Bellissimo e potente il suono del suo strumento, che sa imporsi anche ai più massicci pieni dell’orchestra, che Bignamini ha comunque condotto sempre con grande equilibrio; ma splendidi anche i passaggi più lirici dell’Adagio centrale. Ammirevoli gli interventi solistici delle prime parti dell’Orchestra, chiamate spesso a dialogare con il violoncello. Insomma, un’esecuzione coi fiocchi, salutata da convinti applausi del non oceanico pubblico, gratificato quindi di una Giga bachiana (prima suite).    
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Poi, come titolava una vecchia raccolta di vinili per neofiti, ecco a voi... musica classico-leggera (!)

Bignamini ci offre una Moldava à la Toscanini, (ma anche alla Kubelik, per citare il campione fra gli interpreti di questa musica) come si deduce già dalla prima battuta del secondo flauto, che si colloca al limite superiore dell’indicazione agogica Allegro (a 2 battute) comodo, non agitato. Le due sorgenti del fiume paiono qui delle piccole rapide di torrente! Che poi si ingrossano fino a diventare il maestoso corso d’acqua che attraversa la Boemia, testimone di bellezze naturali, feste popolari e storici castelli, fino a sfociare nella più piccola Elba, alla quale lascia però cavallerescamente il nome per i restanti 600 Km che ancora separano il fiume dalla foce presso Amburgo, dopo aver attraversato mezza Germania!

La Danze slave sono un ardito banco di prova per l’Orchestra, che Bignamini spreme fino al massimo delle possibilità agogiche e dinamiche: musica trascinante che sembra fatta apposta per portare un po’ di allegria in queste grigie e piovose giornate autunnali meneghine!
     

17 gennaio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 17


Programma di musiche dall’est-europeo per questa puntata della stagione de laVERDI: ed in particolare dalla Boemia  - il Centro ceco di Milano ha patrocinato la serata - con un terzetto di compositori formato da un sandwich in cui due (tardo) romantici imprigionano un (relativamente) moderno.   

L’impaginazione del concerto, di taglio assolutamente tradizionale (brillante brano di apertura + concerto solistico + sinfonia) ci fa viaggiare da Smetana (anni ’70 dell’800) a Martinů (metà del ‘900) per poi retrocedere alla fine dell’800 con Dvořák. E la circolarità del percorso non fa che sottolineare la continuità di una tradizione musicale che – invece di farsi corrompere dalle più drastiche innovazioni del ‘900 – ha saputo mantenere la propria identità, pur non chiudendosi in se stessa: se Smetana fu il pioniere della scuola nazionale boema, Dvořák e Martinů vi si mantennero fedeli pur non rinunciando – Martinů in particolar modo - a confrontarsi con tutto ciò che si muoveva nell’occidente europeo e americano.

Sul podio torna dopo anni un nipotino di Salonen, il 35enne Pietari Inkinen che in questi ultimi anni ha cercato (e trovato) fortuna assai lontano da casa (Nuova Zelanda, Australia, Giappone) e che tornerà prossimamente in Europa: guarda caso, proprio a Praga! Così deve aver cominciato l’ambientazione ceca studiando per bene i tre autori in programma qui in Auditorium. La sua impronta già si è sentita nella Moldava, affrontata con verve pari all’attenzione ai dettagli e ai mille colori della partitura più famosa del ciclo Má Vlast, aperta dai mirabili rigagnoli delle due sorgenti del fiume evocati dal duo di flauto Crepaldi-Petrella.

Un pianista boemo, Pavel Kaspar (tastiera 1) ha fatto poi coppia con il nostro Roberto Prosseda (tastiera 2) nel Concerto per due pianoforti di Martinů, del 1943: opera raramente eseguita, a dispetto della sua obiettiva bellezza, proprio perché richiede due pianisti di grande livello tecnico, date le difficoltà che presenta. E non a caso entrambi i solisti hanno suonato con lo spartito sul leggio dello strumento. Merito de laVERDI avere in repertorio questo pezzo, già eseguito nel 2011 con Wayne Marshall e la coppia Micallef-Inanga.

Kaspar e Prosseda hanno risposto alle ripetute chiamate con un bis alquanto particolare: la trascrizione per due pianoforti, opera di Debussy, del quinto dei sei Studi in forma di canone per il pedal-piano (pianoforte con pedaliera) di Robert Schumann (qui da 2’57” a 5’12”): evidente, nella scelta, lo zampino di Prosseda, che ultimamente si sta proprio interessando a quello strano tipo di pianoforte, in particolare incidendone le opere di Gounod. 

Ha chiuso la serata l’Ottava di Dvořák, una sinfonia magari un po’ pretenziosa, con momenti di eccessiva prosopopea nei due tempi esterni ma con grandi slanci lirici nei due tempi interni, dove più emerge l’autentico spirito boemo dell’opera. Inkinen anche qui ha sfoggiato sensibilità e misura, guidando un’orchestra in grande forma in tutte le sezioni, ma con gli splendidi violoncelli capeggiati da Scarpolini che si meritano una menzione particolare.