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03 maggio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°27


Il concerto di questa prima settimana di maggio vede il gradito (purtroppo unico nella stagione) ritorno sul podio dell’Auditorium del Direttore emerito de laVerdi, Zhang Xian.

Il programma comprende in apertura il quinto degli otto appuntamenti della Maratona Brahms (integrale delle sinfonie e dei concerti solistici) e propone il Primo Concerto per pianoforte, interpretato alla tastiera da Denis Kozhukhin, giovane virgulto (33 anni) della grande scuola russa ma ormai cittadino del mondo e già frequente ospite anche del nostro Paese.

Si tratta dell’opera di un Brahms (appena 22enne quando la sbozzò) ancora incerto sul terreno orchestrale, nata come sonata per due pianoforti, poi innalzata al rango di sinfonia e infine derubricata, per così dire, a concerto solistico. Dove peraltro il solista spicca abbastanza poco, quasi sempre annegato nella trama del tessuto orchestrale, il che ha reso il concerto poco attraente per i pianisti (già dover aspettare per più di 4 interminabili minuti che l’orchestra esaurisca ben 90 battute introduttive prima di dare la... parola al pianoforte dev’essere per loro piuttosto fastidioso). Poi, in compenso, il lavoro per il solista non manca di certo: forse mancano virtuosismi da baraccone, ma l’impegno richiesto - non fosse che per la durata del concerto - è di quelli davvero gravosi.

E in effetti questo Kozhukhin pare apprezzarlo assai, a giudicare dal cipiglio, dalla grinta e dalla passione che ha profuso nella sua interpretazione. Qualche sbavatura che mi è parso cogliere nei passaggi più ostici del primo movimento non inficia il giudizio del tutto positivo sulla sua performance, impreziosita dalla delicatezza e sensibilità con cui ha proposto il sognante Adagio centrale.

Bene anche l’Orchestra, dove si è distinto, fra gli altri, il corno di Amatulli, nei diversi passaggi solistici disseminati nella partitura. A tutti il pubblico abbastanza folto dell’Auditorium ha riservato un meritato successo. Così questo ragazzone biondo (con tanto di codino) ci offre un raro quanto gradevole Grieg (n°6 dell’op.43, Til Foraret).   
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A chiudere in bellezza la serata ecco l’Ottava Sinfonia di Antonin Dvořák, significativamente accostato nel programma al suo illustre mentore amburghese. Sinfonia composta nel 1889 e appellata pastorale, quindi apparentata alla seconda di Brahms, in specie per i due movimenti interni, ma che presenta un movimento iniziale piuttosto eterodosso (e quindi assai poco brahmsiano, nel senso di rispetto delle forme); il che ha spinto alcuni suoi detrattori a declassarlo a rapsodia su temi di danze slave... un campo nel quale a Dvořák è peraltro sempre stata riconosciuta un’indiscussa autorità.

Ma forse queste sono critiche ingenerose, e un’analisi meno prevenuta permette di apprezzare anche la struttura formale dell’opera, che del resto il compositore stesso aveva dichiarato contenere diversi caratteri innovativi.

Facciamone la conoscenza servendoci di un’interpretazione autorevolissima, quella di un boemo d.o.c.: Rafael Kubelik, alla guida dei Berliner.
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Apre un Allegro con brio, 4/4 in chiave di SOL maggiore, e già la tonalità rappresenta un unicum nella produzione sinfonica dell’intero ‘800: solo Ciajkovski l’aveva impiegata, ma in minore, nella sua prima (chiusa peraltro in maggiore) e si dovrà attendere il ‘900 e Mahler (quarta) per ritrovarla nuovamente come impianto di una sinfonia.

Ma le sorprese sono appena iniziate, poichè il motivo che introduce l’esposizione è - guarda un po’ - in SOL minore! Lo dobbiamo tener presente poichè tornerà altre due volte nel corso del movimento, e precisamente ad aprire lo sviluppo e poi la ricapitolazione, in questa che cominciamo quindi a riconoscere come una struttura di forma-sonata piuttosto disinvoltamente manipolata.

Questa introduzione in minore, una specie di corale nei violoncelli, clarinetti e fagotti, sfocia (33”) in un lungo RE, dominante del SOL la cui tonalità trascolora da minore a maggiore con l’innalzamento del SIb a SI naturale nell’accompagnamento orchestrale. (In realtà questa alternanza minore-maggiore è al centro dell’intera sinfonia). Ecco qui il flauto (42”) esporre il primo tema (anzi la prima parte del primo gruppo tematico): una chiara evocazione dei gorgheggi di uno dei tanti volatili di cui il compositore si circondava nella sua casa di campagna a Vysoká. Poi, invece di svilupparsi come ci si aspetterebbe, ecco che (1’02”) il motivo, in un travolgente crescendo orchestrale, pare trasformarsi in una nuova introduzione a qualcos’altro! Che è poi (1’20”) la seconda parte del primo gruppo tematico. La quale passa per ora come una meteora, per lasciare subito il posto al proseguimento del crescendo orchestrale, chiuso a 1’51” - dopo una cadenza degna in tutto e per tutto di un’aria di melodramma - da un’enfatica riproposizione della prima parte del tema.

Questa però sfocia arditamente (1’57”) nella tonalità di SI minore che poi - dopo un ponte modulante che attraversa LA e RE maggiore - supporta (2’32”) il secondo gruppo tematico (prima parte) dal sapore tipicamente boemo. La cui seconda parte (3’07”) è in SI maggiore, alle prime dal carattere religioso, ma subito sfacciatamente reiterata (3’14”) e sfociante sulla cadenza del primo tema, poi trascolorando (3’36”) nuovamente a SI minore. Un nuovo ponte modulante attraverso il RE ci riporta a SOL minore, preparando il ritorno del tema introduttivo che riudiamo (4’00”) proprio come aveva aperto l’esposizione. Ecco quindi tornare il passaggio a SOL maggiore ed il flauto esporre (4’43”) il motivo ornitologico.

A tutta prima sembrerebbe una pura e semplice ri-esposizione (quasi un da-capo di classica memoria) ma Dvořák non cessa di stupirci e ben presto ci rendiamo conto di essere già entrati nella sezione di sviluppo (esclusivamente occupata dalle due parti del primo gruppo tematico). La tonalità infatti comincia a modulare vorticosamente: dapprima (5’03”) a FA maggiore e poi (5’17”) ad un remoto FA# maggiore! Sul quale a 5’34” ecco comparire, quasi nascosta dalla mirabile melodia di contrappunto dei flauti, la seconda parte del primo gruppo tematico, poi esposta (5’47”) in LAb maggiore, ancora in RE minore (6’08”) e poi (6’15”) in FA maggiore e ancora (6’18”) in LAb. Adesso due schianti in MIb minore portano (6’27”) ad un colossale accordo di MI minore che prepara a sua volta l’arrivo (6’51”) del SOL minore.

Mamma mia, che ubriacatura di suoni! (É qui che probabilmente i critici della sinfonia perdevano il filo del discorso...) E questo SOL minore a cosa ci prepara? Ad un enfatico riapparire del tema dell’introduzione, tanto smaccato ora (nelle trombe, sulle folate degli archi) quanto sommesso e religioso era stato nelle prime due comparse... Tema che per la terza volta segnala l’inizio di una sezione del movimento iniziale: qui, la ricapitolazione.

Quasi timoroso, è il corno inglese (7’33”) ad aprirla, esponendo il motivo dell’uccellino, subito imitato da clarinetto e flauto. Ora non udiamo la seconda parte di questo primo gruppo tematico, ma ecco tornare il secondo tema (8’05”) accodatosi - in osservanza (per una volta quasi rigorosa) dei sacri canoni - alla tonalità di impianto (SOL, ma sempre in minore, nella sua prima parte). La seconda parte, in maggiore, compare a 8’40”, subito riproposta con enfasi a 8’47”. Essa sfocia (9’03”) nel primo tema, da cui si diparte la brillantissima coda, chiusa da 5 melodrammatici schianti di SOL maggiore.

Si passa ora all’Adagio, 2/4 tonalità in MIb maggiore e DO minore-maggiore (anche qui i due modi si alternano e si compenetrano). La struttura generale si presenta come una duplice alternanza di un gruppo tematico dimesso e quasi da marcia funebre (ma con impertinenti incisi in maggiore) e un secondo di spiccata serenità popolaresca.

A 9’55” gli archi espongono il primo gruppo tematico, che muove da MIb maggiore a DO minore e quindi (10’41”) ecco flauto e clarinetto interloquire in DO e poi FA maggiore con i clarinetti. A 12’11”, preceduta da un rullo di timpani, la prima sezione del tema viene ripetuta in fortissimo e porta alla prima esposizione (13’10”) del secondo gruppo tematico, in DO maggiore, dal sapore squisitamente popolare, con una sezione (14’06”) assai enfatica e mossa dalle scale degli archi, che sfocia (14’43”) in una marziale perorazione delle trombe.

A 14’58” ritorna il primo gruppo tematico variato che sembra svanire nel nulla per poi sfociare (16’32”) in un’altra sezione enfatica, prima che (17’47”) faccia la sua ricomparsa il secondo gruppo tematico, esposto dagli archi con contrappunto grazioso dei flauti. Una coda (18’38”) basata sul primo tema, chiude il movimento in un’atmosfera che si schiarisce dopo un cupo intervallo.

Ecco quindi l’Allegretto grazioso, 3/8 in SOL minore. Non è il classico Scherzo, anche se ha una struttura (A-B-A) che contempla (B) un Trio. Inizia (A) con un languido walzer (20’16”) esposto dagli archi, un tema arcuato, che sale e poi ridiscende. Gli fa eco (20’42”) un controsoggetto prima della riproposizione (21’08”) del tema completo nei legni, poi ancora negli archi.

Si passa ora (22’04”) al Trio (B) nella relativa SOL maggiore (altro esempio di alternanza minore-maggiore) un motivo ripreso dall’opera Tvrdé palice (Teste dure) a sua volta integrato (22’29”) da un controsoggetto. Il tutto ripetuto (22’49”) e ancora seguito (23’35”) dal soggetto B chiuso da una delicata cadenza dell’oboe.

Con il classico da-capo torna (24’24”) il primo tema (soggetto e controsoggetto) poi ripetuto (25’16”), e infine si arriva (26’12”) ad una coda spigliata (Molto vivace, tempo 2/4) basata sul secondo tema e chiusa da un accordo maggiore (SOL-SI) assai dimesso negli archi. 

Chiude la Sinfonia l’Allegro ma non troppo, 2/4 in SOL maggiore, che presenta una struttura a metà tra il rondò e il tema-con-variazioni (queste ultime non sono esplicitamente indicate, ma si desumono chiaramente dalla partitura, oltre che dal contenuto musicale). A mo’ di introduzione lo apre (26’53”) il RE di una smaccata fanfara di trombe. Qui viene sempre ricordato dai commentatori un appello che la nostra guida Kubelik pare abbia indirizzato agli orchestrali durante una sessione di prove della sinfonia: Signori, in Boemia le trombe chiamano alla danza, non alla battaglia! 

Esposizione del Tema (27’21”). Dopo una pausa di riflessione, scandita dai timpani sul ritmo della fanfara, ecco il tema principale, affidato ai violoncelli, che mostra subito la sua chiara derivazione dall’incipit (SOL-SI-RE) del canto dell’uccellino che aveva aperto nel flauto l’esposizione dell’iniziale Allegro con brio. Sono 8 battute (reiterate) chiuse sulla dominante RE. Il controsoggetto (27’41”) - sempre di 8 battute con da-capo - risponde partendo dalla dominante e ritornando a casa, sul SOL.

Variazione 1 (28’03”). È in effetti una riesposizione variata del tema completo (soggetto e controsoggetto con i rispettivi da-capo) ma assai arricchito di suono, per l’intervento di viole e violini in fortissimo, ad accompagnare celli e bassi.       

Variazione 2 (28’39”). É abbastanza articolata, con una struttura A-B-A. Inizia con l’intera orchestra che espone l’incipit del tema, poi sviluppato in due frasi di 8 battute. Segue (28’53”) la sezione B, un po’ più mossa nel tempo, costituita da due parti (sempre di 8 battute, ripetute) affidata agli svolazzi del flauto. Riprende (29’22”) la sezione A con la prima parte di 8 battute e la seconda di 13, chiusa sul SOL. Seguono (29’38”) 10 battute di ponte, che conducono la tonalità verso il DO minore, in cui è incardinata la successiva...  

Variazione 3 (29’46”). É la più lunga e complessa delle sette (130 battute) ed apre come detto in DO minore con un tema aspro e martellante esposto da oboi e clarinetti, poi ripreso (29’58”) dai flauti. Che ne propongono una variante, come controsoggetto, con modulazioni a SI e SIb minore. Segue un lungo sviluppo del tema, con interventi successivi di tutte le sezioni dell’orchestra, chiuso da un ritorno (31’09”) del RE della fanfara di trombe che si trascina faticosamente fino a chiudere la variazione.

Variazione 4 (31’40”). Riecco il SOL maggiore del tema principale (due parti entrambe ripetute) che nella prima parte ricalca l’apparizione iniziale, ma nella seconda (32’03”) viene stranamente allungato di 2 battute (10 invece di 8).  
  
Variazione 5 (32’33”). In sostanza arricchisce tematicamente la precedente ed è riservata ai soli archi. La prima sezione è di 8 battute, ripetuta; la seconda (32’55”) pure di 8 battute, ma con ripetizione di 10.   

Variazione 6 (33’20”). Ora è il clarinetto a tenere banco, presentando la prima sezione del tema principale con l’accompagnamento degli archi in tremolo. Nella seconda (33’44”) si fa più corposa la presenza dei fiati (entrambe le sezioni, ripetute, sono di 8 battute).

Variazione 7 (34’07”). Ancora il tema principale (esposto dai violini contrappuntati dai fagotti) che lentamente sembra disgregarsi, poi si riprende (34’29”) nei violini con accompagnamento in tempi dilatati di flauti e oboi.

Coda (34’55”). Furiosamente l’intera orchestra ripercorre la seconda variazione fino ad arrivare (Più animato, 35’09”) alla stretta finale. Chiusura in bellezza, con due schianti di SOL maggiore. 
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Beh, magari non sarà proprio un capolavoro assoluto, tuttavia non si può negare che la sinfonia abbia un certo fascino, legato indubbiamente alla cantabilità dei tanti motivi di ispirazione popolare boema che la percorrono da cima a fondo, che mette in secondo piano le sue arditezze (ma si potrebbe dire... stranezze) formali. 

Abbiamo conosciuto ed apprezzato la Xian durante gli anni della sua direzione musicale e anche ieri la piccola cinesina ha mostrato le sue qualità: esaltando tutti i contrasti di questo brano, che alterna la leggerezza dei motivi di danza (vedi l’Allegretto) a squarci di alta drammaticità (quali sono emersi mirabilmente nell’Adagio). Travolgente poi l’Allegro finale, con l’Orchestra (ieri guidata da Dellingshausen) che ha davvero tirato fuori le unghie! 

Accoglienza trionfale e applausi ritmati hanno chiuso questa bellissima serata.

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