Fra pochi giorni al Piermarini andrà in
scena la prima di Die
tote Stadt, opera del 1920, uscita dalla penna di un 24enne di
origine morava trapiantato a Vienna, Erich
Wolfgang Korngold. Opera rimasta quasi unica nella produzione di quel ragazzo-prodigio
(ammirato persino da Puccini, Mahler, Strauss...) anche a causa delle dolorose vicissitudini
cui il compositore andò incontro a seguito dell’ascesa al potere di tale Hitler.
Il che lo obbligò ad espatriare e a stabilirsi in USA, dove peraltro trovò l’america, come si suol dire,
facendo fortuna e ricchezze in quel di Hollywood, dove divenne il pioniere
delle grandi colonne sonore dei film colà
prodotti. Dopo la
fine della WWII tornò alla musica colta, con il (relativamente) famoso Concerto per violino e una meno famosa Sinfonia.
Visto con il senno di poi, a noi oggi
pare quasi scontato che quel fenomeno - innescato da Liszt e portato a
dimensioni quantitative e qualitative eccelse da Strauss - che va sotto il nome
improprio di musica descrittiva,
finisse per contagiare inevitabilmente il mondo del cinema, che di colonne
sonore aveva bisogno come dell’aria. E così il buon Korngold, imbevuto di
massicce dosi di Liszt e Strauss in salsa wagneriana, e con l’aggiunta di spruzzatine
di Mahler e Lehar su moderate dosi di Debussy e di espressionismo à-la-Berg,
divenne in breve il re di quel nuovo business.
A
prima vista anche l’opera che si va a rappresentare, pur di una quindicina d’anni
anteriore al periodo americano,
presenta già qualche tratto caratteristico della musica-da-film, come si può
constatare fin dalle prime battute, con suoni che ci sembrano uscire dagli
altoparlanti di una sala cinematografica dove si proietta una pellicola con
Errol Flynn! Ma sarebbe ingeneroso non riconoscere a Korngold straordinarie
doti creative e capacità come pochi di padroneggiare la tecnica di
manipolazione dei motivi musicali al servizio del dramma.
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Due
parole sul soggetto, che poggia su un libretto scritto dallo stesso compositore,
con la guida del padre - il famoso critico musicale Julius - a partire da testi preesistenti (essenzialmente Le mirage e Bruges-la-Mort di Georges
Rodenbach). La città morta è Bruges
(Brugge per i fiamminghi) dove si dipana
il dramma di Paul, vedovo inconsolabile che fa della sua casa in quella
cittadina decaduta un autentico sacrario per la moglie Marie, con tanto di
ritratti, oggetti di abbigliamento e persino una lunga treccia bionda conservati
come reliquie.
Un bel
giorno Paul incontra per caso Mariette, un’estroversa danzatrice di una
compagnia itinerante che pare la copia-carbone della moglie defunta: se ne
innamora come se quella fosse la reincarnazione della povera Marie, la invita nella
sua casa-cappella, ma deve constatare che invece Mariette ha una personalità
agli antipodi rispetto a quella della sua Marie. Così la sua psiche deraglia e,
quando Mariette - dopo una notte d’amore di sesso con lui - deturpa
deliberatamente l’immagine di Marie, Paul sbrocca e strangola la ballerina.
Finito qui, come nei riferimenti
letterari originali? No no, qui c’è addirittura il lieto-fine, o perlomeno un’ambigua
morale-della-favola, sospesa fra il rassegnato e il consolante. Perchè
scopriamo che tutta la tragica vicenda che ha portato allo strangolamento di
Mariette altro non è stato che un sogno di Paul: Mariette è viva e vegeta e se
ne torna alla sua compagnia, e Paul - grazie al sogno - si può infine
capacitare che la vita può continuare (mah, sarà poi così?) senza rimanere
schiavi del passato nè delle futili illusioni del presente.
Il tempo reale occupa le prime 5 scene del
primo quadro e l’ultima del terzo: tutto si compie in una sola serata. Il tempo onirico occupa invece pochi minuti
di quello reale (insomma, Paul fa solo un pisolino, il tempo per Marietta -
dopo esserne uscita - di tornare in casa sua a recuperare l’ombrellino...) ma
vi scorre, come in un film accelerato in FFW,
un’intera serata-nottata-mattinata, articolato com’è nella sesta scena del
primo quadro, nelle 4 del secondo e nelle prime due del terzo. Grosso modo, su
circa 130 minuti di durata complessiva, il tempo reale ne occupa più o meno 50;
quello onirico quasi 80, compressi in 5 minuti del primo!
Dallo schema si evince anche come il sogno di Paul sia distribuito su tutti e tre i quadri - che hanno durata simile, attorno ai 45 minuti - il che comporta che venga interrotto dagli intervalli addirittura due volte, cosa che può disorientare lo spettatore o comunque produrre cali di tensione drammatica. In particolare è la prima interruzione, dopo che il sogno è appena iniziato, a rischiare di essere deleteria. Così lo stesso Korngold ha previsto la possibilità di legare senza soluzione di continuità i primi due quadri e all’uopo ha predisposto gli opportuni tagli (138 battute: 93 alla fine del primo e 45 all’inizio del secondo quadro) alla partitura. In questo modo il sogno viene interrotto soltanto una volta, prima della notte che Paul e Marietta trascorreranno insieme. Peraltro una conseguenza di questo approccio è lo squilibrio che si crea fra le durate delle due parti: la prima di circa 90 minuti, la seconda di 40-45. Beh... non si può aver tutto.
Dallo schema si evince anche come il sogno di Paul sia distribuito su tutti e tre i quadri - che hanno durata simile, attorno ai 45 minuti - il che comporta che venga interrotto dagli intervalli addirittura due volte, cosa che può disorientare lo spettatore o comunque produrre cali di tensione drammatica. In particolare è la prima interruzione, dopo che il sogno è appena iniziato, a rischiare di essere deleteria. Così lo stesso Korngold ha previsto la possibilità di legare senza soluzione di continuità i primi due quadri e all’uopo ha predisposto gli opportuni tagli (138 battute: 93 alla fine del primo e 45 all’inizio del secondo quadro) alla partitura. In questo modo il sogno viene interrotto soltanto una volta, prima della notte che Paul e Marietta trascorreranno insieme. Peraltro una conseguenza di questo approccio è lo squilibrio che si crea fra le durate delle due parti: la prima di circa 90 minuti, la seconda di 40-45. Beh... non si può aver tutto.
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Per fare (o rinfrescare) la conoscenza
dell’opera a buon mercato, la si può seguire in rete (fra alcune altre) in
questa registrazione vintage
(1975) di Erich Leinsdorf con il trio
dei protagonisti (Paul, Marietta, Frank) Kollo-Neblett-Luxon,
più il Fritz di Prey e la Brigitta di
Wagemann.
In omaggio alla notorietà
americana di Korngold, l’opera sarà affidata ad Alan Gilbert, fino al
2017 Direttore musicale della prestigiosa NYPO, in procinto di insediarsi alla Elbphilharmonie.
Paul sarà impersonato da Klaus
Florian Vogt, che si può apprezzare qui, impegnato in Finlandia nel 2011, e
che pare ben calato nella personalità piuttosto... disturbata del protagonista.
Come è prassi ormai quasi
consolidata (del resto è un’indicazione dello stesso Korngold) anche in questa produzione il ruolo minore (come presenza
in scena, ma al quale è affidata una delle due arie più famose
dell’opera, Da Ihr befehlet, Königin, nel second’atto) di Fritz
(il Pierrot della compagnia di Marietta) viene accorpato - visto che ha
la stessa tessitura di baritono e mai compare in scena insieme all’altro - con
quello un filino più presente, anche se musicalmente meno pregiato, di Frank. Così
il simpatico, oltre che bravo, Markus Werba si guadagnerà qualche minuto
in più di attenzione del pubblico (e magari, glielo auguriamo, di applausi).
Ad Asmik Grigorian da Vilnius è
affidato il ruolo di Marietta, che dà anche la voce all’apparizione di Marie
nel primo atto; atto in cui spicca la bellissima aria (del liuto) Glück, das mir verblieb. La carioca Kismara Pessatti
completa il quartetto dei protagonisti, interpretando Brigitta.
L’Accademia scaligera dà anche qui un
sostanzioso contributo ai ruoli di contorno, con tre delle quattro voci.
Contributo che darà anche il Coro di
Casoni.
L’allestimento
è del genio-(e-sregolatezza) Graham Vick,
il che garantisce come minimo accese discussioni sulla sua vision del dramma.
Dalla locandina del Teatro si dovrebbe evincere che lo
spettacolo abbia un solo intervallo, come ad esempio in questa recente produzione
berlinese di Carsen. Radio3 riprenderà in diretta (ore 20:00)
la prima del 28 maggio.
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