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21 maggio, 2019

Freud a Brugge: Die tote Stadt alla Scala


Fra pochi giorni al Piermarini andrà in scena la prima di Die tote Stadt, opera del 1920, uscita dalla penna di un 24enne di origine morava trapiantato a Vienna, Erich Wolfgang Korngold. Opera rimasta quasi unica nella produzione di quel ragazzo-prodigio (ammirato persino da Puccini, Mahler, Strauss...) anche a causa delle dolorose vicissitudini cui il compositore andò incontro a seguito dell’ascesa al potere di tale Hitler. Il che lo obbligò ad espatriare e a stabilirsi in USA, dove peraltro trovò l’america, come si suol dire, facendo fortuna e ricchezze in quel di Hollywood, dove divenne il pioniere delle grandi colonne sonore dei film colà prodotti. Dopo la fine della WWII tornò alla musica colta, con il (relativamente) famoso Concerto per violino e una meno famosa Sinfonia.

Visto con il senno di poi, a noi oggi pare quasi scontato che quel fenomeno - innescato da Liszt e portato a dimensioni quantitative e qualitative eccelse da Strauss - che va sotto il nome improprio di musica descrittiva, finisse per contagiare inevitabilmente il mondo del cinema, che di colonne sonore aveva bisogno come dell’aria. E così il buon Korngold, imbevuto di massicce dosi di Liszt e Strauss in salsa wagneriana, e con l’aggiunta di spruzzatine di Mahler e Lehar su moderate dosi di Debussy e di espressionismo à-la-Berg, divenne in breve il re di quel nuovo business.               

A prima vista anche l’opera che si va a rappresentare, pur di una quindicina d’anni anteriore al periodo americano, presenta già qualche tratto caratteristico della musica-da-film, come si può constatare fin dalle prime battute, con suoni che ci sembrano uscire dagli altoparlanti di una sala cinematografica dove si proietta una pellicola con Errol Flynn! Ma sarebbe ingeneroso non riconoscere a Korngold straordinarie doti creative e capacità come pochi di padroneggiare la tecnica di manipolazione dei motivi musicali al servizio del dramma.     
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Due parole sul soggetto, che poggia su un libretto scritto dallo stesso compositore, con la guida del padre - il famoso critico musicale Julius - a partire da testi preesistenti (essenzialmente Le mirage e Bruges-la-Mort di Georges Rodenbach). La città morta è Bruges (Brugge per i fiamminghi) dove si dipana il dramma di Paul, vedovo inconsolabile che fa della sua casa in quella cittadina decaduta un autentico sacrario per la moglie Marie, con tanto di ritratti, oggetti di abbigliamento e persino una lunga treccia bionda conservati come reliquie.  

Un bel giorno Paul incontra per caso Mariette, un’estroversa danzatrice di una compagnia itinerante che pare la copia-carbone della moglie defunta: se ne innamora come se quella fosse la reincarnazione della povera Marie, la invita nella sua casa-cappella, ma deve constatare che invece Mariette ha una personalità agli antipodi rispetto a quella della sua Marie. Così la sua psiche deraglia e, quando Mariette - dopo una notte d’amore di sesso con lui - deturpa deliberatamente l’immagine di Marie, Paul sbrocca e strangola la ballerina.

Finito qui, come nei riferimenti letterari originali? No no, qui c’è addirittura il lieto-fine, o perlomeno un’ambigua morale-della-favola, sospesa fra il rassegnato e il consolante. Perchè scopriamo che tutta la tragica vicenda che ha portato allo strangolamento di Mariette altro non è stato che un sogno di Paul: Mariette è viva e vegeta e se ne torna alla sua compagnia, e Paul - grazie al sogno - si può infine capacitare che la vita può continuare (mah, sarà poi così?) senza rimanere schiavi del passato nè delle futili illusioni del presente.

Abbiamo quindi scoperto una caratteristica peculiare della struttura dell’opera: che mescola un tempo reale con un tempo onirico, proprio come accade spesso nei film, che diventeranno, in USA, il pane quotidiano dell’Autore! Lo schema che segue - dove sono rappresentati i tre quadri e le 13 scene dell’opera - vuol rendere plasticamente il concetto:



Il tempo reale occupa le prime 5 scene del primo quadro e l’ultima del terzo: tutto si compie in una sola serata. Il tempo onirico occupa invece pochi minuti di quello reale (insomma, Paul fa solo un pisolino, il tempo per Marietta - dopo esserne uscita - di tornare in casa sua a recuperare l’ombrellino...) ma vi scorre, come in un film accelerato in FFW, un’intera serata-nottata-mattinata, articolato com’è nella sesta scena del primo quadro, nelle 4 del secondo e nelle prime due del terzo. Grosso modo, su circa 130 minuti di durata complessiva, il tempo reale ne occupa più o meno 50; quello onirico quasi 80, compressi in 5 minuti del primo!

Dallo schema si evince anche come il sogno di Paul sia distribuito su tutti e tre i quadri - che hanno durata simile, attorno ai 45 minuti - il che comporta che venga interrotto dagli intervalli addirittura due volte, cosa che può disorientare lo spettatore o comunque produrre cali di tensione drammatica. In particolare è la prima interruzione, dopo che il sogno è appena iniziato, a rischiare di essere deleteria. Così lo stesso Korngold ha previsto la possibilità di legare senza soluzione di continuità i primi due quadri e all’uopo ha predisposto gli opportuni tagli (138 battute: 93 alla fine del primo e 45 all’inizio del secondo quadro) alla partitura. In questo modo il sogno viene interrotto soltanto una volta, prima della notte che Paul e Marietta trascorreranno insieme. Peraltro una conseguenza di questo approccio è lo squilibrio che si crea fra le durate delle due parti: la prima di circa 90 minuti, la seconda di 40-45. Beh... non si può aver tutto.
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Per fare (o rinfrescare) la conoscenza dell’opera a buon mercato, la si può seguire in rete (fra alcune altre) in questa registrazione vintage (1975) di Erich Leinsdorf con il trio dei protagonisti (Paul, Marietta, Frank) Kollo-Neblett-Luxon, più il Fritz di Prey e la Brigitta di Wagemann.

In omaggio alla notorietà americana di Korngold, l’opera sarà affidata ad Alan Gilbert, fino al 2017 Direttore musicale della prestigiosa NYPO, in procinto di insediarsi alla Elbphilharmonie.

Paul sarà impersonato da Klaus Florian Vogt, che si può apprezzare qui, impegnato in Finlandia nel 2011, e che pare ben calato nella personalità piuttosto... disturbata del protagonista.   

Come è prassi ormai quasi consolidata (del resto è un’indicazione dello stesso Korngold) anche in questa produzione il ruolo minore (come presenza in scena, ma al quale è affidata una delle due arie più famose dell’opera, Da Ihr befehlet, Königin, nel second’atto) di Fritz (il Pierrot della compagnia di Marietta) viene accorpato - visto che ha la stessa tessitura di baritono e mai compare in scena insieme all’altro - con quello un filino più presente, anche se musicalmente meno pregiato, di Frank. Così il simpatico, oltre che bravo, Markus Werba si guadagnerà qualche minuto in più di attenzione del pubblico (e magari, glielo auguriamo, di applausi).

Ad Asmik Grigorian da Vilnius è affidato il ruolo di Marietta, che dà anche la voce all’apparizione di Marie nel primo atto; atto in cui spicca la bellissima aria (del liuto) Glück, das mir verblieb. La carioca Kismara Pessatti completa il quartetto dei protagonisti, interpretando Brigitta.

L’Accademia scaligera dà anche qui un sostanzioso contributo ai ruoli di contorno, con tre delle quattro voci. Contributo che darà anche il Coro di Casoni.

L’allestimento è del genio-(e-sregolatezza) Graham Vick, il che garantisce come minimo accese discussioni sulla sua vision del dramma. 

Dalla locandina del Teatro si dovrebbe evincere che lo spettacolo abbia un solo intervallo, come ad esempio in questa recente produzione berlinese di Carsen. Radio3 riprenderà in diretta (ore 20:00) la prima del 28 maggio. 

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