XIV

da prevosto a leone
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24 novembre, 2019

La Tosca presa alla... lontana (2)


Lungo il percorso di confronto fra il testo di Sardou e quello di Puccini (indicherò sempre Puccini in rappresentanza del quartetto che sfornò il libretto dell’opera, non certo del musicista che lo ricoprì di musica immortale) prenderò adesso in considerazione il carattere del personaggio Scarpia e lo sviluppo della vicenda.

É opinione comune dei critici (ma più di parte musicale che strettamente letteraria) riconoscere a Puccini il merito di aver, per così dire, migliorato la trama del dramma originale, attraverso la sua compressione (da 5 a 3 atti) e una più potente definizione delle personalità dei protagonisti, primo fra tutti Scarpia.

A me piace (a volte) fare il bastian contrario, e così mi permetto di contraddire (almeno in parte) quegli elogi a Puccini. E quindi provo a mettere a confronto Sardou e Puccini sul terreno della personalità di Scarpia e dello sviluppo dell’intera vicenda, per mostrare come sotto molti aspetti Sardou si faccia preferire.

Quanto al Capo della Polizia vaticana, è stato giustamente osservato che lo Scarpia di Sardou è sì un personaggio potente (oltre che sessualmente depravato) ma non è per nulla onnipotente, come è perfettamente naturale che non sia uno che occupa quel ruolo, necessariamente subordinato al potere politico. Nel second’atto del dramma, Scarpia deve render conto delle sue azioni (la ricerca di Angelotti) nientemeno che alla Regina! E la folla che staziona fuori Palazzo Farnese non si limita a gridare “A morte Angelotti”, ma grida anche “A morte Scarpia”, al che la Regina gli ricorda la precarietà della sua posizione. Ed è proprio meditando preoccupatissimo sulla sua sorte - nel momento più critico per lui delle sue indagini su Angelotti - che Scarpia troverà la geniale quanto perfida soluzione al suo problema!

Lo Scarpia di Puccini invece è - anche qui per unanime consenso - la personificazione del male assoluto, certo, ma in un contesto per lui fin troppo facile, quasi di onnipotenza, in mancanza di vincoli e di obblighi che invece gli dovrebbero essere imposti dalla natura del suo ruolo. Mai in tutto il libretto si accenna a ordini che Scarpia riceve da suoi superiori, nè il fatto che lui debba render conto ad alcuno delle sue azioni. Quindi lui pare muoversi in un contesto poco credibile e meno plausibile rispetto a quello presentatoci da Sardou. Persino la sede in cui dimora (un piano di Palazzo Farnese, residenza romana dei sovrani) è sproporzionata rispetto al suo ruolo: molto più appropriata appare essere quella immaginata da Sardou, all’interno dello stesso complesso delle carceri.

La differenza fra le personalità dello Scarpia di Sardou e di Puccini è lampante prendendo in esame le modalità attraverso le quali il Barone arriva a plagiare Tosca, instillandole nell’animo (come fa Jago con Otello) il veleno della gelosia, che la porterà alla perdizione: sua, di Cavaradossi e di Angelotti. Partiamo stavolta da Puccini.

Alla fine del primo atto (vedremo in seguito altre implicazioni dello spostamento qui dell’incontro Scarpia-Tosca, che Sardou colloca nel suo secondo atto) il Barone avvicina Tosca, appena tornata in Chiesa, con approccio effettivamente mellifluo e subdolamente elogiativo della devozione della cantante e della sua irreprensibilità di costumi. Ma subito, senza perifrasi, accusa esplicitamente la Marchesa Attavanti di trescare con Cavaradossi. Tosca è sconvolta, stenta a crederlo, ma Scarpia le consegna la prova della tresca: il ventaglio dell’Attavanti. Ecco, Tosca è già vinta: perchè i suoi sospetti, che Cavaradossi aveva faticato a contenere poco prima, adesso sono certezza. Ma ora, l’obiettivo principale che invade la mente di Scarpia non è più Angelotti (il dovere) no, è Tosca (il piacere)! Basta ascoltare ciò che il Barone dice e canta mentre si celebra il Te Deum.

Osserviamo invece lo Scarpia di Sardou. Nel second’atto del dramma, tutto il processo che porta alla demolizione delle certezze di Tosca e alla sua ossessionante gelosia è in realtà una mirabile (per quanto diabolica) costruzione della mente di Scarpia, interamente occupata dall’obiettivo di catturare Angelotti - quasi questione per lui di vita o di morte in quel momento - e non il corpo di Tosca, la libidine per il quale (il piacere) emergerà in primo piano soltanto dopo che il dovere sarà stato compiuto. Quella che leggiamo in Sardou è una perfetta rete che il ragno tesse pazientemente per attirarvi, maglia dopo maglia, la preda (non già per spingervela di forza, come fa lo Scarpia di Puccini) dandole l’impressione di essere lei stessa a scoprire la verità (significativo il siparietto con  il Marchese Attavanti e il cicisbeo a proposito del ventaglio...) traendo autonomamente le logiche conclusioni da indizi che il Barone si limita ad offrirle quasi con timidezza e reticenza, manifestando continuamente il timore di fare qualche gaffe e addirittura fingendo di contestare come affrettate certe conclusioni estreme della donna.

Insomma: una mente cinica ma raffinata, non un libidinoso viscerale e rozzo come lo Scarpia di Puccini. Il che ci viene confermato da altri importanti dettagli. Per Puccini, come abbiamo visto, Scarpia ha ormai la mente occupata da Tosca fin dalla fine del primo atto. E subito, all’inizio del secondo, prima ancora di fare il suo lavoro di poliziotto, esterna (Per amor del suo Mario... al piacer mio s’arrenderà!) le sue mire sulla donna, aggiungendo di privilegiare le conquiste difficili, quelle ottenute con la forza (del ricatto). In Sardou Scarpia comincerà invece a pensare libidinosamente a Tosca (con i termini che verranno ripresi da Puccini) soltanto all’inizio del quarto atto, dopo che avrà onorato i suoi compiti di poliziotto e si potrà quindi dedicare al soddisfacimento delle sue depravazioni.

Una differenza abbastanza evidente nei comportamenti (quindi nelle personalità) dei due Scarpia riguarda la modalità con la quale viene raggiunto l’obiettivo di catturare Angelotti. In Sardou, il fatto che il Barone sia continuamente tenuto sotto pressione (dalla stessa Regina, innanzitutto) lo costringe ad impegnarsi sempre in prima persona. Ecco perchè, alla fine del second’atto, quando Tosca esce in tutta fretta da Palazzo Farnese per raggiungere la villa di Mario, lui non solo attiva i suoi sbirri (Schiarrone nella fattispecie) ma si mette lui stesso in pista per partecipare alle operazioni, che poi concluderà con la straziante quanto geniale trovata del processo parallelo a Cavaradossi e Tosca, nella villa suburbana.

Invece lo Scarpia di Puccini opera in un tale stato di ubriacatura da onnipotenza da potersi permettere - dopo aver convinto Tosca del tradimento di Mario, fine atto primo - di mandarle dietro il solo Spoletta con tre uomini, convinto (lo dice proprio in apertura dell’atto secondo) che ciò gli basti a mettere in catene Angelotti e Cavaradossi, da impiccare l’indomani, per potersi dedicare solo a Tosca. Sarà il mezzo fallimento di Spoletta a costringere Scarpia ad organizzare il processo parallelo a Palazzo Farnese (vedremo però come ciò toglierà un poco di plausibilità alla vicenda). 

Un ulteriore (forse non ultimo) aspetto della differente condizione in cui operano i due Scarpia (soggetto all’Autorità quello di Sardou e invece sottratto di fatto alla Legge quello di Puccini) è dato dalle modalità di formulazione della condanna di Cavaradossi. In Sardou Scarpia, a Castel Sant’Angelo, atto quarto, riceve un ordine formale dal Governatore Naselli, che impone l’esecuzione di Cavaradossi all’alba. Nel libretto di Puccini, dopo il processo-farsa-tragedia, Cavaradossi viene portato via verso la forca, senza che si abbia notizia di sentenze, nè di ordini superiori sulla sorte che gli è destinata: insomma, pare proprio che Scarpia possa fare e disfare a suo piacimento!

Intendiamoci: tutte queste manipolazioni della personalità del Barone (e dello scenario in cui si muove) che Puccini opera e che ci mostrano uno Scarpia meno realistico, rispetto alla figura narrata da Sardou, hanno un fine ben preciso e deliberato: costruire un personaggio di altissima potenza drammatica, perfettamente funzionale al tipo di opera - davvero a fosche tinte - che il musicista intende proporre. E bisogna riconoscere che il risultato complessivo dell’operazione di Puccini (grazie alla sua musica!) giustifica ampiamente qualche sacrificio al realismo e anche alla logica che emerge dalla lettura del libretto.        
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Bene, liquidato in qualche modo lo sbifido Barone, vediamo qualche altra conseguenza della diversa strutturazione dei testi di Sardou e Puccini. Subito va rilevata la differenza tra la verosimiglianza delle circostanze che hanno portato Angelotti in Chiesa (ove si è rifugiato nottetempo) e l’inverosimiglianza di quelle presentateci da Puccini (una fuga per più di un Km nel centro di Roma, attraversamento del Tevere incluso, a mezzogiorno!)

Ancora: perchè Scarpia arriva in Sant’Andrea sicuro di trovarvi il fuggiasco? In Sardou la cosa si spiega perfettamente: Angelotti è fuggito la sera prima con la complicità di un carceriere (Trebelli) che avrebbe dovuto poi raggiungerlo il giorno dopo per portarlo in carrozza a Frascati dalla sorella. Ma Trebelli non si è più fatto vivo: non c’è bisogno che Sardou ci spieghi che dev’essere stato catturato, magari torturato ed abbia spifferato tutto! In Puccini l’arrivo così sollecito di Scarpia è assai meno giustificato, poichè l’unico labile indizio che ci viene offerto è l’esistenza in quella Chiesa di una cappella del cognato di Angelotti.

Poi abbiamo il pasticcio del finale del primo atto: per poter spostare alla fine di questo l’incontro Scarpia-Tosca, Puccini ha dovuto per forza far tornare precipitosamente la donna a Sant’Andrea, prima del Te Deum di ringraziamento per la vittoria austriaca a Marengo. Con quale pretesto? Per crearlo, Puccini è costretto ad una serie di ulteriori modifiche -  abbastanza serie - al testo di Sardou. Il quale ci racconta questa successione di fatti: Tosca è arrivata una prima volta in Chiesa per rimanere sola con l’amato prima di tornare a casa a prepararsi per la festa serale a Palazzo Farnese, festa che si protrarrà, dopo il concerto, con balli e pranzo di gala, fino a notte inoltrata. Ciò significa che fino all’indomani in tarda mattinata loro non si potranno rivedere. Ora però arriva in Chiesa anche Luciana, la dama di camera di Tosca, recante un messaggio urgente di Paisiello: il Maestro le annuncia la vittoria di Marengo e la vuole immediatamente al Palazzo per provare una cantata da lui composta espressamente per l’occasione, che verrà eseguita la sera stessa. Tosca non può che esserne contrariata, ma deve obbedire, così se ne va anzitempo (dopo la scoperta dell’immagine dell’Attavanti e i relativi piccanti commenti, inclusi gli occhi da rifare neri, da blu) dando appuntamento a Mario per l’indomani, mentre lui le promette che rimarrà lì a dipingere fino a notte, poi andrà a mangiare e a dormire alla villa. Ritroveremo Tosca in scena solo nel secondo atto a Palazzo Farnese, dove avrà il drammatico incontro con Scarpia.

Invece nel libretto di Puccini la figura e la visita di Luciana vengono soppresse, e Tosca se ne va dando appuntamento a Mario per la sera stessa, alla fine del breve concerto che la vede impegnata a Palazzo, poi andranno a passar la notte insieme, nella villa di lui. Qui c’è il loro battibecco riguardo il dipinto raffigurante l’Attavanti, con Tosca che, prima di uscire, chiede di fare gli occhi neri alla Maddalena. A questo punto c’è il colpo di cannone e la fuga di Cavaradossi e Angelotti, poi il Sagrestano annuncia i festeggiamenti per Marengo e la veglia a Palazzo Farnese, con la cantata appositamente composta da Paisiello, interpretata da Floria Tosca. La quale deve evidentemente aver ricevuto quell’incarico, un vero contrattempo che farà saltare l’appuntamento serale con Mario. Ecco finalmente spiegata la ragione che l’ha spinta a tornare in Chiesa: avvertire l’amato del cambio di programma per la sera e la notte.

Intanto, una domanda: perchè la didascalia di Puccini ci dice che lei arriva già nervosissima? Realisticamente dovrebbe essere piuttosto contrariata, certo, per poi caso mai innervosirsi (o peggio) solo dopo aver constatato l’assenza di Cavaradossi, che le aveva appena promesso di trattenersi a lavorare. Ma il punto cruciale è che, in ogni caso, quell’assenza basterebbe abbondantemente a convincere una donna sospettosa e gelosa come lei (cosa emersa chiaramente poco prima, con i suoi sospetti causati dalla scoperta del dipinto) del tradimento dell’amante, e a farla uscire precipitosamente per raggiungere i due fedifraghi alla villa. Senza bisogno che sia Scarpia a confermarle la tresca consegnandole il ventaglio: il che di conseguenza finisce per depotenziare parecchio la drammaticità dell’intervento del Barone.     

Insomma, anche questo è tutto un passaggio piuttosto discutibile, che serve indubbiamente alcuni obiettivi - quanto mai melodrammatici - del Puccini musicista: far cantare a Tosca l’aria della casetta; presentarci il lato libidinoso di Scarpia e soprattutto chiudere l’atto con una scena memorabile, obiettivamente mancante al corrispondente finale di Sardou. 

Se ci si domanda perchè il libretto dell’opera ambienti il secondo atto a Palazzo Farnese e non nella villa suburbana di Cavaradossi (atto terzo in Sardou) si può ipotizzare che la decisione dei librettisti sia dipesa dalla ricerca di un compromesso: tagliare il second’atto di Sardou senza tagliare... Palazzo Farnese! Trasferendo quindi nella residenza della Regina (oltre a Scarpia...) tutto ciò che in Sardou accade nella villa di Cavaradossi. Intenzione senza dubbio legittima, ma che ha comportato qualche scompenso, soprattutto a livello di plausibilità delle circostanze del ritrovamento di Angelotti, come andiamo a constatare.

Infatti a proposito dell’interrogatorio parallelo di Cavaradossi e di Tosca, che porta la donna a cedere e ad indicare il nascondiglio dell’Angelotti, ecco che si percepiscono altri scricchiolii nel testo di Puccini, rispetto a Sardou. Nel terzo atto del quale tutto avviene, ancora una volta, con il massimo realismo e con stringente logica: Scarpia sa per certo (dati gli indizi schiaccianti fin qui acquisiti) che l’evaso sta lì a pochi metri dalle stanze dell’improvvisato processo, e che non può più scappare poichè la villa è circondata da un esercito di gendarmi. Ovvio che Angelotti venga immediatamente catturato (anche se... già morto) pochi secondi dopo che Tosca ha spifferato dove si trova il suo nascondiglio.

Nel libretto le cose hanno invece una plausibilità assai inferiore: poichè fra la perquisizione alla villa, operata da Spoletta che ha portato all’arresto di Cavaradossi ma non di Angelotti, e la confessione di Tosca, passa parecchio tempo (Spoletta e l’arrestato devono percorrere 6 Km in linea d’aria per raggiungere Palazzo Farnese!); e poi fra la confessione di Tosca e la nuova irruzione dei gendarmi alla villa, altrettanto tempo: più quello del processo! Vogliamo ipotizzare almeno un paio d’ore in tutto? Ebbene, che Angelotti, che sa perfettamente che la polizia è stata lì e si è portata via l’amico, e soprattutto che ora anche Tosca è al corrente della sua presenza alla villa, se ne rimanga buono buono nel nascondiglio per tutto quel tempo ad aspettare che lo trovino, senza provare a fuggire (Spoletta aveva solo tre uomini con sè, lì al massimo ne sarà rimasto solo uno...) beh, è proprio difficile a credersi!

Un altro episodio che assume diversa plausibilità in Sardou e Puccini riguarda la richiesta di grazia che Tosca pensa di fare alla Regina. Nel dramma di Sardou Tosca è, come sappiamo, a Castel Sant’Angelo, quasi all’alba. É stata portata lì direttamente dalla villa di Mario, in stato di fermo. Scarpia ancora non le ha fatto l’oscena proposta; le ha solo comunicato che Cavaradossi sta per essere impiccato. E che lei è libera di andarsene. Allora le balena l’idea di chiedere la grazia per Mario alla Regina (certo non avrebbe avuto modo di farlo prima, date le circostanze). Ora, pur avendo una carrozza a disposizione (come le garantisce Scarpia) Tosca dovrebbe: uscire dal castello, andare a Palazzo Farnese (e fin qui son pochi minuti); ma poi farsi aprire, buttare letteralmente giù dal letto la Regina, convincerla a firmare la grazia e tornare al castello in tempo per bloccare l’esecuzione. Francamente una mission impossible, come la poveretta deve subito constatare, convinta dell’inutilità dei suoi sforzi dalle parole di Scarpia che l’avverte che la grazia arriverebbe con almeno un’ora di ritardo. Cosa forse esagerata quantitativamente, ma ben plausibile nella sostanza, dato che Scarpia non avrebbe alcun problema a far impiccare Mario, detenuto lì accanto, nel giro di pochi minuti. 

Invece nel libretto italico le cose stanno in modo assai diverso e meno plausibile: perché intanto l’idea della richiesta di grazia viene a Tosca dopo che Scarpia le ha proposto l’orrendo scambio. Domanda: perchè non le è venuta prima, già al momento in cui Cavaradossi veniva portato alla tortura? Scarpia l’avrebbe fatta bloccare con la forza? Ma lei avrebbe potuto mettersi a gridare (e la voce non le mancava!) richiamando l’attenzione di qualcuno al piano di sotto, dove ancora stazionava un sacco di gente, Regina compresa! Ma poi, nonostante Scarpia cerchi di dissuaderla (“La regina farebbe grazia ad un cadavere!”) è pur vero che Tosca si trova a distanza di pochi metri dalla Regina (terzo e secondo piano dello stesso Palazzo Farnese); e la Regina è probabilmente ancora sveglia, o si sta appena preparando a ritirarsi, sebbene contrariata dalla ferale notizia appena arrivata da Alessandria. Ma soprattutto, se convinta da Tosca, potrebbe magari convocare Scarpia seduta stante per ingiungergli di non dar corso all’impiccagione, se non addirittura di far immediatamente riportare lì il Cavaradossi in carne ed ossa, vivo. E del resto – a differenza del dramma di Sardou - Scarpia non ha Cavaradossi lì accanto (il condannato è per strada verso Castel Sant’Angelo) e non potrebbe quindi farlo giustiziare in pochi minuti, salvo farlo raggiungere da un sicario e farlo di fatto assassinare. Perciò il fattore-tempo, addotto dal barone per far desistere Tosca, qui è assai debole: anche su questo punto è Sardou ad essere impeccabile quanto a plausibilità e realismo, molto meno Puccini. 

C’è infine un piccolo ma interessante particolare che riguarda Tosca e il suo incontro con Cavaradossi a Castel Sant’Angelo. In Sardou la donna, agghindata per la festa a Palazzo Farnese, corre precipitosamente alla villa di Cavaradossi, dove subirà l’odioso trattamento di Scarpia, confesserà e verrà tratta in arresto con l’amato e trasferita direttamente con lui al carcere. In Puccini invece Tosca, che era arrivata a Palazzo Farnese per la cerimonia, dopo aver ammazzato Scarpia si trasferisce con mezzi propri a Castel Sant’Angelo. Reca con sè il salvacondotto firmato dal Barone e sa che Spoletta è stato istruito dal suo capo perchè faciliti la sua fuga con Mario. Ma quando incontra l’amato in prigione, gli fa una rivelazione apparentemente insignificante, ma in realtà di grande importanza. Ed è qualcosa che in Sardou non avrebbe materialmente potuto verificarsi! Leggiamo il libretto: (mostrando la borsa) io già raccolsi oro e gioielli...

Ecco, è la prova inconfutabile che Tosca, dopo essere uscita da Palazzo Farnese, e prima di recarsi a Castel Sant’Angelo, è passata da casa! Poichè di certo non poteva aver portato quella borsa con sè alla festa, non ne aveva alcun motivo! Notiamo di passaggio che la cosa non è sfuggita, da sempre, ai registi dell’opera, che ci mostrano nel terzo atto una Tosca abbigliata modestamente, mentre alla fine dell’atto secondo la vedevamo nel suo sontuoso abito da cerimonia. Ora, dato che questo particolare non si trova (perchè non potrebbe trovarsi...) in Sardou, se ne deduce che sia stato inventato a bella posta da Puccini. Perchè? Verosimilmente per aggiungere un tocco di realismo alla situazione: Tosca sa di prepararsi ad un lungo viaggio (quasi una fuga, in realtà) e compie un atto di gran buon senso, guidata dalla logica e dalla ragione.

Ma proprio questo è il punto: Tosca è proprio quel tipo di donna? Per la verità sia Sardou che Puccini ce l’hanno presentata come una persona impulsiva e assai poco raziocinante. E invece adesso, oltretutto sotto lo choc emotivo di un omicidio (un atto che contrastava con tutti i suoi principii) sarebbe improvvisamente diventata fredda e previdente?     
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Bene, a che pro tutto questo noioso tormentone? Per denigrare Puccini? Al contrario, per esaltarlo e coprirlo di lodi! Per aver saputo, con la sua musica, creare un capolavoro immortale (una delle opere più grandi dell’intero teatro musicale occidentale) a dispetto di un libretto non proprio irreprensibile.

E pensare che Puccini ha ignorato (atto secondo di Sardou) proprio l’unico riferimento alla musica che avrebbe dovuto attirare la sua attenzione. Allorquando Paisiello si appresta a dare l’attacco della cantata, si rivolge a Tosca chiedendo, per sicurezza: SI naturale, d’accordo? E lei, che è reduce dal drammatico scontro con Scarpia, quindi in uno stato di profonda prostrazione, ribatte: No, bemolle!   

(2. continua)

21 novembre, 2019

La Tosca presa alla... lontana (1)


Sì, mancano ancora parecchi giorni all’apertura di SantAmbrogio19, ma...

Già comincia il fermento 
intorno all’evento 
che illustra l’avvento
con grande contento.
E un po’ di spavento 
da sputtanamento
del gran monumento
sferzato dal vento...

...aggiungere ad libitum altre 3048 desinenze in -ento.

Come sempre accade Milano è prodiga di idee volte a promuovere l’annuale appuntamento artistico per antonomasia, con una serie di iniziative di informazione, divulgazione ed approfondimento del titolo che verrà messo in scena dal 7 dicembre (il 4 per i diversamente anziani...) Qui una lista di eventi (alcuni già passati) e qui un’altra ancora.
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Da parte mia, per ripassare la lezione in attesa di SantAmbrogio, mi sono imbarcato in uno di quei lavori che possiedono le mirabili caratteristiche di essere assai rognosi e allo stesso tempo totalmente inutili, ma tant’è: visto che l’ho portato (in qualche modo) a termine, lo metto anche a disposizione di altri aspiranti perditempo...

Di che si tratta? Di una sinossi comparata dei testi di Sardou e di Puccini (/Illica/Giacosa/Ricordi) che da un lato fornisce un’immagine anche visiva delle differenze strutturali e quantitative fra i due testi, e dall’altro consente di esplorare anche i dettagli (non certo i minimi) di tali differenze. E quindi, visto che ormai c’è, vediamo di usare questo rozzo strumento, cominciando a confrontare la struttura dei testi.

Sardou struttura il suo dramma in 5 atti e 6 quadri (l’atto conclusivo comprende appunto due luoghi diversi anche se contigui) ambientati: 1. nella Chiesa di Sant’Andrea dei Gesuiti (oggi Sant’Andrea al Quirinale); 2. a Palazzo Farnese; 3. nella villa suburbana di Cavaradossi (situata fra Caracalla e gli Scipioni); 4. a Castel Sant’Angelo (appartamento di Scarpia); 5. a Castel Sant’Angelo (Cappella dei Condannati); 6. a Castel Sant’Angelo (piattaforma delle fucilazioni).

Puccini (cito solo lui in luogo del quartetto che produsse il libretto) struttura Tosca in tre atti, ambientati: 1. nella Chiesa di Sant’Andrea della Valle; 2. a Palazzo Farnese; 3. a Castel Sant’Angelo.

Una prima differenza che salta all’occhio è la Chiesa: è peraltro opinione comune che Sardou abbia in effetti equivocato e che anche la Chiesa da lui indicata sia in realtà quella in cui fu ambientato il libretto dell’Opera.  Ecco un cartina con i principali luoghi dell’azione:


Le distanze (in linea d’aria) fra i diversi luoghi dell’azione (ignorando Sant’Andrea al Quirinale) sono più o meno le seguenti:

- Castel Sant’Angelo - Chiesa 1 Km
- Castel Sant’Angelo - Palazzo Farnese 1,5 Km
- Castel Sant’Angelo - casa suburbana di Cavaradossi 7 Km
- Chiesa- Palazzo Farnese 0,5 Km
- Chiesa - casa suburbana di Cavaradossi 6 Km
- Palazzo Farnese - casa suburbana di Cavaradossi 6 Km

Nel derivare il libretto dal dramma, Puccini eseguì interventi di vario tipo, di cui si elencano solo i più corposi:

a) eliminazione tout-court di alcune parti:
- Il colloquio Cavaradossi-Angelotti durante il loro primo incontro, dove i due si scambiano le reciproche esperienze, anche sentimentali: il fuggiasco ricorda i suoi passati rapporti con l’attuale moglie dell’Ambasciatore britannico a Napoli; Cavaradossi confessa il suo amore per Tosca, della quale narra le patetiche vicende umane e con la quale è deciso a lasciare Roma.
- Il battibecco del primo atto fra Cavaradossi e Tosca, dove lei accusa di comportamenti leggeri la Marchesa Attavanti, biasima il fratello di lei per le sue idee giacobine e racconta a Mario i suoi rapporti con il confessore Caraffa, al quale avrebbe promesso di portare l’amato sulla retta via, convincendolo a tagliarsi i baffi...
- La scena con Luciana, dama di compagnia di Tosca, che annuncia la vittoria austriaca a Marengo (vedi sotto fra gli spostamenti) e l’invito di Paisiello a Tosca per la cantata di ringraziamento. 
- E poi l’intero secondo atto a Palazzo Farnese, escluse due piccole ma importanti sezioni, che Puccini sposta alla fine del primo atto (vedi sotto).
- Espunta anche la prima parte del terzo atto, con il racconto di Cavaradossi ad Angelotti sulla storia della villa di campagna, e la spiegazione data da Mario a Tosca della presenza lì di Angelotti.  
- Cassato l’inizio del quarto atto, con i pensieri di Scarpia riguardo l’effetto blando che ha avuto su Roma la notizia della sconfitta di Marengo e la sua decisione di far comunque impiccare il suicida Angelotti, per non renderlo un eroe agli occhi dei liberali. 
- Eliminata anche la confessione finale di Spoletta a Tosca, sulla falsità della promessa di Scarpia di simulare la fucilazione.

b) sostituzione di parti:
- La prima parte dell’atto iniziale (protagonisti Eusèbe e Gennarino) viene rimpiazzata con la presentazione in diretta dell’arrivo di Angelotti, evaso di fresco, nella Chiesa.

c) spostamento di parti:
- Primo atto: l’annuncio di Luciana della vittoria di Marengo viene spostato alla fine dell’atto, e messo in bocca al Sagrestano.
- Dal secondo atto vengono spostati a fine del primo il colloquio Scarpia-Tosca, dove il Barone prepara la trappola del ventaglio per incastrare Cavaradossi, catturare Angelotti e... portarsi a letto l’appetitosa Floria; e poi la conclusione dell’atto, con Tosca che corre alla villa e viene pedinata (là da Scarpia-Attavanti, qui da Spoletta).
- Dal terzo atto (casa di Cavaradossi) viene spostata al secondo (Palazzo Farnese) l’intera scena dell’interrogatorio di Mario e Tosca.
- Dal quarto atto (appartamento di Scarpia a Castel Sant’Angelo) viene spostata alla fine del secondo (Palazzo Farnese) l’intera scena della turpe trattativa di Scarpia con Tosca, che porta all’omicidio del Barone (qualche spostamento avviene anche all’interno della scena medesima).   

d) modifiche al testo
- A parte il diverso nome della Chiesa, Sardou scrive della cappella Angelotti, aggiungendo che gli Angelotti erano stati i fondatori di quella Chiesa; Puccini invece la chiama cappella Attavanti. C’entra sempre la Marchesa Giulia, nata Angelotti e maritata Attavanti. Chi ha ragione? Proprio... nessuno. Però sarebbe più verosimile Attavanti, stante la situazione politica nella Roma del 1800 e la posizione del Marchese.
- Nel primo atto, le scene 4 (Sardou) e 5 (Puccini), poi la 6 (scambi di battute fra Cavaradossi e Angelotti e poi il colpo di cannone) e 7 (Cavaradossi-Sagrestano) vengono sostanzialmente modificate.
- Modificate anche le ultime scene del dramma, a Castel Sant’Angelo.

Per quanto attiene i tempi dell’azione, se ci limitiamo a quello scenico, cioè a quello che trascorre nel dramma dall’inizio della rappresentazione alla sua tragica fine, c’è piena coerenza fra Sardou e Puccini. La vicenda per Sardou ha luogo il 17 giugno; per Puccini un giorno imprecisato di giugno, ma necessariamente dopo il 14, data della battaglia di Marengo. Per entrambi l’ora di inizio è attorno a mezzogiorno: Sardou, l’ora della siesta; Puccini, l’Angelus. Per entrambi la fine si colloca al mattino (diciamo più o meno alle 6) del giorno successivo. Quindi in tutto circa 18 ore.

Se però prendiamo atto di ciò che si vede (e si ascolta) in scena, le cose cambiano. Poichè in Puccini si constata che Angelotti - che appare per primo sul palco - è appena fuggito dal carcere, mentre in Sardou l’evaso esce dalla cappella confidando a Cavaradossi di essere entrato lì dentro prima della chiusura delle porte della Chiesa per la notte, quindi come minimo 12-14-16 ore prima rispetto a quanto ci racconta Puccini! Vedremo in seguito cosa si deve dedurre da questo particolare. 

Per quanto riguarda i personaggi, Puccini ne toglie parecchi a Sardou, soprattutto a causa dell’eliminazione di quasi tutto il secondo atto del dramma, popolato da figure di una certa importanza, a cominciare dalla Regina in persona, per finire al Maestro Paisiello. È evidente come Puccini abbia inteso sfrondare il testo francese da tutte le parti non marcatamente drammatiche, o addirittura di carattere leggero e umoristico o parodistico, che peraltro impreziosiscono il testo di Sardou. Non solo, ma servono anche a completare il quadro della figura del personaggio chiave dell’opera, Scarpia, che ne esce (lo scopriremo poi) assai diverso da come lo vediamo in Puccini. Il quale in compenso inventa un nuovo personaggio, il Pastorello, funzionale a creare la mirabile atmosfera con cui si apre il terz’atto.     

(1. continua)

06 dicembre, 2017

En attendant Chénier (2)


Il 7 dicembre è ormai alle porte e chi è interessato anche ai contenuti dell’opera – oltre a quelli dei décolleté e déchappé (volgarmente detti: lati A-B) della fauna che popolerà il Piermarini - si prepara (o dovrebbe farlo...) all’evento con una qualche forma di ripasso della lezione, per non farsi cogliere poi di sorpresa dagli avvenimenti.

Mentre ai neofiti di Chénier il sempre semiserio Amfortas ha pensato bene di proporre un autentico decalogo, io provo a dare una mano - per prender confidenza con l’opera - a coloro che sono sprovvisti di CD e DVD (recenti o vintage) affidandomi a registrazioni del tubo (nel senso di presenti in internet, non di fatte con l’organo riproduttivo maschile...)

E fra le numerose offerte disponibili in rete ho scelto quella che da molte parti è considerata tuttora come di riferimento: Vienna 1960, il leggendario vonMatacic sul podio e un trio da favola sul palco, Corelli (il più grande di tutti gli Chénier?) Tebaldi e Bastianini. Come era usanza a quei tempi (ma lo è spesso ancora oggi) le pseudo-arie (o romanze che dir si voglia) dei protagonisti (che secondo partitura mai si chiudono con le classiche cadenze per strappare l’applauso a scena aperta, ma si concatenano direttamente alla scena successiva... un po’ à-la-Wagner) vengono regolarmente interrotte dopo il momento-topico, proprio per lasciare spazio alle esternazioni del pubblico. (Chailly ha dichiarato che farà di tutto per evitare che ciò accada, in modo da rispettare la continuità drammaturgica dell’opera, come voluta dall’Autore.)

Illica, oltre a corpose parti di testo che Giordano ha cassato senza pietà, ha infarcito il libretto di lunghe e meticolose didascalie, che non solo rappresentano (per chi le volesse seguire) preziose indicazioni di regìa, ma spesso dicono cose – anche di una certa rilevanza - che il testo cantato non include, e così: o l’ascoltatore se le legge prima, oppure si perde ciò che vi si trova scritto, e non sono proprio cosette trascurabili. Ad esempio, il nome con cui la donna sconosciuta (Maddalena) si firma nell’ultima lettera a Chénier (Speranza) è solo citato nella didascalia che ci descrive Roucher mentre legge silenzioso la missiva: così noi non lo veniamo a sapere; ma così poco dopo ci sfugge la ragione dell’eccitazione di Chénier (che corre via per armarsi) quando la Bersi gli comunica che la donna che sta arrivando per incontrarlo si chiama proprio... Speranza! Nel terzo quadro è solo la didascalia ad informarci di contenuto e destinatario di un biglietto che Gérard ha scritto per il Presidente Dumas, per proclamare l’innocenza di Chénier; biglietto di cui poi si perdono le tracce. Esemplare infine l’ultimissima annotazione: mentre la musica chiude il dramma, Gérard si dispera leggendo – ma senza recitarla e quindi tenendocela nascosta – la negativa risposta di Robespierre al suo estremo appello per la grazia, risposta che cita addirittura Platone (pure lui mandava a morte i poeti...)  

Il primo quadro, ambientato in una residenza nobiliare di campagna appena fuori Parigi nei giorni immediatamente precedenti lo scoppio della Rivoluzione, ha lo scopo di presentarci i tre protagonisti del dramma: innanzitutto Gérard che, essendo un personaggio inventato, viene impiegato da Illica-Giordano per impersonare simbolicamente la Rivoluzione medesima nella sua storica evoluzione, dai sacrosanti presupposti alla (inevitabile?) degenerazione in dittatura/terrore; quindi naturalmente Chénier, che entra in scena in tono dimesso, per poi sparare quel po’ po’ di Improvviso che ne caratterizza la personalità visionaria (e come tutti gli inguaribili visionari, lui così resterà fino alla fine, senza tentennamenti e senza ripensamenti); infine Maddalena, personaggio storico – incontrato da Chénier in carcere - che gli Autori manipolano però a loro vantaggio, trasformandola da cinica approfittatrice - quale fu in realtà - in eroina pronta a tutti i sacrifici, ma esclusivamente in nome dell’amore, di null’altro.

Al contorno si muove tutto il bestiario dell’establishment nobilastro che la Rivoluzione cercherà (senza riuscirci del tutto) di mandare in pensione diviso in due tronconi ben distinti e separati: capoccia da una parte e resto del corpo dall’altra.

Dopo una breve (solo 16 battute) e concitata introduzione, ecco apparire (40”) Gérard, che ci introduce al costume dei tempi, raccontandoci ciò che accadeva su un lussuoso divano, fra cicisbei e vecchie babbione. Ma l’atmosfera si incupisce (1’45”) all’arrivo del vecchio padre di Gérard, di cui apprendiamo la miserevole condizione esistenziale, cantata dal figlio che poi sbotta (3’49”) nella sua feroce imprecazione (T’odio, casa dorata!) contro quel mondo pieno di cinismo e vuoto di umanità, sfogo che culmina (4’38”) nella terrificante profezia (È l’ora della morte!) dell’imminente avvento del redde-rationem.

Senza soluzione di continuità (4’53”) l’atmosfera cambia, rasserenandosi non appena l’obiettivo della cinepresa (Illica e Giordano sono unanimemente indicati come precursori del cinema) si sposta su Maddalena, che fa il suo ingresso in scena presentando subito il suo animo sensibile, contrappuntata dalle parole di ammirazione di Gérard (5’18”, Quanta dolcezza ne l’alma tetra per te penetra) che immediatamente chiariscono l’attrazione che il servo ha per la padroncina, attrazione che sarà uno dei pilastri portanti dell’opera.

Ma la scena ritorna ad animarsi (5’56”) quando la Contessa padrona di casa si informa da Gérard sui preparativi per la festa e poi (6’35”) rimprovera la figlia di non essersi ancora abbigliata a dovere. Maddalena (con la servetta Bersi che le fa il verso) si lamenta (6’45”) della scomodità di gonne e cappelli e decide (8’25”) di vestirsi più... sobriamente.

Arrivano gli ospiti (8’40”) e l’atmosfera si ravviva nuovamente, mentre la Contessa (9’11”) comincia a scambiare complimenti tanto fatui quanto ipocriti con gli invitati. Fra i quali il romanziere Fléville (10’30”) che sfoggia il ridicolo termine persiflaggio (francesismo per canzonatura) e presenta altri due ospiti: il musicista Fiorinelli e il giovin poeta Chénier.

Ma ora al centro dell’attenzione ecco l’Abate (11’22”) che porta ferali notizie da Parigi, divorando a quattro palmenti una tazza di marmellata: il Re inetto, consiglieri incapaci, il Terzo Stato che incombe e atti di violenza... Il romanziere (12’40”) impiega tutta la sua prosopopea per invitare i convenuti a dimenticare queste disgrazie e a godere dell’imminente primavera. L’atmosfera (13’29”) si fa rarefatta e idilliaca, per accogliere (14’46”) un coro danzato di pastorelle!

Ma adesso è il momento di occuparci di Chénier (17’21”) che la Contessa tira in ballo chiedendogli di far parlare la sua Musa, ma ottenendone un malinconico diniego. Al che la padrona di casa se ne va dal musicista italiano che (18’05”) comincia a strimpellare qualcosa al clavicembalo. Maddalena, che evidentemente è stata colta da improvviso interesse per Chénier, scommette con le amiche che riuscirà a schiodare il poeta dalla sua apatia e così (18’30”) lo invita a declamare un’egloga.

Chénier (19’01”) si schermisce ancora, paragonando i capricci della poesia a quelli dell’amore. All’udire quella parola (19’23”) Maddalena e le amiche scoppiano a ridere e la padroncina di casa spiega (19’50”) scimmiottando il tono aulico del poeta, il contenuto della scommessa: Chénier avrebbe poeticamente tirato in ballo l’amore, quella stessa parola che gli altri rozzi invitati le avevano rivolto senza alcuna poesia!

Chénier è punto sul vivo e ribatte quasi con severità (20’24”): l’Amore è una cosa terribilmente seria ed ora ve ne darò dimostrazione. L’Improvviso (21’08”) – l’aria-romanza Un dì all’azzurro spazio che è divenuta simbolo dell’opera – mette finalmente in primo piano il tenore, impegnandolo in un lungo e articolato percorso: una prima frase che dal SIb d’impianto sale (21’08”) al SOL (dominante di DO) sulla parola firmamento; una seconda, che partendo dalla dominante MIb torna alla tonica fino al SIb acuto (T’amo, 22’27”); poi una seconda esternazione (22’43”) dove Chénier condanna l’ipocrisia della religione e le ingiustizie del potere, chiudendo con una specie di anatema (le lacrime dei figli!) Altra accorata dichiarazione, di simpatia per Maddalena, che gli era parsa subito l’unica persona sensibile in quella casa; qui (23’37”, Ecco la bellezza della vita!) ascoltiamo in orchestra un tema che tornerà ancora nel corso dell’opera a impersonare l’amore; ma poi il comportamento offensivo della giovane lo aveva profondamente ferito; e così il poeta, partendo ancora dal MIb sale nuovamente al SIb acuto (25’01”) implorando: Amor, divino dono, non lo schernir del mondo anima e vita è l’Amor!

La chiusa, sulla mediante RE (25’25”) dovrebbe direttamente portare, dall’Andante della romanza, all’Allegro vivo del successivo perdonatemi! di Maddalena e della fuga precipitosa di Chénier. Come si può notare, il Direttore invece si ferma dopo l’accordo di SIb per dar modo al pubblico di sfogare (per 65”) il suo entusiasmo.

Alla ripresa (26’30”) la Contessa invita tutti a perdonare la figlia capricciosetta e a godere di una meritata gavotta, la cui leziosa melodia irrompe (26’46”) a rasserenare l’atmosfera. Ma è presto disturbata (27’17”) da voci cupe e minacciose che provengono da lontano e si avvicinano rapidamente: è una torma di diseredati che (27’51”) lamenta le sue miserevoli condizioni di vita; e che presto irrompe nella lussuosa residenza, guidata ed introdotta (27’51”, Sua grandezza la miseria!) da Gérard. 

La Contessa lo licenzia sui due piedi, facendo allontanare quella feccia introdottasi in casa sua; e allora Gérard (28’05”) togliendosi la livrea, scaglia contro lei e tutta la nobiltà la sua filippica, proclamando la decisione di unirsi ai diseredati per combattere la loro battaglia; trascina con sè (28’36”) anche il vecchio padre che cercava di scusarsi con i padroni. È la Contessa invece (29’10”) che si scusa per Gérard con gli ospiti (L’ha rovinato il leggere!) e poi, dopo aver ipocritamente vantato le proprie virtù di persona caritatevole, come nulla fosse torna (30’01”) ad invitare i presenti alle danze! Così la gavotta (30’17”) riappare in primo piano a chiudere questo prologo al dramma. Ma è - attenzione! - una chiusura in SI minore...
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Il secondo quadro ci mostra uno spaccato (non proprio verosimile al 100%, specie negli aspetti di turbinosa animazione delle strade e dei locali pubblici) della Parigi sotto il Terrore giacobino: vediamo quindi in scena protagonisti minori (Mathieu) e maggiori (Robespierre, ma solo di riflesso) della vita di quei giorni, insieme a figure che in realtà scenderanno in piazza solo più avanti, dopo la decollazione dei due protagonisti e del capintesta giacobino, sotto il Direttorio: Incredibili e Meravigliose. In questo ambiente matura il nuovo e decisivo incontro fra Chénier e Maddalena (sorpresi poi da Gérard) che li porterà infine al patibolo.

Come il primo, anche questo secondo quadro (31’09”) inizia con 16 battute introduttive, prima che compaia (31’26”) il sanculotto Mathieu, rivoluzionario fanatico di Marat, del quale spolvera il busto eretto in una piazza. Ora l’attenzione si sposta sulla servetta Bersi, che ha cambiato vita con la Rivoluzione (che per altro mostra di odiare) e che si sente spiata da Incredibile (una spia di Gérard, appunto) con il quale innesca un battibecco per poi (32’24”) raccontare le sue esperienze di vita nel nuovo corso rivoluzionario. Passa un carro che reca condannati alla ghigliottina, accompagnato in sottofondo (33’48”) dal ça ira, il celebre canto rivoluzionario.

Incredibile (34’17”) ha anche osservato Chénier (sul quale ora si sposta l’inquadratura) che sembra in ansiosa attesa di qualcuno(a). Per ora chi arriva (35’11”) è un suo amico, Roucher, che gli ha portato un passaporto e lo invita ad allontanarsi da Parigi, dove è in grave pericolo. Chénier gli risponde attaccando  (35’54”) una nuova aria-romanza (Credo a una possanza arcana) in cui accetta il suo destino di poeta e di amore. Sogna una donna angelicata, che gli parla con voce ardente, dicendogli Credi all’amor! (dal SIb acuto) e poi confessa all’amico di ricevere strane lettere, precisando (38’48”): Scrive una donna misteriosa ognora! Queste sue parole sono sottolineate dal tema dell’amore (comparso nell’Improvviso).

Chénier ora mostra all’amico l’ultma lettera ricevuta e Roucher (39’23”) crede di decifrarne la provenienza: a scrivere dev’essere una Meravigliosa (donna di facili costumi, almeno secondo... Illica). Chénier (40’57”) vede tutto il suo castello di poesia e di amore crollare miseramente al suolo (Ah, mio bel sogno, addio, ancora dal SIb acuto).

Il poeta sembra convinto a lasciare Parigi, mentre uno stentoreo motivo dei corni (41’22”) che poi sottolinea l’intera scena, annuncia il passaggio dei membri dell’Assemblea (Robespierre compreso) fra cui Gérard. Qui abbiamo un complesso concertato con tre linee di canto parallele (indicate su colonne affiancate nel libretto): Chénier-Roucher-Mathieu / La folla / Incredibile-Gérard. Mentre i primi tre personaggi e la folla osservano e/o acclamano i rappresentanti del popolo, Gérard e Incredibile (42’22”) si scambiano informazioni sulla donna (Maddalena) che Gérard ha incaricato lo spione di rintracciargli. E Incredibile (43’43”) lo rassicura: la sera stessa la vedrà.

Roucher (43’52”) scorge le Meravigliose e le indica a Chénier: le disinibite donne parigine arrivano (44’19”) giusto dopo il passaggio dei politici e la loro sfilata è accompagnata da una musica leggera e svolazzante, come i loro abiti trasparenti... Fra esse Bersi, che chiede a Roucher di trattenere Chénier: lei è spiata da Incredibile, che poi si presenta e la invita al bar (per scoprire dove si trova Maddalena, evidentemente). Mentre Chénier è sempre più desolato (45’32”) e se ne vorrebbe andare (O mio bel sogno, addio!) Bersi ritorna (sempre spiata da Incredibile) e annuncia a Chénier (45’51”) l’arrivo di Speranza (qui ancora il tema dell’amore fa capolino).

Un breve intermezzo strumentale (46’37”) accompagna l’accensione dei lampioni in strada e il passaggio di pattuglie della Rivoluzione, cui segue quello del solito Mathieu (47’17”) che canticchia la Carmagnola. Incredibile si apposta (48’06”) in attesa di eventi, ed infatti su un ponte sulla Senna compare una figura di donna.

É Maddalena, venuta all’appuntamento con Chénier (48’59”) e piena di paura. Pochi attimi e (49’49”) ecco arrivare anche il poeta, avvolto in un mantello. Maddalena lo chiama per nome, lui si fa riconoscere e chiede a lei da chi sia mandata a parlargli. Maddalena (50’38”) si fa riconoscere sulle parole (Non conoscete amor!) e sulla musica dell’Improvviso! Incredibile ha visto e udito tutto, e corre ad avvertire Gérard; Maddalena (51’02”) crede di aver visto un’ombra allontanarsi, ma Chénier la tranquillizza, suggerendole peraltro di abbandonare quel posto poco raccomandabile. Lui (51’22”) sembra ancora incredulo di aver incontrato la donna dei suoi sogni e così Maddalena (51’41”) attacca un cantabile per raccontargli le sue pene, le ragioni delle sue lettere e per implorare aiuto e protezione.

Adesso (54’19”) - sulle parole di Chénier Ora soave - inizia il grande duetto fra i due innamorati (punteggiato ancora dal tema dell’amore) chiuso in SOLb (accordo di terza - con SIb acuto del tenore – o sesta opzionalmente, delle due voci) da uno stentoreo fino alla morte insiem!

Qui (56’44”) sono doverose almeno due osservazioni: la prima riguarda la durata della nota finale del duetto (...siem) che Giordano (un maniaco del metronomo) fissa precisamente in 17 semiminime a 63, il che significa 16,19”, una bella apnea, bisogna ammetterlo. Ma Corelli/Tebaldi cantano per 5” scarsi (ahi ahi). La seconda ha a che fare con il tempo che, secondo l’Autore, deve separare il duetto dal drammatico altolà di Gérard: si tratta di sole tre crome, pari a 1,43”. Invece il direttore ferma tutti per dar modo al pubblico di applaudire e osannare le due voci per ben 120”!

Finalmente (58’44”) Gérard può irrompere sulla scena, sbarrando la strada ai due amanti con un perentorio Maddalena di Coigny!
  
Chénier affida la donna a Roucher e affronta Gérard (mediocre spadaccino) ferendolo al volto. Gérard, quando riconosce il poeta nel suo feritore, ha un inconscio senso di colpa, avverte Chénier che il suo nome è sulle liste di proscrizione e lo prega di salvare Maddalena. All’arrivo (sulle note dell’inno rivoluzionario) di Incredibile e dei giacobini, Gérard (59’53”) non rivela il nome del suo aggressore. Il sanculotto Mathieu accusa dell’assassinio gli avversari politici, e il quadro si chiude con il grido Morte ai girondini!
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Nel terzo quadro ci troviamo in una sede della Rivoluzione ospitata nei locali del tribunale rivoluzionario, dove gli aspetti politici del processo si mescolano con quelli di carattere patetico e personale: il sacrificio della povera vecchia Madelon e il rapporto triangolare Gérard-Chénier-Maddalena, con la posizione del primo che ondeggia fra l’ubriacatura da potere (le false accuse contro Chénier) e l‘impotente rimorso per tutto il male che da quel potere discende. Alla fine la macchina del fango messa in moto dall’ex-lacchè di Maddalena travolgerà Chénier e, con lui, anche la povera ragazza.

Il quadro si apre (1h00’34”) con sole 7 battute di pesanti accordi dell’orchestra, che introducono il pistolotto di Mathieu ai cittadini e cittadine convenuti per assistere ai processi (sommari) e che nell’attesa vengono invitati a fare donazioni alla Patria, messa in pericolo da nemici interni ed esterni. Gli appelli di Mathieu – sostenuti anche con minacce di ricorso alla ghigliottina - non sortiscono grande effetto, ma ecco che arriva (1h02’47”) inatteso, Gérard, prontamente rimessosi dalla ferita infertagli da Chénier, come lui stesso spiega (1h03’05”) ai cittadini che lo accolgono calorosamente.

Mathieu (1h03’33”) riprende la sua pedante arringa contro i nemici della Patria, ma accorgendosi che la sua pipa si è spenta, passa la parola a Gérard. E costui (1h03’54”) attacca una perorazione (assai più convincente, anche... musicalmente, di quella del sanculotto) della necessità che ciascuno offra qualcosa di superfluo (e non) per aiutare la Rivoluzione che corre gravi pericoli. L’orchestra supporta il suo accorato appello con efficaci interventi, come (1h04’14”) il baluginare di lingue di fuoco che accompagnano il richiamo alla Vandea in fiamme. Servono oro e sangue (1h04’33”) per difendere la Francia!

Le donne presenti (1h05’05”) accorrono a gettare nella grande urna di raccolta oggetti preziosi e denaro, poi ecco (1h05’47”) farsi largo la vecchia Madelon, che è venuta ad offire... il suo ultimo nipotino! Il suo racconto è davvero strappalacrime (pare che Illica abbia quasi costretto il riluttante Giordano a conservarlo, per farlo cantare ad un suo protetto mezzosoprano!) Gérard (1h07’59”) accetta di coscrivere il ragazzetto e qui abbiamo (1h08’36”) un’altra scena commovente: il distacco della vecchia, ormai morente, dal suo piccolo Alberto, accompagnato da una toccante melopea del violoncello.

Terminata la riunione di raccolta fondi il locale si svuota per essere attrezzato a tribunale. La gente fuori riprende (1h09’52”) a danzare cantando la Carmagnola. Ma intanto Incredibile è tornato e annuncia a Gérard (1h10’37”) che la sua preda è nella rete. Ma non è Maddalena, bensì Chénier, che Incredibile ha scovato e preso al Lussemburgo. Gérard però (1h10’52”) è interessato (personalmente) alla donna, e si mostra scettico (1h11’09”) sulla previsione di Incredibile, che Maddalena si faccia viva per cercare l’innamorato. Ma Incredibile, indicandogli i ragazzini-strilloni che percorrono le strade e le piazze parigine gridando ai quattro venti la notizia dell’arresto del poeta, gli spiega (1h11’34”, Donnina innamorata) come Maddalena, sentendo la notizia dell’arresto dell’amato, si precipiterà in strada e cadrà nella loro rete. Gérard a questo punto (1h12’55”) si preoccupa che Maddalena finisca per odiarlo, ma Incredibile gli spiega con sommo cinismo che la donna è fatta d’anima e corpo e lui... si accontenti del corpo! Poi lo invita a scrivere l’atto d’accusa contro Chénier.

Qui (1h13’41”) inizia il lungo monologo di Gérard, combattuto fra due opposti sentimenti: la vendetta personale (oltre che politica) contro Chénier e la consapevolezza di compiere una viltà contro un innocente. A spingerlo al misfatto (1h14’07”) è una fugace apparizione di Incredibile, che risveglia in lui desideri di piacere. Così (1h14’31”) Gérard comincia a stendere l’atto d’accusa (Nemico della Patria?!) Ma ha presto un ripensamento (1h15’28”) e canta una spietata autocritica, ripassando attraverso le fasi della sua esistenza da rivoluzionario, che lo hanno trasformato da puro e disinteressato (1h15’50”, Un dì m’era di gioia passar fra gli odii e le vendette) a servo di un nuovo padrone (1h16’19”). E qui (1h17’02”) l’ex-lacchè a Coigny ricorda il suo iniziale fervore rivoluzionario, che si sta ormai spegnendo; ricorda commosso (1h18’07”, La coscienza nei cuor ridestar de le genti) i suoi alti ideali di fratellanza e amore.

Qui (1h19’13”) dopo il RE tenuto di Tutte le genti amar!, Giordano prevede meno di due battute (5”) strumentali, prima della parte finale dell’esternazione di Gérard. Ma, come da tradizione, il Direttore fa eseguire un accordo pieno di RE maggiore per consentire al pubblico di portare in trionfo (per 55“) il baritono di turno! Il quale riprende poi (1h20’09”) il suo canto per chiudere l’aria-romanza con l’atroce confessione di essere divenuto schiavo delle più basse passioni. Così (1h20’45”) firma l’atto d’accusa e lo consegna a Incredibile, tornato in quel preciso momento, accompagnato dalla sua musica impertinente.

Ma ora si prepara la scena madre di questo quadro (1h21’32”): sta arrivando, come Incredibiile aveva previsto, Maddalena, ammessa da Mathieu alla presenza di Gérard. La donna (1h21’55”) si fa riconoscere, implorando aiuto. Gérard (1h22’16”) risponde che la stava aspettando e poi (1h22’46”) con una lunga esternazione le declama tutti i retroscena della sua infatuazione per lei, fin da quando lei era bambina e giocava con lui, figlio di uno dei suoi servi... Poi ha uno scatto (à-la-Scarpia) e rivela (1h24’12”, ...un pazzo grande e vile) tutta la sua abiezione e la libidine che lo divora. Maddalena prova a reagire, minacciando di uscire in strada a cercare la morte, piuttosto che concedersi a lui. Il quale la blocca e si prepara a prenderla con la violenza.

Ecco che Maddalena (1h25’21”) ha un’improvvisa ispirazione: si concede al porco senza far resistenza, chiedendo in cambio la libertà per Chénier. E Gérard (1h25’53”), tramortito da tanto coraggio, mentre il violoncello recita stupendamente il tema dell’amore, deve ammettere: Come sa amare!

Maddalena attacca adesso (1h26’51”) la sua nobile aria (La mamma morta) in cui ricorda i drammatici momenti della perdita di tutto: tutto, tranne però l’amore, l’unica ragione ormai della sua vita. E sulle parole Ah! io son l’amor! ecco una nuova gratuita pausa di 55” (1h31’23”) che il Direttore inventa – Giordano prevede solo una semiminima prima della successiva frase - per consentire l’applauso a scena aperta al soprano. Che continua (1h32’20”) offrendo il suo corpo a Gérard. Il quale (1h32’51”) è talmente scosso da proprompere in un disperato grido di pentimento e di maledizione contro le degenerazioni della Rivoluzione, dichiarandosi pronto a sacrificare la vita per salvare Chénier. Maddalena implora aiuto, ma la situazione precipita, e Gérard (1h33’44”, Il tuo perdono è la mia forza!) può solo promettere di difendere il poeta.

La folla (1h34’03”) invade la sala del tribunale, sono principalmente donne, popolane, mercatine che, tenute faticosamente a bada da Mathieu, si accalcano per godersi lo spettacolo, raccontandosi gli ultimi pettegolezzi. Ecco però entrare la corte (1h35’00”) per dar inizio al processo. Arrivano anche gli imputati, ultimo Chénier, quasi indifferente e assorto nei suoi pensieri. Maddalena (1h36’22”) esclama: Egli non guarda! Ah, pensa a me! e il tema dell’amore spiega più delle parole i sentimenti che animano i due pur lontani innamorati.

Dopo che Mathieu ha imposto il silenzio, il Presidente Dumas comincia a chiamare gli imputati e per ciascuno il Procuratore Fouquier annuncia la sua accusa. C’è anche una donna (1h37’29”) tale Legray, una giovane madre che ritroveremo nel quarto quadro, e infine (1h37’37”) Andrea Chénier, per il quale viene formulata l’accusa di tradimento! Il poeta reagisce con veemenza (1h37’59”, Tu menti!) e poco dopo attacca la sua aria in LAb (1h38’07”, Sì, fui soldato) per proclamare a tutto il mondo i suoi grandi ideali e il suo amore per la Patria. Chiude la sua perorazione (1h40’26”, Ma lasciami l’onor) sulla dominante MIb, e una sola semiminima dovrebbe precedere la replica di Fouquier, mentre ancora ci si ferma per 45” ad applaudire il tenore.

Il Procuratore chiama i testimoni e Gérard (1h41’11”) si fa avanti, confessando di aver sottoscritto una denuncia falsa contro Chénier. Ma nessuno vuol credergli, anzi tutti lo accusano di tradimento. Lui allora (1h42’15”) esaltando le giovani reclute che si avviano a combattere per la Patria, accusa il tribunale di uccidere i poeti patrioti. Chénier (1h42’41”, O generoso!) è commosso e – mentre fa capolino in orchestra il Tristankkord! - va a ringraziare del suo coraggio Gérard, che gli indica Maddalena. Poi si illumina e si prepara a morir contento, mentre Gérard ancora vuol sperare. Ma tutto è ormai scritto e Dumas (1h43’35”) pronuncia il fatidico Morte!  

A Maddalena non resta che gridare il nome di Andrea e supplicare Gérard di farglielo ancora rivedere un’ultima volta. Il sipario cala accompagnato da un tragico RE minore.
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Il breve quarto quadro chiude il dramma con il sacrificio di Maddalena e l’inutile, estremo tentativo di Gérard di salvarli.

Sono le solite sette battute orchestrali ad introdurre (1h44’20”) il cupo scenario di morte che caratterizza il cortile del carcere in cui sono rinchiusi Chénier e l’amico Roucher. È notte fonda e Chénier ancora scrive versi, gli ultimi, che l’amico lo prega di recitare, dopo aver convinto il carceriere Schmidt di pazientare ancora. E così Chénier (1h45’43”) canta l’ultima sua romanza in SOLb (Come un bel dì di maggio) che è un vero e proprio addio alla vita e contemporaneamente un supremo inno alla poesia! E l’aria chiude (1h48’33”) con le parole darò per rima il gelido spiro d’un uom che muore. Ancora una volta, invece di attaccare quasi subito con la cantilena di Mathieu, ci si ferma (qui per solo 25”) ad applaudire il tenore.

Mathieu, appunto, si ode da lontano (1h48’58”) cantar la Marsigliese, mentre alla prigione arriva Gérard (1h49’30”) con Maddalena, cui è stato concesso un ultimo colloquio. Andrea Chénier, risponde Gérard alla domanda del carceriere su chi sia il condannato. Maddalena (1h49’50”) ricorda a Gérard la sua promessa, di cui scopriamo presto l’oggetto, allorquando la donna (1h50’03”) accenna alla condannata Legray, che dovrà essere liberata. In sua vece lei stessa (1h50’32”) salirà sul carro che reca i condannati al patibolo!

Schmidt si lascia convincere da gioielli e denaro passatigli da Maddalena, che (1h51’32”) benedice il suo destino di morte. Gérard, sempre più addolorato, mentre in orchestra (1h51’50”) si ode un tema wagneriano che ricorda l’amore (di Sieglinde per Siegmund) decide di fare ancora un tentativo, addirittura con Robespierre.

Intanto Chénier si avvicina e l’orchestra (1h52’22”) scoppia in un lungo accordo, che porta al REb con cui inizia il duetto finale fra i due amanti. Chénier (1h52’46”, Vicino a te s’acqueta l’irrequieta anima mia) lo introduce, poi Maddalena – la tonalità vira a FA maggiore - gli risponde confermandogli tutto il suo amore. E gli rivela lo stratagemma che le consentirà di morire con lui. Poi (1h55’20”) mentre la tonalità modula a SIb, lo invita ad un ultimo abbraccio e così i due si abbandonano alla più grande estasi, che ci ricorda l’esaltazione tristaniana al ritrovare Isolde.

La morte si avvicina con l’aurora, la tonalità modula a SOLb per accogliere le ultime esternazioni dei due amanti fino all’estremo (1h58’33”): Amor!

Dal SOLb per enarmonia si sale al SI, mentre il carceriere fa l’appello dei condannati, cui rispondono prima Chénier e poi Maddalena. Che sul SI acuto gridano (1h58’54”) l’ultimo Insiem!

Giordano muta quel SI in mediante di SOL, sulla quale tonalità l’opera si conclude trionfalmente.
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Bene, ora non ci resta che attendere al varco i coniugi Netrebko!