XIV

da prevosto a leone
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15 gennaio, 2023

La tribolata Salome se la cava alla Scala.

Questa Salome già era nata sotto cattivi auspici, che si materializzarono in epoca-Covid, quando l’opera fu messa in scena (con un anno di ritardo e in… streaming) in un teatro vuoto, con platea occupata dall’orchestra. E con Chailly (non il designato Mehta) sul podio. Mehta che ha ancora dovuto dare forfait, sostituito dal volonteroso Axel Kober (per 4 recite) e dal meno conosciuto Michael Göttler per le 2 restanti.

Tuttavia mi sento di dire che il pericolo è scampato, ecco. Kober è ormai un vecchio marpione del tardo-ottocento wagneriano (è approdato a Bayreuth…) e l’Orchestra scaligera ne ha ben assecondato la lettura a fosche tinte.

Anche il cast si è ben difeso: su tutti Michael Volle, autorevolissimo Jochanaan (anche lui è stato presentato, come fanno quasi tutti i registi che applicano lo stereotipo del profeta nel deserto: età minimo 70 anni e aspetto cimiteriale, quando sappiamo che il nostro aveva al massimo 30 anni – coetaneo di Gesù – e viene descritto da Wilde-Strauss come molto giovane e con la carne d’avorio!)

Poi bene la protagonista, la bella lituana Vida Miknevičiūtė, che magari potrei criticare per insufficiente cattiveria – sul piano scenico – ma che su quello musicale mi è parsa davvero encomiabile.

Da apprezzare anche l’Erode di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, assai efficace nei suoi accorati quanto ingenui – e quindi infruttuosi – tentativi di pagare in banalità materiali il cruento debito inconsapevolmente contratto con la nipotina terribile.

Due veterane dei palcoscenici d’opera (la Herodias di Linda Watson e la travestita Lioba Braun, che il regista, bontà sua, degrada da giovin paggetto della prima a babbiona badante di casa) hanno fatto onestamente e con profitto la loro non impervia parte.  

Positiva menzione anche per il complessato Narraboth di Sebastian Kohlhepp, voce squillante e ben impostata.

Onesti tutti gli altri (in particolare i 5 ebrei) che completano il cast.

Per tutti alla fine applausi abbastanza nutriti da parte di un pubblico che francamente non mi aspettavo così folto (rispetto al Boris, per dire).
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La messinscena di Michieletto mi aveva lasciato fra l’indifferente e il deluso vista in streaming. Oggi non ha migliorato molto il suo voto: il regista non rinuncia mai a dare la sua interpretazione del soggetto inventandosi dei precedenti che non si trovano né in Strauss né in Wilde, e quindi possono poi giustificare ogni deviazione rispetto all’originale.

Per il resto invenzioni riciclate (lo sferone appeso al soffitto che ricorda Prova d’Orchestra) o pacchianate a buon mercato, come la testa di Jochanaan che sale dal pozzo come un grande cammeo incastonato in un gigantesco ostensorio da altare, mentre alla povera Salome tocca accarezzare e baciare un rinsecchito teschio amletico… Oppure l’infinite volte abusato trucco di presentare una controfigura della protagonista da bambinella che assiste all’ammazzamento del padre, per spiegare perché la bambinella medesima sia cresciuta con qualche freudiano problemino…

Ma tutto sommato Michieletto ne ha fatte anche di peggio, quindi accontentiamoci così.

20 febbraio, 2021

Scala-TV: la Salome di Michieletto (e... Chailly)

Che dire? Queste produzioni, destinate esclusivamente al pubblico televisivo, hanno vagamente il sapore un po’ dei cibi precotti, ma in tempi di pandemia ci conviene gustarle comunque, facendo buon viso a cattivo gioco, essendo ahinoi l’alternativa il totale digiuno...

Così ieri sera ho potuto personalmente sopravvivere con un dignitoso Terzo concerto di Beethoven proposto da Alexandre Tharaud con laVerdi (tuttora disponibile - previa registrazione - on-demand) e poco fa ho evitato la crisi d’astinenza da teatro con questa Salome di Michieletto, finalmente materializzatasi con un anno di ritardo e - causa l’improvvisa indisposizione che ha colpito Zubin Mehta - col podio occupato dal Direttore Musicale, come da locandina del 2020. Rispetto alla quale il cast è stato fatalmente rivoluzionato, con alcune perdite non da poco.

Non mi azzardo a dare giudizi sul piano musicale, date le circostanze: mi limito a dirmi moderatamente soddisfatto di ciò che l’etere ha portato alle mie orecchie.

Quanto all’allestimento, mi pare che Michieletto si sia mosso sul suo solito terreno. Qualche trovata non troppo trasgressiva a livello drammaturgia: Jochanaan che Salome associa al padre, per via dell’alloggio nella stessa cisterna; Salome che cerca di far fare alla madre la stessa fine che questa aveva fatto fare al padre, strangolandola con quella stessa corda. Invenzioni di riciclo: maschi infoiati che accompagnano la danza dei sette veli, di carseniana memoria; la Salome bambina che dovrebbe spiegarci perchè quella adulta è finita così e non cosà... etc. Sangue a volontà (e ci sta tutto) ma risparmiato proprio dove il libretto lo pretende: Herodes dovrebbe scivolare su quello versato da Narraboth auto-accoltellatosi, e invece deve scivolare su detriti di sabbia, poichè il siriano si è immolato ingurgitando cicuta o intruglio simile.

Recitazione assai ben curata (il Damiano in questo è un maestro e tutti lo hanno assecondato al meglio); scena spoglia e costumi anonimi (salvo l’enorme scafandro indossato da Salome all’inizio della danza) per dar giustamente risalto a ciò che avviene dentro e non fuori dei personaggi.  

Insomma, in attesa di tempi migliori (ma mi sa che sarà lunga, a giudicare dall’andazzo dei contagi, che nemmeno il mago Draghi potrà azzerare con bacchetta magica...) si sopravvive così, che ci dobbiamo fare?!

07 marzo, 2020

Salome-2 la vendetta


Giuro che se trovo quel simpaticone che ha programmato la prima di Salome alla Scala proprio nel giorno della Festa della donna, me lo... beh, ecco, mi fermo qui.

Ma perdinci, come si può pensare che una ragazzina viziata che rifiuta, nell’ordine: la metà di un regno, il più grande smeraldo, cento pavoni bianchi, perle, topazi, opali, crisoprasi, rubini, sardonici, pietre di giacinto, pietre di Calcedonia, cristalli, turchesi, il mantello del Sommo Sacerdote e il Velo del Santuario... sia disposta a ballare nuda davanti a noi in cambio di un misero rametto con quattro fiorellini gialli?

E così lei se l’è presa al punto da mandarci sto fottutissimo virus a guastarci tutte le feste da qui a Pasqua e magari pure Ferragosto e Natale, managgia!

Che Salvini se la porti!

11 ottobre, 2010

La Salome di Carsen al Maggio



Il Maggio fiorentino ripropone la Salome nell'allestimento di Robert Carsen (già ospitato un paio di stagioni or sono dal Regio di Torino). Ieri teatro quasi al completo. Sul podio non c'è Mehta, contrariamente a quanto risultava dal primissimo annuncio della stagione autunnale, e nemmeno il sostituto Carignani. Ma il veterano mestierante Ralf Weikert.
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Quanto alla messinscena, Carsen è uno di quei registi perennemente in cerca di novità interpretative e con la testa che è un vulcano di idee, quasi sempre geniali, ma di un genio cui spesso si accompagna la sregolatezza. E questa sua Salome è proprio un classico esempio di uso solerte e perverso al tempo stesso della materia grigia: insomma, un Carsen in versione dr. Jekyll e mr. Hyde.
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Cominciamo con l'ambientazione: alla trita cartapesta del palazzo di Palestina, Carsen preferisce enormi pareti di latta di un caveau di LasVegas (forse siamo al CaesarPalace, a giudicare dai costumi di alcune comparse, a metà fra l'egizio, l'assiro-babilonese e il carnevalesco). La cosa non deve scandalizzare, caso mai ci si può chiedere perché proprio LasVegas e un caveau. Chissà, dato che il regista è uso fare scavi sociologici e psicologici, può darsi che il suo subconscio abbia fatto emergere l'avversione di un canadese per la (in)civiltà dei merdosi cugini yankee, di livello assai prossimo a quella di Erode&C. Quanto all'oro che scorre a fiumi nel caveau, bisognerà tener conto che Salome comporta la presenza di ebrei, notoriamente stereotipo di padroni della finanza globale.
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E a proposito di ebrei, oltre al dileggio – ma sopraffino, proprio à la Wagner – che Strauss gli riserva con la sua musica che imita la cantilena yiddish, Carsen rincara la dose, presentandoci due dei cinque giudei nelle vesti di trans. Per la verità, ne ha anche per i cristiani (i due Nazarener) che appaiono vestiti da becchini, forse ministri di qualche più o meno nota setta nordamericana.
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Per restare alle piccolezze, ai dettagli, Carsen infila qua e là qualcosa a metà fra il becero e il goliardico, come Herodes che si strofina sul …ehm (cavallo dei pantaloni) la mela che offrirà a Salome. O Herodias che copula con un paggio durante la bevuta del marito con i compari, oppure uno dei trans giudei che si butta a pesce sullo smeraldo invano offerto dal tetrarca alla figliastra in cambio della testa di Jochanaan. Ma Carsen mostra anche di saper essere – quando vuole – fedelissimo al testo: il povero Narraboth, al momento di suicidarsi, invece di spararsi un colpo in bocca con la 45magnum di ordinanza che porta alla cintura, estrae un pugnale e se lo conficca nel ventre!
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Bella e nobile, invece, la scena dell'incontro di Salome con il profeta: sparisce la latta di LasVegas e Jochanaan appare su un appropriato sfondo desertico (che sia il Nevada o il Negev ci importerà poco). Lui e la ragazza restano soli, sulla scena assolutamente vuota, in modo da lasciare tutto lo spazio disponibile per… la musica del mago Strauss!
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Bando all'esteriorità, veniamo ai personaggi. Devo dire che qui Carsen è maestro, seriamente: tutti assolutamente centrati, a cominciare proprio da Salome, una ragazza che ne ha addosso di tutte: vizi, perversioni, turbe sessuali, ingenuità incredibili, paure, superbia, instabilità psichica; insomma, tutto quello che da millenni ormai l'immaginario collettivo associa a questa Lolita ante-litteram. Che è però, in fondo, ancora una ragazzina, se è vero che entra in scena emozionata, confessando di non capire perché Herodes la guardi così! E il Carsen – quello in versione dr. Jekyll - ce ne dà un'immagine oserei dire perfetta.
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Peccato che poi il nostro si trasformi, per circa un quarto d'ora, in mr. Hyde. E trasformi con sé, temporaneamente, anche la ragazza, affibbiandole i tratti – materiali e comportamentali – della madre. Facendone cioè – per la scena-madre dell'opera - una laida puttanona. Abbigliata ed acconciata (colore dei capelli incluso) come quella baldracca di sua madre. Che lei sia, come dirà, dopo la danza, Herodes: in Wahrheit ihrer Mutter Kind! (tutta sua madre) è vero, ma ciò riguarda esclusivamente la cocciutaggine e l'ostinazione del suo carattere. Invece è del tutto falso se si confrontano le personalità di madre e figlia, descritte – in primis – dalla musica di Strauss. Ed è persino inverosimile anche dal punto di vista dei desideri sessuali di Herodes, che di certo non saprebbe che farsene di una Herodias-due-la-vendetta!

Ma è sommamente disdicevole sul piano estetico, chè questa (provvisoria, onirica) identificazione trasforma la più straordinaria Tanz mai musicata in uno spogliarello di quart'ordine, di quelli che si vedevano anche a fine '800 in qualche scantinato di New York, con tanto di divaricazione di gambe, arieggiamento di passera a mezzo veletta, e strusciamenti vari addosso ad una coorte di altrettanto bavosi maschiacci, che non trovano di meglio che denudarsi e masturbarsi davanti a lei, e di fronte al pubblico in sala. Il tutto mentre alle orecchie di detto pubblico giungono suoni come questi:

Insomma, invece di un'enorme carica erotica, ciò che questa scena sprigiona è puro e semplice, e schifoso sesso venduto un-tanto-al-kilo. E davvero, poche volte una così forte divaricazione tra ciò che la musica esprime e ciò che il regista ci mostra è stata realizzata in un teatro. Proviamo a farci una semplice e banalissima domanda: se a Richard Strauss fosse stata presentata questa scena e gli fosse stato chiesto di musicarla, ci avrebbe scritto quella musica della sua Salome? Non sarà superfluo ricordare ciò che lo stesso Strauss – non so se mi spiego – scrisse testualmente, a proposito della sua creatura: …Salome (…) deve essere rappresentata con la massima semplicità e nobiltà di gesti; altrimenti (…) invece di pietà susciterà solo raccapriccio e orrore. Ecco, questo è ciò che suscita appunto la scena-madre dell'opera, selon Carsen.

Conclusa la quale scena, il nostro rientra nei panni del dr. Jekyll e Salome in quelli di… Salome. Prima della fine c'è però ancora tempo per una goliardata: una partita di palla-prigioniera in cui i compari e le comari del tetrarca si lanciano la testa mozzata di Jochanaan.
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Poi Salome chiude davvero in modo straordinario ed emozionante - pienamente in linea con il suo carattere e con i risvolti necrofili della sua personalità - con il voluttuoso, liberatorio bacio sulla bocca del profeta, finalmente tutto suo, come aveva testardamente desiderato. Dopodichè esce di scena – e da quel mondo per lei invivibile - dal fondo, verso il deserto, prima ancora che Herodes ordini ai suoi scherani di sopprimerla.
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Musicalmente?

Una grande (grandissima?) Janice Baird, voce potente, calda, chiara, espressiva. Le perdoneremo un paio di piccoli cali, ma davvero è stata eccellente, fino all'ultimo LA# dell'ultimo geküsst. Per lei un trionfo in piena regola.
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Mark S.Doss è ormai un punto di riferimento per Jochanaan. Non avrà – causa eccessiva abbronzatura, direbbe il nostro simpatico P.M. – la pelle bianca come le nevi di Giudea, ma la voce c'è tutta, e anche più. Personalmente – ma non glie ne faccio certo una colpa! – trovo il timbro della sua voce un tantino cupo per rappresentare un profeta che – contrariamente all'immaginazione nostra, e all'idea iniziale della stessa Salome – non è affatto un vegliardo, ma è addirittura giovanissimo. Grandi applausi anche per lui.
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Herodes era l'albionico Kim Begley: più che discreto, mi sento di dire, sul lato vocale, e davvero eccellente su quello attoriale.
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Alla Herodias di Irina Mishura darei un'ampia sufficienza: la musica che Strauss le affibbia non è delle più comode, ma lei vi ha tenuto dignitosamente botta. Eccellente anche lei nella recitazione.
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Narraboth era Mark Milhofer, vocina piuttosto debole e spesso superata dall'orchestra (colpa di Weikert?) Anche Jennifer Holloway (paggio en-travesti della regina) ha faticato a farsi sentire già a metà platea. Tutti più che all'altezza dei rispettivi compiti gli altri del cast.

Il povero Ralf Weikert è stato l'unico a beccarsi due o tre buh all'uscita. Per me francamente ingenerosi e forse più motivati dal disappunto per le defezioni di Mehta prima e Carignani poi, che da effettivo demerito. Del resto, dovendo sostituire il Kapellmeister a pochi giorni dalla prima di una simile opera non si poteva – credo io – far di meglio che ricorrere ad uno che almeno la Salome l'ha già diretta più e più volte e – vista l'anagrafe – deve essere anche rotto a tutti gli imprevisti.
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In conclusione: grazie al Maggio per averci ancora regalato, Bondi funestante, uno spettacolo di alto livello e di averci permesso di provare emozioni che certa musica non cessa mai di suscitare.
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20 gennaio, 2010

Salome a Bologna

Ieri sera, la seconda della Salome a Bologna, in un teatro con alcuni vuoti (cosa che francamente mi ha sorpreso).

Personalmente mi dichiaro più che soddisfatto. In particolare (ed è ciò che conta in questi casi) della prestazione musicale: Nicola Luisotti mi pare avere bene in mano questa partitura, di cui ha trasmesso efficacemente il pathos, coadiuvato dall'Orchestra che – pur ridotta rispetto a quella sterminata prevista da Strauss – ha dato il meglio, in particolare proprio nei fiati (la sezione più… sacrificata). Ora, gli interpreti.

Erika Sunnegårdh è una Salome assai efficace come presenza scenica, oltre che come fisico, ben adatto al ruolo (e se la cava discretamente anche come danzatrice). Mi è parsa però dare della personalità della protagonista un'interpretazione – come dire - troppo romantica, o troppo poco perversa. Quanto ciò sia responsabilità sua o della regìa è difficile da giudicare (ma la seconda ipotesi sembra suffragata da ciò che il regista scrive sul programma di sala). Sul piano musicale non mi è per nulla dispiaciuta, mi è parsa migliorata rispetto all'ascolto in radio dello scorso sabato (evidentemente c'era anche più affiatamento con la buca).

Anche Mark S.Doss – che in radio non mi aveva entusiasmato - se l'è cavata bene. Io personalmente metterei in quel ruolo un baritono più tenoreggiante, più chiaro (Jochanaan è un profeta che deve pontificare sì, ma è anche giovane!) ma a parte questo la sua prestazione è stata di rilievo; tenuto conto poi che deve cantare per tre scene su quattro sepolto sotto il palcoscenico (qui Luisotti è stato bravo a non coprire la sua voce, tranne purtroppo nella quarta scena, laddove a quella del profeta si sovrappongono le voci di Herodes, dapprima, e poi di Herodias). Immagino Doss più adatto, come voce, al Capitano Balstrode, nei cui panni lo rivedremo a marzo nel Peter Grimes a Torino.

Robert Brubaker è stato un po' il mattatore della serata. Gran voce e soprattutto grandissima prestazione scenica. È proprio l'Herodes che ci si immagina leggendo il libretto e scorrendo la musica!

Per Dalia Schächter farei un discorso analogo a quello su Doss. Herodias è una donna non più giovanissima (e quindi si comprende la tessitura da mezzosoprano) ma è anche una bisbetica petulante, dalla quale ci si aspetterebbe una voce più chiara e non un vocione cavernoso da vecchia megera.

Mark Milhofer era Narraboth, il bel siriano che perde la testa, non quella fisica, lui! ma quindi comunque anche la vita, per Salome. Prestazione più che dignitosa, direi, come quella di Nora Sarouzian, nei panni del paggio, che con lui ha il compito non facile di aprire l'opera.

Speciale menzione per i cinque giudei (Gabriele Mangione, Paolo Cauteruccio, Dario Di Vietri, Ramtin Ghazavi, tenori, e Masashi Mori, basso, che ha anche cantato le poche battute come Uomo di Cappadocia): sono stati efficacissimi nel loro siparietto, in cui Strauss ha imitato e amplificato il Wagner del Ring (Alberich-Mime).

Han fatto la loro onesta parte gli altri: i Nazareni Paulo Paolillo e Rainer Zaun (che ha fatto anche un soldato) e Cesare Lana (l'altro soldato).

Edoardo Milletti (uno schiavo) sostiene una di quelle parti da guinness di fugacità di apparizione (cinque sole battute musicali, 11 parole in tutto). A dir la verità l'originale straussiano prevederebbe qui una soprano… ma va bene lo stesso.

Vengo ora alla regìa. Della fulminante intuizione di Gabriele Lavia (ambientare Salome in Germania, datosi che è opera tedesca) avevamo già avuto contezza dall'intervista rilasciata dal regista a Radio3 a pochi minuti di distanza dall'alzata del sipario della prima, sabato scorso. È l'ennesimo, patetico caso di scoperta dell'America (anzi, della Germania, trattandosi di Regietheater) di qualcuno che cerca di contrabbandare - come autentiche - delle idee riciclate e ampiamente scadute (i vari Carsen e McVicar hanno già fatto a Salome tutti i possibili danni, in proposito). Nullo, manco a dirlo, il valore aggiunto recato all'originale sul piano artistico-estetico.

Come si possa sostenere che il pubblico si sarebbe annoiato a morte a vedere ambienti e costumi dell'epoca di Cristo, e che sia invece andato in brodo di giuggiole trovandosi di fronte a uniformi e suppellettili di epoca guglielmina, è cosa che non arrivo proprio a capire. Per di più, in un'opera dove il sangue (di Narraboth prima, su cui dovrebbe letteralmente scivolare Herodes, e di Jochanaan poi) dovrebbe scorrere fisicamente a fiumi, nulla di nulla. In compenso, per dare comunque il suo tocco macabro, Lavia fa issare, appeso per i piedi, un manichino rappresentante il cadavere decollato del profeta. Mah… in sostanza, mai come in questi casi ci si domanda se non fosse più interessante (oltre che economicamente giustificata, in tempi di vacche magre) un'esecuzione in forma di concerto!

16 gennaio, 2010

Salome da Bologna

Radio3 ha irradiato in diretta la prima di Salome dal Teatro Comunale di Bologna.

Interessanti due brevi interviste di Giovanni Vitali ai principali responsabili della rappresentazione: concertatore e regista.

Nicola Luisotti, rispondendo alla domanda su quale idea interpretativa avesse scelto, fra le diverse che altri direttori hanno proposto (decadente, novecentesca, …) ha risposto: "Non so, io so solo che un direttore deve studiare a fondo la partitura, e poi cercare di renderla al meglio". Ohibò, finalmente qualcuno che tiene bene i piedi per terra!

Invece Gabriele Lavia, richiesto di spiegare i fondamenti della sua regìa, e in particolare dell'ambientazione, ha risposto (parafraso): "Un ambiente in Palestina, dove si parla tedesco? Ridicolo! Così ho ambientato Salome in Germania, in un luogo vicino a quelli in cui l'opera fu composta". Quindi immaginiamo che Lavia ambienterà Il mercante di Venezia a Stratford, il Ratto a Vienna e La fanciulla del West sull'Amiata. Qui i piedi, oltre che la testa, sono evidentemente usati per calpestare ben bene l'originale…

Salome è opera difficile, si sa, e quindi è difficile cantarla e suonarla al meglio. All'ascolto radiofonico l'Orchestra è parsa all'altezza, Luisotti ha mantenuto la sua promessa e realizzato i suoi propositi, senza cercare invenzioni strampalate. Quanto ai cantanti, la svedesina Erika Sunnegårdh (chiamata a rimpiazzare la Nadja Michael) mi è parsa fisicamente dotata e potente, ma non certo impeccabile, con urletti sugli acuti e qualche raucedine in basso. Lo Jochanaan di Mark Doss mi è sembrato poco autorevole (forse i microfoni lo hanno penalizzato?) Buono l'Erode di Robert Brubaker e discreti tutti gli altri, con i 4 tenori ebrei bene in evidenza ed efficaci nell'inflessione vocale à la Alberich-Mime.

Vedremo e sentiremo prossimamente dal vivo.

10 gennaio, 2010

Inizio d’anno con l’altro Strauss

Oltre al tradizionale concerto dedicato agli Strauss viennesi, le onde della radio e/o i torrenti di bit della banda larga ci hanno portato, tra la fine del 2009 e questo inizio 2010, due produzioni del Metropolitan dello Strauss bavarese: si è trattato di Elektra, ripresa il 26 dicembre anche da Radio3, e di Der Rosenkavalier - protagonista Renée Fleming - che sabato sera è stato diffuso da varie web-radio europee (la RAI ha invece optato per la Manon viennese). Due esecuzioni di buon livello nella resa orchestrale, ma discreto, direi non di più, nelle voci, almeno all'ascolto in cuffia.

Ma nei prossimi giorni di Strauss se ne produrrà assai qui da noi, dapprima a Bolzano e poi in Emilia, sull'asse Bologna-Modena (seguite da Piacenza-Ferrara): in scena andranno precisamente Salome ed Elektra. (In attesa della maggiolina Die Frau ohne Schatten).

Sono le due opere (54 e 58 del catalogo straussiano) che, proprio all'inizio del '900 (1905-09) portarono un'autentica rivoluzione nel mondo del teatro musicale, sotto tutti i punti di vista: soggetto, forma, canto, orchestrazione. Sono anche due soggetti che hanno – fu Strauss per primo a paventarlo – diversi punti in comune: genere tragico, ambientazione storico-mitologica e implicazioni psicanalitiche. Come accadrà praticamente per tutte le opere del nostro, hanno protagoniste femminili. E le due tragedie si chiudono con le loro sfrenate - quanto fatali - danze.

Altra caratteristica comune alle due opere è l'ipertrofia della compagine orchestrale, specialmente nella sezione fiati. In Salome (Salòme sarebbe l'autentica pronuncia, ricordava Hofmannstahl con un filino di spocchia, forse per non essere stato lui a scriverne il libretto) abbiamo, fra i legni: 3 flauti, ottavino, 2 oboi e corno inglese, heckelphon, 5 clarinetti (uno in MIb), clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto. Ottoni: 4 trombe, 6 corni, 4 tromboni, contrabbasso-tuba. Percussioni: tamburino, tamtam, timpani, timpano piccolo, tamburo piccolo, grancassa, triangolo, glockenspiel, piatti, castagnette, xilofono, legno. Poi la partitura prevede 2 arpe. Gli archi, di cui non è precisamente indicato il numero, sono talora divisi in varie parti (4 i violini primi, 5 i secondi, 5 le viole, 5 i violoncelli, 2 i contrabbassi). E come non bastasse: celesta, armonium e organo!

Certe fanfare di corni (che udiamo in specie ad accompagnare il pontificante Jochanaan) forse sarebbero più adatte a scenari di alpeggi bavaresi, che non alle dolci colline di Palestina… e infatti le ritroveremo più avanti nella Alpensinfonie e un pochino pure nel Rosenkavalier! Però… che musica, ragazzi! Come pure questa:













A Bologna – con ripresa Radio3 della prima di sabato 16 gennaio - la Salome sarà diretta da Nicola Luisotti, che si è da poco insediato a SanFrancisco, come successore di Runnicles.

Elektra prevede precisamente in organico 62 archi: 24 violini (divisi in 6), 18 viole (divise in 5), 12 violoncelli (divisi in 4) e 8 contrabbassi (divisi in 2). Due arpe. Legni: 3 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, heckelphon, 5 clarinetti (uno in MIb), 2 corni di bassetto, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto. Ottoni: 4 corni, 4 tubette wagneriane (anche come 4 corni aggiuntivi), 4 trombe (una bassa), 3 tromboni, trombone contrabbasso, contrabbasso-tuba. Percussioni: timpani (con 2 esecutori), glockenspiel, grancassa, piatti, triangolo, tamburino, tamburo militare, tamburo piccolo, 2 castagnette, legnetti, tamtam. In più la celesta.

La parte della protagonista è di quelle da far tremare… l'ugola. Tanto per dire, nella citata recente produzione al MET, peraltro magistralmente diretta da Fabio Luisi, la Susan Bullock si è concessa un bello sconto, tramite due generosi quanto barbari tagli, nei duetti con Clitemnestra e Oreste (questa dei tagli sembrerebbe peraltro un'usanza costante in quel teatro, visto che anche il Cavaliere di sabato non ne è andato esente).













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A Modena sul podio ci sarà Gustav Kuhn, una garanzia in questo repertorio, reduce oltretutto dalle due serate di Bolzano.

Entrambe le opere sono in un unico atto, ed anche la loro durata è assai simile: poco più di 90 minuti. Chissà se a qualcuno è mai venuto in mente di rappresentarle nella stessa serata? In fin dei conti, non supererebbero in durata lo stesso Rosenkavalier, tanto per dire. E forse oggi, a differenza di qualche decennio fa (quando la prima italiana di Elektra alla Fenice fu fatta seguire dal rossiniano Bruschino, in qualità di antidoto) noi avremmo meno problemi a digerire due cruente tragedie in rapida successione... (o no?)

In ogni modo, staremo a vedere e sentire.

26 febbraio, 2008

Poche idee (e confuse?)

Nel giro di pochi giorni la Salome è andata in scena a Londra (Royal Opera House) e al Regio di Torino.

Lassù David McVicar, qui da noi Robert Carsen, due registi dalla fantasia sbrigliata e dalle idee innovative (leggasi: inventare di sana pianta l’ambientazione di un’opera famosa, usando le di lei collaudate parole e musica per garantire il successo alla propria idea sconvolgente).

La Salome - quella originale - di Strauss è ambientata (toh, che strano!) nel palazzo di Erode, ai tempi di Erode. Ma i registi moderni non possono certo abbassarsi a tanta ovvietà (dove finirebbe la loro inventiva?) E allora si scervellano per tirar fuori ambientazioni quali soltanto delle menti sopraffine e fuori dal comune potrebbero inventarsi.

Quindi uno si immagina che McVicar e Carsen ci stupiscano con due invenzioni personalissime ed uniche al mondo.

Vediamo. McVicar ci porta in una specie di casa-bordello, anni ’30-‘40, con ragazze seminude, un culturista, raccolto in strada, nudo completamente, e con annessi accessori di sesso - e cesso. Da parte sua, Carsen ambienta il tutto in una specie di casinò lasvegasiano, con gente che pensa solo ai soldi e, matematico - al sesso.

La Salome ha una notevole componente erotica, veniamo così a sapere, noi poveri pirla che non ci avevamo ancora fatto caso...

Oh, ma quale varietà di idee e di trovate!

Naturalmente, sulle locandine, ci sono i regolamentari avvisi ai naviganti (quelli che si appendono tipicamente fuori dai sex-shops...)
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