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15 gennaio, 2023

La tribolata Salome se la cava alla Scala.

Questa Salome già era nata sotto cattivi auspici, che si materializzarono in epoca-Covid, quando l’opera fu messa in scena (con un anno di ritardo e in… streaming) in un teatro vuoto, con platea occupata dall’orchestra. E con Chailly (non il designato Mehta) sul podio. Mehta che ha ancora dovuto dare forfait, sostituito dal volonteroso Axel Kober (per 4 recite) e dal meno conosciuto Michael Göttler per le 2 restanti.

Tuttavia mi sento di dire che il pericolo è scampato, ecco. Kober è ormai un vecchio marpione del tardo-ottocento wagneriano (è approdato a Bayreuth…) e l’Orchestra scaligera ne ha ben assecondato la lettura a fosche tinte.

Anche il cast si è ben difeso: su tutti Michael Volle, autorevolissimo Jochanaan (anche lui è stato presentato, come fanno quasi tutti i registi che applicano lo stereotipo del profeta nel deserto: età minimo 70 anni e aspetto cimiteriale, quando sappiamo che il nostro aveva al massimo 30 anni – coetaneo di Gesù – e viene descritto da Wilde-Strauss come molto giovane e con la carne d’avorio!)

Poi bene la protagonista, la bella lituana Vida Miknevičiūtė, che magari potrei criticare per insufficiente cattiveria – sul piano scenico – ma che su quello musicale mi è parsa davvero encomiabile.

Da apprezzare anche l’Erode di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, assai efficace nei suoi accorati quanto ingenui – e quindi infruttuosi – tentativi di pagare in banalità materiali il cruento debito inconsapevolmente contratto con la nipotina terribile.

Due veterane dei palcoscenici d’opera (la Herodias di Linda Watson e la travestita Lioba Braun, che il regista, bontà sua, degrada da giovin paggetto della prima a babbiona badante di casa) hanno fatto onestamente e con profitto la loro non impervia parte.  

Positiva menzione anche per il complessato Narraboth di Sebastian Kohlhepp, voce squillante e ben impostata.

Onesti tutti gli altri (in particolare i 5 ebrei) che completano il cast.

Per tutti alla fine applausi abbastanza nutriti da parte di un pubblico che francamente non mi aspettavo così folto (rispetto al Boris, per dire).
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La messinscena di Michieletto mi aveva lasciato fra l’indifferente e il deluso vista in streaming. Oggi non ha migliorato molto il suo voto: il regista non rinuncia mai a dare la sua interpretazione del soggetto inventandosi dei precedenti che non si trovano né in Strauss né in Wilde, e quindi possono poi giustificare ogni deviazione rispetto all’originale.

Per il resto invenzioni riciclate (lo sferone appeso al soffitto che ricorda Prova d’Orchestra) o pacchianate a buon mercato, come la testa di Jochanaan che sale dal pozzo come un grande cammeo incastonato in un gigantesco ostensorio da altare, mentre alla povera Salome tocca accarezzare e baciare un rinsecchito teschio amletico… Oppure l’infinite volte abusato trucco di presentare una controfigura della protagonista da bambinella che assiste all’ammazzamento del padre, per spiegare perché la bambinella medesima sia cresciuta con qualche freudiano problemino…

Ma tutto sommato Michieletto ne ha fatte anche di peggio, quindi accontentiamoci così.

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