XIV

da prevosto a leone
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15 agosto, 2011

Il Lohengrin di Neuenfels da Bayreuth



Per la prima volta da che il Festival esiste, una rappresentazione è stata irradiata in video in tutto il mondo, via satellite da ARTE. Chi, come il sottoscritto, era in un luogo sparabolato ha potuto vedersi tutto in diretta-diretta, via web-streaming, per la modesta cifra di €14,90, da devolversi alla simpatica Kathi Wagner, co-tenutaria del baraccone.

Su questo allestimento (che inaugurò l'edizione 2010) per il vero si sapeva ormai tutto, essendo circolate recensioni, esegesi, foto e clip in abbondanza, ma vedere l'intera opera, sia pure in video, consente a ciascuno di noi di farsi un'idea più diretta e precisa della sua messa in scena.

È d'obbligo partire dall'esame della lettera dell'opera (il testo e le didascalie): ciò è opportuno spesso, ma massimamente necessario in Wagner, poichè fra testo e musica c'è totale simbiosi e mutua dipendenza, tanto che l'uno non può essere apprezzato senza l'altro. L'opera ha anche uno spirito (magari multi-forme) che si può desumere informandosi sulle circostanze generali e personali in cui ess fu composta, o sullo scenario storico, filosofico, religioso che in essa viene presentato: in altre parole, è possibile individuarne anche alcuni significati - diciamo così – nascosti nelle pieghe del testo, come della musica.

Orbene, la lettura del libretto del Lohengrin ci informa che trattasi di argomento storico-leggendario con fortissime connotazioni e implicazioni religiose. Storico perché ambientato nella prima metà del X Secolo (pieno medio-evo, quindi); sono i tempi di Zoltàn (869-948) capo degli Ungari, nipotini di Attila, che scorrazzò per mezza Europa (arrivando fino a Napoli, tanto per dire) e che pur non essendo nominato di persona, è evocato come minaccia mortale dal Re di Germania, Heinrich der Vogler (Enrico I l'Uccellatore, 876-936). Storico anche il luogo: Antwerp, nell'odierno Belgio, alla foce della Schelde. Argomento invece leggendario, poiché tale è il personaggio di Lohengrin, figlio di Parzival, di stanza nel Montsalvat, la dimora dei cavalieri del Gral (la sacra reliquia della coppa dell'ultima cena). Con connotazioni religiose, perché vi si contempla l'aperto confronto-scontro fra religioni: da un lato le credenze antiche, impersonate da Ortrud, e dall'altro il Cristianesimo che ormai dilaga anche al Nord, e che per Ortrud ha i suoi campioni (e nemici da distruggere) nei fratelli Elsa e Gottfried (e poi in Lohengrin medesimo).

La vicenda è perciò leggendaria (inventata da Wagner a partire da racconti medievali) ed anche caratterizzata da un apparentemente gratuito determinismo: Lohengrin arriva a salvare Elsa proprio al momento giusto, dopo esserle apparso in sogno (similmente l'Holländer capita – per caso!? - da Senta, che ne teneva già un quadro con l'effige appeso in casa, e a cui ha appena finito di cantare la sua ballade!) In più – cosa a prima vista al limite del grottesco - arriva a bordo di una scialuppa trainata da un cigno.

Ma qui ogni cosa ha una spiegazione precisa nel soprannaturale (che tutto può significare, tranne che banale): a Montsalvat, che è una specie di distaccamento terrestre del mondo divino, tutto si conosce e tutto si vede. Quindi la magìa con cui Ortrud - una specie di sacerdotessa/fattucchiera delle religioni pre-cristiane - ha trasformato Gottfried in cigno e la terribile accusa di fratricidio da lei inventata a carico di Elsa, sono state immediatamente notificate a Parzival, capo e custode supremo del Gral, che incarica il figlio – una specie di angelo custode di professione - di recarsi sul posto per fare giustizia. E Lohengrin non a caso vi arriva – e con svizzera puntualità - su una barchetta trainata precisamente da quel cigno! Il compito di Lohengrin – proprio come quello dell'avvocato Ghedini, smile! – è di scongiurare un errore giudiziario (la condanna di Elsa) ma non solo: se Lohengrin saprà guadagnarsi la fiducia totale ed incondizionata di Elsa per almeno un anno, ecco che il Gral farà anche la grazia di ritrasformare il cigno in Gottfried.

Tutto questo lo si legge nel libretto, e lo si ascolta in musica, a partire dall'aria In fernem Land, che il protagonista canta nel terzo atto, dopo che Elsa lo ha, per così dire, tradito. Ma che Lohengrin abbia a che fare con il soprannaturale lo sospettano tutti fin da subito: non per nulla Elsa, il Re e il popolo, già dal suo apparire lo apostrofano come Gottgesandter, inviato da Dio! Quanto ad Ortrud, lo spavento mortale da cui viene attanagliata alla vista di quel cigno ci dice inequivocabilmente che lei deve avere al riguardo la coscienza alquanto sporca.

Apprendiamo poi che Lohengrin viene anche cooptato dal Re e dai Brabantini come loro condottiero contro i nemici orientali: rappresenta quindi anche l'uomo della provvidenza sul piano politico, poiché mette d'accordo tutte le fazioni brabantine occupate in lotte fratricide, e ricrea nella gente del Brabante uno spirito patriottico, verso la propria regione, ma anche verso l'Impero tedesco.

Scopriamo anche che l'accusatore di Elsa al processo (Friedrich von Telramund, un Conte brabantino, cristiano) è in realtà vittima di plagio da parte della moglie Ortrud, che lo ha convinto a sostenere l'accusa. I dettagli ce li narra lo stesso Friedrich, prima al processo e poi durante il drammatico faccia-a-faccia con la moglie all'inizio del secondo atto: a lui Elsa e Gottfried erano stati affidati dopo la morte del loro padre, il Duca di Brabante, di cui lui si riteneva il naturale successore, e quindi pretendente alla mano della ragazza, che invece l'aveva rifiutato. Solo a questo punto interviene Ortrud con il suo disegno criminale: fa sparire Gottfried, trasformandolo in cigno, e confida a Telramund di aver visto Elsa affogare il fratellino in uno stagno. Ed è ora, dopo il rifiuto di Elsa e dopo la sparizione di Gottfried, che Friedrich decide di sposare Ortrud, che lo ha ormai in pugno e che gli fa balenare la possibilità di conquistare il potere attraverso l'eliminazione dei due eredi naturali! Al processo, Friedrich si mostra assolutamente sicuro di sé (in realtà di Ortrud) ma quando perde la causa gli si aprono gli occhi sulla macchinazione della moglie. Lui è debole, ma in fondo è sincero e pure timorato di Dio: ha perso l'onore, invoca addirittura la morte e vorrebbe allontanarsi dall'abbietta zingara, colpevole della sua rovina, e bestemmiatrice contro Dio. Invece è ancora lei a plagiarlo, una seconda volta, insinuandogli il dubbio che Lohengrin-Ghedini sia un mago-furfante (senti chi parla…) che ha prevalso al processo in forza di un qualche sortilegio (una legge ad-personam? smile!) Lo convince quindi a tessere la sua tela volta a colpire l'anello debole della catena dei suoi nemici: Elsa.

Sul fronte religioso, che Ortrud rappresenti tutta la negatività delle credenze pre-cristiane emerge in modo sconvolgente nell'esternazione - con invocazioni a Wodan e Freia perché annientino i rinnegati (cristiani) - che lei fa subito dopo aver convinto Elsa del (falso) pentimento di Friedrich: Benedite in me l'inganno e l'ipocrisia! E poi, ovviamente, nel selvaggio quanto fallace grido di vittoria del finale.

C'è ancora da notare il comportamento del popolo (uomini e donne di Brabante) e dei soldati sassoni e turingi di Heinrich: le donne sono tutte dalla parte di Elsa, sentono che una come lei non può essere colpevole; ma anche gli uomini, pur inizialmente fedeli a Friedrich, mostrano per lei grande rispetto e persino ammirazione (Ah! com'ella appare luminosa e pura!) Non hanno per nulla un partito preso contro di lei, ma attendono fiduciosi il giudizio (A noi conceda la clemenza del cielo, che chiaro apprendiamo, chi sia qui il colpevole!) Insomma, chi ce l'ha con Elsa è soltanto Ortrud e, per suo tramite, Friedrich.

Quanto alla sua personalità, Elsa è di certo una tipica donna wagneriana (del Wagner della prima ora, peraltro): innocente, ingenua, timida, fragile e pia. Uno scherzo da ragazzi, per una strega come Ortrud, papparsela in un sol boccone. E qui si sollevano perciò, contemporaneamente, la questione femminile e quella della dicotomia fede-amore. La fragilità di Elsa, unita alla sua candida buona fede, la porta ad essere succube delle trame di Ortrud-Friedrich, che la spingono poco a poco – tutto il secondo atto è occupato da questo scientifico quanto perfido lavaggio del cervello - a vivere come insopportabile l'imposizione di cui è stata fatta oggetto (non dover chiedere mai al marito chi egli sia e da dove sia venuto). Il suo cedimento, la domanda che lei rivolge a Lohengrin è il tradimento della sua fede, ma testimonia il suo amore per lui: subito confermato dal suo tempestivo intervento a protezione del marito, allorquando Friedrich irrompe nella camera nuziale per ferirlo.

La storia si conclude effettivamente con parecchi fallimenti: Elsa muore per non aver avuto abbastanza fede, Ortrud per aver avuto una fede sbagliata, Friedrich per aver seguito una moglie dedita alla stregoneria. Lohengrin se ne torna a casa sconsolato, tristemente appoggiato allo scudo, ed a capo chino: in fondo, dopo l'iniziale successo (come avvocato difensore di Elsa) lui non ha saputo essere convincente, ha perso la battaglia contro le forze della religione nemica e ha mancato così la seconda parte della sua missione (liberare Gottfried). Per di più è andato in bianco anche sull'obiettivo personale, di vivere un amore terreno e carnale.

Ma nella storia troviamo anche più di un successo: la sconfitta di Ortrud - e con lei di un'intera civiltà - in fondo è quella delle antiche credenze oscurantiste, di fronte ad una religione più evoluta e moderna. Che sa premiare anche chi è debole nella fede (Elsa) e chi si rivela un mediocre ministro del culto (Lohengrin) come dimostra il fatto che, nonostante tutto, la grazia del Gral, implorata in ginocchio dal bocciato Lohengrin, arrivi comunque, sotto forma di restituzione di Gottfried alla sua natura di essere umano. La qual cosa comporta anche - sul piano politico – il riconoscimento divino dell'autorità temporale di Gottfried (tramite la spada che Lohengrin lascia per lui) e la garanzia per il suo Paese di un futuro di concordia e di sicurezza, includendovi quindi anche la necessità di guerre difensive. E, sempre per restare alla politica, c'è una buona, anzi ottima notizia anche per Re Heinrich: la profezia che Lohengrin gli fa, secondo la quale mai più in futuro la sua Germania verrà invasa dalle orde orientali. (Quest'ultimo passaggio è in realtà quasi sempre tagliato, anche a Bayreuth: Wagner fu il primo ad autorizzarne il taglio… chissà se lo fece perché si sentiva smentito dalla storia?)

Ecco, questo è ciò che leggiamo nel testo ed ascoltiamo nella musica che a quel testo è legata a filo doppio.
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Se poi esploriamo sommariamente lo scenario generale e le vicissitudini personali di Wagner al tempo in cui l'opera venne composta, al fine di individuarvi qualche possibile significato latente, possiamo identificare almeno due filoni: quello politico e quello artistico.

Sul piano politico, conosciamo bene la convinzione del compositore che la società del suo tempo fosse sulla strada dell'imbarbarimento, e necessitasse perciò di una scossa rivoluzionaria, che Wagner stesso, a fianco di gente come Bakunin, cercò di dare. Peraltro il nostro non prefigurava alcuna dittatura del proletariato, ma assetti istituzionali del tipo repubblica presieduta dal Re (!) idea che in fondo è abbastanza coerente con i ruoli e le figure di Heinrich e Gottfried come presentati nel Lohengrin. La cui partitura era ancora fresca quando Wagner fuggì da Dresda, accusato di sovversione e inseguito da un mandato di cattura. Ma era troppo tardi perchè il fallimento della rivoluzione potesse trovar posto all'interno dell'opera.

Sul fronte artistico, sappiamo come Wagner avvertisse acutamente la conflittualità fra un Artista moderno e innovatore (quale lui si reputava) e l'establishment culturale. Insomma, Wagner (come Lohengrin) vorrebbe far del bene all'Arte, ma non trova nessuno che si fidi di lui. (O quasi nessuno, bisognerebbe dire, poiché il futuro suocero fece di tutto proprio per mettere in scena Lohengrin, a Weimar, nel 1850).
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Adesso arriviamo al caro Neuenfels, il quale, nella più classica ed ortodossa applicazione dei canoni del Regietheater, si inventa un Konzept, vale a dire una sua personale concezione dei contenuti dell'opera, da presentare al - e condividere (!?) col - pubblico; concezione che ovviamente trae spunto da contenuti dell'opera medesima, ma poi li trascende in misura più o meno grande, fino a stravolgerli completamente, rendendoli con ciò – purtroppo - del tutto incompatibili con la musica, che da quei contenuti originali era stata ispirata.

Siamo in un laboratorio di ricerca sui comportamenti dei topi, poichè evidentemente per Neuenfels gli uomini non sono diversi dai roditori: anche loro al massimo possono mostrare qualche vaga e fallace reazione ad alcuni stimoli fisici cui vengano sottoposti in laboratorio – da un loro simile, trasformato in agente provocatore/facilitatore - ma nulla più. Insomma, l'animale Uomo è soltanto un animale - come gridava anche il simpatico Bracardi (ma lui non lo faceva interpretando Lohengrin): l'uomo è 'na besctia! - irrecuperabile a qualunque elevazione culturale/spirituale.

Chi sia il padrone, o il CEO, di questo istituto di ricerca non è dato sapere, ma l'unica spiegazione sensata è che sia proprio un certo Hans Neuenfels, noto ricercatore nel campo dell'esistenzialismo e della sociologia applicati al teatro musicale. I protagonisti, tutti non-topi (magari ex-topi: Lohengrin, Elsa, Ortrud, Heinrich e l'Araldo; oppure topi che sembrano ex-, come Friedrich) sono verosimilmente diventati dei consulenti dell'istituto. Vediamo all'opera anche qualche volgare assistente in camice sterile (portantini, inservienti vari). Per il resto: topi. Che sarebbero poi i brabantini (maschi e femmine) e i guerrieri sassoni e turingi di Heinrich. A proposito, Wagner tiene moltissimo a distinguere fra i locali e i tedeschi, anche musicalmente, mentre per Neuenfels son tutti… topi. L'inizio della scena finale è paradigmatico: Wagner ci descrive i brabantini che arrivano in 4 gruppi, da 4 punti diversi (e accolti con altrettanto diverse tonalità dall'orchestra) e successivamente i turingi-sassoni con il Re; Neuenfels invece fa suonare l'orchestra a scenario vuoto (in TV ci hanno mostrato il backstage, con i coristi che si vestivano da topi per l'entrata in scena) e poi ci presenta tutti quanti i roditori indistinti (femmine incluse) bardati da teste di cuoio
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La prima conseguenza di questa geniale scelta è la radicale eliminazione di tutti i riferimenti storici: Heinrich, la cui visita in Brabante è – non dimentichiamolo – il contenitore di tutta la storia, per Neuenfels praticamente non esiste, ridotto ad una specie di volgare capo-banda (anzi, branco) ormai completamente paranoico, che fatica a reggersi in piedi (però in scena continua a cantarci on nobiltà assoluta i suoi problemi imperiali con gli Ungarn). E che i Brabantini si uniscano per fronteggiare, insieme al Re, un pericoloso nemico, al regista deve dare proprio fastidio, lui dev'essere uno di quelli che si ammantano di iride e manifestano contro tutte le guerre e le armi, senza se e senza ma. E quindi non perde l'occasione per propinarci il suo anti-militarismo a buon mercato, mostrandoci l'uomo come esclusivamente animato da volgare aggressività. Però noi sentiamo i topi cantare versi di questo tipo: Quand'io l'odo così l'altissima sua stirpe provare, arde il mio occhio di lacrime dolci e sacre.

In compenso, il nostro ci dà un saggio di ipocrisia tutta tedesca, con un piccolo, ma significativo (e nemmeno nuovo) ritocco al libretto: nel verso Zum Führer sei er euch ernannt! con cui Lohengrin presenta il Gottfried risorto dalle acque, il regista sostituisce Führer con Schützer, pensando così (poveretto!) di risparmiare a Wagner l'ennesima accusa di essere il papi di Hitler…
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I colori degli abiti dei personaggi e dei topi – e le loro mutazioni nel corso del dramma - hanno evidentemente un significato: i topi neri rappresentano l'umanità al livello più basso di evoluzione, e sono tutti maschi; nero è anche il Re, loro capo decrepito e rincoglionito, ma pur sempre famelico. Quelli bianchi sono esseri più evoluti, meno aggressivi, e sono femmine (qui Bracardi dissentirebbe assai, smile!); bianca è anche Elsa, che evidentemente (come si addice al suo status di nobile) è la prescelta per l'esperimento di elevazione spirituale. Ci sono poi personaggi in grigio, come Ortrud e Friedrich (e l'Araldo, una caricatura di Peter Sellars, smile!) che evidentemente si trovano in uno stadio di evoluzione intermedio, ma sono soprattutto dominati dalla sete di potere. Poi ci sono anche i topolini rosa (ma che carini!) nel ruolo di paggetti degli sposi.

I topi, che durante il primo atto (dopo l'arrivo e poi la vittoria di Lohengrin su Telramund) si erano spogliati della pelle di topo ed erano apparsi con abiti gialli (quindi chiari, anche se non ancora bianchi) mostrando qualche progresso evolutivo (salvo mani e piedi, um… zampe) nel secondo atto assumono apparenze umane, ma sono in completo (smoking) nero - gli uomini - e con vestiti sgargianti le donne. Però gli spunta un metro di coda! Ma tutti, alla fine dell'opera, tornano irrimediabilmente a coprirsi di nero, uniti dall'aggressività bellicosa. E neri tornano anche quelli che prima erano bianchi, le femmine (così anche Bracardi è accontentato!) Ed ancor prima di aver saputo chi Lohengrin sia, recano già sulle loro divise i suoi due simboli: il cigno e una grossa L.

In effetti, Lohengrin si direbbe essere un ex-topo nero, che evidentemente ha scalato qualche gradino dell'evoluzione, superando precedenti test di laboratorio: all'inizio è vestito in buona parte di bianco, come ci viene già mostrato durante l'esecuzione del Preludio, dove appare nell'atto di sforzarsi di uscire dal laboratorio (Montsalvat, Gral, Parzival? tutte stupidaggini: peccato per Neuenfels che poi Lohengrin continui a cantarcele); Lohengrin arriva nel laboratorio per cercare di elevare alla sua altezza anche Elsa, ma alla fine ritorna nero pure lui, poiché il suo esperimento è fallito. Anche lui è ritornato allo stadio più basso dell'evoluzione, nel preciso momento in cui ha fatto secco Telramund, subito dopo aver constatato il fallimento del suo esperimento con Elsa. (Però, chissà perché, i topi di Neuenfels continuano ad apostrofarlo come den Gott gesandt!) Nel finale, nera torna anche Elsa (vestita a lutto, con tanto di veletta e scarpe in mano) mentre Ortrud si trucca oscenamente da cigno bianco per la sua chiassata.

Neuenfels dev'essere ateo, dal momento che ignora quasi del tutto ogni aspetto soprannaturale del dramma (e stiamo parlando di uno dei pilastri dell'opera!) Niente Montsalvat, niente Gral, Lohengrin è un semplice uomo con ascendenze rattiche, non si notano conflitti religiosi, Ortrud è declassata al rango di volgare mestatrice e imbrogliona: la prima scena del secondo atto ce la mostra insieme a Friedrich accanto ad un carro rovesciato (con la carcassa di un cavallo, rigorosamente grigio, come i padroni) sul quale i due stavano evidentemente cercando di fuggire con un carico di valigie colme di banconote e preziosi… (inutile dire che testo e musica stanno agli antipodi, beato il regista). Il crocefisso che accompagna il corteo nuziale viene dapprima sequestrato da due inservienti - stipendiati dal CEO Neuenfels, ovviamente - e non da Ortrud come si potrebbe immaginare… wagnerianamente, e poi recuperato da Lohengrin che lo brandisce quasi come un'arma… tutto qui.

Un filo di problematica para-femminista magari si intravede, ma proprio di sfuggita: Elsa è trasformata in SantaSebastiana dai maschi, che però nel mentre la infilzano di frecce con atteggiamento truce, cantano Ah! com'ella appare luminosa e pura! Nella scena della camera nuziale, ad Elsa viene negato anche il piccolo riconoscimento di essere lei a gettare a Lohengrin l'arma con cui far secco Telramund: invece è Lohengrin che disarma il fedifrago e lo abbatte con la di lui spada. A proposito di spade: Lohengrin arriva senza nulla, ed infatti anche per il duello del primo atto lui usa – irrispettosamente – la spada del Re… Però alla fine, miracolosamente, si ritrova – oltre al corno e all'anello – anche una spada da consegnare all'inebetita Elsa.

Quanto ai riferimenti all'Artista in un mondo indifferente se non ostile, non se ne vede la minima traccia.

Ma allora, qual è questo benedetto Konzept? Semplicemente: il più profondo pessimismo (del regista, non già di Wagner) sulle capacità umane (singoli e comunità) di evolvere in senso positivo, di migliorarsi e di progredire culturalmente e spiritualmente. Alla base di questa produzione sta il nichilismo più totale e disperato: il destino dell'umanità (secondo il regista) è quello di ripiombare ogni volta e irrimediabilmente nella barbarie, dopo aver inutilmente tentato di uscirvi.

Qualche dato a supporto: la barchetta di Lohengrin è una bara, che compare anche nella camera nuziale e poi alla fine. I tre filmati con le tre verità (di Neuenfels) ci mostrano solo topi famelici, che nell'ultimo addirittura inseguono e scarnificano completamente un povero cane. Persino il cigno, simbolo dell'ideale cui gli uomini anelano - e nella leggenda wagneriana un essere umano che… meriterebbe rispetto – viene qui assai bistrattato: già traina una bara, e passi, ma alla fine del primo atto compare del tutto spennato e con le palme nere; poi nel secondo (quando Elsa ne ha il presentimento) ricompaiono le sue penne dentro alla solita bara. Infine si mostra per quel che veramente è, quando dal suo uovo nasce – al posto di Gottfried – quella spaventevole chimera (dai tratti orientali!) che al calare del sipario finale distribuisce all'umanità annichilita code di topo ricavate dal proprio cordone ombelicale: ecco, è proprio il simbolo tragico e sconvolgente di questa vision. Domanda a Neuenfels: ma perché, in sì apocalittico scenario, dal golfo mistico ci arriva pur sempre l'accordo perfetto di LA maggiore - invero celestiale - del Gral?

Ora, pochi dubbi che l'idea di Neuenfels sia in sé e per sé intelligente, affascinante e soprattutto splendidamente rappresentata. Lui in effetti sa come far muovere i personaggi: esemplare al proposito la scena nella camera nuziale. (Peccato però che il nostro non si trattenga da gigionate dissacranti, come quando, in detta scena, Lohengrin strapazza la recalcitrante Elsa come le dovesse dire: allora me la vuoi dare una buona volta, zoccola? Invece sta cantando Non respiri tu con me i dolci profumi?) Anche i movimenti dei topi, pardon… dei cori sono sapientemente gestiti, salvo qualche andirivieni dalle quinte piuttosto gratuito, quando sarebbe bastato qualche gioco di luce per ottenere lo stesso effetto.

Insomma, uno spettacolo di alto livello, niente da dire… o quasi. Perché un piccolo, insignificante dettaglio c'è: con il Lohengrin di Wagner – testo e massimamente musica c'entra precisamente come i cavoli a merenda! E la salva di buh che ha accolto lo spegnersi delle luci era tutta per il regista (che non si è di certo fatto vivo alle chiamate).

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Sul fronte musicale, nessuna sorpresa rispetto all'audizione radio della prima, il 27 luglio. Un discreto Andris Nelsons che per me ha un poco sbandato qua e là con i tempi (per lui infatti solo applausi… asettici) e un grande coro (Eberhard Friedrich e i suoi hanno ricevuto autentiche ovazioni).

Klaus Florian Vogt (vocina sottile, ma efficace) e Annette Dasch (una Elsa abbastanza dignitosa, anche se non trascendentale) hanno trionfato, facendo tremare i tavolati del teatro:



Bravissimi per me anche Petra Lang, una Ortrud impeccabile e Georg Zeppenfeld, il Re paranoico (smile!) Un po' sotto la media Jukka Rasilainen, che rimpiazzava Tòmasson come Friedrich. Una nota speciale anche per l'Araldo, Samuel Youn. All'altezza del compito i 4 nobili.
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27 luglio, 2010

Il Lohengrin di Neuenfels: perché è Eurotrash


La nuova produzione bayreuthiana di Lohengrin, che ha aperto fra i buh (per il regista Hans Neuenfels) l'edizione 2010 dei Festspiele ha riportato (prevedibilmente) alla luce il problema delle regìe moderne, o post-moderne, del teatro musicale. Che sono in genere costruite con il seguente procedimento: il regista cerca nell'originale uno spunto (magari cui l'Autore stesso nemmeno aveva pensato!) interessante per lo spettatore moderno, ci costruisce sopra il suo Konzept, e poi ne trae tutte le conseguenze, poco o punto curandosi di quanto esse finiscano per allontanare la sua interpretazione dall'originale.
Prendiamo appunto il Lohengrin di Neuenfels. Come ha acutamente osservato A.C.Douglas (uno dei più autorevoli blogger americani in campo musicale) l'operazione di Neuenfels è assolutamente interessante e intelligente, ma salvo che per un piccolo particolare, come si vedrà.
Che spunto ha tratto Neuenfels dalla lettura del Lohengrin? Quello di una società – la nostra, perchè lo spettatore del 2010 non è quello del 1850, caspiterina! – che si avvia all'autodistruzione poiché priva di amore, dove ogni individuo è indifferente agli altri. E come rappresentarla? Come un laboratorio in cui si fanno esperimenti su una popolazione di topi (così vengono vestiti i coristi).
Poi accade che a noi, individui insignificanti di questa società senza amore, venga concessa una possibilità – come dire – di salvezza: possiamo finalmente diventare più umani, persone migliori ed avvicinarci all'utopìa della perfezione. Chi ci porta questa possibilità? Lohengrin!
Ma c'è una condizione (un trucco?): noi dobbiamo avere una fiducia cieca e totale in Lohengrin, e non chiedere spiegazioni. La cosa pare funzionare e infatti – alla fine del primo atto – i topi si tolgono la loro pelle di topo e sotto di essa appaiono dei moderni abiti gialli, che mostrano persone giovani, innocenti e credenti. Però sempre con mani e piedi da topo, perché deve essere chiaro che – sotto-sotto – sono sempre topi da laboratorio.
E infatti l'illusione svanisce e il dubbio insinuato da Ortrud in Elsa arriva come una bara piena di piume di cigno a metter fine all'utopìa. E poi, quando Lohengrin si prepara a partire, ecco che, invece del cigno, Lohengrin mostra un enorme uovo da cui esce un orribile e mostruoso neonato. Che si taglia il cordone ombelicale, lo fa a pezzi e li butta, come codini, agli individui lì convenuti, perché la festa è finita, e loro devono tornare topi quali erano in partenza.
Beh, conclude A.C.Douglas, in fin dei conti un'idea per nulla malvagia.
Qual è il piccolo, insignificante dettaglio che manda tutto a (meretrici) buh?
È la musica, stupido!

25 luglio, 2010

Piccola cronaca remota dell’apertura dei Festspiele 2010 a Bayreuth

Dopo la defezione del Telramund pugliese Lucio Gallo (di cui pare nessuno si sia accorto, neanche quelli di Radio3, tranne i tipografi costretti a correggere le locandine già stampate) questo Lohengrin ha rischiato di perdere (anzitempo, smile!) anche la sua Elsa Annette Dasch. Mentre si preparava ad una delle ultime prove per il suo debutto sulla verde collina, è stata proditoriamente colpita al capo da un oggetto scagliato dal paparino di Lohengrin, tale Parsifal, evidentemente invidioso delle imprese amorose del figlio (…questa è ovviamente una ricostruzione romanzata del piccolo incidente occorso alla bella soprano).

Poi tutto si è sistemato e la kermesse ha potuto prendere il via, col solito preludio costituito dall'arrivo e dalla passerella del solito caravanserraglio dei soliti vip che, in cambio dell'enorme – per loro – sacrificio di dover sopportare ore e ore di musica – per loro - pallosa, possono sfoggiare le loro strampalate acconciature ed essere visti in tutto il mondo, senza tirar fuori un solo centesimo. Qualcuno, negli intervalli, viene anche intervistato e – toh, che strano! – racconta mirabilie anche delle più grandi idiozie viste e/o udite. Però la cosa non si ripeterà più fino al prossimo… fine luglio 2011.

In attesa che la (ormai non più) piccola Kathi decida di far irradiare anche le immagini delle rappresentazioni in mondovisione (è solo questione di tempo, di montagne di quattrini in ballo e del modo più furbo e sicuro per estorcerli a milioni di interessati, proprio nella più genuina tradizione inaugurata dal capostipite della famiglia) ci accontentiamo ancora della radio, quella cara e vecchia a MF (o addirittura in OM!) o quella nuova digitale, che ci arriva sul laptop o magari sul telefonino. Una goduria, questa! e sarà da vertigine quando il tutto funzionerà in chat, con Kaufmann che implora: Elsa, che vuoi tu osare? e una eccitata cinesina che interloquisce: La tua cosa più glande!

Non per essere maliziosi, ma l'ascolto radiofonico ha molto spesso il grande privilegio di non farci distrarre (termine politically correct per: vomitare) da immagini e scene propinate dal famoso regista-tabagista di passaggio (che si sussurra sarà richiamato nel 2013 per allestire il Ring del bicentenario. Auguri).

Esauriti gli argomenti seri, veniamo alla cronaca.

Le operazioni si aprono alle ore 15, quando le radio cominciano ad occuparsi dell'avvenimento. Alle 15:57 arrivano in diretta i primi suoni: è la fanfara che chiama il pubblico a raccolta, dal balconcino sovrastante l'ingresso. Per il primo atto ci propina il richiamo dell'Araldo del Re Heinrich:




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Poi il classico brusìo della sala, l'ingresso in incognito del Kapellmeister (il giovane di belle speranze Andris Nelsons, anche lui al debutto giù nel torrido Orchestergraben) e infine le quattro sezioni dei violini attaccano la perfetta triade di LA maggiore, seguite da flauti e oboi e poi dai quattro violini solisti, in armonici. È lo straordinario incipit, che sempre toglie il respiro.

Il Preludio scorre assai bene e Nelsons dimostra per ora di essere all'altezza del non facile compito.

Nel primo atto compare subito Samuel Youn, che impersona l'Araldo del Re: una parte per nulla secondaria, che viene sostenuta con grande dignità ed efficacia. Non altrettanto direi di Re Heinrich (l'uccellatore… di brabantini) che è Georg Zeppenfeld, poco appariscente. Come e peggio di lui Telramund che, in luogo del nostro Gallo, era Hans-Joachim Ketelsen: di casa a Bayreuth nella penultima decade e recuperato in fretta e furia, è parso incerto persino nell'intonazione.

Brava Annette Dasch, che deve aver perdonato l'invidioso – e molto provvisorio – suocero per il citato scherzetto della vigilia: voce forse non potentissima, ma assai espressiva.

Jonas Kaufmann ha mostrato i suoi ormai noti pregi e difetti: quando canta a piena voce, nulla da eccepire. Quando deve fare una mezza-voce, come all'entrata, sul saluto al cigno, emette suoni sgradevoli, a metà fra il falsetto e l'ingolato.

Ingiudicabile – per ora - Evelyn Herlitzius in Ortrud, visto che ha cantato solo nel concertato finale, che mi è parso peraltro costellato da diverse imprecisioni nelle varie entrate.

Un primo atto senza infamia né lode, accolto alla fine da applausi non proprio entusiastici e da diversi buh (immagino alla intellettualoide regìa di Neuenfels).

Nell'intervallo, a Radio3 parla, da Firenze, Daniele Spini, il quale confessa di non avere presente la faccia di Kaufmann ed è anche lui convinto che Telramund sia cantato da Lucio Gallo. Poi fa considerazioni magari anche interessanti, dialogando con Guido Bossa e Marco Mauceri che è sul posto.

Poco dopo le 18 riecco la fanfara che preannuncia il secondo atto; suonando il tema del dubbio che si è insinuato nel cuore di Elsa:




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Si inizia col duetto Telramund-Ortrud, che riserva qualche sorpresa: Ketelsen pare decisamente migliorato, mentre la Herlitzius mi delude assai, urlando gli acuti, su cui ha uno sgradevolissimo vibrato e mostrando difficoltà evidenti di intonazione negli attacchi.
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Sempre bene la Dasch e sempre uguale a se stesso Kaufmann, che spara bene i LA acuti in forte, ma continua a falsettare le frasi da cantare piano (come Komm, lass in Freude… e anche Elsa, erhebe dich… e infine Heil dir, Elsa…)
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Discreti i cori che costellano l'atto. Per l'accoglienza alla fine, idem come sopra: un isolato bravo! (ma per chi?) applausi di cortesia e un sottofondo di buh, indubbiamente per la regìa.
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Secondo intervallo: il regista Denis Krief e Marco Mauceri da Bayreuth sospettano di volontà dissacratoria da parte di Neuenfels. Krief parla di parodia e Mauceri confessa di aver chiuso gli occhi per godersi la musica. Evviva la sincerità! Finalmente si annuncia che Telramund non è Lucio Gallo!
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Alle 20:30 l'ultima fanfara per il terzo atto; che chiama tutti col tema del Gral:






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Dopo il rumoroso preludio, ecco la famosa marcia nuziale, attaccata da Nelsons con un piglio invero eccessivo: dal moderatamente mosso ha cancellato di sana pianta il moderatamente! Forse nell'allestimento di Neuenfels pioveva e il corteo doveva fare in fretta…

Il duetto Lohengrin-Elsa ripropone pregi e difetti dei cantanti, soprattutto di Kaufmann, che poi mostra il suo lato-B (quello meno presentabile) nella prima parte di In fernem Land e in seguito nel Mein lieber Schwan. Tagliate – more solito - le 97 battute che precedono l'arrivo del cigno. La Herlitzius fa ancora a tempo a urlare smodatamente le sue maledizioni, e finalmente il Gral chiude con gran fracasso.

Applausi – più o meno calorosi - per tutti i Musikanten.

Una bufera di buh per Neuenfels: meno male che a noi poveri pirla è stata risparmiata la fatica di spremerci le meningi per capire il suo Konzept!

20 luglio, 2010

Domenica 25 Bayreuth apre con Lohengrin

Fra pochi giorni Lohengrin aprirà una nuova tornata della kermesse di Bayreuth. Molto atteso il debutto di Jonas Kaufmann, che potrebbe installarsi sulla verde collina per qualche decennio, eventualmente passando – verso il 2050, duecentesimo della prima del Lohengrin - dal ruolo del protagonista a quello di Telramund, analogamente a quanto sta facendo di questi tempi il buon Topone (smile!)

L'altra ansiosa (?!) attesa riguarda, come sempre, la regìa, affidata all'ex-bambino terribile Hans Neuenfels. Che vede Lohengrin come un particolare tipo di salvatore, un consulente impegnato in un pazzo compito: risolvere un’intricata situazione in un’azienda bloccata da lotte, invidie e odio. E che opera, in un laboratorio, facendo test su animali che si vogliono umanizzare. Qualche allibratore forse offrirà di scommettere su quanti buh saluteranno l'allestimento. Ma ormai questo è ciò che rende vivace il Festival.

Per chi seguirà alla radio invece sarà interessante ascoltare la direzione musicale di Andris Nelsons, un lettone che sembra seguire le orme del suo famosissimo compatriota Mariss Jansons.

Piccola delusione per noi italiani, il mancato debutto, causa malattia (?!) di Lucio Gallo come Telramund: per sentire una voce italiana a Bayreuth bisognerà aspettare ancora…

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Soggetto e poema

Wagner scrisse in tutto 13 opere; Lohengrin rappresenta lo spartiacque fra il periodo per così dire tradizionalista della sua produzione, e quello più decisamente innovativo:

fino al 1845: Die Feen / Das Liebesverbot / Rienzi / Der fliegende Holländer / Tannhäuser

1845-1848 Lohengrin

dopo il 1849: Der Ring / Tristan und Isolde / Die Meistersinger von Nürnberg / Parsifal

Si tratta perciò di un lavoro che, pur conservando alcuni legami con la tradizione (dell'opera italiana e del grand-opéra francese) contiene i germi della concezione del dramma musicale che Wagner sta maturando e che si materializzerà, di lì a poco, con il Ring.

Il protagonista maschio (come nelle precedenti due opere) sembra essere sempre al di sopra di ogni giudizio e discussione, sia quando è un corsaro maledetto (Holländer) o quando è uno sfrenato edonista (Tannhäuser); qui invece, è addirittura una specie di angelo venuto dal cielo, a incarnare la provvidenza; ma una provvidenza misteriosa, inspiegabile, onirica e per certi versi paradossalmente persecutoria.

La protagonista femmina è vista come un oggetto passivo: nell'Holländer e nel Tannhäuser svolge il ruolo di donna pia, consolatrice e redentrice, al servizio dell'uomo sfigato e peccatore; qui è invece una donna innocente, indifesa e bisognosa di protezione, ma alla quale è negato persino il diritto di sapere chi è l'uomo mandato da Dio in suo soccorso; e il suo stesso atto di disobbedienza a tale divieto non nasce da una sua positiva volontà di emancipazione, ma rappresenta una chiara manifestazione della debolezza del suo carattere, che soggiace alla straripante personalità di Ortrud.

I cosiddetti comprimari (qui, Friedrich e Ortrud) sono invece gli autentici protagonisti drammatici, a cui Wagner affida i momenti più forti e innovativi dell'intera opera (soprattutto nel secondo atto, la cui prima scena non sfigura certo davanti a quella con cui Klingsor e Kundry apriranno il secondo atto del Parsifal); gli interpreti devono perciò essere un baritono e un soprano pesanti di assoluto valore.

Le principali novità che il Lohengrin introduce a livello musicale sono diverse.

Quasi totale abolizione dei numeri chiusi (arie, cavatine, duetti); ci sono in realtà parecchi dialoghi in musica, precursori di ciò che Wagner farà nel futuro, anche se non siamo ancora ai celebri declamati del Ring.

Della tradizione del grand-opéra, da cui Wagner sta progressivamente allontanandosi, restano qui solo i cori - peraltro già trattati in modo innovativo, nella polifonia delle voci, e che molto raramente cantano all'unisono - e l'inizio della scena finale, con bande e cavalli in palcoscenico!

Comincia a prendere corpo la tecnica dei leitmotive, temi che si legano a personaggi o situazioni e che ritornano più volte nel corso dell'opera (es.: il tema del Gral, quello di Lohengrin, il tema del divieto a chiedere l'identità di Lohengrin, il tema del cigno…); comunque, siamo proprio agli inizi, nulla di confrontabile con la mirabile tecnica di elaborazione dei temi che Wagner perfezionerà a partire dal Rheingold, ma la strada è ormai chiaramente tracciata.

L'orchestra è quella tradizionale (Wagner non ha ancora inventato le sue tubette): tuttavia l'orchestrazione e la coloritura del suono (il preludio ne è un fulgido esempio) sono già molto più avanti rispetto al Tannhäuser, che non per nulla verrà radicalmente rimaneggiato dopo quasi vent'anni dalla sua composizione.

Preludio

75 battute, in tonalità di LA maggiore, con due modulazioni (all'inizio, sulla dominante MI maggiore e - al culmine del preludio - sulla sottodominante RE maggiore).

È solo ed esclusivamente incentrato sul tema del Gral, presentato in una continua progressione del volume del suono, ma non del tempo, che deve restare sempre lento (primo test per il direttore, spesso portato invece ad accelerare) dall'inizio nei violini divisi, flauti e oboi, fino all'apogeo (a piena orchestra, piatti inclusi, a circa due terzi della durata) per poi degradare ancora fino alla fine.

(Wagner anticipa qui, in qualche modo, l'impianto del preludio del Tristan).

Atto I

L'ambientazione resta immutata per tutto l'atto (le rive della Schelde); da un lato re Heinrich con i suoi germanici (e quattro trombe sulla scena) e dall'altro i brabantini, con Friedrich e Ortrud: le due etnìe devono essere sempre ben distinguibili, perciò spesso cantano in cori separati o su linee melodiche diverse e hanno anche due diversi temi, o segnali di riconoscimento.

Tutta la prima scena è occupata da una serie di racconti: l'araldo che spiega cosa fa re Heinrich da quelle parti, il re che fa il suo discorso politico, Friedrich che presenta la falsa accusa di fratricidio nei confronti di Elsa, ancora il re che apre il giudizio, infine l'araldo che chiama Elsa a difendersi. Tutto ciò serve a farci conoscere gli antefatti ed i presupposti dell'azione: quindi si tratta di monologhi o dialoghi, in forma quasi di recitativo, dove Wagner sembra sperimentare la tecnica del declamato, qui ancora con dei risultati piuttosto modesti.

Nella seconda scena, entra Elsa e subito si cambia musica, poichè cominciano ad affacciarsi i leit-motive dell'opera: ancora prima che lei canti, già compaiono due temi, o frammenti di tema, a rappresentarne la fragile personalità e lo stato d'animo dimesso, mentre ascolta le domande del re. Poi, il racconto del suo sogno è preceduto dal tema del Gral e accompagnato da quello di Lohengrin. Ancora, dopo la reiterazione dell'accusa da parte di Friedrich, la domanda del re all'accusatore e poi ad Elsa circa la soluzione della contesa attraverso una tenzone è preceduta, in entrambi i casi, da un possente motivo, esposto da tromboni e tube, che anticipa quel tema del patto che per tutto il Ring tornerà infinite volte a rappresentare la forza e l'inesorabilità della legge e dell'autorità costituita (come si vede, il Lohengrin contiene tanti indizi di ciò che presto si manifesterà apertamente nella produzione di Wagner).

Ancora il tema del sogno ricompare ad anticipare la risposta di Elsa su chi sarà il suo cavaliere. Poi Wagner mostra di sapere come far stare col fiato sospeso gli spettatori, riempiendo di suspence (Elsa che deve invocare più volte il suo salvatore) gli attimi che precedono l'arrivo di Lohengrin sulla barchetta trainata dal cigno. Lohengrin è accolto da un coro generale, che è però suddiviso così: primo coro maschile, secondo coro maschile, entrambi con quattro linee melodiche, e coro femminile, con due linee melodiche; si arriva fino a otto diverse voci sovrapposte!

La terza scena si apre con il tema del Gral nei violini, che introduce i saluti di Lohengrin: al cigno, che lo ha trainato fin lì - ed il relativo tema mostra chiaramente la sua derivazione da quello del Gral (i legami cigno-Gral torneranno molti anni più tardi, nel Parsifal) - e al re, col coro misto che lo accompagna, su sei diverse linee di voci. Poi l'offerta di protezione e di amore di Lohengrin, ancora sul tema del Gral, che Elsa accetta (accompagnata dal tema del suo sogno) ma con la condizione che lei mai gli chieda chi egli sia. E il severo tema del divieto, che si compone di due sezioni, e del cui incipit si ricorderà Ciajkovski nel suo Lago dei Cigni (toh!) appare qui per la prima volta, reiterato da Lohengrin con crescente fermezza:







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Un coro misto a sei voci suggella la dichiarazione d'amore di Lohengrin per Elsa, riprendendo ed estendendo il tema già esposto al momento del saluto di Lohengrin al re.

Lohengrin proclama di scendere in campo per Elsa contro Friedrich, che il coro dei suoi brabantini cerca di dissuadere, cantando diviso in ben sei parti! Friedrich insiste e quindi si prepara la tenzone: l'araldo del re ha ancora occasione di occupare il proscenio, quasi scortato dalla prima sezione del tema della legge, che ne sottolinea le raccomandazioni ai duellanti (come si vede, la sua è una particina non proprio trascurabile, come si constaterà anche nel secondo atto).

Il re fa una lunga invocazione al cielo (e il Gral fa subito capolino) perchè la vittoria premi il buon diritto, poi inizia un grande concertato a cinque: Elsa, Lohengrin, Ortrud (che qui canta per la prima volta) Friedrich e il re, cui presto si aggiungono il coro maschile e poi quello femminile, per un totale di nove linee melodiche! Finalmente si arriva al duello Lohengrin-Friedrich, che è davvero rapidissimo (solo 21 battute di musica) proprio come lo sarà quello Siegfried-Fafner nella seconda giornata del Ring.

Dopo il grido di vittoria di Lohengrin e della folla, Elsa alza il suo canto di ringraziamento e di giubilo (qualcosa di simile a ciò che farà Eva, nei confronti di Sachs, nei Meistersinger). Poi inizia il colossale concertato finale, con i cinque protagonisti - ciascuno dei quali esprime il proprio stato d'animo - e i cori, dove si raggiungono anche le dieci linee melodiche sovrapposte! (soltanto nella scena della baruffa nei Meistersinger, Wagner farà ancor di peggio).

Il tema di Lohengrin, in tutti i fiati, sostiene l'ultima parte del concertato e introduce la cadenza finale (con gli ottoni a produrre un grandissimo fracasso).

Atto II

Non c'è dubbio che questo sia l'atto drammaticamente e musicalmente più intenso (quindi, per gli interpreti, il più arduo da eseguire e, per lo spettatore, il più impegnativo da seguire, anche per la sua lunghezza) dell'intera opera. Forse non è un caso che Wagner lo abbia lasciato per ultimo, in fase di composizione, per meglio farlo maturare nella sua mente (effettivamente qui si sente che il Ring, cioè il futuro, è ormai vicino).

Il preludio orchestrale (degno dei secondi atti del Siegfried o del Götterdämmerung) è caratterizzato dall'esposizione di una lunga melodia negli strumenti gravi, che ben rappresenta musicalmente la personalità oscura e demoniaca di Ortrud; tale melodia è all'inizio interrotta da due spettrali incisi del tema del divieto, suonati dal corno inglese (anche la scelta di questo strumento è illuminante, poichè conosciamo il ruolo che esso avrà poi nel Tristan). È notte, siamo nel centro di Antwerp, fra palazzi e cattedrali (alcuni strumenti sono posti sulla scena, perchè il loro suono deve provenire dall'interno dei palazzi).

La prima scena è davvero il segnale della svolta che Wagner comincia ad imprimere alla sua arte: il dialogo tra Friedrich e Ortrud, pur con qualche cedimento a vecchi stilemi (un paio di versi di Friedrich ripetuti e il canto finale di vendetta dei due all'unisono) è di una potenza drammatica straordinaria ed inoltre mostra con quale sapienza Wagner sia ormai in grado di padroneggiare tutti i risvolti psicologici dei personaggi e dell'azione: lo sfogo di Friedrich contro Ortrud, responsabile delle sue sfortune, poi lei (che anticipa addirittura certi tratti della Kundry del Parsifal) che comincia a tessere la tela della sua vendetta, dapprima riportando al suo fianco il marito ormai sconfortato e poi convincendolo che è Elsa l'anello debole della catena dei loro nemici, sulla quale esercitare quindi la massima pressione psicologica, affinchè infranga il divieto impostole (oboi e clarinetti, poi il corno inglese, ce ne ripropongono il lugubre tema).

Nella seconda scena, che si apre con l'apparizione di Elsa al balcone del palazzo (accompagnata da un frammento della melodia che sosterrà il corteo nuziale, alla fine dell'atto) Ortrud passa all'azione, facendosi riconoscere da Elsa e cominciando ad insinuare in lei dei vaghi dubbi circa la sua futura felicità: nelle sue parole si odono invocazioni a divinità (Wodan, Freia) che ci diverranno familiari nel Ring, mentre qui rappresentano le religioni antiche e le credenze pagane, cui Ortrud è legata, contrapposte al moderno cristianesimo impersonato da Lohengrin. Senza rendersene conto, Elsa sta cadendo nella rete di Ortrud, che procede nella sua azione demolitrice con insinuazioni sempre più pesanti sull'identità di Lohengrin, e lo fa cantando sul tema del divieto, sempre sottolineato dal perfido suono del corno inglese!

Elsa invita Ortrud a seguirla nel palazzo, cantando sul frammento di una melodia che tornerà nel terzo atto, all'inizio del suo dialogo notturno con Lohengrin. La scena si chiude con un duetto delle due, sostenuto e poi concluso da una lunga e bellissima linea melodica, e con Friedrich che si compiace del fatto che l'infelicità stia entrando in quella casa.

Da qui in avanti e per le restanti tre scene, l'atto è tutto un susseguirsi di momenti drammatici, che ne interrompono altri più sereni o maestosi (caratterizzati dalla presenza costante dei cori): sono Ortrud e Friedrich a rompere più volte la solennità dei festeggiamenti, tessendo la loro trama volta a soggiogare la fragile personalità di Elsa, continuando a insinuarle atroci dubbi sull'identità di Lohengrin (a proposito, Lohengrin si identificherà come tale solo alla fine dell'opera; prima, nessuno conosce il suo nome; il parallelo con il primo atto della Walküre - Siegmund - è evidente).

Vediamo: la terza scena rappresenta l'alba del nuovo giorno e la città che si rianima (con i due cori maschili, divisi in otto voci) poi l'araldo che ha ancora modo di mettersi in bella mostra, annunciando i proclami del suo re. Ancora i due cori che acclamano Lohengrin, prima dell'intervento drammatico di Friedrich, che per ora si fa riconoscere solo dai suoi fidi, promettendo vendetta contro lo straniero innominato.

La quarta scena si apre con Elsa che esce dal palazzo, scortata dai cori maschili, su una dolcissima melodia, ondeggiante dal MIb al MI naturale al MIb, che era fugacemente apparsa all'inizio della seconda scena. Si aggiunge poi anche il coro femminile e dei fanciulli, fino alla nuova rottura, clamorosa questa, da parte di Ortrud, che affronta Elsa pubblicamente. Elsa cerca di reagire, spalleggiata dai cori, ma Ortrud ha ormai scardinato le sue certezze…

Scena quinta: arriva il re, poi Lohengrin, in cui Elsa cerca conforto e protezione. Si avviano maestosamente verso la cattedrale, ma ecco la nuova irruzione di Friedrich, che questa volta affronta tutti a viso aperto, reclamando giustizia contro le arti magiche di Lohengrin (ed è nientemeno che il motivo della legge, comparso nel primo atto, a sottolinearne, per ben due volte, le pretese). Lohengrin si difende a sua volta, dichiarando che solo ad Elsa è tenuto a rivelare la sua identità; e la prima sezione del motivo del divieto, sempre nel timbro cupo e rabbrividente del corno inglese, sostenuto dal clarinetto basso e dai fagotti, si insinua ancora malignamente, quasi a rappresentare musicalmente lo strumento di questa specie di lavaggio del cervello, cui Elsa è sottoposta e a cui per il momento resiste (ma ormai sarà ancora per poco…)

Inizia ora un concertato generale, che sarà chiuso dal tema del divieto: i cinque personaggi principali vi esprimono i rispettivi stati d'animo, con i cori maschile, femminile e dei fanciulli (significative le parole di Ortrud, poi riprese da Elsa: "il dubbio sta nel profondo del cuore").

Poi il re acclama ancora Lohengrin, ma in quel mentre ecco una nuova drammatica intrusione, ancora di Friedrich, che stavolta avvicina Elsa, rimasta sola in disparte, e le propina le ultime insinuazioni su Lohengrin (promettendole inoltre di intervenire quando lei e lo sposo saranno soli, la notte successiva) prima che questi lo allontani e conduca Elsa con sè, avviando la fine dell'atto, che è maestosa e toccante, con il corteo nuziale che entra nella cattedrale accompagnato da una musica celestiale, organo compreso, ma tuttavia velata dall'immanente presenza di Ortrud, col tema del divieto che si ripresenta per l'ennesima volta, ed in modo a dir poco tracotante, fortissimo in trombe e tromboni, poco prima della chiusa.

Atto III

Subito dopo il vigoroso preludio (molto trascinante, ma per la verità piuttosto fuori dal contesto, quasi un ultimo cedimento agli stereotipi del grand-opéra) ecco la prima scena, con la famosa marcia nuziale, che si dovrebbe sempre eseguire con la massima delicatezza e leggerezza (ma ahinoi, quante volte sarà stata strapazzata da beceri organisti di parrocchia, che la suonano invece come se dovesse accompagnare una sfilata di panzer!)

Poi la seconda scena, il dialogo Lohengrin-Elsa, in un crescendo drammatico fino al suo apice (la domanda proibita sulle labbra della donna, che infrange il divieto…) e all'irrompere di Friedrich, trafitto da Lohengrin; il lungo dialogo fra Elsa e lo sposo innominato traccia già la strada su cui, in futuro, si muoveranno altri duetti wagneriani: Siegmund-Sieglinde e Tristan-Isolde.

Dapprima i due si inseguono sullo stesso tema musicale, chiudendo la frase su una cadenza classica e tradizionale, verdiana si direbbe. Poi Lohengrin ne introduce un altro, cui Elsa risponde col ricordo del suo sogno (e il tema di Lohengrin si affaccia negli strumentini…) Ma ecco che in lei comincia ad affiorare l'ansia: come risuona dolce il mio nome sulle tue labbra, dice allo sposo, ma quando potrai tu sentire il tuo dalle mie?

Lohengrin cerca di sviarla intonando una nuova, dolcissima melodia, ma Elsa è ormai incamminata sulla china che la perderà… ed infatti il tema del divieto si insinua ancora, durante la sua replica, sempre nel corno inglese, spalleggiato dal clarinetto e dall'oboe.

Lohengrin cerca di fare ancor meglio… anche musicalmente, intonando un nuovo bellissimo tema (di cui Richard Strauss si ricorderà in Salome) ma ottiene l'effetto opposto, poichè è costretto a motivare - e quindi ribadire - il suo divieto (il cui tema gli strumentini sottolineano impietosamente).

Lohengrin afferma, stentoreo, che lui viene da un mondo di luce e amore (e lo fa quasi sulle stesse note con cui, più tardi, rivelerà il suo nome!) Ma Elsa sta ormai cedendo, e canta la sua angoscia, sempre più fuori di sé: adesso - sul relativo tema - vaneggia del cigno che torna a riprendersi Lohengrin e a portarlo lontano da lei… infine sbotta: voglio sapere chi sei! e il tema del divieto letteralmente esplode, fortissimo nei corni, a spalleggiare gli strumentini: la frittata è fatta, Elsa sciorina tutte le domande proibite, mentre a Lohengrin non resta che pronunciare frasi smozzicate di delusione e di dolore.

A questo punto Wagner ci propone uno dei suoi magistrali colpi di teatro: Friedrich, come aveva promesso ad Elsa alla fine del secondo atto, entra con i suoi compari, Elsa lancia a Lohengrin la spada, con cui Friedrich viene steso all'istante (qui val la pena di notare un particolare: è il timpano a sottolineare, con i suoi rintocchi lugubri, la morte di Friedrich; Wagner utilizzerà questo strumento altre volte, in simili circostanze: nel Rheingold, ad accompagnare gli ultimi rantoli di Fasolt, ammazzato dal fratello Fafner, nella Walküre, allorquando Hunding verrà annichilito da un solo gesto di Wotan, nel Götterdämmerung, per raccogliere l'ultimo pensiero per Brünnhilde di un Siegfried morente).

A questo punto ritorna, ma sfiorito e dolente, uno dei temi che avevano poco prima sottolineato la felicità di Elsa e Lohengrin. Elsa implora pietà, ma le risponde, nientemeno!, che il tema della legge. Poi è sul tema di Ortrud che inizia la transizione verso la scena successiva: Lohengrin annuncia che spiegherà tutto davanti al re e al popolo, e lo fa sul tema del divieto, che poi accompagna Elsa e infine, prima fortissimo, poi più smorzato, seguito dal Gral, nei tromboni, chiude la scena.

Nella terza scena si torna quindi sulle rive della Schelde, dove arrivano le masse (prima i brabantini, a cavallo!, divisi in quattro gruppi che sopraggiungono da direzioni diverse, poi i germanici col re) che intonano un colossale inno, puramente strumentale, con fanfare, squilli di tromba e secchi colpi di timpano in gran quantità (e con strumenti che suonano anche sulla scena, compreso un tamburo a tracolla). Per distinguere le varie bande, Wagner le fa suonare in tonalità diverse: la prima esecuzione dell'inno è in MIb maggiore, poi c'è una transizione a RE maggiore e da qui a FA maggiore, tonalità in cui l'inno viene presentato per la seconda volta; adesso si passa a MI maggiore e da qui al solenne DO maggiore, esposto dalle truppe del re, e che sorregge la terza ed ultima replica dell'inno, chiusa dall'intervento del coro maschile al completo. (Non c'è dubbio che questa scena sia un estremo tributo di Wagner alle regole del grand-opéra e certo, se qui il direttore si lascia andare, il rischio di cadere nel grossolano e nel banale è altissimo).

Ora siamo alla stretta finale: il saluto del re, il trasporto della salma di Friedrich, l'arrivo di Elsa, accompagnata dall'ultima apparizione del tema del divieto (che il ritmo qui ci rappresenta come un vero e proprio fardello, pesante e difficile da sopportare), l'arrivo di Lohengrin, come sempre accompagnato dal suo tema e dai cori al completo.

Poi, dopo aver annunciato che non potrà restare in quella terra, e appoggiandosi su un poderoso intervento del tema della legge, Lohengrin chiede e ottiene assoluzione per l'uccisione di Friedrich, quindi dichiara rotta la sua unione con Elsa, per colpa di lei, che ha tradito il giuramento fatto, e si appresta a fare le sue rivelazioni…

È il tema del Gral, sempre in LA maggiore, a introdurre l'auto-identificazione di Lohengrin, dove viene sottoposto ad una serie continua di modulazioni, lungo il racconto della storia e del significato di Monsalvat e dei cavalieri che vi operano con Parzival, padre di Lohengrin, il cui tema esplode nel momento in cui il suo nome viene finalmente rivelato a tutti. Quindi, il commiato di Lohengrin da Elsa e dal re (purtroppo questa parte, caratterizzata anche da un concertato a tre voci, più i due cori, viene spesso e volentieri – e financo a Bayreuth - tagliata da direttori che vanno ben al di là della volontà del compositore).

L'arrivo del cigno, accolto da Lohengrin, con il suo tema fattosi quasi lamentoso, l'ultima invocazione (quasi un'imprecazione, per la verità) e l'addio di Lohengrin ad Elsa, poi ancora un sussulto drammatico: è l'estremo colpo di coda di Ortrud, il cui sfogo, la sfrontata confessione e il grido di vendetta degli déi pagani contro i moderni miscredenti, portano alle battute finali: la trasformazione del cigno nel piccolo Gottfried, il fratello del cui omicidio Elsa era stata fraudolentemente accusata, la partenza di Lohengrin, sempre accompagnato dal suo tema, Elsa che spira e il Gral che chiude con un fortissimo LA maggiore.


11 marzo, 2010

Eurotrash revival

Divertente questa recensione, fatta da un musicista del Wiltshire, della Traviata ripresa quest'anno alla Komische Oper Berlin (si replica fino a maggio, per i patiti del genere).

Protagonista di questo trash (del 2008) il genialoide Hans Neuenfels, ovviamente osannato dalla critica (ma solo quella di cui si pubblicano estratti sul sito del teatro, toh!) per le sue geniali intuizioni.

Fra le quali il nostro Guy Edwards ci elenca la guardia del corpo di Violetta (per difenderla da se stessa, non dagli ammiratori) che Alfredo ammazza, e a cui poi strappa il cuore; Giorgio Germont che ha una zampa zoccolata di animale al posto del piede sinistro (in Provenza deve far comodo); Alfredo e Douphol che non giocano a carte, ma a chi meglio infilza un cuore (di Violetta?) messo su un vassoio.

Ma il meglio arriva alla fine, quando, durante il baccanale, la guardia del corpo di Violetta ricompare, provvisto di enormi coglioni gonfiabili, che poi infilza – prima di andarsene - con uno stiletto, facendoli così esplodere.

perdonami lo strazio recato al tuo bel core

31 marzo, 2008

Ecco qua un’altra perla...

Non passa giorno senza leggere di una nuova scempiaggine perpetrata in nome del famigerato Regietheater.

Oggi tocca a Hans Neuenfels tornare alla ribalta con una sciagurata messinscena di Tannhäuser ad Essen.

Il bello è che - regolare - il regista si becca un fiume di buu e le rimostranze del pubblico... ma poi sovrintendenti, direttori artistici, manager teatrali continuano ad affidargli la regia di opere importanti.

Vien persino voglia di dar ragione a gente bizzarra e stravagante come questa, che interpreta i classici d’opera in forma rock: anche se dicono stupidaggini (del tipo: “Mozart era in fondo un rockettaro”) almeno sono sinceri e non prendono in giro nessuno, pretendendo di insegnargli qualcosa. E sono i più lucidi critici del Regietheater, quando affermano:

“Il problema di quegli allestimenti (le moderne regie, ndr) è che quei registi hanno paura di toccare la musica (...) Ambientano la scena iniziale della Traviata come un party nel 21° secolo, ma poi in questo party si suona un walzer con una orchestra d’archi! Ed ecco che ogni sforzo fatto per modernizzare l’Opera casca miseramente a terra”.

Ben detto.