L’ultima
Orchestra Ospite del Festival è la Toscanini di
Parma,
guidata da Omer Meir Wellber (al suo esordio in Auditorium) che ci ha presentato
un concerto già dato nei giorni scorsi a Como e a Parma (quindi ormai…
collaudato).
Vi
troviamo le tre principali componenti della produzione mahleriana esplorate dal
Festival: Sinfonia, Lieder e orchestrazioni di musica altrui (Schumann, nella
fattispecie).
Si
è quindi aperto con l’Andante-Adagio, unico movimento portato (quasi) a
compimento della Decima, che Mahler mise sulla carta nell’estate
del 1910 a Toblach, la sua ultima estate e per di più quella più dolorosa
(almeno quanto quella del 1907 a Maiernigg): perché vi arrivò la terza
martellata che il superstizioso Mahler aveva cancellato dal finale della
sua Sesta (anzi, potremmo dire fosse in realtà la quarta
martellata): il tradimento di Alma! Un colpo che peraltro il compositore, riavutosi
dallo choc della sorpresa, incassò con grande dignità, ammettendo le sue
colpe (inadempienze ai doveri del letto matrimoniale, per essere
precisi) nei riguardi della moglie e correndo fino a Leiden per farsi aiutare
da Freud a rimediare alla catastrofe.
Ed
in effetti Alma decise di rimanere stoicamente al suo fianco, mentre il marito arricchiva
gli schizzi della nascente Sinfonia costellandoli non già di note, ma di sfoghi,
invocazioni, imprecazioni e lamenti. Mahler si dovette poi occupare della trionfale prima dell’Ottava a
Monaco e infine partì per NewYork, dove imperterrito continuò a lavorare
alacremente con la NYPO, dirigendo un concerto dietro l’altro, fino a che… il
cuore già da sempre malmesso fu attaccato dallo sbifido virus che provocò la fatale
endocardite.
E
della Sinfonia Mahler lasciò quindi solo lo scheletro (ma una specie di Frankenstein,
senza una chiara indicazione di quali fossero le braccia, le gambe, il torso e
il bacino, tanto per dire…) Lo stesso movimento completato doveva essere
presumibilmente il secondo dei cinque sbozzati in Particell (1-2-3-4-5
righi musicali al massimo) e arrivati a noi dalla moglie Alma che li rese
pubblici nel 1924.
E
persino su questo movimento giuntoci in manoscritto nella sua interezza (orizzontale
e… verticale) possiamo star tutt’altro che certi che sarebbe rimasto proprio
così se l’Autore avesse avuto il tempo materiale per ulteriormente rivisitarlo
e rifinirlo, come fece per tutte le sue Sinfonie precedenti.
Ne
è prova che persino curatori diversi della pubblicazione di questo Adagio non hanno
concordato fra loro. Ad esempio, nell'ormai
lontano 1964, proprio nel periodo in cui Deryck Cooke – Alma permettendo
- stava facendo eseguire la sua prima versione dell'intera sinfonia, Erwin
Ratz, nella sua prefazione all'edizione Universal del solo Adagio,
scriveva papale-papale:
Ciò che sta
scritto su questi fogli (i manoscritti
mahleriani, ndr) era completamente intellegibile dal solo Mahler, e
nemmeno un genio sarebbe capace, da questo stadio di sviluppo del lavoro, di
divinare l'approccio alla sua forma definitiva.
Ma questa
sentenza - un grosso siluro a Cooke - veniva pubblicata proprio nella
prefazione all’Adagio, che Ratz aveva a sua volta editato (come risulta dal
corposo Revisionsbericht…) in quanto incompleto la sua parte, e in base
alla considerazione che ormai quel movimento era entrato nel repertorio di
tutte le orchestre, e tanto valeva dargli una veste, per così dire, ufficiale,
con la benedizione della Internationale Mahler Gesellschaft di
Vienna.
Se
si confrontano le due partiture dell’Adagio – di Ratz e Cooke – si possono
rilevare differenze di varia natura: alcune sono bizzarrìe belle e buone, come
notare un FA bequadro (Cooke) invece di un MI diesis (che Ratz non si
accontenta di indicare in chiave, ma scrive esplicitamente davanti alle note);
in altri casi troviamo indicazioni agogico-dinamiche divergenti (dove Cooke è
assai più ricco ed esplicito di Ratz); infine abbiamo differenze non da poco
nell'orchestrazione, dove ad esempio Cooke impiega flauti, oboi, clarinetti e tromboni
a4 (mentre Ratz li limita a3), prevede clarinetto
basso e controfagotti (assenti nella versione Ratz) e a volte ispessisce il
suono aggiungendo oboi e flauti sopra gli ottoni (peraltro sempre in modo
distinguibile rispetto al contenuto del manoscritto).
Certo,
ad un ascolto superficiale son differenze magari impercettibili, che non
cambiano poi di molto la sostanza, ma che testimoniano dell'incompletezza del
lavoro mahleriano, che dobbiamo accontentarci di immaginare, più che di
assaporare compiutamente.
Meir
Wellber – a giudicare dagli strumenti messi in scena – deve aver dato ragione a
Ratz. Comunque, Ratz o Cooke, sempre Mahler é… e il Direttore israeliano e la
Toscanini lo hanno valorizzato al massimo, facendo emergere i tratti più
espressionisti della partitura (che si muove ormai ben oltre i confini della
tonalità) insieme alla nobile cantabilità del tema principale.
___
Ancora Mahler con i cinque Rückert-Lieder (qui alcune mie brevi
note sui contenuti) interpretati da quel Christoph
Pohl che avevamo giorni fa ammirato ed applaudito, con la SantaCecilia,
nei Lieder dal Wunderhorn.
Dato che Mahler non indicò alcuna tassativa sequenza di esecuzione,
Pohl ha comprensibilmente posto in coda alla sua performance i due
Lieder più corposi e di maggior effetto: Um Mitternacht e Ich bin der
Welt. Per lui scroscianti applausi, ovazioni e ripetute chiamate.
___
Ha chiuso la parte ufficiale del
concerto la Quarta di Schumann rivisitata da Mahler. Le
differenze rispetto all’originale che anche un non esperto può individuare
sono: la mancanza del da-capo dell’esposizione nel movimento iniziale (ma
questo è ciò che può fare chiunque…) e i rinforzi dei corni a dare splendore ad
alcuni passaggi topici.
Meir Wellber l’ha diretta a memoria, non
negandosi/negandoci suoi personali tocchi interpretativi, soprattutto a livello agogico,
che hanno impreziosito la Sinfonia ben al di là del valore aggiunto
mahleriano.
Alla fine il trionfo (applausi ritmati,
urla) non è mancato, cosicchè è stato ricambiato dal mascagniano Intermezzo
dalla Cavalleria.