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28 febbraio, 2009

Chiusura in gloria per Schönberg-Beethoven alla Scala

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I due concerti pari (ma sappiamo che dietro i numeri c’è un mezzo inganno...) di Beethoven hanno chiuso il ciclo.

Smarchiamo subito il problema logistico derivato dal sandwich con cui Beethoven ha preso in mezzo Schönberg: il cambio del layout del palco per togliere il pianoforte dopo il n°2 per far posto all’affollato organico schönberghiano è stato offerto come diversivo - in certo senso artistico pure quello - al pubblico, costretto a stazionare in sala e nei palchi (chè due intervalli nel foyer sarebbero stati invero eccessivi: mica era Wagner!) Però il trambusto è durato almeno 12 minuti, con via-vai di orchestrali che uscivano-entravano, sedie portate sopra la testa come alle feste dell’unità ed altri prosaici cerimoniali da impresa di traslochi.

Passi. Perchè il Beethoven e lo Schönberg uditi prima delle meritate vasche nel foyer valevano bene quel piccolo sforzo.

Il primo (in effetti) concerto beethoveniano è proprio un piccolo cammeo settecentesco (niente trombe, nè timpani, tanto per dire) e tale ce lo ha restituito Barenboim, suonandolo dovutamente in punta di piedi, come aveva fatto (per me fuori luogo) nel primo-secondo (il 13 febbraio).

L’Opera 16 di Schönberg (1909) si trova a metà strada fra il periodo “tonale-tardo-romantico-cromatico-esasperato” di pezzi come Verklärte Nacht e Pelleas (presentati nei due primi concerti) e opere del periodo “seriale” (come le Variationen eseguite nel terzo). Un chiaro indizio di questo essere “nè carne, nè pesce” (mai come nel caso in questione il termine è un complimento!) lo si rintraccia osservando le partiture: ancora la Kammersymphonie, di un paio d’anni anteriore all’op.16, ha tanto di “accidenti” in chiave, mentre i 5 pezzi ne sono del tutto sprovvisti. Schönberg ha ormai abiurato la legge di gravitazione tonale e con essa le forme che su questa si reggevano. Infatti lui stesso parla dell’Op.16 come di pezzi “...senza sinfonismo, senza architettura, senza impianto, solo un multiforme ininterrotto cambiamento di colori, ritmi e atmosfere...” Ma così gli verrà poi a mancare il terreno sotto i piedi: l’espressionismo è per lui la momentanea via d’uscita, una breve ma grande stagione di cui l’op. 16 è lo zenit, musica da godersi senza cercare di capirla (a dispetto dei sottotitoli più o meno plausibili, oltretutto - pare - appiccicati a posteriori su richiesta dell’editore della partitura) e in cui ciascuno può sentire o immaginare o vedere o provare: sensazioni, colori, stati d’animo, un soffio di vento nei capelli e una goccia che cade nello stagno, una frana che travolge tutto (la grande guerra in arrivo?) e il rimpianto per un tempo che fu, ricordi e incubi che ritornano e passi che sfumano nella nebbia, languori e isterìe, paure e sospiri. Dovranno passare più di 10 anni prima che Schönberg si riabbia dal panico e dalla conseguente impotenza derivatigli dalla totale anarchia in cui, con l’espressionismo atonale tipo op.16, era andato a cacciarsi, e “inventi” (i maligni sostengono: scopiazzi, da Hauer) la tecnica seriale, con tutto il relativo toolbox fiammingo a corredo, per rimettere ordine e regole in un mondo arrivato - anche grazie a lui e secondo lui - sulla soglia di un irreparabile disfacimento (peraltro i suoi pupilli Berg e Webern non la pensavano esattamente così... e lo dimostreranno nella pratica).

Barenboim ha condotto da par suo; i Vorgefühle con cipiglio fin eccessivo (forse per dare una scossa al pubblico, dopo il trasloco?) Quindi ha allineato quasi sullo stesso piano Vergangenes e Farben, come fossero un unico sognante, ipnotico e inebetito movimento; per poi riscatenarsi in Peripetie, e chiudere sempre energicamente con Das obligate Rezitativ. Come riferimento, in rete si trovano queste notevoli esecuzioni di Michael Gielen con la Radio Olandese. E sempre sul tubo si trova il terzo pezzo diretto dallo stesso Daniel alla testa dei concittadini di Obama, suggestivamente supportato dall’esplorazione della partitura, secondo la guida analitica di Nicolas.

Il quarto di Beethoven è marziano, a confronto del primo: come per l’Imperatore, anche qui è parso che Daniel si sia forse fidato troppo della sua esperienza. Ma stavolta gli è andata bene, ecco. Interessante e simpatico l’intermezzo della cadenza (la seconda scritta da Beethoven) dove Barenboim ha chiamato ad un piccolo intervento il violoncello. Bravi anche gli ottoni, in particolare le trombe che - col timpano - devono fare irruzione d’acchito nel rondò finale, dopo aver assistito mute a quanto suonato prima.
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Il ciclo si è chiuso, che dire? Lodevoli le intenzioni, equilibrata e proporzionata la scelta dello Schönberg da affiancare ai concerti beethoveniani: si è potuta esplorare la parabola artistica del viennese, sia pure non in sequenza cronologica, ma si direbbe passando prima dagli estremi per arrivare infine “al centro”, a quel precario ed instabile equilibrio caratterizzato dall’espressionismo atonale, che resta tuttavia per molti l’apice dell’opera di Schönberg. Il tutto senza far ombra al monumento beethoveniano con eccessi quali sarebbero certamente stati i Gurrelieder che - peraltro - si meriterebbero da soli un bel primo piano. Il livello “artistico” delle performance, escludendo l’infortunio del 5°, è stato più che dignitoso, compatibilmente con l’attitudine non propriamente eccelsa dell’orchestra nel repertorio strumentale. A Daniel Barenboim, fuor di dubbio, il merito di aver portato alla Scala - insieme al Tristan (e alla Winterreise con Quasthoff!) - una salutare ventata di mitteleuropa. Più che dovuti quindi, e cumulativi, gli applausi trionfali quanto affettuosi che il pubblico ha voluto tributargli.

(4. Fine)

27 febbraio, 2009

La ricetta di Baricco non funziona neanche in California

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“...Il mercato sarebbe oggi abbastanza maturo e dinamico da fare tranquillamente da solo... abituiamoci a dare i nostri soldi a qualcuno che li userà per produrre cultura e profitti. Basta con l'ipocrisia delle associazioni o delle fondazioni, che non possono produrre utili.”

Così pontificava Alessandro Baricco dalle colonne di Repubblica giorni addietro.

Domanda: qual’è il Paese più liberista del pianeta? Risposta: gli USA.
Domanda: e negli USA, qual’è lo Stato più liberista? Risposta: la California.
Domanda: e in California, qual’è la città più liberista? Risposta: LosAngeles.

Bene, nel posto più liberista del mondo la più importante istituzione di teatro musicale (LA-Opera) è una organizzazione non-profit. Il bilancio di una stagione normale del teatro va dai 40 ai 60 milioni e le elargizioni private costituiscono circa il 57% dei ricavi (43% è l’introito dalla biglietteria). Domanda a Baricco: come mai non è una società per azioni, che operi liberamente sul mercato per produrre cultura facendo profitti?

Qualche tempo fa hanno deciso - topone Domingo in testa - di mettere in piedi un Ring. Ci stanno lavorando da due anni, hanno appena cominciato con Rheingold, poi faranno Walküre in Aprile (7 rappresentazioni a testa) e più avanti le altre due giornate (5 rappresentazioni a testa). Nel 2010 verranno proposti 3 cicli completi.

Il costo preventivato dell’operazione è di 32 milioni di dollari (11 di materiali e 21 di artisti + manodopera) come rilevabile dalla stampa locale.

Se ci fosse sempre il tutto esaurito, quindi come massimo assoluto e insperabile, l’incasso sarebbe di 20 milioni (ho personalmente fatto un conto abbastanza meticoloso, basandomi sui prezzi di biglietti e abbonamenti e sul numero di posti - dei vari tipi - del teatro, tutti dati disponibili sul sito della LA-Opera).

Profitti? Scherziamo davvero?

Sappiamo invece chi paga il deficit: i mecenati, che lì sono solo privati - invece che pubblici - e si chiamano Eli Broad e consorte (che ci hanno messo da tempo 6 milioni) ed altri che hanno già versato altrettanto. E ancora lavorano alacremente al fund-raising, per almeno coprirsi dai rischi di costi che possono crescere e incassi che non raggiungano il massimo teorico.

Come ben si vede, non ci fosse chi - privato o pubblico, sotto ogni latitudine - ha personalmente a cuore le sorti del teatro d’opera e decide, contro ogni legge di mercato, di farlo almeno sopravvivere (se non prosperare) ...andrebbe tutto a meretrici. Che questa sia forse la segreta speranza dei vari Baricco?
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26 febbraio, 2009

Quel che sia Musica in particolare, & perche sia cosi detta.

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FATTA la diuisione della Musica (hauendola prima dichiarata in uniuersale) & veduto quello, che sia ciascuna sua parte separatamente; resta hora (douendosi ragionar solamente della Istrumentale) ueder prima quello, ch'ella sia. Dico adunque, che la Musica istrumentale è Harmonia, laquale nasce da i Suoni & dalle Voci; la cui cognitione in che consista facilmente dalla sua definitione potremo sapere, imperoche ella è Scienza speculatiua Mathematica, maestra de tutte le Cantilene, laquale col senso & con la ragione considera i Suoni, le Voci, i Numemeri, le Proportioni, & le loro Differenze; & ordina le uoci graui & le acute con certi termini proportionati ne i debiti luoghi. Ne si marauigli alcuno, ch'io habbia detto, la Musica essere Scienza speculatiua; percioche tengo, che sia possibile, che uno la possa posseder nell'Intelletto ancora che non la esserciti con i Naturali, ò Arteficiali istrumenti. Ma perche ella sia cosi detta, & donde deriui il suo nome, non è cosa facile da sapere; conciosia che alcuni hanno hauuto opinione, ch'ella habbia origine dal verbo greco Ma…esqai; & altri (tra i quali è Platone nel Cratilo) da Mîsqai; cioè, dal Cercae, ò Inuestigare; come di sopra si è mostrato. Et alcuni hanno hauuto parere, che sia detta da MwÝ, voce Egittia, ò Caldea, & da Âcoj voce Greca; che l'una uuol significare Acqua, & l'altra Suono; quasi Per il suono dell'acque ritrouata; della quale opinione fu Giouanni Boccaccio ne i Libri della Genealogia de i Dei. E in uero non mi dispiace; percioche è concorde alla opinion di Varrone, ilqual uuole, che in tre modi nasca la Musica; ò dal suon dell'acque; ò per ripercussione dell'aria; ò dalla voce: ancorache Agostino dica altramente. Alcuni altri istimarono, che cosi fusse detta; perche appresso l'acque fu ritrouata; & non per il suono dell'acque; mossi per auentura da questo; che Pan Dio de pastori fù il primo (come narra Plinio) che della sua Siringa conuersa in canna appresso Ladone fiume d'Arcadia, fece la Sampogna pastorale, onde dice il Poeta;

Pan primus calamos cera coniungere plures Instituit.
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Et quantunque queste opinioni siano buone; tuttauia quello, ch'à me par più ragioneuole, & più mi piace, è l'opinione di Platone; ch'ella sia nominata dalle Muse; alle quali (come dice Agostino) è conceduto vna certa onnipotenza di cantare; & vogliono i Poeti, che siano figliuole di Gioue & di Memoria; & dicono bene: percioche se l'Huomo non ritiene i Suoni, & gli Interualli delle voci Musicali nella memoria, non fà profitto alcuno; & questo auiene; perche non si possono à via alcuna scriuere; tanto più, ch'ogni Scienza & ogni Disciplina (come uuole Quintiliano) consiste nella memoria; conciosia che in vano ci è insegnato; quando quello, che noi ascoltiamo, dalle menti nostre si parte. Et perche habbiamo detto la Musica essere Scienza Speculatiua; però auanti che più oltra passiamo, vederemo (hauendo consideratione del fine) com'anche la possiamo dimandare Prattica.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 10. (MDLVIII)
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25 febbraio, 2009

Ancora a proposito di Baricco...

Nessun dubbio che il teatro, l’opera e i concerti siano gestiti in Italia in modo spesso discutibile, a volte vergognoso. Ma a parte le giuste osservazioni di chi fa notare che Baricco, in questo brodo, ci sguazza e ci fa profitti, resta il fatto che - senza un energico intervento sulla scuola (dalle elementari, se non dall’asilo) - il destino è segnato: quando i non più giovani di oggi se ne saranno andati, per ragioni biologiche, nessuno più frequenterà teatri e sale da concerto, e il problema troverà una soluzione naturale. Resteranno, per i pochi aficionados o per nuovi curiosi, le riproduzioni e le registrazioni fatte in studio, con opere tagliuzzate o rivisitate per essere appetibili da un pubblico sempre più ignorante degli originali.

Quindi, se la collettività decide che invece è il caso di salvare Mozart, Verdi e magari addirittura John Cage, bisogna necessariamente che investa sui piccoli, avviandoli per tempo alla conoscenza di ciò che noi (pochi) grandi consideriamo dei tesori di cui perpetuare il godimento, oltre che strumenti di innalzamento dell’umano spirito e di freno all’imbarbarimento della civiltà.

Quanto alla TV, riprendere lo spirito della vecchia e cara TV-dei-ragazzi, affiancando a cartoni e mazinga anche qualche ben camuffata lezioncina su Bach o Stravinsky non sarebbe male. E forse la cosa potrebbe anche essere finanziata - oltre che dallo Stato, come suggerisce Baricco dimenticandosi che noi (non so lui) già paghiamo il canone - dalla stessa pubblicità, che potrebbe offrire ai melomani in erba dei prodotti artistici per loro espressamente confezionati.

Poi bisogna comunque intendersi su come si pensa di offrire al pubblico gli spettacoli. Se continui ad avere un senso la rappresentazione dal vivo, in teatro o in auditorium (il che presenta immediatamente il problema della non sostenibilità dei costi secondo le leggi del mercato) oppure se - per rendere profittevole il business, esentando quindi lo Stato o i mecenati dal finanziarlo - si debba ricorrere in modo massiccio alla diffusione (a pagamento) degli spettacoli con strumenti ICT (Information & Communication Technology) cosa che molti importanti teatri (MET, ROH) e filarmonici (Berliner) stanno già cominciando a fare. Il risultato è quello di un allargamento della diffusione della conoscenza, che serva a finanziare la sempre ristretta diffusione dell’esperienza. Sapendo che ciò comporta anche aspetti diseducativi, dato che la fruizione via etere o cavo poco ha a che vedere con l’ascolto e la visione dal vivo. Può darsi che il futuro - grazie anche al progresso tecnologico - ci metta in condizione di provare, dal divano di casa, la stessa identica sensazione che si ha stando seduti sulla poltroncina della Scala, in un teatro virtuale... ma mi pare oggi ancora un’utopia.

In tema di provocazioni, propongo questo lavoretto, una specie di ricerca o tesina scolastica, fatto da un quindicenne americano (in USA non stanno molto meglio di noi, in fatto di educazione musicale nella scuola). L’impressione che se ne deriva è quella di una straordinaria padronanza dei mezzi tecnici applicata ad una conoscenza della materia del tutto superficiale (per non chiamarla ignoranza totale) chiaramente fondata su estemporanee ricerche google, wiki e youtube. Un esempio di ciò che è e rischia sempre più di essere il modo del futuro di vivere la musica e l’arte.
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24 febbraio, 2009

Baricco, il provocatore


Su LaRepubblica compare un provocatorio articolo di Alessandro Baricco, sul tema del pubblico finanziamento per le istituzioni culturali.

Per sintetizzare, il nostro simpatico osservatore dei costumi la pensa così: i soldi pubblici - visto che sono sempre meno - vanno spesi nella scuola (e nella TV, come sussidiario educativo) in modo da attirare nel mondo della cultura e dell’arte i giovani, fin dalla più tenera età; lasciando poi ai privati di confezionare - secondo logiche di mercato - l’offerta culturale per gli adulti; i quali, essendo stati per tempo formati da scuola e TV, sentiranno il naturale bisogno di spettacoli, teatro, opere, balletti, concerti, mettendo con ciò a disposizione degli operatori le risorse economiche bastevoli alla produzione di quelli stessi spettacoli.

E nell’ultimo paragrafo dell’articolo si auspica la chiusura dell’asilo infantile rappresentato dal mondo incartapecorito della cultura odierna, per far spazio alla libera competizione fra tutte le migliaia di persone che fanno cultura con passione e capacità...

Quindi - deduco io - che l’establishment attuale se ne vada pure in malora: per selezione naturale sopravviveranno, fra tutti gli operatori, quelli che più sapranno adattarsi alle nuove condizioni.

Accattivante prospettiva, immaginata da uno che pontifica che il futuro è finito...

Qualche osservazione - più soft della media dei commenti pubblicati dal giornale... - a margine dello scritto di Baricco.

Lui individua tre ragioni che hanno spinto le pubbliche istituzioni ad elargire quattrini per la cultura:

1.allargare il privilegio della crescita culturale, rendendo accessibili i luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità”. Secondo Baricco questa motivazione è oggi svuotata dall’irruzione sul mercato di strumenti di “acculturamento di massa” (internet in primis) e in particolare - cita Baricco - in tre campi: libri, musica leggera e audiovisivi. Guarda caso - lo ammette candidamente - NON nei campi dell’opera lirica, della musica classica e del teatro, dove si concentra la spesa pubblica per la cultura! Ma lui trova subito un preciso nesso causa-effetto per spiegare la situazione: dove c’è il mercato, c’è vita e vitalità, dove c’è l’assistenza pubblica, c’è stasi, stagnazione e crisi.

Cioè: il mercato snobberebbe la lirica, i concerti e il teatro perchè lì c’è il monopolio delle pubbliche istituzioni? Beh, come barzelletta non c’è male! Basterà leggere il bilancio del Metropolitan per accorgersi che la sua sopravvivenza viene garantita sì dai privati (circa il 50% dei ricavi, pari alla quota di sussidio pubblico per LaScala) ma del tutto fuori dalle logiche di mercato: è puro mecenatismo di istituzioni private (anzichè pubbliche) che hanno come unico tornaconto una defalcazione dell’imponibile fiscale delle loro attività di business; ma niente profitti, niente ROI.

2.difendere dall'inerzia del mercato alcuni gesti, o repertori, che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto, e che tuttavia ci sembravano irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà.” Anche qui Baricco mette in dubbio che l’obiettivo sia ancora da perseguire, o quanto meno non accredita le istituzioni artistiche della capacità di farlo. Testualmente: “Mi resta la certezza che l'accanimento terapeutico su spettacoli agonizzanti, e ancor di più la posizione monopolistica in cui il denaro pubblico si mette per difenderli, abbiano creato guasti imprevisti di cui bisognerebbe ormai prendere atto.”

Ecco, di nuovo l’abbaglio: la posizione monopolistica del denaro pubblico. Domanda: Baricco ha letto i bilanci delle fondazioni? Sa che il finanziamento pubblico raggiunge al massimo il 50% dei costi delle fondazioni, che per gran parte si reggono su elargizioni private? E ancora: c’è qualche legge che impedisce ai privati di offrire autonomamente cultura, imponendo il monopolio delle pubbliche istituzioni? Sorry, qui l’analisi mi pare faccia acqua da molte parti.

3.la necessità che hanno le democrazie di motivare i cittadini ad assumersi la responsabilità della democrazia: il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi, e di riferimenti culturali forti.” Qui Baricco diventa impietoso e quasi offensivo: secondo lui tutto l’armamentario “culturale” che ingoia tanti soldi pubblici non è stato in grado di ergersi a diga contro la degenerazione anticulturale portata - in massima parte - da Berlusconi! Quindi, motivo in più per riformarlo alla radice, se non abbatterlo del tutto.

Primo: già la motivazione in sè è un po’ traballante, visto che della cultura hanno fatto un pilastro centrale del consenso anche tutte le più sanguinose dittature, ed anche le dittature soft di oggi (vero, Chavez?) Secondo, e di conseguenza, si dovrebbe concludere che la cultura sia una preoccupazione - genuina o interessata - di tutti e sotto tutti i cieli politici e ideologici. Terzo, che c. c’entra Berlusconi e il suo spadroneggiare? Dovremmo dire, caso mai, che per evitare il fenomeno, si sarebbe dovuto spendere in cultura di più, e non di meno! E che non risolveremo il problema buttando via anche quel poco che ci resta.

Passiamo adesso ai rimedi. Qui - miracolosamente - Baricco torna a raziocinare, se pur solo in parte.

Cosa propone?

1.Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. Perché mai lasciamo scappare mandrie intere dal recinto, senza battere ciglio, per poi dannarci a inseguire i fuggitivi, uno ad uno, tempo dopo, a colpi di teatri, musei, festival, fiere e eventi, dissanguandoci in un lavoro assurdo? Che senso ha salvare l'Opera e produrre studenti che ne sanno più di chimica che di Verdi?

Giusto e sbagliato insieme. Giustissima la considerazione relativa al fare di più nella e per la scuola (e per la TV educativa): serve appunto a non far scappare i vitellini dal recinto. Ma sbagliata l’idea dello spostamento dei fondi: perchè così facendo tratterremo i vitellini nel recinto, ma non avremo più il foraggio per alimentarli quando diventeranno buoi!

Scrive ancora Baricco: “Lo dico in un altro modo: smettetela di pensare che sia un obbiettivo del denaro pubblico produrre un'offerta di spettacoli, eventi, festival: non lo è più. Il mercato sarebbe oggi abbastanza maturo e dinamico da fare tranquillamente da solo.”

Ecco, questa è proprio una stupidaggine, come ho ricordato sopra (leggere i bilanci, please, di qualunque ente o fondazione, italiana o straniera fa lo stesso).

2.Lasciare che negli enormi spazi aperti creati da questa sorta di ritirata strategica si vadano a piazzare i privati... Lo dico in modo brutale: abituiamoci a dare i nostri soldi a qualcuno che li userà per produrre cultura e profitti. Basta con l'ipocrisia delle associazioni o delle fondazioni, che non possono produrre utili...”

Qui non posso che ripetermi: dove sta scritto che a un privato è impedito di offrire spettacoli teatrali o musicali o lirici? Se è vero che il privato può spendere meglio ciò che investe, facendo profitti e quindi pagando meglio le maestranze... perchè tutto ciò non è già avvenuto? E perchè non sta ancora avvenendo, nel momento in cui lo Stato taglia in modo selvaggio i fondi?

Conclude Baricco: “Il mondo della cultura e dello spettacolo, nel nostro Paese, è tenuto in piedi ogni giorno da migliaia di persone, a tutti i livelli, che fanno quel lavoro con passione e capacità: diamogli la possibilità di lavorare in un campo aperto, sintonizzato coi consumi reali, alleggerito dalle pastoie politiche, e rivitalizzato da un vero confronto col mercato”.

Ancora una volta: c’è da abrogare qualche legge, o da promulgarne di nuove, per rendere possibile tutto ciò? Per intanto di sicuro c’è che si sta togliendo la flebo di Stato dal braccio dell'ammalato. E non si vedono all’orizzonte imprenditori ansiosi di metterci la loro flebo privata.

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23 febbraio, 2009

Terza puntata di Schönberg-Beethoven con Daniel alla Scala

La figuraccia tanto inaspettata quanto meritata nell’Imperatore deve aver avuto un effetto salutare su Barenboim e l’orchestra. Difficile dire se abbiano provato giorno e notte - da quella disgraziata sera - o semplicemente si siano applicati in modo normale ieri, o se l’infortunio del 16 sia stato solo uno sciagurato quanto episodico accumularsi di circostanze fortuite e irripetibili.

Fatto sta che il Terzo di Beethoven è uscito limpidamente e in modo convincente dai tasti - percossi o accarezzati da Barenboim - e dagli strumenti dell’orchestra, compresi gli ottoni, che oggi come oggi sono il tallone d’achille della Filarmonica. Si potrà ancora disquisire dei tempi, delle sonorità, degli attacchi, ricordare un paio di macchioline nell’esecuzione, ma l’impressione complessiva è stata di un’interpretazione di tutto rispetto (intendiamoci: stiamo qui parlando in termini relativi e non assoluti, stante ciò che il convento scaligero passa). In sostanza: si temeva un nuovo crollo, e invece l’edificio è rimasto in piedi, quindi tutti contenti a tirare un sospiro di sollievo.

Contrariamente a quanto previsto dalla locandina pubblicata sul sito del Teatro, dove Beethoven era incastonato fra le due opere di Schönberg, la serata è iniziata proprio con il Terzo, accolto da applausi convinti e - direi - unanimi (anzi: proprio all’unisono, ritmati). Quanto al motivo dell’anticipo del concerto rispetto al Survivor, si possono fare alcune congetture; da quella legata ai tempi tecnici necessari a spostare il pianoforte (ma il problema si ripresenterà venerdi prossimo, se la sequenza programmata non verrà di nuovo manomessa) ad altre, di opportunità per Barenboim (consentirgli di suonare subito, senza perdere concentrazione) o magari (maliziosamente) per dar modo agli scettici su Schönberg di poter guadagnare l’uscita già alle 20:45. Devo dire che alla ripresa la platea è rimasta quasi al completo, mentre qualche vuoto è comparso nei palchi.

A survivor from Warsaw è un aforistico e veristico grido di un’umanità ridotta alla vita di topi da fogna, che ritrova se stessa nel canto dello Shema Yisroel. Un grido prima e un canto poi che escono davvero dal cuore e dall’anima. Holl e il coro di Casoni hanno reso al meglio la durezza e la drammaticità di questa partitura. A proposito della quale (sarà a dir tanto 20 fogli) incredibile ma vero, si è potuto osservare che Barenboim (che dirige a memoria tomi da centinaia e centinaia di pagine) se l’è fatta portare, con annesso leggìo!

Partitura e leggìo subito rimossi per le Variationen op.31. Che, ahinoi, a distanza di 80 anni dalla loro apparizione ancora sono sconosciute ai più, se è vero che Daniel ha creduto opportuno - prima di eseguirle - di tenere una simpatica lezioncina (con pratica di ascolto) per chiarire la natura del tema ed esemplificare alcune variazioni: un’iniziativa tanto lodevole quanto - temo - irrilevante sulla diffusione di interesse per quest’opera (vorrei vedere in quanti, da oggi, correranno a comprare il CD). Il fatto è che le Variationen sono un costrutto glaciale dell’ingegneria dodecafonica, e non basta conoscerne l’architettura interna per apprezzarle. Tanto per dire: c’è qualcuno che si è innamorato del tema dell’allegretto della prima di Brahms (quello suonato dal clarinetto) perchè è venuto a sapere che ha un conseguente che è l’inverso dell’antecedente? O viceversa, qualcuno che ha cominciato a disprezzare l’incipit della quarta dello stesso autore, dopo aver scoperto che trattasi di una becera sequenza di terze, con un paio di rivolti messi lì per ingannare l’ascoltatore? A volte si tira in ballo Bach (il cui motivo SIb-LA-DO-SI ricorre nell’introduzione e nel finale) come riferimento artistico (dal Wohltemperierte Klavier o da Die Kunst der Fuge) ma è davvero un paragone piuttosto azzardato.

Sul sito ufficiale dell’Arnold Schönberg Center si può leggere una dettagliata analisi fatta dall’autore nel corso di una lezione tenuta alla radio in America. La composizione (520 battute) viene spiegata quasi misura per misura; paradigmatica la descrizione del tema principale: 24 battute, suddivise in 3 sezioni (5+7, 5 e 7) nei cui 4 segmenti viene presentata la serie dodecafonica originale, seguita dalle tre manipolazioni del canone, tipiche della scuola fiamminga (le stranezze, come le definiva Giovanni Bardi): inverso del retrogrado, retrogrado e inverso. Insomma: a dispetto della vaga ascendenza parsifaliana della cellula tematica principale (che il povero Barenboim si è fatto in quattro per cercar di scolpire nelle orecchie degli spettatori) l’impressione che lascia è quella di tutta forma e poco contenuto!

Comunque, data la natura dell’opera, ancor più meritoria è stata la prestazione dell’orchestra e del maestro. Quindi: trionfo per tutti.

Si finirà venerdi con il 2 e il 4, inframmezzati (salvo rimescolamenti dell’ultimo minuto) dall’opera 16 di Schönberg.

(3. Continua)

16 febbraio, 2009

Schönberg-Beethoven con Daniel alla Scala (2)

Mentre il primo appuntamento prevedeva il “piccolo” n°1 di Beethoven a far da apripista all’ipertrofica orchestra del Pelleas, questa sera è stata la cameristica Verklärte Nacht ad introdurre il monumentale n°5. In Schönberg si è andati - di poco - a ritroso (dall’opus 5 del 1902-3 alla 4 del 1899) mentre in Beethoven si è fatto un salto dall’alfa (o dal beta, per i pignoli) all’omega dei concerti per piano.

Diamo la precedenza - ubi maior - a sua maestà. Commentando il non entusiasmante primo concerto, avevo scritto “speriamo bene per l’Imperatore”: mai timore fu più fondato! Le perplessità generali già riferite commentando il primo concerto si sono questa sera trasformate in certezze (negative) e i buuh che ci piovevano in testa dai loggioni come fossero ortaggi sono stati il necessario epilogo di una prestazione davvero insufficiente. (Poi la platea ha - per reazione - tributato a Daniel un applauso standing, ma diretto al simbolo e “alla carriera”, chè la prestazione appena conclusa certo non lo meritava.)

Intanto, ho personalmente appreso (rimanendone costernato) una simpatica novità: il 5° concerto beethoveniano non ha un solista, ma due: pianoforte e tromba! Accipicchia, la tromba ha certo le sue frasi ad-hoc, in cui deve suonare in foreground, in primo piano, ma per il 95% del tempo deve fare da “riempitivo”, quindi starsene tranquilla in background: mai deve superare il volume di suono degli altri strumenti, pena un effetto sull’orecchio dell’ascoltatore a dir poco indisponente. Domanda: colpa solo del primo (saltuariamente del secondo) strumentista? Mah, forse. Però il Kapellmeister lo hanno inventato anche per guidare, e quando serve, ammorbidire gli strumentisti. Certo che se il maestro è impegnato a suonare la sua parte impervia, magari perde di vista e... di orecchio la tromba.

Oppure, per cercar di guidare l’orchestra, finisce per non guardare dove abbassa le dita e ti assomma (contati personalmente) almeno una mezza dozzina di strafalcioni! Insomma, se non è stato un disastro, poco ci è mancato. Personalmente tenderei a salvare l’adagio (toh! dove la tromba tacet, per tutto il tempo) di cui bene è stata resa l’atmosfera sognante e la luce soffusa.

Ma chissà se il peggio è passato, visto che domenica 22 arriva il 3° concerto, una bruttissima (anzi... splendida) gatta da pelare. E il giorno prima Daniel ha un altro Tristan che lo aspetta al varco.

Tornando a questa sera, l’apertura era stata affidata al sestetto per archi, praticamente l’opera prima di Schönberg, a dispetto del n°4, quella che un membro dell’associazione degli artisti, cui fu presentata, definì “una pagina del Tristan ancora fresca d’inchiostro, su cui qualcuno ha sfregato la mano”. Chissà se il tempo risparmiò a costui di scorrere, per dire, la partitura delle Variazioni op. 31 (che sentiremo nel terzo concerto)... Quanto alla curiosa (e un poco morbosa) fonte ispiratrice di questo poema sinfonico in cinque parti per sei archi, ne ha scritto anni fa una simpatica pagina Davide Daolmi. Una concisa analisi originale dell’Autore si può leggere sul sito ufficiale dell’Arnold Schönberg Center.

La versione presentata oggi era quella per orchestra d’archi, del 1916 credo, e ad eseguirla è stato l’intero (o quasi) pacchetto dei Filarmonici. Risultato più che discreto, anche se chi ha nelle orecchie la versione originale per sei strumenti fatica sempre a trovare “valore aggiunto” in questo adattamento per organico allargato.

(2. Continua)

14 febbraio, 2009

Argentina-Argentino 2-1

Per carità: lungi da me l’idea di scrivere un epicedio per Barenboim.

Però confesso che ieri sera, mentre lo acoltavo suonare (e dirigere) il primo di Beethoven avevo ancora nelle orecchie (sia pure pervenuta via etere, lunedi) la prestazione della sua connazionale Argerich. Ai punti, si capisce, ma ha vinto lei.

Certo, la Martha aveva accanto la migliore orchestra italiana (S.Cecilia) e poteva concentrarsi sullo strumento, senza dover anche preoccuparsi degli altri: perchè a ciò pensava un direttore oltretutto asceso ormai all’olimpo, come Antonio Pappano.

Però, insomma, da Barenboim personalmente mi aspettavo di più. Oltre a dover fare il doppio lavoro (cosa sempre fastidiosa, credo) lui ha magari anche altre attenuanti, legate proprio al dover (voler...) suonare e dirigere insieme: come ad esempio il pianoforte senza il coperchio (che naturalmente fa da riverberatore dei suoni) e che lui deve far togliere perchè gli orchestrali possano vederlo quando dirige (cosa secondo me poco perdonabile, poichè ciò ottiene l’effetto di una sordina allo strumento). Anche il fatto, apparentemente insignificante, di suonare con le spalle rivolte al pubblico, proprio da direttore e non da solista, credo possa influire in qualche modo sulla performance. Che ieri sera mi è sembrata dignitosa, ci mancherebbe, ma non proprio trascinante, ed anche costellata da alcune sbavature evidenti: nel complesso, tempi eccessivamente ampi e un Beethoven un po’ troppo “settecentesco” (tranne che nella cadenza, eseguita con fuoco). Speriamo bene per i prossimi appuntamenti più difficili, a partire da lunedi con l’Imperatore...

Il Pelleas di Schönberg è un’opera strana, piuttosto equivoca, nel senso di non essere nè carne nè pesce: un poema sinfonico con una forma pseudo-sinfonica, i leit-motive wagneriani e postumi di forma-sonata. In più è musica (formalmente) tonale, ma pervasa di venature espressioniste... insomma ci si rende conto del perchè tale Gustav Mahler, che pure proteggeva il nostro dai critici che ne chiedevano l’internamento in manicomio, affermasse apertamente di non capire quella musica (salvo poi importarne alcune sonorità nella sua settima sinfonia, composta in quel periodo dei primi anni del '900...)

La Filarmonica super-rinforzata (quattro arpe, contro le due previste in origine dall’autore, per dirne una) nel complesso ha retto bene l’urto, destreggiandosi fra le mille sfumature agogiche e dinamiche di questa partitura difficile, oltre che tormentata, tanto da meritarsi da Barenboim un’autentica passerella, quasi un professore alla volta a raccogliere l’applauso del pubblico e quello personale del maestro.

Un piccolo appunto tecnico-estetico: la sordina (anzi... sordona) del contrabbasso tuba è visibilmente ammaccata; forse fa il suo mestiere lo stesso, ma visto che siamo alla Scala, anche l’occhio vorrebbe la sua parte...

(1. Continua)

11 febbraio, 2009

Della Musica humana.

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LA Musica humana è quell'Harmonia, che può esser intesa da ciascuno, che si riuolga alla contemplatione di se stesso: imperoche quella cosa, laquale mescola col corpo la viuacità incorporea della ragione, non è altro, che un certo adattamento & temperamento, come de uoci graui & acute, ilquale faccia quasi una consonanza. Questa è quella, che congiunge tra se le parti dell'Anima, & tiene unita la parte Rationale con la Irrationale; & è quella, che mescola gli Elementi, ouer le qualità loro nel Corpo humano con ragioneuole Proportione. Onde principalmente si deue auertire, c'hò detto, che può esser intesa da ciascuno, che si riuolga alla contemplatione di se stesso; accioche non si credesse, che la Musica humana fusse, ò si chiamasse quell'ordine, che osserua la Natura nella generatione de i nostri corpi; la quale (come dicono i Medici; & anche lo conferma Agostino) poi che nella matrice della donna ritroua il seme humano, corrompendolo per lo spatio di sei giorni lo conuerte in latte; il quale in noue giorni trasforma in sangue; & in termine di dodici dì ne produce una massa di carne senza forma; ma à poco à poco introducendouela, in diciotto giorni la fà diuenire humana; di modo che essendo in Quarantacinque giorni compita la generatione, l'Onnipotente Iddio le infonde l'Anima intellettiua. Onde di questo habbiamo:
Sex in lacte dies, tres sunt in sanguine terni, Bis seni carnem, ter seni membra figurant.
Et veramente questo mirabilissimo ordine hà in se concento & harmonia, considerata la distanza d'un Numero all'altro, come è chiaro da uedere; che dal primo al secondo si ritroua la forma della Consonanza Diapente; & da questo al terzo quella della Diatessaron; & dal terzo all'ultimo quella della medesima Diapente. Et di nuouo dal primo al terzo & dal secondo all'ultimo la forma della Diapason; & dal primo all'ultimo chiaramente si scorge quella della Diapasondiapente; come più facilmente nella figura si vede.














18 12 9 6

Diapente Diatessaron Diapente Diapason Diapason Diapasondiapente
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Ma questa non chiamo io Musica humana; la qual dico, che si può conoscere da tre cose; cioè, dal Corpo, dall'Anima & dal Congiungimento dell'uno & dell'altra. Dal Corpo, come nelle cose che crescono, ne gli humori & nelle humane operationi. Nelle cose che crescono; noi ueggiamo ciascun uiuente quasi con vna certa harmonia cambiare il suo stato; gli Huomini diuentano de fanciulli vecchi, & de piccioli grandi; le Piante di humide, uerdi & tenere, si fanno aride secche & dure. Et benche ogni giorno si ueggono, & se habbiano inanti gli occhi; nondimeno non si può ueder tal mutatione; come ancora nella Musica non si può vdire lo spacio, col quale si uà dalla uoce acuta à quella che è graue, quando si canta; ma solamente si può intendere. Ne gli Humori; come vediamo nel temperamento de tutti quattro gli Elementi nel corpo humano: Et nelle Humane operationi la conosciamo nell'Animal rationale; cioè, nell'Huomo: imperoche in tal modo è retto & gouernato dalla Ragione; che passando per i debiti mezi nel suo operare conduce le sue cose, come una certa harmonia à perfetto fine. Conoscesi ancora tal harmonia dall'Anima; cioè, dalle sue parti, che sono l'Intelletto, i Sentimenti & l'Habito. Imperoche (secondo Tolomeo) corrispondono alle ragioni di tre consonanze; cioè, della Diapason, della Diapente & della Diatessaron; conciosia che la parte Intellettuale corrisponde alla Diapason, che hà sette Interualli; & sette sono le sue Specie; onde in essa si ritrouano sette cose; cioè, Mente, Imaginatione, Memoria, Cogitatione, Opinione, Ragione & Scienza. Alla Diapente, la quale hà quattro Specie & quattro Interualli, corrisponde la Sensitiua in quattro cose; nel Vedere, nell'Vdire, nell'Odorare & nel Gustare; essendo che 'l Toccare è commune à ciascun de i nominati quattro Sentimenti; & massimamente al Gusto. Ma alla Diatessaron, laqual si fà di tre Interualli, & contiene tre Specie, corrisponde la parte Habituale, nell'Augumento, nella Sommità ò Stato, & nel Decrescimento. Simigliantemente se noi uorremmo che le parti dell'Anima siano la sede della Ragione, dell'Ira & della Cupidità ; ritrouaremo nella prima sette cose corrispondenti à gli Interualli & alle Specie della Diapason; cioè, Acutezza, Ingegno, Diligenza, Conseglio, Sapienza, Prudenza & Esperienza. Nella seconda ritrouaremo quattro cose, che corrisponderanno alle Specie & à gli Interualli della Diapente; cioè, Mansuetudine, ò Temperanza d'animo, Animosità, Fortezza & Tolleranza: nella Terza tre cose corrispondenti à gli Interualli & alle Specie della Diatessaron; cioè, Sobrietà, ò Temperanza, Continenza & Rispetto. Oltra di ciò si considera ancora tale Harmonia nelle potenze di essa Anima; cioè, nell'Ira, nella Ragione & nelle Virtù; come sarebbe dire nella Iustitia & nella Fortezza; percioche queste cose tra loro si uengono à temperare, nel modo che ne i Suoni della Consonanza si contempera il Suono graue con l'acuto. Si conosce ultimamente tale Harmonia dal congiungimento dell'Anima col Corpo per la naturale amicitia; mediante la quale il Corpo con l'Anima è legato; non già con legami corporei; ma (come uogliono i Platonici) con lo Spirito, il quale è incorporeo; come di sopra vedemmo. Questo è quel leggame, dalquale risulta ogni humana Harmonia; & è quello, che congiunge le diuerse qualità de gli Elementi in un composto; cioè, nel Corpo humano; seguendo l'opinione de Filosofi; i quali concordeuolmente affermano, che i Corpi humani sono composti di Terra, Acqua, Aria & Fuoco; & dicono la Carne generar si della Temperatura de tutti quattro gli Elementi insieme; i Nerui di terra & di fuoco; & finalmente l'Ossa di acqua & di terra. Ma se questo ne paresse strano, ragioneuolmente non potiamo negare, che non siano composti almeno delle qualità elementali, mediante i quattro Humori, che in ogni corpo si ritrouano: come è Malinconia, Flegma, Sangue & Colera; i quali benche l'uno all'altro siano contrarij; nondimeno nel Misto, ò Composto, che uogliamo dire, stanno harmonicamente vniti. Anzi se per patir freddi & souerchi caldi, ouer per troppo mangiare, ò per altra cagione facciamo uiolenza ad uno de gli Humori; in istante ne segue il distemperamento & l'infirmità del corpo; ne egli prima si risana, se essi non sono ridutti alla pristina proportione & concordia; la quale non potrebbe essere, quando non ui fusse quel legamento, che di sopra hò detto, della Natura spirituale con la corporale, & della rationale con la irrationale.Questa Concordia harmonica adunque della Natura spirituale con la corporale, & della rationale con la irrationale, è quella che costituisce la Musica humana: percioche mentre l'Anima quasi con ragion de Numeri perseuera di stare vnita col Corpo; il Corpo ritiene col nome l'essere animato; & non essendo per altro accidente impedito, hà potestà di far ciò che uuole; doue disciogliendosi l'Harmonia, egli si corrompe; & perdendo col nome l'esser animato, resta nelle tenebre, & l'Anima vola all'immortalità. Et ben fu detto, Quasi con ragion de Numeri; conciosiache gli Anrichi hebbero una strana opinione; che Quando uno si annegaua, oueramente era ucciso, l'Anima sua non poteua mai andare al luogo deputato, fin che non haueua finito il musical Numero; colquale dal suo nascimento era stata congiunta al corpo. Et perche haueano per fermo, che tal Numero non si potesse trappassare; però tali accidenti chiamarono Fato, ouer Corso fatale. Onde il Poeta introducendo Deifobo, ilquale fù ucciso da i Greci, à parlare, tocca questa opinione con le seguenti parole;
Explebo numerum, reddarque tenebris.
Ma perche queste cose s'appartengono più à i ragionamenti della Filosofia, ch'à quelli della Musica; lascierò di parlarne più oltra; contentandomi d'hauerne detto queste poche, & dimostrato la varietà della Musica animastica; della quale, come di quella, che nulla, ò poco fà al proposito, non ne farò più mentione.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 7. (MDLVIII)
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09 febbraio, 2009

addio

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Leb' wohl, du kühnes,
herrliches Kind!
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03 febbraio, 2009

Buon compleanno, Felix!


Jakob Ludwig Felix Mendelssohn Bartholdy compie oggi 200 anni.

Matthew Guerrieri commemora l’anniversario con una delle sue simpatiche strip su personaggi della musica: stavolta, assieme al festeggiato, un suo illustre amico-nemico, Richard Wagner. Riassumo per i non anglofoni la storiella:

1. Felix offre a Richard un sufflè e Wagner si lamenta: avrebbe voluto qualcosa di più tedesco: ma cosa ci si può aspettare da un ebreo? aggiunge.
2. Felix precisa: ancora con l’ebreo? Io sono luterano, amico! Richard: ma hai sangue ebreo nelle vene! E allora? Fai parte della cabala, come Meyerbeer!
3. Felix: per l’amor di dio, a me Meyerbeer non piace nemmeno! OK. Allora almeno assaggia il dolce. Richard: cosa c’è nella crema?
4. Felix: sangue di bambini cristiani, naturalmente! Richard sputa tutto...
5. Felix: amico, è crema di lamponi! Ma tu credi proprio a tutto, vero? Richard: scriverò un libello al proposito.

E a proposito del Wagner antisemita: ecco un articolo del Wall Street Journal (che non è solo finanza!) sul perdurante ostracismo a Wagner in Israele. Qui il mio intervento in un forum americano sulla questione.
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