XIV

da prevosto a leone
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22 agosto, 2024

ROF-2024 live: L’equivoco stravagante.

Ieri L’equivoco stravagante, una ripresa della fortunata produzione del 2019 affidata alla coppia registica di Moshe Leiser e Patrice Caurier (che allora avevo personalmente apprezzato assai) ha chiuso il suo ciclo di quattro recite a questo ROF-45. Dico subito che mi sento di riconfermare in pieno quell’apprezzamento, anzi di innalzarlo ulteriormente, grazie anche allo spostamento delle recite dalla dispersiva Vitrifrigo Arena all’ambiente più raccolto, cittadino e quindi familiare del glorioso Teatro Rossini, riaperto per l’occasione.

Sul pruriginoso soggetto di Gasbarri e sulla regìa non sto quindi a dilungarmi oltre rispetto a quanto scritto allora. Manche perché molto più e molto meglio ne scrisse il venerabile Alberto Zedda.

Ma buone notizie sono arrivate anche dal nuovo apparato musicale, interamente rinnovato rispetto a quello ben distintosi nel 2019, che poteva contare sull’apporto della OSN-RAI e del coro del Ventidio Basso. Che la meno blasonata ma agguerrita Filarmonica Rossini e la piccola pattuglia del coro (14 tenori-baritoni-bassi, interpreti di contadini, letterati e soldati) del Teatro della Fortuna di Mirca Rosciani non hanno fatto per nulla rimpiangere.

Tutti guidati dalla bacchetta di Michele Spotti, che dall’anonima Cesano Maderno che gli ha dato i natali 30 anni orsono è oggi arrivato a dirigere l’importante teatro e la filarmonica di Marsiglia e a calcare podi in giro per il mondo. Rimarchevole la sua capacità di far emergere tutta l’accattivante freschezza di questa terza partitura di Rossini, che tanti bei momenti trasferirà ad opere successive. Gesto a volte enfatico o lezioso, ma evidentemente efficace, a giudicare dal consenso manifestatogli non solo del pubblico, ma degli stessi strumentisti.    

Nicola Alaimo è il motore assoluto dello spettacolo: il baritono palermitano, (all’ottava presenza nel cartellone principale del ROF, dopo l’esordio nel lontano 2010 in Cenerentola) ha incantato con la sua verve sempre raffinata, la sua presenza scenica mai sopra le righe e – superfluo aggiungerlo – la sua splendida voce! Ammirata già nell’iniziale duetto con Buralicchio (Ah, vieni al mio seno) poi nelle due arie (Talpa in mortale ammanto e Il mio germe) come nei pezzi d’insieme (Quartetto Ti presento a un tempo istesso e Quintetto Speme soave) oltre che nei due movimentati finali. È senza dubbio lui il trionfatore di questa riproposta dell’Equivoco.      

L’esordiente Maria Barakova (passata per l’Accademia nel 2018) veste i pani della protagonista Ernestina, la ragazza saputella e svampitella che vive nel mondo dei sogni per poi migrare in quello della realtà, complice… l’amore. Davvero apprezzabile la sua prestazione, a partire dalla cavatina d’esordio (Nel cor un vuoto) e poi nel Duetto con Ermanno (Se una speme). Nel second’atto si distingue nel Duetto con Buralicchio (Vieni pur) e nel Rondò con coro (Se per te lieta ritorno) che precede il finale. Importante anche il suo contributo ai pezzi d’insieme. (Se proprio devo trovarle il pelo nell’uovo, è qualche decibel che manca nell’ottava bassa.)

Al Nemorino-ante-litteram della situazione (il romantico Ermanno) ha prestato la sua limpida voce Pietro Adaìni (alla sua terza importante presenza al ROF). Acuti svettanti (fino al DO#) e bella proiezione di suono, unite a perfetta immedesimazione nel personaggio. Oltre all’esordio a freddo (Si cela in quelle mura) e al citato duetto con Ernestina (Sì, trovar potete) e ai pezzi concertati, ha pienamente convinto nella sua concitata aria (Sento da mille furie) e nella successiva cavatina (D’un tenero ardore).  

Il ricco nullafacente Buralicchio (l’altro buffo della situazione) è il quasi esordiente Carles Pachòn, che si è subito messo in mostra nella sua cavatina d’esordio (Occhietti miei vezzosi) e poi si è distinto nel citato duettino con Gamberotto (Ah padre! Mi stringi). Nel second’atto poi ha degnamente assecondato Ernestina nel duetto (Più la guardo) oltre a dare il suo valido contributo ai pezzi concertati.  

Bella figura hanno fatto anche i due comprimari, servitori di Gamberotto e alleati di Ermanno alla conquista del cuore di Ernestina. Patricia Calvache, voce per la verità non molto penetrante, si distingue nella sua arietta Quel furbarel d’amore, oltre che nel quintetto e nei finali d’atto. Matteo Macchioni è a sua volta un simpatico (e geniale ideatore dell’Equivoco!) Frontino, cui Rossini riserve la sua applaudita aria di sorbetto (Vedrai fra poco nascere).

Ma a parte i numeri solistici o concertati, la compagnia di canto ha sempre mantenuto alti il ritmo e la tensione della commedia, in ogni scena, proprio senza un solo momento di stasi, dall’inizio alla fine.  

Pubblico entusiasta, che ha accolto ogni numero con applausi a scena aperta, per poi decretare un trionfo generale – con punte al calor bianco per Alaimo - alla fine dello spettacolo. 


08 agosto, 2024

Il ROF-2024 alla radio.

Radio3, fedele alla tradizione, irradia le prime del Festival, che quest’anno sono quattro e non tre, in omaggio allo status di Capitale italiana della cultura di cui gode Pesaro per il 2024.

Rompere il ghiaccio, nel rinnovato Auditorium Scavolini, è toccato a Bianca&Falliero, alla quarta presenza al ROF (dopo 1986-89 e 2005). A guidare dal podio la OSN-RAI era Roberto Abbado; Giovanni Farina ha diretto il Coro del Teatro Ventidio Basso.

Nei quattro ruoli principali figurano due (ormai) vecchie glorie del ROF: le voci acute di Bianca di Jessica Pratt e di Contareno (suo padre!) di Dmitry Korchak; affiancate da quelle più gravi di due promesse già battezzate al ROF in anni recenti: il(la) Falliero di Aya Wakizono e il Capellio di Giorgi Manoshvili.

Premesso che l’ascolto tecnologico ha sempre i suoi limiti, mi sento di giudicare positivamente la prova di Abbado, almeno sul lato delle agogiche. Bene anche il coro di Farina.

Quanto alle voci, la Pratt ha subito approfittato delle opportunità di coloratura offerte da Rossini per sciorinare i suoi proverbiali sovracuti (DO#, RE e persino MI) chiudendo il rondò finale con uno stentoreo e lunghissimo MIb. La cantante aussie ormai di casa qui da noi mi è parsa anche la voce più centrata sul personaggio.

Non così le altre tre voci. Korchak più che discreto, ma forse questa parte di bari-tenore non gli è proprio congeniale (ascoltare il Merritt del 1986…) così lui se l’è cavata sopperendo con il mestiere. Per la Wakizono stesso discorso: voce assai bella ed espressiva, ma non certo di contralto (ascoltare la Horne del 1986 ma anche la Barcellona 2005…) anzi di mezzo spinto (DO acuti come nulla fosse) che soprattutto nei duetti con Pratt si faticava a distinguere dal soprano. Fin troppo grave e cavernosa invece la voce di Manoshvili. Doveroso segnalare anche la Costanza di Carmen Buendìa, il Doge di Nicolò Donini, e poi Claudio Zazzaro e Dangelo Dìaz.

Accoglienza per tutti più che calorosa, anche se… ristretta. Forse il pubblico era esausto per l’autentica maratona durata dalle 20 fin quasi a mezzanotte! In effetti l’opera mostra tutte le sue contrastanti caratteristiche: quelle di una summa di tutto lo scibile del teatro musicale messa insieme da Rossini a partire dalla Camerata dei Bardi per arrivare ai giorni suoi, Beethoven incluso! Lunghissime scene, duetti, terzetti, quartetti e concertati con coro di splendida ma ipertrofica fattura, alternate a recitativi accompagnati in declamato e pure a recitativi secchi (ieri proprio nulla è stato tagliato!)


Insomma, ci si spiega ancor oggi la reazione ammirata del pretenzioso pubblico della Scala del 1819, ma anche la contemporanea stroncatura degli spocchiosi critici di allora.   
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2. L’equivoco stravagante.

Quarta comparsa al ROF (dopo 2002-08-19) anche per La terza opera di Rossini (seconda ad essere rappresentata) che ha fatto riaprire i battenti al glorioso Teatro intitolato al Maestro e rimesso in sesto dopo il terremoto del 2022 che ne aveva compromesso la sicurezza.

Opera che – causa bando dai teatri per divieti di censori-bacchettoni - ha generosamente imprestato sue parti a parecchie sorelle arrivate dopo di lei; citerò solo tre macroscopici esempi: il Coro introduttivo dell’Atto II, che verrà reimpiegato in Ciro in Babilonia e poi in Tancredi; il quintetto dell’atto II (Speme soave) ripreso nel corrispondente Spera se vuoi (Pietra di paragone, a 21’55”); e l’aria finale di Ernestina (qui a 43”) passata ancora nella Pietra di paragone a Clarice (qui a 1’28”).

Michele Spotti (al suo terzo impegno importante al Festival: Barbiere streaming 2020 e Bruschino 2021) sta facendo grandi progressi e ha diretto da par suo la Filarmonica Rossini, dando un taglio davvero mozartiano a questa partitura del todeschino, che al Teofilo si ispirò assai nei suoi primi anni di carriera. Mirca Rosciani ha guidato il Coro del Teatro della Fortuna ad una prestazione più che apprezzabile.

Oltre a orchestra e coro, anche il cast è totalmente rinnovato rispetto alla stessa produzione del 2019 (allora ospitata nella smisurata Vitrifrigo Arena). Artisti quasi tutti (Alaimo escluso) di recente frequentazione dell’Accademia. La debuttante nel cartellone principale del ROF, Maria Barakova, veste i panni della protagonista Ernestina, alla quale presta in modo convincente (cavatina, duetti e rondò finale) la sua bella e calda voce di mezzosoprano lirico. 

I due buffi sono il navigato trascinatore Nicola Alaimo (Gamberotto) e il quasi esordiente (dopo la Cambiale del 2018) Carles Pachòn (Buralicchio): entrambi degni di elogio nelle rispettive cavatine/arie ma anche nel duetto (con gag) del primo atto e nei concertati.

Pietro Adaìni (già nel Turco del 2018 e ne La Gazzetta del 2022) impersona il romantico Ermanno e lo fa con buon profitto: voce squillante e acuti (incluso un DO#) senza sbavature.     

I suoi due sodali per la conquista della cinica Ernestina (Rosalia e Frontino) sono Patricia Calvache (praticamente all’esordio) e Matteo Macchioni, già presente nella Gazza del 2015 e in Adina del 2018. Anche per loro (cui Rossini riserva le classiche arie da sorbetto) note più che positive.

Da ultimo sottolineo ancora il perfetto affiatamento di tutti nei pezzi d’insieme: duetti, quartetto, quintetto e finali d’atto.

Insomma, almeno all’ascolto radio, una riproposta più che positiva.

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3. Ermione.

Ermione rappresentò per Rossini un (fugace) momento di rottura dei collaudati schemi (napoletani) dell’opera seria, tanto che fu categoricamente bocciata dal pubblico e messa in naftalina dallo stesso compositore, per essere poi dimenticata lì per decenni. Questa fu – ante-litteram – un’operazione di tipo breakthrough (come usano dire i moderni barbari…) che solo 30 anni dopo troverà il massimo epigono in tale Wagner!

Se oggi ne possiamo apprezzare tutta la straordinaria modernità, è soprattutto grazie al recupero fattone dalla Fondazione Rossini e dal ROF, che lo mette in scena oggi per la terza volta, dopo 1987 e 2008.

E poi - ça va sans dire – il merito va anche riconosciuto a Direttori come Michele Mariotti, che la concerta qui per la prima volta proprio a casa sua, sapendone esaltare tutte le straordinarie qualità e la grande varietà di accenti, dal dolente, al lirico, alle esplosioni degli animi esacerbati. In ciò assecondato alla grande dalla OSN-RAI, davvero senza una sola sbavatura, e dal Coro del Teatro Ventidio Basso di Giovanni Farina.

Ma anche il cast ovviamente conta, e quello messo in campo in questa produzione ha avuto la sua punta di diamante nella protagonista, la sempre più convincente Anastasia Bartoli, già segnalatasi lo scorso anno come Cristina: davvero torreggiante, soprattutto nelle due grandi scene del second’atto.

Molto bene anche l’appassionata Andromaca di Viktoria Yarovaya, anche lei ormai veterana del ROF (esordio nel Demetrio del lontano 2010). 

Praticamente scontato il successo per il Direttore Artistico del Festival, tale J.D.F. (Oreste) ormai ultra-decano del ROF (esordio 1996!) che ha sciorinato il meglio del suo bagaglio virtuosistico. 

Maluccio, ahilui e ahinoi, il Pirro di Enea Scala. Al quale credo proprio manchi il phisique-du-role per questo personaggio. Senza scomodare il sontuoso Merritt, basterà aver presenti un Kunde o uno Spyres per fare confronti impietosi. Ma poi, a parte la vocalità naturale, ier sera mi è parso anche fuori forma, con difficoltà di intonazione, acuti gutturali e spesso ghermiti dal semitono sottostante, oltre ai gravi quasi inudibili. Peccato davvero!

Buone notizie invece per Antonio Mandrillo (Pilade) che ieri è stato, per meriti sul campo, il secondo e non il terzo tenore del cast.

Più che dignitose le prove di Michael Mofidian (Fenicio), Martiniana Antonie (Cleone), Paola Leguizamòn (Cefisa) e Tianxuefei Sun (Attalo).

Comunque accoglienza calorosissima per tutti, con punte per Mariotti, Florez e Bartoli.

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4. Il barbiere di Siviglia.

Da quest’anno il Barbiere diventa recordman in solitaria in fatto di presenze al ROF (7, senza contare lo streaming dell’autunno 2020 in epoca Covid, contro le 6 della Scala). Consideriamolo un doveroso tributo a quella che è indiscutibilmente ancora l’opera più nota e gettonata del grande Gioachino.

E per omaggiarla se ne omaggiano quest’anno alcuni iconici interpreti. A partire da uno che calcò le scene del ROF, vestendo i panni di Assur, nel remoto 1992 (!!!) Michele Pertusi. Il quale ha cantato come DonBasilio nelle ultime apparizioni. E anche ieri la sua Calunnia ha mandato il pubblico in visibilio!

Un altro navigatissimo del ROF (Siége del 2000 dopo presenza in una kermesse del 1996) è Carlo Lepore, che impersona, come nello streaming del 2020, il mangiapane-a-tradimento Don Bartolo. Anche la sua è stata un’interpretazione sontuosa, che ha avuto la punta di diamante nell’aria del primo atto, caratterizzata da quella incredibile raffica di scioglilingua che lascia sempre di stucco. 

Ma a proposito di veterani, che dire di Patrizia Biccirè, che fu Giulia ne La scala di seta del 1992! E che già fece Berta nel 1997! E anche ieri ha raccolto ovazioni dopo a sua arietta del vecchiotto

Dopo i decani, ecco i promettenti giovani della nuova leva di cantanti rossiniani. Il protagonista è Andrzej Filonkzyk, in terminologia goliardica un fagiolo, essendo alla seconda apparizione al ROF, dopo il Raimbaud (Ory) del 2022. Il suo è un accattivante Figaro: voce potente, buon portamento, subito esibiti nella celebre cavatina d’esordio. Certo, l’esperienza gli gioverà per migliorare ancora. 

Come lui, viene dall’Ory di due anni fa anche la Rosina di Maria Kataeva. E anche per lei vale lo stesso discorso: una prova superata con voto più che discreto, voce dal timbro morbido, bene impostata su tutta l’ampia tessitura mezzosopranile, oltre a buona sensibilità interpretativa.   

Jack Swanson (già Florville nel Bruschino del 2021) è oggi il lezioso Conte/Lindoro, cui ha prestato la sua bella voce chiara e dagli acuti squillanti. Anche per lui il futuro si prospetta roseo, a patto di continuare a... studiare.

Alla terza uscita (dopo 2018 e streaming 2020) come Fiorello/Ufficiale è William Corrò, che ha dato il suo valido contributo al buon successo della serata.

Successo propiziato dall’energica direzione – tempi a volte persin troppo parossistici - di Lorenzo Passerini, alla guida della solida Sinfonica Rossini, ben coadiuvati dal Coro del Teatro Ventidio Basso di Giovanni Farina.   

Insomma, un Barbiere più che positivo, un’esibizione che il pubblico ha giustamente accolto con grandissimo calore.

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Ecco, chiuso il ciclo radiofonico delle prime, ora non mi resta che assistere dal vivo… dopo Ferragosto.

Ma intanto, Ernesto Palacio ha già annunciato il cartellone del 2025:

·       Zelmira (Sagripanti/Bieito)

·       Italiana (Korchak/Cucchi)

·       Turco (Ceretta/Livermore)

·       Messa per Rossini
 

20 agosto, 2019

ROF-XL live: L’equivoco stravagante


Ieri alla Vitrifrigo arena (non proprio esaurita) terza recita de L’equivoco stravagante. Non ho ancora visto il Demetrio (che però ricordo bene dal 2010) ma mi sento di affermare senza tema di smentita che lo spettacolo cui ho assistito ieri è di gran lunga il migliore di questo ROF e forse uno dei migliori in assoluto nella storia del Festival.

Con i soggetti seri o tragici il rischio che si corre oggi è di trovare un regista che si diverte (lui solo, però) ad interpretarli in modo diciamo... personale, spesso creando autentici mostri, come è accaduto proprio qui a Vick con la Semiramide. E come accadde anche a SantAmbrogio 2015 alla coppia Leiser-Caurier, responsabili di una Giovanna d’Arco invero... invereconda.

Viceversa, con le opere leggere (drammi giocosi, farse) il rischio è che vengano trasformate in volgari pezzi da avanspettacolo, e l’Equivoco ci si presta benissimo, con quel testo che Gasbarri infarcì (peraltro con raffinato humor) di doppi sensi, battute salaci e ammiccamenti da barzelletta sporca. Ci vorrebbe poco a trasformare l’opera in una goliardata tipo Ifigonia in Culide, ecco.

E invece - sorpresa sorpresa - il due registi hanno messo in piedi uno spettacolo di alto livello, senza mai cadere nel grossolano e nel becero, ma mantenendolo sempre su un piano di eleganza e buon gusto che davvero ha conquistato il pubblico.

Sobria ma intelligente ed efficace la scenografia di Christian Fenouillat: scena praticamente fissa, incorniciata come un grande quadro, nella casa di Gamberotto; pochissime suppellettili (tre sedie, un letto per parte del second’atto e nulla più); un (apparente) quadro gigante, raffigurante un paesaggio rurale con vacche pascolanti, che però si rivela essere un finestrone affacciato sulla campagna: lì circoleranno Ermanno ed Ernestina dopo la fuga dalla casamatta e soldati e servitori. Una quinta sulla destra della scena si apre temporaneamente per creare l’oscuro e angusto spazio della prigione in cui è chiusa Ernestina, poi liberata da Ermanno. Eleganti e simpatici i costumi di Agostino Cavalca. Elementari, ma ben gestite da Christophe Forey, le luci.

Molto curata la recitazione dei personaggi: Ernestina in particolare è efficacemente presentata come una ragazza un po’ snob, abbigliata (nella sua immaginazione) come una principessa e alla quale la cultura deve aver creato più complessi che maturità. Gamberotto e Buralicchio sono due ricchi, il primo però è un parvenu, grazie a tanto olio di gomito; l’altro probabilmente un nullafacente figlio-di-papà. Ermanno è il (futuro) Nemorino della situazione. Centrate anche le figure dei due domestici-amanti Frontino (che non si capisce dal libretto per quali ragioni sia confidente ed alleato del povero Ermanno) e Rosalia. Appropriati ed intelligenti i movimenti dei 14 coristi maschi, ora impersonanti la servitù di Gamberotto, ora i militari della guarnigione. Tutti i protagonisti sono dotati di lunghi nasi alla Cyrano, dei quali si disferanno platealmente sull’ultimo accordo di SIb maggiore dell’orchestra. 

In definitiva, un allestimento di gran classe (che sembra evocare certi spettacoli di Ponnelle...) che il pubblico ha mostrato di apprezzare assai. E che è auspicabile venga ripreso al ROF negli anni a venire.
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Ma altrettanto se non maggiore apprezzamento è andato alla prestazione musicale, che ha valorizzato in pieno questa partitura colma di cavatine, ariette, concertati e cori con la quale Rossini inaugurò la consuetudine dell’auto-imprestito, sia in... entrata (passaggi dal Demetrio e l’intera Sinfonia, più altri brani, dalla Cambiale); e poi (complice lo stop imposto all’Equivoco dalla censura) in... uscita, verso il vicino Inganno, ma anche verso una mezza dozzina di opere successive.

Le voci mi son parse tutte all’altezza del compito. Una classifica va comunque fatta (e l’ha fatta anche il pubblico con l’applausometro). Io ci metto in cima la Teresa Iervolino, che ha messo in mostra la sua bella voce contraltile, coniugata ad una efficace resa della bizzarra personalità della protagonista.

Poi Davide Luciano, un Buralicchio assai apprezzabile per sonorità e corposità di timbro. Con lui, benissimo l’ormai veterano Paolo Bordogna, una sicurezza assoluta in questi ruoli di buffo (dal 2005 ne ha interpretati qui quasi una dozzina!)

Pavel Kolgatin ha una voce piccola e con un timbro un pò chioccio, ma se l’è cavata più che discretamente, in una parte che non presenta le proverbiali arditezze cui Rossini costringerà i tenori in futuro.

Assai bene anche i due servitori-lenoni Claudia Musco e Manuel Amati. Perfetti i 14 esponenti del Ventidio Basso diretti da Giovanni Farina.

Carlo Rizzi ha guidato con sicurezza la splendida OSN-RAI (menzione speciale per il corno di Giovanni Urso nella Sinfonia). Dal Direttore avrei gradito solo un filino in più di verve nei passaggi più... tranquilli, ecco.

Per tutti applausi a scena aperta dopo (e anche all’interno di) ogni numero e poi finali ovazioni e ripetute chiamate al proscenio.

12 agosto, 2019

ROF-XL alla radio


Ieri sera il ROF del quarantesimo (significativamente dedicato a due grandi personaggi - del canto e della scienza musicale - da poco scomparsi, Monserrat Caballè e Bruno Cagli) ha aperto i battenti con una della bestie-nere (in senso buono, of course...) del catalogo rossiniano: Semiramide.

Dirò subito che il livello musicale dello spettacolo (per quanto si può giudicare per radio) mi è parso di alta qualità, se non proprio di eccellenza. Il profeta-in-patria Michele Mariotti ha confermato - ce ne fosse bisogno - di padroneggiare il complesso e difficile materiale rossiniano con assoluta perizia: certo, lui ha avuto il vantaggio di lavorare per anni con super-esperti come Zedda, e... si sente! La OSN-RAI non gli è stata da meno, con una prestazione impeccabile in tutte le sezioni, già manifestatasi fin dalla colossale Sinfonia.

Fra le voci mi ha sorpreso assai positivamente Varduhi Abrahamyan, un contralto che ha doti naturali degne di una Podles (!) Il suo Arsace ha la necessaria profondità di accenti e sono curioso di ascoltarla dal vivo per confermare questo giudizio.

Bene anche la beniamina del ROF Salome Jicia, che non sarà proprio la Colbran... ma che ha dimostrato di essere assai cresciuta in questi pochi anni, dopo il suo esordio in Elena.

Antonino Siragusa ha pure confermato alle mie orecchie la sua propensione per questi ruoli rossiniani: voce squillante, acuti staccati (quasi sempre) con sicurezza, dai DO e RE del primo atto, fino ai due DO# non scritti della sua aria di... addio-al-celibato, prima del viaggio di nozze.

La sua mogliettina non troppo convinta era Martiniana Antonie, che si è ben difesa, in una parte non proprio impossibile.  

Più che discrete le due voci basse, Nahuel Di Pierro è stato un efficace Assur, anche a livello di espresività, come dimostra la scena degli incubi, prima del finale; Carlo Cigni è stato un autorevole Oroe, anche se forse l’emozione di dover aprire l’opera gli ha creato qualche problema all’inizio. Oneste le prestazioni di Alex Luciano e Sergey Artamonov.

Il Coro del Ventidio Basso guidato da Giovanni Farina ha meritoriamente completato l’opera sul fronte musicale, accolto da un successo incondizionato, almeno a giudicare dagli applausi finali. Grandi contestazioni invece al team di Graham Vick, la cui regìa, secondo l’inviato di radio3 Oreste Bossini peccherebbe di eccessivo e indigesto cerebralismo (ma converrà giudicarla dal vivo).
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13 agosto - Demetrio&Polibio

Brillante davvero questa ripresa dell’opera prima di Rossini, comparsa al ROF nell’ormai lontano 2010, che ieri ha ottenuto (almeno a giudicare da ciò che l’etere ci ha portato alle orecchie dalla piccola bomboniera del Teatro cittadino) un gran successo di pubblico, con applausi dopo ogni numero e ovazioni finali.

Regina della serata (ma c’era da prevederlo) è stata una delle beniamine del ROF, Jessica Pratt, che in una parte che pare proprio scritta per lei e per le sue straordinarie doti naturali ha inebriato i suoi fan, sciorinando virtuosismi e sovracuti da brivido.

Ma bene anche Cecila Molinari (alla sua terza comparsa in 4 stagioni) e l’ormai veterano Juan Francisco Gatell, cui si è degnamente affiancato Riccardo Fassi.

Ripettando un’alternanza che vede le due Orchestre locali avvicendarsi di anno in anno in un’opera del cartellone principale, è toccato alla Filarmonica Rossini (da tempo affidata alle amorevoli cure di Donato Renzetti) accompagnare le voci sotto la guida del solido Paolo Arrivabeni, tornato al ROF dopo 16 anni. Meritevole di apprezamento anche il Coro della Fortuna diretto da Mirca Rosciani

In attesa dell’Equivoco, mi sento di dire che il livello strettamente musicale di questo quarantenne Festival è davvero ragguardevole.
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Titolo appropriato per le vicende politiche di attualità ferragostana: Buralicchio Salvini buggerato da Frontino Renzi... (che Dio ce la mandi buona!)

Chiusura scoppiettante delle tre prime del ROF-XL, con il dramma giocoso che occupa il terzo posto del catalogo rossiniano, subito dopo la Cambiale (di cui mutua la Sinfonia, inaugurando così immediatamente la prassi degli auto-imprestiti).

Anche ieri sera Radio3 ci ha portato belle notizie sul fronte dei suoni, con una compagnia di canto ben assortita (Iervolino e Bordogna su tutti) e una direzione (Carlo Rizzi) che ha saputo valorizzare al meglio le qualità di questa spumeggiante partitura del 19enne Gioachino. Accoglienza poco meno che trionfale, a testimonianza del gradimento del pubblico, fra il quale si è mescolato tale... Richard Bonynge!
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Ora non resta che l’esperimento in corpore vili... prossimamente.