Ieri alla Vitrifrigo arena (non proprio
esaurita) terza recita de L’equivoco
stravagante. Non ho ancora visto il Demetrio (che però
ricordo bene dal 2010) ma mi sento di affermare senza tema di smentita che lo
spettacolo cui ho assistito ieri è di gran lunga il migliore di questo ROF e
forse uno dei migliori in assoluto nella storia del Festival.
Con i soggetti seri o tragici il rischio
che si corre oggi è di trovare un regista che si diverte (lui solo, però) ad
interpretarli in modo diciamo... personale, spesso creando autentici mostri,
come è accaduto proprio qui a Vick con la Semiramide. E come accadde anche a
SantAmbrogio 2015 alla coppia Leiser-Caurier,
responsabili di una Giovanna d’Arco invero... invereconda.
Viceversa, con le opere leggere (drammi giocosi, farse) il
rischio è che vengano trasformate in volgari pezzi da avanspettacolo, e l’Equivoco ci si presta benissimo, con
quel testo che Gasbarri infarcì
(peraltro con raffinato humor) di
doppi sensi, battute salaci e ammiccamenti da barzelletta sporca. Ci vorrebbe
poco a trasformare l’opera in una goliardata tipo Ifigonia in Culide, ecco.
E invece - sorpresa sorpresa - il due
registi hanno messo in piedi uno spettacolo di alto livello, senza mai cadere
nel grossolano e nel becero, ma mantenendolo sempre su un piano di eleganza e
buon gusto che davvero ha conquistato il pubblico.
Sobria ma intelligente ed efficace la
scenografia di Christian Fenouillat:
scena praticamente fissa, incorniciata come un grande quadro, nella casa di
Gamberotto; pochissime suppellettili (tre sedie, un letto per parte del
second’atto e nulla più); un (apparente) quadro gigante, raffigurante un
paesaggio rurale con vacche pascolanti, che però si rivela essere un finestrone
affacciato sulla campagna: lì circoleranno Ermanno ed Ernestina dopo la fuga
dalla casamatta e soldati e servitori. Una quinta sulla destra della scena si
apre temporaneamente per creare l’oscuro e angusto spazio della prigione in cui
è chiusa Ernestina, poi liberata da Ermanno. Eleganti e simpatici i costumi di Agostino Cavalca. Elementari, ma ben
gestite da Christophe Forey, le luci.
Molto curata la recitazione dei
personaggi: Ernestina in particolare è efficacemente presentata come una
ragazza un po’ snob, abbigliata (nella sua immaginazione) come una principessa
e alla quale la cultura deve aver creato più complessi che maturità. Gamberotto
e Buralicchio sono due ricchi, il primo però è un parvenu, grazie a tanto olio di gomito; l’altro probabilmente un
nullafacente figlio-di-papà. Ermanno è il (futuro) Nemorino della situazione.
Centrate anche le figure dei due domestici-amanti Frontino (che non si capisce
dal libretto per quali ragioni sia confidente ed alleato del povero Ermanno) e
Rosalia. Appropriati ed intelligenti i movimenti dei 14 coristi maschi, ora
impersonanti la servitù di Gamberotto, ora i militari della guarnigione. Tutti
i protagonisti sono dotati di lunghi nasi alla Cyrano, dei quali si disferanno platealmente sull’ultimo accordo di
SIb maggiore dell’orchestra.
In definitiva, un allestimento di gran
classe (che sembra evocare certi spettacoli di Ponnelle...) che il pubblico ha
mostrato di apprezzare assai. E che è auspicabile venga ripreso al ROF negli
anni a venire.
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Ma altrettanto se non maggiore apprezzamento
è andato alla prestazione musicale, che ha valorizzato in pieno questa
partitura colma di cavatine, ariette, concertati e cori con la quale Rossini
inaugurò la consuetudine dell’auto-imprestito,
sia in... entrata (passaggi dal Demetrio
e l’intera Sinfonia, più altri brani, dalla Cambiale); e poi (complice lo stop imposto
all’Equivoco dalla censura) in... uscita, verso il vicino Inganno, ma anche
verso una mezza dozzina di opere successive.
Le voci mi son parse tutte all’altezza
del compito. Una classifica va comunque fatta (e l’ha fatta anche il pubblico
con l’applausometro). Io ci metto in cima la Teresa Iervolino, che ha messo in mostra la sua bella voce
contraltile, coniugata ad una efficace resa della bizzarra personalità della
protagonista.
Poi Davide
Luciano, un Buralicchio assai apprezzabile per sonorità e corposità di
timbro. Con lui, benissimo l’ormai veterano Paolo
Bordogna, una sicurezza assoluta in questi ruoli di buffo (dal 2005 ne ha interpretati qui quasi una dozzina!)
Pavel
Kolgatin
ha una voce piccola e con un timbro un pò chioccio, ma se l’è cavata più che
discretamente, in una parte che non presenta le proverbiali arditezze cui Rossini
costringerà i tenori in futuro.
Assai bene anche i due servitori-lenoni Claudia Musco e Manuel Amati. Perfetti i 14 esponenti del Ventidio
Basso diretti da Giovanni Farina.
Carlo Rizzi ha guidato
con sicurezza la splendida OSN-RAI
(menzione speciale per il corno di Giovanni
Urso nella Sinfonia). Dal Direttore avrei gradito solo un filino in più di verve nei passaggi più... tranquilli,
ecco.
Per tutti applausi a scena aperta
dopo (e anche all’interno di) ogni numero
e poi finali ovazioni e ripetute chiamate al proscenio.
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