sarà vero?

una luce in fondo ai tunnel
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25 ottobre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26 - Tjeknavorian in camera con gli archi.

Per coprire il lungo intervallo fino al verdiano Requiem del 14 novembre, Emmanuel Tjeknavorian ha pensato bene di riunire in camera Auditorium ventuno dei suoi archi (6-5-4-4-2) per proporci un interessante programma che spaziava da ‘700 a ‘900, partendo da Mozart, passando per Grieg ed approdando infine a BrittenAnche il pubblico era… da camera, occupando solo posti di platea, ma il calore lo ha fatto sentire più che mai.

Un programma che, a dispetto della sua traiettoria temporale, resta ancorato alla classicità e ad alcune sue tipiche forme di espressione: principalmente la Serenata e la Suite. Come dimostrano già i titoli delle prime due opere, di Mozart e Grieg; ma come ci rivela anche l’opera di Britten, intitolata Sinfonia, ma con movimenti che esplicitamente citano Bourrée e Sarabande. Nei brani di Grieg e Britten il richiamo alle danze caratteristiche delle Suite barocche si coniuga perfettamente con quello a musiche popolari dei rispettivi Paesi.

L’apertura del concerto era affidata a Mozart e alla sua celeberrima Eine kleine Nachtmusik, Serenata in Sol maggiore K 525.

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Di Edvard Grieg è stata poi eseguita Fra Holbergs tid (Dai tempi di Holberg), Suite in stile antico. Composta inizialmente (1884) per pianoforte, fu poco dopo trascritta (con parecchi arricchimenti) per orchestra d’archi. 

Il personaggio richiamato nel titolo è un letterato norvegese, Ludvig Holberg, vissuto fra il’600 e il ‘700 e diventato abbastanza famoso nei Paesi nordici (dove fu appunto soprannominato Il Molière del Nord) e soprattutto in Danimarca. Grieg si ispira a danze popolari di quel periodo per strutturare la sua Suite in cinque movimenti – sul modello barocco - classicamente ancorati alla stessa tonalità (SOL):

- Preludium  

- Sarabande  
- Gavotte  
- Air  
- Rigaudon  

In Appendice A ho riportato una mia breve sinossi della Suite.
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Ha chiuso la serata Benjamin Britten con la sua Simple Symphony op. 4, del 1933. Già il numero d’opera rivela trattarsi di composizione giovanile (del Britten ventenne) ma qui c’è di più, se lo stesso Autore ha rivelato (indicandone puntualmente i riferimenti in partitura) di aver rielaborato in essa composizioni risalenti a fino ad una decina d’anni prima! Insomma, anche Britten fu un po’ come Mozart, un bambino-prodigio…

La Sinfonia presenta la classica struttura in quattro movimenti (Allegro iniziale, Scherzo, Adagio e Finale vivace). Curiosamente, ciascun movimento riprende due temi da precedenti lavori: un brano di Suite o di Sonata e una Canzone:

- Boisterous Bourrée (Bourrée chiassosa, esuberante)

- Playful Pizzicato (Pizzicato giocoso)
- Sentimental Saraband (Sarabanda romantica)
- Frolicsome Finale (Finale gaio)

L’Appendice B reca una mia breve sinossi della Sinfonia.

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Il Tjek, che per l’occasione sfoggiava un’elegante giacca da passeggio color bordeaux, ha schierato - guidate da Dellingshausen - le… stringhe (!) in disposizione classica: violini alla sua sinistra, viole al centro, bassi a destra dietro (tutti costoro rigorosamente in piedi) e celli (i privilegiati, con seggiola) alla sua destra. Lui per l’occasione si è tenuto le partiture sotto gli occhi, il che può anche essere un segno di... rispetto per queste musiche che non sono per nulla da snobbare.

Così ha interpretato Mozart con la leggerezza e la leziosità dovuta alla più famosa delle serenate, e chiudendo gli occhi ci si poteva immaginare una festa in qualche giardino viennese, in una tiepida serata d’estate, ecco. 

Di Grieg ha saputo valorizzare la vena melodica, capace di evocare altrettanto efficacemente antiche danze popolari e solitari paesaggi nordici. 

Del giovane (e giovanissimo) Britten abbiamo potuto apprezzare la raffinatezza e l’originalità dei temi popolareschi ma anche l’austerità dei riferimenti al classicismo.

Ovazioni e applausi ritmati hanno salutato tutti i protagonisti di questa bella serata di musica!
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Appendice A. Holberg Suite

Preludium - Allegro vivace, 4/4, SOL maggiore. Dopo otto battute introduttive in SOL che impongono un ritmo marziale forsennato, curiosamente il delicato tema principale viene esposto nella dominante RE, il tutto subito ripetuto:

Poi si precipita al SOL e si avvia uno sviluppo caratterizzato da due parti, la prima più dimessa, nella relativa MI minore, la seconda nuovamente gagliarda (una derivazione del tema, in SOL) fino al ritorno del tema principale nella tonalità di impianto, sulla quale il Preludio si chiude con cinque battute di pomposa cadenza.  

Sarabande - Andante espressivo, 3/4, SOL maggiore. Le prime otto battute, ripetute, presentano il languido tema principale, sfociante sulla dominante RE:

La seconda parte del movimento (Un poco mosso, integralmente ripetuta) si apre mestamente sulla relativa della dominante (SI minore) che poi (Tempo I) trascolora a SOL maggiore, dove gli archi bassi conducono alla gloriosa ripresa del tema principale. 

Gavotte – Allegretto, 4/4 alla breve, SOL maggiore / MusettePoco più mosso, DO mggiore. Struttura che anticipa quella (Scherzo-Trio) del sinfonismo ottocentesco. La Gavotta è strutturata su due sezioni: la prima presenta il tema principale, un suo controsoggetto sulla dominante RE e il ritorno al SOL del tema:

La seconda riprende in modo variato il tema principale per chiuderlo enfaticamente. Segue (a mo’ di Trio) la Musette, nella sottodominante DO maggiore, costituita da due sezioni: la prima (di otto battute) che funge da introduzione, e la seconda (con il da-capo) che presenta un nuovo tema, seguita dalle otto battute introduttive:

Si riprende quindi per intero la Gavotta.  

Air - Andante religioso, 3/4, SOL minore. La macro-struttura è definibile come A-B-A. Nella prima sezione viene esposto – in 15 battute, con ripetizione - il dolente tema principale (che ha sfumature nella relativa SIb maggiore) che chiude modulando sulla dominante RE:

La sezione centrale si sposta invece sulla relativa di SOL (SIb maggiore) sulla quale propone sottili variazioni al tema principale:

Che torna, assai irrobustito nel suono e nella tonalità di SOL minore, nella conclusiva sezione, dove si accresce di due battute per chiudere poi con una scala discendente di un’ottava negli archi bassi.

Rigaudon - Allegro con brio, 4/4 alla breve, SOL maggiore. È una danza tipica della Francia (ma esportata anche in Inghilterra, e da lì nei Paesi nordici) anche qui in forma sandwich (A-B-A). La sezione A è a sua volta suddivisa in due parti, entrambe da ripetere: la prima, di 8 battute, suonata da violino e viola solisti, espone il tema principale:

La seconda, di 32 battute, propone una sua variante ampliata e poi sviluppata sulla dominante RE, con quattro battute di cadenza finale di ritorno al SOL. La sezione B (Poco meno mosso) presenta un nuovo tema, più lento e contemplativo, inizialmente in SOL minore (prime 8 battute):

Poi (28 battute, con da-capo) il motivo si sviluppa sulla relativa SIb maggiore e quindi chiude tornando a SOL minore. Si ripete quindi la sezione A senza da-capo.  

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Appendice B. Simple Symphony

Boisterous Bourrée - Allegro ritmico, 4/4 alla breve, RE minore. Quattro pesanti accordi introducono (esposizione) il primo tema (dalla Suite n°1 per pianoforte del 1926) piuttosto mosso, esposto inizialmente dai celli (contrappuntati animatamente in staccato dai secondi violini) e poi dall’intero ensemble:

Secondo i canoni della forma-sonata, segue il secondo tema (da una Canzone del 1923) nella relativa tonalità di FA maggiore:

Tema più elegiaco, esposto dai violini primi, che ha però qualche rassomiglianza con il primo (attacco dominante-tonica ascendente invece che discendente) e poi porta ad una sezione di sviluppo basata principalmente sul primo tema, prima della ripresa (Animato) che inizia non con il primo, ma con il secondo tema portato vigorosamente in RE maggiore per poi calare e sfumare (Tempo I) verso il tema iniziale, che chiude con isolati rintocchi, in RE minore, il movimento.     

Playful PizzicatoPresto possibile pizzicato sempre, 6/8, FA maggiore. Non può non ricordarci lo Scherzo della Quarta di Ciajkovski… Il tema viene però da un altro Scherzo, quello composto dall’undicenne Britten nel 1924!

Sono 61 battute in 6/8 dove tutti gli strumenti sono occupati ad inseguirsi suonando terzine (o spezzoni) di crome: una specie di ostinato che si muove su diverse tonalità: dal FA maggiore iniziale a RE minore; quindi a DO maggiore e LA minore; poi riprende il FA maggiore / RE minore, seguiti da SIb maggiore prima della chiusura sul FA. Attacca ora il Trio (Molto pesante) mutuato da una Canzone (sempre del 1924) dal ritmo puntato:

Che è composta da due sezioni di DO maggiore che ne chiudono in sandwich una in SOL. Si ripete quindi lo Scherzo, con breve coda conclusiva basata sul tema del Trio ma in FA maggiore.

Sentimental Saraband Poco lento e pesante, 3/2, SOL minore. La macro-struttura è del tipo A-B-A’-B’. La sezione A presenta ripetutamente un tema dolente e lamentoso, preso dalla Suite n°3 per pianoforte del 1925, con relativo controsoggetto:

La B invece (Poco più tranquillo) si rifà ad un Walzer per pianoforte del 1923, un tema assai languido e decadente, nella relativa SIb maggiore, anch’esso ripreso con varianti:

Torna (Più agitato) il primo tema, qui persino protervo, per poi lasciare la chiusura (Tranquillo) al tema di Walzer, che chiude il movimento nella pace e serenità del SIb.

Frolicsome FinalePrestissimo con fuoco, 4/4 alla breve, RE minore. Dopo otto battute introduttive, con scalate (due salti di quarta e due di quinta) al LA e al RE, attacca il primo tema, preso dalla Sonata n°9 del 1926:

Tema nervoso che sale per un’ottava dalla dominante, appoggiandosi sulla quarta aumentata per poi scendere alla sopratonica; viene ripetuto un’ottava più alta, per tornare alla tonica RE. Segue un controsoggetto che si adagia sul MI, dal quale, come mediante di DO, si diparte il secondo tema, più disteso e cantabile, preso da una Canzone del 1925:

Ora uno sviluppo ci porta alla ripresa dei due temi, il secondo di quali si trasferisce sulla tonalità principale della Sinfonia, che si avvia alla coda (Stringendo e poi Più presto) per chiudere con tre secchi accordi di RE maggiore. 


11 ottobre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26.2- Tjeknavorian e sorelle Lébeque.

Emmanuel Tjeknavorian deve aver ideato una specie di trilogia per i programmi dei suoi primi tre concerti della stagione, con un percorso ciclico: dopo il primo Brahms e il Ciajkovski del concerto inaugurale (Scala, 14/9) ha scelto il Mahler (contemporaneo di entrambi) della scorsa settimana (3/10) per tornare al (quasi) ultimo Brahms (via-Beethoven) dopo un’irruzione (!) di Philip Glass.

L’apertura del concerto, che è assolutamente tradizionale nella struttura, è riservata ad una breve Ouverture beethoveniana, quella dalle musiche da Die Geschöpfe des Prometheus, un balletto del 1801 da sempre dimenticato, o ricordato solo perché un motivo del suo Finale venne da Beethoven ripreso come tema conclusivo di un’altra - questa sì rimasta famosa – opera: l’Eroica.

Ouverture dalla struttura assai semplice: 16 battute introduttive in 3/4 Adagio, e poi tutto il resto in 4/4 Allegro molto con brio; primo tema, DO maggiore, con volate di crome degli archi (che ricordano il Mozart delle Nozze e anticipano l’attacco del finale della futura Quarta Sinfonia); secondo tema canonicamente in SOL maggiore, più disteso e saltellante, con i legni in evidenza; ripresa del primo tema (in DO); ripresa del secondo tema, ora accodatosi al DO di impianto; ritorno del primo tema e coda conclusiva.

Per il Tjek è un bel modo per scaldare le mani al pubblico dell’Auditorium, anche ieri affollatissimo di ragazzi (oltre che di… diversamente giovani).

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Il Concerto per due pianoforti e orchestra di Philip Glass è stato composto nel 2015 e dedicato proprio alle due arzille sorelle (Katia e Marielle Lébeque, 75 e 73 anni!) che lo suonarono per la prima a LosAngeles (con Dudamel) e lo hanno interpretato anche ier sera in Auditorium. Qui una loro esecuzione parigina del 2016.

Concerto di classica struttura tripartita, ma con due movimenti veloci che precedono quello conclusivo, più moderato. Musica tonale, fatta più di armonie che di melodia: non vi troviamo i classici temi ben scolpiti, con sviluppi o contrappunti, ma cascate di accordi o di note ribattute, con sovrapposizione ritmica di tempi (ternario su binario o viceversa, terzine, arpeggi, emiole…) Concise figurazioni dettate dai pianoforti sulle quali l’orchestra interviene per sostenerle, più che per dare risposte. Insomma, le due tastiere e l’orchestra producono spesso un effetto come di un gigantesco organo… come si intuisce da questa pagina del primo movimento, ricca di stravinskiana poliritmia:

Primo movimento, tutto in 4/4, che si muove su tonalità bemollizzate, dal MIb al LAb per poi stabilizzarsi lungamente in zona SIb, ma sempre con inflessioni modali. Movimento che perde progressivamente la sua carica vitale, per sfumare lentamente verso atmosfere sognanti (sul FA) allargando il tempo fino a perdersi in lontananza su delicate ottave di FA del primo pianoforte.

Il secondo movimento riparte da lì, con 35 battute (7 gruppi di 5) dei soli pianoforti sul ritmo incalzante tenuto dalle percussioni (triangolo e tavolette di legno) per poi animarsi (a 3/4) e caricarsi progressivamente di energia [siamo in ambito tonale di FA]. Poi inizia una sezione caratterizzata da continui salti di tempo: 5/4 (2+3) poi 6/4, ancora 5/4 e poi 6/4, 5/4, 6/4, 5/4, 6/4, con ispessimenti del suono (effetto organo) e brevi momenti di respiro, ma con continue poliritmie. L’ambito tonale si è spostato a LA e il movimento si chiude in modo traumatico, sulle quinte giambiche LA-MI di flauti, ottavino e primo pianoforte.

Il movimento conclusivo è, come detto, di carattere elegiaco, una specie di cantilena, o ninna-nanna, sempre in 4/4, ambito tonale di DO minore, anche qui con impiego di poliritmia (terzine, o 6/4 su 4/4). La struttura del brano è formata da un arco che sale progressivamente in corposità e volume di suono per poi scendere fino a chiudersi mestamente sulle ottave ascendenti DO-DO dei celli e i lamentosi LAb-SOL dei pianoforti.

Le sorelline francesi sembrano calarsi anima e corpo in questa musica che suona quasi arcana, metafisica si direbbe, e il pubblico le gratifica di ovazioni e applausi ritmati. Ai quali rispondono con un’altra… Glassata (!) 

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Ha chiuso la serata la difficile Quarta di Johannes Brahms, che da sempre costituisce una specie di prova d’esame per ogni Direttore che aspiri a fama imperitura. 

E il Tjek non ha certo esitato ad affrontarla da par suo, con approccio severo e sostenuto. Da incorniciare alcuni momenti, come la cavata dei celli nell’Andante moderato o le abbaglianti sonorità orchestrali dell’Allegro giocoso; ma il meglio per me è stata la ciaccona finale, si direbbe proprio… bach-brahmsiana!

Pubblico in delirio, ed ora aspettiamo il Tjek da camera il 24 ottobre.


04 ottobre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26.1- Tjeknavorian

Come praticamente ogni altra città italiana, anche Milano ieri è stata attraversata (e pure circondata) da flotte frotte di cittadini che non possono più assistere in silenzio e indifferenza a fronte di ciò che avviene in Palestina, e in particolare a Gaza. Senza che chi ci rappresenta tutti faccia qualcosa di più che emettere imbarazzati balbettii di protesta.

Anche laVerdi non ha mancato di riconoscere la gravità della crisi umanitaria che ha colpito Gaza, con un comunicato distribuito prima del concerto (dedicato alle vittime della guerra) con richiami a pace, giustizia e solidarietà, proiettati sugli schermi che sovrastano l’orchestra, e con un’iniziativa di raccolta fondi all’interno della Fondazione, da devolvere alla Croce Rossa:

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Così, dopo la trionfale inaugurazione in Scala, la stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano ha preso l’avvio in Auditorium con l’esecuzione di uno dei mostri sacri del tardo-romanticismo, la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler. Che il Tjek ha voluto lasciar vivere da sola, in primo piano, senza preamboli o riempitivi di sorta, per metterne meglio in risalto la centralità nella produzione mahleriana. [Qui alcune mie note sulla Sinfonia.]

Preceduta da una pindarica introduzione dell’enciclopedico Quirino Principe (che ha annunciato la prossima uscita di una nuova edizione del suo imprescindibile testo su Mahler) l’esecuzione cui abbiamo assistito ha pienamente mantenuto le promesse, confermando la straordinaria sensibilità interpretativa del Tjek e la perfetta forma della compagine strumentale.

Una Quinta davvero scolpita nel marmo, fin dalla proterva introduzione della tromba, con l’iniziale Trauermarsch che emerge con passo dolente per poi animarsi (nel ricordo dello straussiano Zarathustra) e quindi ripiegare su se stessa perdendosi lontano sul pizzicato di viole e archi bassi.

Trascinante lo Sturmisch bewegt, con lancinanti e disperate imprecazioni, interrotte da quelle che Adorno definiva irruzioni, di motivi sguaiati e quasi blasfemi, prima di chiudersi con quell’incredibile corale bruckneriano, che sarà poi ciclicamente ripreso alla fine.

Qui il Tjek ha approfittato della didascalia mahleriana (segue lunga pausa) per tergersi il sudore che colava dalla sua fronte, per poi attaccare lo Scherzo nel quale ha impietosamente calcato la mano sui contrasti fra l’irresponsabilità viennese del tema principale e la snervante, opprimente cantilena del corno obbligato, chiudendo con un’irresistibile rincorsa verso…

…l’Adagietto, tenuto per un tempo al limite inferiore rispetto alla tradizione (meno di 9 minuti…) ma senza togliere nulla del sublime decadentismo di questa musica.

Travolgente poi il Rondò, con le impertinenti sortite della lode dell’alto comprendonio, i richiami al tema dell’Adagietto, l’improvviso e fugacissimo irrompere dell’inciso da Revelge e il ritorno del corale che porta alla conclusione, col finale che par richiamare l’hi-ha del ciuco del Wunderhorn.

Inutile dire che l’Auditorium, gremito quasi all’esaurimento, ha tributato a tutti un entusiastico trionfo.


15 settembre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26 – Tjeknavorian – Buchbinder

Eccoci quindi alla Scala, come ogni metà settembre, per commentare l’apertura della nuova stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano. In un Piermarini affollato come non mai è naturalmente il Direttore musicale a salire sul podio per offrirci un austero quanto classico programma.

Ma è il blasonato Rudolf Buchbinder (quasi 79 ben portati) a presentarsi per primo per proporci alla tastiera la sua visione del monumentale Primo Concerto di Johannes Brahms. Concerto faticosamente e lentamente sfornato dal giovane amburghese come piano-B (Op.15) di quella che avrebbe dovuto essere la sua prima sinfonia, che invece dovrà attendere qualche lustro (Op.68) per vedere finalmente la luce.

In effetti Brahms ideò a 19 anni (1852) una Sonata per due (!) pianoforti, che poi pensò di trasformare in Sinfonia, la qual cosa gli parve ancor più velleitaria, e così più di 7 anni dopo potè a fatica presentare nella sostanziale indifferenza del pubblico il suo Concerto ad Hannover, poi a Lipsia dove ricevette addirittura una sonora disapprovazione. Erano tempi in cui spopolava il puro virtuosismo, di cui era campione un tale Liszt, il cui primo concerto, del 1855, sta proprio agli antipodi di quello di Brahms. Anche per durata: 25 minuti contro 50!

Né più entusiastica fu l’accoglienza degli interpreti alla tastiera: il solista vi spicca abbastanza poco, quasi sempre annegato nella trama del tessuto orchestrale, per di più dovendosene stare per parecchi interminabili minuti fermo ad ascoltare l’orchestra esaurire ben 90 battute introduttive prima di dare la... parola al pianoforte!

Dopodichè il lavoro per il solista non manca di certo: non perché chiamato a virtuosismi da baraccone, ma ad un impegno fisico - non fosse che per la durata del concerto - di quelli davvero gravosi.

Ebbene, questa ben assortita coppia di viennesi sembra aver trovato la quadra per coniugare la seriosa e quasi pedante prosopopea del burbero amburghese con la leggerezza tipica della città degli Strauss! E, come premio per i trionfali applausi, Buchbinder ci ha regalato, per l’appunto, questo suo abituale bis viennese.

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La seconda parte del Concerto – con Buchbinder a godersela, accomodatosi, in borghese, a metà platea - era occupata da un'altra opera che è da sempre nei repertori di ogni orchestra che si rispetti (quindi, ovviamente, anche de laVerdi!): l’esagerata Quinta di Ciajkovski. Che già nel 2014 aveva aperto la stagione qui alla Scala (con Xian Zhang).

Sinfonia che lo stesso Autore ebbe a definire insincera, e infatti retorica, enfasi e affettazione vi abbondano, soprattutto nei due movimenti esterni. Il che finisce per attirare spesso i Direttori nel tranello di interpretazioni sopra le righe, ad operare scelte che sfiorano o cadono nella gigioneria e nel facile esibizionismo, finendo proprio per esaltare l’insincerità di questa partitura.

Il Tjek ha dimostrato ancora una volta la sua grande maturità, evitando quel tranello con una direzione rigorosa e senza cedimenti al Kitsch; un esempio per tutti, una vera cartina di tornasole: le ultime due battute dell’opera, quel protervo ta-ta-ta/tà, che molti suoi colleghi eseguono dilatandolo a dismisura; lui lo ha suonato perfettamente e asciuttamente in tempo…

Ma poi come non restare ammirati dall’espressività che il giovane direttore ha saputo dare ai momenti più ispirati dell’opera. Anche qui mi limito ad un solo esempio, l’attacco dell’Andante cantabile con alcuna licenza, dove il Tiek ha guidato il corno magico di Giuseppe Amatulli, contrappuntato dal clarinetto del grande Fausto Ghiazza, attraverso quella pagina di assoluta poesia.

Un tifo da stadio ha accolto l’ultimo gesto del Direttore, con interminabili ovazioni e applausi ritmati a josa. Insomma, era difficile immaginare miglior preludio alla stagione, che a ottobre entrerà nel vivo in Auditorium, sempre sotto il segno del Tjek!


11 settembre, 2025

L’Orchestra Sinfonica di Milano riparte alla Scala

Domenica 14/9 si ripeterà l’ormai tradizionale evento di inizio stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il Concerto inaugurale ospitato nel tempio della Scala. Sul podio salirà Emmanuel Tjeknavorian e alla tastiera siederà Rudolf Buchbinder.

È la prima stagione confezionata personalmente dal Direttore musicale, e… si vede! Dopo il concerto inaugurale, il rampante Tjek salirà sul podio dell’Auditorium di Largo Mahler per ben 11 volte (più le repliche) su 25 concerti della stagione principale. Ma in più dirigerà/interpreterà anche 4 concerti da camera (uno in Auditorium e tre al Gerolamo).

Otto dei suoi undici concerti includeranno Sinfonie del grande repertorio (classico, romantico e tardo-romantico): dopo quella di Ciajkovski dell’inaugurazione, troviamo altre due celebri Quinte: Mahler e Shostakovich; più due Settime (Beethoven e Bruckner) seguite dalla Quarta di Brahms, dall’ostica Seconda di Rachmaninov, dalla Fantastica e – ovviamente – dalla tradizionale Nona di fine-inizio anno.

Ma il panorama sinfonico non finisce qui: ecco altre dieci opere che esplorano un arco temporale che va dal ‘700 al ‘900: Mozart 40, Haydn 103, Beethoven 4, Schubert 4, Schumann 3, Bruckner 4, Dvorak 6, Mahler 10, Sibelius 2 e Shostakovich 6.

Il Tjek sarà poi protagonista di due sommi Requiem: Verdi e Brahms; e di un concerto dedicato a musiche da balletti.

Al monumentale Messiah di Handel è riservato il concerto pre-natalizio, diretto da Fabio Biondi.

La sezione concerti solistici comprende opere dedicate al violino (Ciajkovski, Dutilleux, Barber), a violino-corno (Smyth), al pianoforte (Beethoven 4-5, Liszt 2, Rachmaninov 2, DeFalla Noces, Berio Compass e Glass doppio), alla tromba (Haydn), alla viola (Martinu) e al contrabbasso (Rota).

Altre perle della stagione sono Strauss (Vier letzte Lieder e Fr-o-Sch suite), Rimski (Sheherazade), Elgar (Enigma).

A fornire sostanziosi riempitivi ci penseranno gli Strauss viennesi, Beethoven, Bartok, Dvorak, Ravel, Respighi, Glinka, Liszt, Rota, DeFalla, Campogrande, Kachaturian, Stravinski, Kodaly, B.Blacher, Wagner, Bernstein, Walton e… Rossini.

Oltre al citato Biondi, a dare il cambio al Tjek sul podio saranno direttori di chiara fama quali Christoph Eschenbach, Cornelius Meister, Marko Letonja, Kolja Blacher, il Direttore emerito Claus Peter Flor, affiancati da Diego Ceretta, Clelia Cafiero, Victor Pablo Peréz, Yoel Gamzou (sua la versione della Mahler 10), Jac van Steen, Anna Rakitina, Sunwook Kim e Alfred Eschwé.

I solisti di strumento comprendono: i violinisti Andrea Obiso (Ciajkovski), Sebastian Bohren (Dutilleux) e Anne Hakiko Meyers (Barber); la coppia violino-corno di locali, formata da Dellingshausen e Amatulli (in Smyth); i pianisti Katia e Marielle Lebèeque (Glass), Andrea Lucchesini (Berio), Konstantin Emelyanov (DeFalla), Janeba Kanneh-Mason (Rachmaninov), Sunwook Kim (Beethoven 4), Tom Borrow (Beethoven 5) e Kiron Atom Tellian (Liszt 2); la tromba del locale Alessandro Rosi (Haydn); la viola di Sarah mcElravy (Martinu) e il contrabbassista Dominik Wagner (Rota).

Il soprano Siobhan Stagg ci proporrà le quattro (pen)ultime canzoni di Strauss.

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Assai interessante si presenta la stagione cameristica, che comprende due concerti in Auditorium: gli archi diretti dal Tjek e i contrabbassi guidati dal solista Dominik Wagner. E sei concerti al piccolo ma splendido Teatro Gerolamo: un quartetto d’archi che suona Weber, Shostakovich e Berio (che compirebbe oggi 100 anni); poi il Tjek, con un sestetto d’archi, presenta il primo Sestetto di Brahms e interpreta una versione per settimino delle straussiane Metamorphosen; poi il pianista Jonas Aumiller con quattro archi interpreta Shostakovich, Mahler e Brahms; ancora è il Tjek più un quartetto d’archi ad offrirci due pezzi forti di Dvorak; sempre lui con un ensemble archi-fiati in opere di Mozart, Schubert e C.Stamitz; e infine quattro archi e un clarinetto si esibiranno in Mozart (quartetto K156) e Brahms (quintetto op.115). 

Come si vede, un’offerta di tutto rispetto, che il pubblico non potrà non apprezzare. 


14 giugno, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.30 – Tjeknavorian - Hampson

Siamo arrivati all’ultimo appuntamento della stagione principale 24-25 dell’Orchestra Sinfonica di Milano ed Emmanuel Tjeknavorian si congeda dal suo pubblico con un programma (quasi) tutto americano: due brani ispirati dagli USA a compositori europei e uno proprio tutto (latino-)americano.

Prima dell’inizio sui due schermi telati dell’Auditorium compare un doveroso ricordo per il brigadiere Carlo Legrottaglie, caduto in servizio anti-crimine. In platea alcuni suoi commilitoni.

Si parte quindi con George Gershwin e la sua Cuban Overture del 1932, composta dopo una vacanza a La Habana. In Appendice-1 qualche nota ad un’esecuzione di Lorin Maazel a Cleveland.

Trascinante l’esecuzione dei ragazzi, guidati dal gran carisma del Tjek. Applausi e ovazioni da un pubblico addirittura strabocchevole.

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Ecco ora il baritono statunitense Thomas Hampson farsi avanti per interpretare di Kurt Weill il ciclo delle Four Walt Whitman Songs, quattro Lieder composti originariamente (1942) per canto e pianoforte e successivamente orchestrati da Weill con Elly Irving Schlein (1947) e Carlos Surinach (1956).

Su contenuti e ambientazione dei testi di Whitman e in particolare dei quattro musicati da Weill rimando all’Appendice-2. Ecco invece di seguito come Thomas Hampson ha interpretato i quattro canti a Vienna con Russel Davies:

1. Beat! Beat! Drums! Ostinata marcia in LA minore, con i richiami della voce che accompagnano l’azione di tamburi e trombe e salgono sempre, implacabili e stentorei, alla dominante MI.

2. Oh Captain! my Captain! Una dolce melodia in FA maggiore per gioire con il Capitano della vittoria e del felice ritorno a casa. Ma il Capitano giace insanguinato sul ponte e al suo marinaio, mentre il FA maggiore si abbruna progressivamente, non resta che piangerlo, mentre il popolo ancora festeggia.

3. Come up from the fields, father. Il DO minore fa da sfondo dapprima all’evocazione del crepuscolare paesaggio autunnale, poi all’angoscia della madre alla notizia della morte del suo ragazzo, e infine alla sua sconfortata rassegnazione.  

4. Dirge for two veterans. Una marcia funebre serena, dapprima in SOL maggiore, poi degradante a FA, porta padre e figlio, caduti in guerra, alla tomba, dove il SOL maggiore torna per l’ultimo saluto d’amore ai due patrioti. 

Hampson si cala perfettamente nell’atmosfera dei quattro Lied, dove Weill resta ancorato ad un sano diatonismo, solo screziato da sfumature atonali: la sua voce baritonale chiara e rotonda e il suo pathos di raffinato interprete si addicono a meraviglia a questi testi e a questa musica che chiama alla consapevolezza, all’umanità dei sentimenti, all’empatia, in definitiva… all’amore, contro ogni istinto di sopraffazione o di vendetta: e per questo è quanto mai di attualità.

Calorosissima quindi l’accoglienza che il pubblico gli riserva, accomunandolo a orchestra e direttore, che lo hanno supportato al meglio. 

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Il concerto si chiude con l’inflazionata Dal nuovo mondo di Antonin Dvořák, che l’Orchestra conosce come le sue tasche per averla suonata millanta volte.

Ma come ieri sera credo non l’abbia mai suonata in modo così emozionante. Grazie ai ragazzi e ovviamente alla loro guida carismatica. Il Tjek ha tirato fuori il meglio di sé con un’interpretazione, credo, guidata da un’intima condivisione del senso profondo di questa musica. Mi limito a citare il Largo, una cosa, almeno per quel che mi riguarda, mai sentita prima: frasi in pianissimo dei violini da mozzafiato, ricerca di sonorità delicate senza mai sconfinare in gratuite leziosità, uso sapientissimo del rubato, a ulteriormente impreziosire, se possibile, le nobili melodie di Dvořák, che forse solo certo Bellini riusciva a inventare.

Poi, come non citare il mirabile corno inglese di Paola Scotti, il corno di Ceccarelli, il clarinetto della Raffaella, e poi tutti, ma proprio tutti, gli altri compagni di questa Orchestra che si supera ad ogni nuovo cimento.   

Un autentico tifo da stadio, con applausi ritmati e urla belluine ha salutato la conclusione di questa serata davvero magica.

Bene, anzi benissimo. e così ora si comincia già a guardare al 14 settembre, quando il Tjek inaugurerà alla Scala la nuova stagione, alla quale darà lustro con ben 11 presenze sul podio (su 25 concerti) più 4 guide di altrettanti concerti da camera. [Ma laVerdi non va ancora in ferie… e luglio ci darà ancora sorprese.]

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Appendice-1. Cuban Overture.

Ha una struttura vagamente di forma-sonata, con la doppia esposizione di due temi principali, seguita da uno sviluppo che in realtà propone nuovi motivi e infine da una ripresa dei due temi esposti all’inizio. Il tutto chiuso da una coda.

Dopo 5 battute di introduzione di fiati e percussioni ecco violini, oboi e corno inglese esporre (10”) il motivo della famosa canzone cubana Echale Salsita. Contrappuntato da corni e viole con un altro motivo, che si scoprirà essere l’incipit del secondo tema.

Dopo che il motivo è stato reiterato, ecco (35”) farsi largo un accompagnamento leggermente sincopato che prelude all’ingresso (40”) nei corni, corno inglese e violini, del secondo tema, che nel suo sviluppo (dopo l’incipit già udito prima) richiama - sia pur vagamente (46) - la famosissima Paloma (dello spagnolo Iradier, ma chiaramente ispirata a Cuba). 

Dopo che il tema è stato reiterato dall’orchestra, ecco comparire (1’53”) un suo controsoggetto più languido, più avanti (2’29”) contrappuntato dal ritorno del primo tema, che poi si ripresenta (3’04”) a piena orchestra, seguito (3’16”) dal secondo.

A 3’38” è il primo tema a cadenzare, sfumando lentamente e, dopo una scarica di bongos, è il clarinetto (3’47”) che introduce con un breve recitativo la seconda sezione (sostenuto).

Oboe, corno inglese e flauto riprendono il precedente recitativo del clarinetto introducendo un motivo (4’39”) esposto dai violini, che ricorda, pur da molto lontano, quello famosissimo del blues dall’Americano a Parigi. La cosa si ripete a 5’23”. Poi, a 6’00” i violini entrano con un altro motivo che ricorda – anche qui assai di lontano – la jota finale dal Sombrero di DeFalla.

Quest’atmosfera piuttosto dimessa si trascina fino a 7’40”, dove abbiamo una stentorea perorazione dell’orchestra, che conduce (7’56”) all’ultima parte dell’Overture (Allegretto ritmato) dove ritroviamo (8’12”) il primo tema nella tromba e subito dopo (8’19”) il secondo negli strumentini.

I due temi principali sono ora protagonisti del convulso finale, che si chiude (9’48”) con 18 battute di Coda, dove l’orchestra sembra caricarsi e prendere la rincorsa per il balzo trionfale.

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Appendice-2. Testi di Whitman musicati da Weill.

Il poeta-scrittore newyorkese (vissuto nel pieno ‘800) è divenuto famoso nel mondo soprattutto per una corposa collezione di poesie, Leaves of Grass, redatte fra il 1850 e il 1892 (anno della sua scomparsa) e pubblicate, a partire dal 1855, in otto successive e sempre più arricchite edizioni, fino al 1892. Qui una pregevole traduzione italiana, del 1907, con corposa e multidisciplinare presentazione, di Luigi Gamberale, con il titolo di Foglie di erba.

Nel 1865 Whitman produsse una delle periodiche aggiunte alla raccolta, ispirandosi alle vicende della Guerra civile (1861-65) alla quale (pur contrario per principio ad ogni forma di conflitto – era di religione quacchera come la madre olandese) lui partecipò attivamente come ausiliario infermiere, curando indifferentemente e disinteressatamente le ferite di nordisti e sudisti.

Nacque così una nuova sezione del libro, intitolata Drum-Taps (Colpi di tamburo, poi ulteriormente rimpolpata con Sequel to Drum-Taps). Ed è da essa che Weill, ormai da tempo stabilitosi in USA, scelse le quattro poesie da musicare [fra parentesi i riferimenti alla traduzione di Gamberale dei testi originali in lingua inglese]:

- Beat! Beat! Drums! [Battete! Battete! Tamburi! pag.280] Tamburi e trombe di guerra interrompano ogni attività umana, ignorino preghiere e implorazioni materne, zittiscano chi chiede trattative. Un’impietosa e caustica critica della follia che invade il mondo quando le armi si sostituiscono alla ragione.

- Come up from the fields, father [Vien su dai campi, o padre, pag.298] In Ohio l’Autunno comincia a colorare i boschi, le mele sono ormai mature, i grappoli abbondanti pendono dalle viti… Ma arriva una lettera dal fronte, il padre corre dal campo, la madre straccia la busta: il ragazzo è stato ferito, ma sembra migliorare. In realtà, a quell’ora è già morto… E la madre si veste a lutto, non mangia più, non prende sonno: vorrebbe correre dal figlio morto…

- Dirge for two veterans [Canto funebre per due veterani, pag.310] Padre e figlio caduti, insieme, in prima linea. Un degno funerale, con musica e processione. Due fosse attendono le bare. Il poeta può solo offrire… amore.

- Oh Captain! my Captain! [O Capitano, mio capitano, pag.332] La nave è giunta finalmente, vittoriosa, in porto, dopo aver attraversato mille traversie e tempeste. Tutti esultano. Forse anche chi ha assassinato il Capitano (Lincoln, ndr) che giace disteso sul ponte, morto.

Come si vede, sono l’amaro sfogo dell’uomo d’arte e di pace di fronte alle miserie degli uomini di parte e di guerra. Non è quindi un caso che uno come Weill abbia provato grande affinità elettiva per questi versi e per il loro autore.