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21 agosto, 2021

ROF-42: Stabat... Bignamini

Per rifarsi dell’astinenza del 2020, il ROF ha voluto fare le cose in grande anche nella tradizionale proposta del concerto che normalmente chiude il Festival (quest’anno però spodestato dalle nozze d’argento con JDF).

Così ecco che si è rappresentato lo Stabat Mater in forma (3/4?) scenica, cosa assai inconsueta e credo (ma potrei sbagliare...) del tutto nuova per il ROF, essendo il testo di Jacopone ormai arrivato alla 14a presenza al Festival (precedenti 81, 82, 84, 87, 94, 01, 03, 05, 06, 08, 10, 15, 17).

Responsabile del... misfatto il braccio destro dell’eterno Pier Luigi Pizzi, quel Massimo Gasparon che ha contribuito in questi giorni al grandioso successo del Moïse.

Siamo (anche questa credo sia una novità per lo Stabat) lontani dal Teatro Rossini, ma vicini... all’A14, cioè alla Vitrifrigo Arena, che tutti danno per morta (per il ROF, s’intende) da anni, ma della quale il travagliatissimo parto rigeneratore del Palafestival rimanda ormai regolarmente il trapasso da una stagione alla successiva.

Sul podio il Direttore Residente... de chè? ma de laVerdi, perbacco! Quel Jader Bignamini che è tornato a Pesaro dopo un lustro (Ciro in Babilonia) per cimentarsi (per la prima volta?) con questo capolavoro, composto apparentemente di malavoglia dal parvenue Rossini, tanto per accontentare un alto prelato spagnolo assai influente a Parigi. Bignamini non si smentisce, mandando come al solito a memoria la partitura che deve dirigere: e la sua è stata una direzione invero pregevole, per la misura con cui ha guidato gli strumenti e la precisione degli attacchi per soli e coro.

Il quartetto SATB era composto da Giuliana Gianfaldoni, soprano che ha debuttato al ROF lo scorso anno ne La cambiale di matrimonio: voce ben impostata e penetrante, che le ha consentito in particolare un apprezzabile approccio al difficile Inflammatus et Accensus, dove ha sciorinato i due ravvicinati DO acuti senza apparente sforzo. Poi Vasilisa Berzhanskaya, mezzosoprano trionfatrice del recentissimo Moïse come Sinaïde: e in bella evidenza anche Ieri, in particolare nella complessa cavatina del Fac ut portem. Ancora il tenore Ruzil Gatin, che nel 2018 fu un onorevole Zamorre nel Ricciardo e Zoraide: voce ancora un poco aspra nel centro della tessitura, ma squillante negli acuti (vedi il REb del Cujus animam). E infine la piacevole conferma del basso Riccardo Fassi, già apprezzato nei panni di Polibio nel Demetrio e Polibio del 2019.

Il Coro era ancora una volta quello del Ventidio Basso diretto ottimamente da Giovanni Farina. L’Orchestra la Filarmonica Rossini, già recente protagonista del Bruschino.
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Gasparon ovviamente ha seguito le tracce del maestro: la scena e i costumi sembravano derivati da quelli del Moïse, così come l’impiego della passerella che circonda l’orchestra, sulla quale sono avanzati di volta in volta i solisti per esporre i relativi numeri. Il coro era tendenzialmente diviso in due sezioni, poste a destra e sinistra della scena. Lo schermo sul fondo proiettava immagini di cieli di volta in volta nuvolosi, tempestosi, o finalmente invasi da luce abbagliante. 

In scena, oltre ai cantanti che si muovevano come seguaci di Gesù affranti per il dolore, 5 figuranti, che interpretavano rispettivamente la Madonna, Gesù e tre portantini che si son presi sulle spalle la salma del Cristo per un giro di passerella tipo marcia funebre di Sigfrido, durante il n°9 a-cappella (affidato come d’uso al coro e non ai solisti).

Durante l’Introduzione orchestrale e lo Stabat Mater del coro viene portata in scena la croce su cui viene issato (senza chiodi, ovviamente) il Cristo, e alla cui base si sdraia la Mater in gramaglie. Al n°5 (Eia Mater) avviene la deposizione del corpo di Gesù, adagiato fra le braccia della Madonna a mo’ di pietà-di-michelangelo. Al n°7 (Fac ut portem) il corpo di Gesù viene trasferito su un candido sudario e poi, come detto, al n°9 (Quando corpus) viene portato in processione. Nel frattempo (n°8, Inflammatus et accensus) al gran fracasso orchestrale si è accompagnata la proiezione di nuvole nere di un autentico uragano tropicale. Alla fine della colossale fuga (accompagnata sullo schermo dall’esplodere di una luce abbagliante) il corpo di Cristo uscirà definitivamente di scena. E dopo i poderosi accordi conclusivi la croce al centro della scena apparirà letteralmente ergersi su una collina formata da corpi di esseri umani adoranti.

Insomma, una cosa architettata con gusto, misura e raffinatezza, che il pubblico ha mostrato di gradire assai: applausi fragorosi e una gragnuola di pedate sul tavolato dell’Arena hanno accolto tutti i protagonisti di questa serata davvero da incorniciare.
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Il ROF chiude stasera il cartellone principale con la quarta recita di Elisabetta. Domenica ci sarà il Gala per le nozze d’argento di Florez. Che mi perdonerà se non sarò alla festa (aspetto quelle d’oro!!!)

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