trump-zelensky

quattro chiacchiere al petrus-bar
Visualizzazione post con etichetta lintu. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lintu. Mostra tutti i post

07 maggio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 28


A tre giorni di distanza dall’annuncio del restyling del brand dell’Orchestra e del programma della prossima stagione, lo smilzo finnico Hannu Lintu è tornato qui in Auditorium, dove ormai ripassa con cadenza triennale: giugno 2016, giugno 2019 e ora maggio 2022. Alla sua prima comparsa si era già cimentato con lo Schumann sinfonico (4a) e ora del genio di Zwickau ci propone la celebre Terza.

Ma prima arriva Luca Buratto (artista in-residenza qui) per interpretare, di Béla Bartók, il Terzo concerto per pianoforte. Concerto che il compositore magiaro non riuscì a completare per sole 17 battute di orchestrazione del finale, raggiunto dalla morte il 26 dicembre del 1945 a NewYork. Una morte ormai attesa, il cui avvicinarsi potrebbe aver indotto Bartók a dare all’opera un taglio assai diverso da quello della sua precedente produzione, in particolare da quello dei suoi due altri concerti, composti 19 e 15 anni prima: in effetti un approccio assai più riflessivo, meno spigoloso e, per ciò che riguarda la tastiera, meno... percussivo.

___

Esploriamolo sommariamente insieme a Hélène Grimaud e Pierre Boulez. Il primo movimento (Allegretto, tonalità MI) rispetta sostanzialmente i canoni della forma-sonata. Al primo tema, piuttosto tranquillo e sereno, esposto dal pianoforte, segue (45”) un lungo ponte dove l’orchestra è protagonista fino a 1’12”, quando il solista riprende le redini e porta al Tema 2 in SOL (2’11”) un po' più nervoso, che chiude l’esposizione. A 2’56” un inciso del primo corno apre la sezione di sviluppo, assai complesso, con almeno quattro parti in tonalità diverse sempre crescenti su una scala a toni interi (da LAb fino a SOL#) prima di arrivare (4’38”) alla ripresa del primo tema e poi (6’24”) del secondo, portato canonicamente sulla tonalità MI del primo. Una breve coda di 10 battute conduce alla fine, con un gaio intervento del primo flauto e un’ultima... sbirciatina del solista.

Segue ora (7’34”) l’Adagio religioso, in DO, che ha la semplice forma A-B-A’. Dopo 15 battute introduttive degli archi supportati dal clarinetto, il pianoforte (8’51”) presenta la sezione A in forma di solenne corale, caratterizzata da 5 domande-risposte con gli archi. A 12'14” inizia la sezione B, assai più mossa, che si può ben definire - sulla scia della beethoveniana Pastorale - ornitologica, articolata in tre ripetizioni bipartite del canto di uccelli, protagonisti oboe, clarinetto e flauto a provocare le risposte del pianoforte. A 14’02” ecco la ripresa di A che, rispetto alla prima presentazione, è affidata principalmente ai fiati, con il pianoforte a fare da contraltare. Si chiude con le battute introduttive del movimento, prima dell’attacco diretto al conclusivo Allegro vivace in MI (18’45”).

Qui abbiamo un classico (e semplice) Rondo, strutturato come A-B-A-C-A’ più una coda bipartita. È il pianoforte protagonista della sezione A, caratterizzata da ritmo sincopato, cui segue (19’27”) una transizione chiusa da un lungo intervento del timpano solo. La sezione B inizia a 19’42”, dapprima affidata al pianoforte solo, poi raggiunto dagli archi e quindi dai fiati. Altra transizione (20’39”) che ci porta al ritorno (20’52”) della sezione A. Dopo la relativa transizione (21’10”) ancora chiusa dal timpano, ecco la sezione C (21’20”) più distesa, che comprende (21’47”) un passaggio fugato e poi (22’29”) una lunga transizione che ci porta in crescendo all’ultima comparsa (23’10”) della sezione A (estesa).

Dopo due battute di pausa, a 24’19” ecco la prima parte della Coda, che prepara il rush finale (25’11”).
___
Luca ne cava un’interpretazione davvero ispirata, che ha il suo apice nel corale dell’Adagio religioso, per poi chiudersi trionfalmente con il travolgente Rondo.

Il pubblico non proprio oceanico lo gratifica di ovazioni, così lui si congeda con un bis del suo amato Schumann: In der Nacht, n°5 delle Fantasiestücke op.12. 
___
Ed eccoci alla famosa Renana, ultima delle 4 sinfonie composte da Schumann, a dispetto del n°3 di catalogo. Musica che viene da un cervello (temporaneamente) in pace con il mondo, tanta è la vitalità e la comunione con la natura che la ispira.
Lintu ce la restituisce in tutto il suo splendore, grazie ovviamente ad una compagine che la sa suonare divinamente: cito gli ottoni solo perchè hanno le parti più appariscenti, nelle grandiose perorazioni dei movimenti esterni e nel severo corale bachiano; ma tutti indistintamente si sono superati. Significativo l’omaggio che i ragazzi hanno voluto fare al Direttore, restando seduti a... calpestare il tavolato fra gli applausi della sala.

14 giugno, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°32


L’ultimo concerto della stagione 18-19 è affidato al redivivo Hannu Lintu, tornato sul podio dell’Auditorium dopo tre anni per proporci due celeberrimi brani composti a cavallo tra ‘800 e ‘900.

Ad interpretare il primo, il Concerto per violoncello di Dvořàk è il sommo Giovanni Sollima, il cui sito web è davvero lo specchio del suo eclettismo (!) Ma lui è anche (e soprattutto) capace di succhiar fuori dal suo Ruggieri-1679 suoni che paiono arrivare dalle profondità dello spazio siderale, che è come dire... dal paradiso! E ieri sera è stato davvero superlativo, così come apprezzabile è stato il contributo di Direttore e Orchestra (ai quali si può muovere l’appunto di qualche dinamica troppo spinta che ha talvolta sommerso il solista...)

A lui questo amabile Dvořàk deve fare solo il solletico se, finito tra applausi e ovazioni il concerto, si è esibito in ben tre encore, due immersi nella sua modernità e il terzo nello zen (parole sue) del Preludio alla Prima suite in SOL di Bach.
___
Infine lo stravinskiano Sacre, che dopo più di un secolo (precisamente 106 anni!) ancora non cessa di scandalizzare, con le sue sonorità barbariche, le sue dissonanze, poliritmie e politonalità. Confesso che ogni volta che mi preparo ad ascoltarlo mi rivedo quella straordinaria lezione di Lenny Bernstein ad Harvard su Stravinski, illuminante come poche. Come trascinante è questa sua interpretazione con la LSO, che ci serve da guida per l’esplorazione di questo incredibile capolavoro.
___
Parte I - Il bacio della terra

(48”) Introduzione. Il fagotto, nel registro sovracuto, intona una mesta melopea di origine popolare lituana (Tu, mia piccola sorella) poi raggiunto da clarinetti, clarinetto piccolo, clarinetti bassi, corno inglese, corni. Sembra di assistere per suoni al risveglio della natura, un indistinto Waldweben pagano, che si ingrossa sempre più con l’intervento degli archi, mentre i legni emettono ad intermittenza improvvisi fruscii. A 3’28” si fa improvvisamente silenzio, il fagotto torna per tre battute a far udire la sua melopea. Ancora fremiti di clarinetti e clarinetto basso, quindi i violini attaccano una scansione di semicrome in pizzicato che prepara il terreno per...

(3’59”) Auspici di primavera - Danza delle adolescenti. È il primo momento in cui incontriamo due delle componenti caratteristiche dell’opera: il ritmo e la politonalità. Qui siamo ancora alla regolare monoritmia, ma nel seguito Stravinski si sbizzarrirà in fantastiche, incredibili poliritmie. Tuttavia alla regolare scansione di crome il compositore associa subito secchi accordi di otto corni (più avanti anche di ottavino e clarinetto piccolo) che rompono la simmetria del discorso, creando un’atmosfera di grande instabilità. Quanto ai barbari strappi negli archi, come ben avverte Bernstein, non si tratta di note buttate lì a casaccio, ma della sovrapposizione di due chiari e precisi accordi (bitonalità): settima di dominante sul MIb in violini e viole; triade perfetta di MI (FAb) maggiore in celli e bassi. E gli strappi degli otto corni sovrappongono parimenti quegli stessi accordi. Subito dopo (4’09”) ecco la tri-tonalità: corno inglese (settima di dominante sul MIb); fagotti (triade perfetta di DO maggiore) e celli (triade perfetta di MI maggiore)! Più avanti ecco nel corno (5’40”) il motivo legato alle fanciulle che si mettono a danzare e quindi nelle trombe (6’16”) un anticipo delle successive Carole di primavera. La danza cresce fino a sfociare direttamente nel successivo...    

(7’15”) Rituale del rapimento. L’atmosfera si surriscalda, i ritmi si accavallano, siamo in presenza di una vera caccia ad una preda che fugge a rotta di collo, inciampando ripetutamente su ostacoli del terreno, con cani che la inseguono senza tregua, fino al momento della... cattura!

(8’29”) Carole di primavera. Sui trilli dei flauti il clarinetto piccolo e quello basso espongono una melodia che fu presa da Stravinski dallo stesso album di folclore lituano (trovato a Varsavia) da cui trasse l’assolo iniziale del fagotto. A 8’55” il tempo si fa pesante e a 9’32” ecco tornare il tema della danza delle adolescenti, poi ancor più appesantito, se possibile (10’25”) finchè si arriva (11’07”) ad un’orgiastica esplosione dell’intera orchestra che infine si acqueta (11’23”) con il ritorno alla tranquillità originaria e la ripresa in flauto e clarinetto piccolo della melodia lituana che aveva aperto la sezione.

(11’55”) Rituali delle tribù rivali. Qui diverse sezioni dell’orchestra evocano il fronteggiarsi di tribù rivali, con furibondi interventi dei timpani a scandire il truce rituale. Vi risentiamo anche un tema preso dal precedente Rituale del rapimento. Alla fine tutto si acqueta e ci si prepara al successivo...   

(13’44”) Corteo del vecchio saggio. Questa è la sezione dove Stravinski, oltre alla politonalità negli ottoni, inventa una strepitosa poliritmia nell’intera orchestra: a 14’01” su un metro-base di 6/4 innesta una serie di ritmi in 2, 3, 4 e 8 che evocano davvero un corteo di persone ciascuna delle quali (un diverso strumento dell’orchestra) procede con un suo proprio passo!

(14’19”) Adorazione della terra del vecchio saggio. É una breve pausa: il vecchio saggio si china e bacia la terra.

(14’42”) Danza della terra. È un’atmosfera davvero indiavolata (incluso il diabolus-tritono DO-FA# negli ottoni) caratterizzata da un basso ostinato che esplora - altra trovata di Stravinski - una scala a toni interi (DO-RE-MI-FA#-SOL#-SIb). Ci conduce vorticosamente alla repentina chiusura della prima parte dell’opera.   


Parte II - Il grande sacrificio

(16’28”) Introduzione. È un’atmosfera ovattata e misteriosa quella creata da Stravinski per introdurre la seconda parte dell’opera. Vi emergono isolati interventi della tromba. A 20’36” sono i corni ad introdurre tematicamente i successivi...

(21’21”) Cerchi misteriosi delle adolescenti. Gli archi, divisi in ben 13 parti, espongono un motivo creando un’atmosfera religiosa che a 21’46” si agita improvvisamente: il flauto in SOL vi inserisce una melodia dall’andamento irregolare (3, 2, 4 quarti) poi ripresa gradualmente dal resto dell’orchestra. A 22’30” si torna al tempo iniziale e risentiamo nei flauti un motivo udito nei corni nel precedente Rituale del rapimento. A 23’03” i corni riprendono il tema iniziale, intercalati dagli archi e poi dai legni. A 24’08” una decisa accelerazione porta all’ultima battuta della sezione, chiusa brutalmente da un accordo di 9 delle 12 note della scala cromatica (escluse SIb, SI e DO#) ribattuto per 13 volte da timpani e archi (più la grancassa).

(24’25”) Glorificazione della prescelta. Qui troviamo praticamente tutto l’armamentario che Stravinski ha impiegato nel Sacre: mutamenti di tempo, poliritmia, politonalità, scale esotiche... insomma il paganesimo allo stato puro! E non per nulla l’Autore la battezzò Danza selvaggia!

(25’58”) Evocazione degli antenati. Qui abbiamo praticamente soltanto un susseguirsi di stentorei accordi dell’intera orchestra, ma su un tempo continuamente variabile, da 3/2 a 2/2, da 3/4 a 2/4, che pare rappresentare una processione sghemba e ordinatamente disordinata!  

(26’52”) Azione rituale degli antenati. Su un pesante accompagnamento di semiminime di archi, corni e percussioni, il corno inglese emette una serie di lamenti, imitato poi da flauto contralto e clarinetto. Lo stesso flauto in SOL (27’43”) attacca un lungo lamento sul quale le trombe con sordina espongono un nuovo tema, ribadito ancora a 28’25” e poi a 29’04”, prima che l’atmosfera si tranquillizzi (29’19”) e i legni conducano verso la finale...  

(30’02”) Danza sacrificale (La prescelta). La fanciulla destinata al sacrificio si immola per fertilizzare la terra con una danza che ne consuma ogni energia, fino a toglierle anche l’ultima stilla di vita. A prima vista si stenterebbe a crederlo, ma il finale di questo pezzo barbaro ha nientemeno (!) che la macro-struttura di un Rondò (A-B-A-C-A). Il ritornello A apre la danza, concitato quant’altri mai, pieno di sincopi che tolgono il respiro. Poi (30’27”) ecco la strofa B, meno agitata, ma più martellante e con successive irruzioni spiritate di tromboni, trombe, ottavino, clarinetto piccolo e corni. Dopo un vigoroso crescendo, a 31’24” B si ripresenta in forma variata, ancora con irruzioni delle trombe. A 31’49” torna il ritornello A, al quale segue (32’14”) la seconda strofa C, caratterizzata da ampio uso di percussioni e con ritmo più largo, sul quale si dispiegano le linee degli ottoni e all’interno della quale rifà fugacemente capolino A, in forma abbreviata. A 33’19” attacca l’ultima parte, dove appaiono in realtà tutti i tre motivi del rondò, fino al drammatico schianto conclusivo.
___
LaVerdi ha eseguito il Sacre almeno in una decina di stagioni, ultimamente con D’Espinosa, Bignamini e Axelrod, quindi non meraviglia che anche ieri abbia dato il meglio per valorizzare questo capolavoro. Non meraviglia, ma lascia sempre pienamente soddisfatti dell’esecuzione. Lintu ha tenuto in pugno - oltre che sotto gli occhi - questa sbifida partitura e, insieme ai ragazzi, ne ha cavato tutti i tesori, ricevendo dal folto pubblico applausi convinti e pure ritmati.

Ora si apre la stagione estiva dell’Orchestra che - abbandonate le infradito - tornerà ad indossare il frac in prossimità dell’autunno con l’ormai tradizionale Concerto inaugurale alla Scala.

29 giugno, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°24


Torna dopo un paio di turni l‘italiana di adozione Angela Hewitt per proporci un monumento del pianismo ottocentesco, il Primo Concerto di Brahms. Sul podio un Direttore – il nordico Hannu Lintu - che fa spesso coppia con lei (e domani tutti, Orchestra compresa, si trasferiranno in Umbria dove saranno protagonisti del Festival del Trasimeno, presentando questo stesso programma). 

Programma che presenta due opere di altrettanti (c’è mancato poco!) mariti di tale Clara Wieck. Entrambe in RE minore ed entrambe caratterizzate da una gestazione assai più laboriosa di quella dell’elefante, che ha il record (con quasi 2 anni) fra i mammiferi.

Brahms cominciò la sua nel 1852 con un una Sonata per due (!) pianoforti, che poi si accorse essere troppo poco... rumorosa, così pensò di trasformarla in Sinfonia, che però gli parve ancor più velleitaria, e così più di 7 anni dopo potè a fatica presentare il suo Concerto ad Hannover, poi a Lipsia dove ricevette una sonora disapprovazione. Erano tempi in cui spopolava un tale Liszt, il cui primo concerto, del 1855, sta proprio agli antipodi di quello di Brahms. A cominciare dalla concisione, 25 minuti al massimo, mentre Brahms supera abbondantemente il doppio, neanche fosse una sinfonia di Mahler (e infatti il concerto doveva essere appunto una sinfonia...) Poi l’ungherese dà spazio al virtuosismo più strepitoso (sic) laddove il burbero amburghese ci rifila una mappazza tutta cerebrale, ecco.

Non so se sia un fatto di bioritmi (che salgono e scendono) ma la prestazione della Hewitt non mi ha per nulla entusiasmato: per lei i mostruosi passaggi in doppia ottava del primo movimento devono essere stati un calvario, tanto che il miglior solista lì è risultato essere... il corno di Ceccarelli! Appena meglio l’Adagio, ma poi anche il Rondo non mi è parso proprio impeccabile.

Alla fine lei si è pure presa parecchi brava! e non sarò certo io a toglierglieli. Domanda: come mai non ha concessso un bis?
___

Accanto a Brahms nessuno poteva star meglio di... Schumann, del quale si è eseguita la Quarta Sinfonia. L'allampanato Lintu – gesto ampio e sobrio - ci dà dentro con le dinamiche (decibel a volontà) e non ci risparmia nemmeno un da-capo, così ottenendo dai ragazzi un’esecuzione di quelle che impediscono agli spettatori di appisolarsi, ed è già un bel merito. Alla fine tutti si godono ovazioni e applausi ritmati, da parte di una sala per la verità piuttosto spopolata.