L’ultimo
concerto della stagione 18-19 è affidato al redivivo Hannu Lintu, tornato sul podio dell’Auditorium dopo tre anni per
proporci due celeberrimi brani composti a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Ad interpretare il primo, il Concerto per violoncello
di Dvořàk è il sommo Giovanni Sollima, il cui sito web è davvero lo specchio del
suo eclettismo (!) Ma lui è anche (e soprattutto) capace di succhiar fuori dal
suo Ruggieri-1679 suoni che paiono
arrivare dalle profondità dello spazio siderale, che è come dire... dal
paradiso! E ieri sera è stato davvero superlativo, così come
apprezzabile è stato il contributo di Direttore e Orchestra (ai quali si può
muovere l’appunto di qualche dinamica troppo spinta che ha talvolta sommerso il
solista...)
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Infine lo stravinskiano Sacre, che dopo più di un secolo (precisamente
106 anni!) ancora non cessa di scandalizzare, con le sue sonorità barbariche, le
sue dissonanze, poliritmie e politonalità. Confesso che ogni volta che mi
preparo ad ascoltarlo mi rivedo quella straordinaria lezione di
Lenny Bernstein ad Harvard su Stravinski, illuminante come poche. Come
trascinante è questa sua interpretazione
con la LSO, che ci serve da guida per l’esplorazione di questo incredibile
capolavoro.
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Parte I - Il
bacio della terra
(48”) Introduzione. Il fagotto, nel registro sovracuto, intona una mesta
melopea di origine popolare lituana (Tu,
mia piccola sorella) poi raggiunto da clarinetti, clarinetto piccolo,
clarinetti bassi, corno inglese, corni. Sembra di assistere per suoni al
risveglio della natura, un indistinto Waldweben
pagano, che si ingrossa sempre più con l’intervento degli archi, mentre i legni
emettono ad intermittenza improvvisi fruscii. A 3’28” si fa
improvvisamente silenzio, il fagotto torna per tre battute a far udire la sua
melopea. Ancora fremiti di clarinetti e clarinetto basso, quindi i violini
attaccano una scansione di semicrome in pizzicato
che prepara il terreno per...
(3’59”) Auspici di primavera - Danza delle adolescenti. È il primo momento in cui incontriamo due delle componenti
caratteristiche dell’opera: il ritmo e
la politonalità. Qui siamo ancora
alla regolare monoritmia, ma nel
seguito Stravinski si sbizzarrirà in fantastiche, incredibili poliritmie. Tuttavia alla regolare
scansione di crome il compositore associa subito secchi accordi di otto corni
(più avanti anche di ottavino e clarinetto piccolo) che rompono la simmetria
del discorso, creando un’atmosfera di grande instabilità. Quanto ai barbari
strappi negli archi, come ben avverte Bernstein, non si tratta di note buttate
lì a casaccio, ma della sovrapposizione di due chiari e precisi accordi (bitonalità): settima di dominante sul
MIb in violini e viole; triade perfetta di MI (FAb) maggiore in celli e bassi. E
gli strappi degli otto corni sovrappongono parimenti quegli stessi accordi. Subito
dopo (4’09”)
ecco la tri-tonalità: corno
inglese (settima di dominante sul MIb); fagotti (triade perfetta di DO
maggiore) e celli (triade perfetta di MI maggiore)! Più avanti ecco nel corno (5’40”)
il motivo legato alle fanciulle che si mettono a danzare e quindi nelle trombe (6’16”)
un anticipo delle successive Carole di
primavera. La danza cresce fino a sfociare direttamente nel successivo...
(7’15”) Rituale del rapimento. L’atmosfera si surriscalda, i ritmi si accavallano, siamo
in presenza di una vera caccia ad una preda che fugge a rotta di collo,
inciampando ripetutamente su ostacoli del terreno, con cani che la inseguono senza
tregua, fino al momento della... cattura!
(8’29”) Carole di primavera. Sui trilli dei flauti il clarinetto piccolo e quello
basso espongono una melodia che fu presa da Stravinski dallo stesso album di
folclore lituano (trovato a Varsavia) da cui trasse l’assolo iniziale del
fagotto. A 8’55” il tempo si fa pesante
e a
9’32” ecco tornare il tema della danza delle adolescenti, poi ancor più
appesantito, se possibile (10’25”) finchè si arriva (11’07”)
ad un’orgiastica esplosione dell’intera orchestra che infine si acqueta (11’23”)
con il ritorno alla tranquillità originaria e la ripresa in flauto e clarinetto
piccolo della melodia lituana che aveva aperto la sezione.
(11’55”) Rituali delle tribù rivali. Qui diverse sezioni dell’orchestra evocano il
fronteggiarsi di tribù rivali, con furibondi interventi dei timpani a scandire
il truce rituale. Vi risentiamo anche un tema preso dal precedente Rituale del rapimento. Alla fine tutto
si acqueta e ci si prepara al successivo...
(13’44”) Corteo del vecchio saggio. Questa è la sezione dove Stravinski, oltre alla politonalità negli ottoni, inventa una
strepitosa poliritmia nell’intera
orchestra: a 14’01” su un metro-base di 6/4 innesta una serie di ritmi in 2,
3, 4 e 8 che evocano davvero un corteo di persone ciascuna delle quali (un
diverso strumento dell’orchestra) procede con un suo proprio passo!
(14’19”) Adorazione della terra del vecchio saggio. É una breve pausa: il vecchio saggio si china e
bacia la terra.
(14’42”) Danza della terra. È un’atmosfera davvero indiavolata (incluso il diabolus-tritono DO-FA# negli ottoni) caratterizzata
da un basso ostinato che esplora - altra trovata di Stravinski - una scala a toni interi (DO-RE-MI-FA#-SOL#-SIb). Ci conduce
vorticosamente alla repentina chiusura della prima parte dell’opera.
Parte II - Il grande
sacrificio
(16’28”) Introduzione. È un’atmosfera ovattata e misteriosa quella creata
da Stravinski per introdurre la seconda parte dell’opera. Vi emergono isolati
interventi della tromba. A 20’36” sono i corni ad introdurre
tematicamente i successivi...
(21’21”) Cerchi misteriosi delle adolescenti. Gli archi, divisi in ben 13 parti, espongono un
motivo creando un’atmosfera religiosa che a 21’46” si agita
improvvisamente: il flauto in SOL vi inserisce una melodia dall’andamento
irregolare (3, 2, 4 quarti) poi ripresa gradualmente dal resto dell’orchestra. A
22’30”
si torna al tempo iniziale e risentiamo nei flauti un motivo udito nei corni nel
precedente Rituale del rapimento. A 23’03”
i corni riprendono il tema iniziale, intercalati dagli archi e poi dai
legni. A 24’08” una decisa accelerazione porta all’ultima battuta della
sezione, chiusa brutalmente da un accordo di 9 delle 12 note della scala
cromatica (escluse SIb, SI e DO#) ribattuto per 13 volte da timpani e archi
(più la grancassa).
(24’25”) Glorificazione della prescelta. Qui troviamo praticamente tutto l’armamentario che
Stravinski ha impiegato nel Sacre: mutamenti di tempo, poliritmia,
politonalità, scale esotiche... insomma il paganesimo
allo stato puro! E non per nulla l’Autore la battezzò Danza selvaggia!
(25’58”) Evocazione degli antenati. Qui abbiamo praticamente soltanto un susseguirsi di stentorei
accordi dell’intera orchestra, ma su un tempo continuamente variabile, da 3/2 a
2/2, da 3/4 a 2/4, che pare rappresentare una processione sghemba e ordinatamente disordinata!
(26’52”) Azione rituale degli antenati. Su un pesante accompagnamento di semiminime di
archi, corni e percussioni, il corno inglese emette una serie di lamenti,
imitato poi da flauto contralto e clarinetto. Lo stesso flauto in SOL (27’43”)
attacca un lungo lamento sul quale le trombe con sordina espongono un nuovo
tema, ribadito ancora a 28’25” e poi a 29’04”, prima che l’atmosfera
si tranquillizzi (29’19”) e i legni conducano verso la finale...
(30’02”) Danza sacrificale (La prescelta). La fanciulla destinata al sacrificio si immola per
fertilizzare la terra con una danza che ne consuma ogni energia, fino a toglierle
anche l’ultima stilla di vita. A prima vista si stenterebbe a crederlo, ma il
finale di questo pezzo barbaro ha
nientemeno (!) che la macro-struttura di un Rondò
(A-B-A-C-A). Il ritornello A apre la danza, concitato quant’altri mai, pieno di
sincopi che tolgono il respiro. Poi (30’27”) ecco la strofa B, meno
agitata, ma più martellante e con successive irruzioni spiritate di tromboni,
trombe, ottavino, clarinetto piccolo e corni. Dopo un vigoroso crescendo, a 31’24”
B si ripresenta in forma variata, ancora con irruzioni delle trombe. A 31’49”
torna il ritornello A, al quale segue (32’14”) la
seconda strofa C, caratterizzata da ampio uso di percussioni e con ritmo più
largo, sul quale si dispiegano le linee degli ottoni e all’interno della quale
rifà fugacemente capolino A, in forma abbreviata. A 33’19” attacca l’ultima
parte, dove appaiono in realtà tutti i tre motivi del rondò, fino al drammatico
schianto conclusivo.
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LaVerdi ha eseguito il Sacre almeno in una decina di stagioni, ultimamente
con D’Espinosa, Bignamini e Axelrod,
quindi non meraviglia che anche ieri abbia dato il meglio per valorizzare
questo capolavoro. Non meraviglia, ma lascia sempre pienamente soddisfatti dell’esecuzione.
Lintu ha tenuto in pugno - oltre che sotto gli occhi - questa sbifida partitura
e, insieme ai ragazzi, ne ha cavato tutti i tesori, ricevendo dal folto
pubblico applausi convinti e pure ritmati.
Ora si apre la stagione
estiva dell’Orchestra che - abbandonate le infradito - tornerà ad indossare
il frac in prossimità dell’autunno
con l’ormai tradizionale Concerto
inaugurale alla Scala.
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