Dopo
più di 41 anni la Scala ripropone fra qualche giorno una delle opere
brutte (© Massimo Mila) di Giuseppe
Verdi. Guarda caso a dirigerla nel lontano 1978 - con unanimi apprezzamenti
di pubblico e critica - fu l’attuale Direttore
Musicale (!) Che in questa occasione cede la bacchetta ad un
(relativamente, ormai, a 40 anni) giovane, rispondente al nome di Michele Mariotti. David McVicar firma la regìa dello spettacolo.
___
Questo olio su tela (di autore anonimo)
raffigura Friedrich Schiller mentre
legge ad alcuni amici, in un luogo segreto, nel 1781, il suo dramma Die Räuber.
Beh, l’atmosfera carbonara potrebbe
benissimo applicarsi alla seconda scena dell’opera, laddove un invasato Carlo, lettera del fratello in mano, si
auto-proclama - cantando una smaccata cabaletta,
Nell’argilla
maledetta - capo della masnada!
Il raffinatissimo
cavalier Andrea Maffei (il cui
cenacolo culturale, condiviso con la moglie Clara, aveva contribuito non poco a
promuovere Verdi sulla piazza milanese) aveva appena finito di tradurre il dramma in
prosa (con parti versificate) di Schiller quando Verdi gli
commissionò il libretto
dell’opera. Il soggetto è di quelli davvero al limite dell’assurdo
(proprio un’enormità da Sturm-und-Drang)
tanto che lo stesso Schiller in seguito ebbe quasi a vergognarsene, arrivando
ad auto-sbeffeggiarsi (... produssi un
mostro che, per buona sorte, non è mai esistito al mondo.)
In
effetti i masnadieri di cui Carlo si mette a capo poco o nulla hanno
a che fare con movimenti politico-rivoluzionari (tipo brigate-rosse, per dire, o anche ISIS) nè con organizzazioni di stampo mafioso, nè - a dispetto del
titolo schilleriano - con fenomeni di comune brigantaggio. Si tratta invece di sbandati-plebei che uno sbandato-nobile organizza in banda
armata con l’unico fine - quasi goliardico, non ci fosse di mezzo il sangue - di
far casino, sfogando la propria
rabbia contro l’universo intero! Ammazzando, rubando, stuprando, incendiando e
così via terrorizzando, in un’autentica miscela di anarchismo e nichilismo
autodistruttivi.
Dopodichè, per dare alla sua inverosimile
storia anche un sapore maieutico, ecco che Schiller ci propina un finale ancora
più inverosimile. Venute meno le ragioni della sua originaria sfiga (con l’auto-punizione
del fratello ingannatore e il ricongiungimento con padre e amata) il protagonista Carlo
pare per un attimo rinsavire, trovare pace e perdono nelle braccia di Amalia.
Ma sono i suoi masnadieri a richiamarlo al... dovere, reclamando il suo ritorno
alla loro guida, in cambio di tutti i sacrifici sopportati e delle ferite da
loro subite in nome suo! E allora Carlo che fa? Morto nel frattempo di
crepacuore il padre, accontenta Amalia (che si vuole morta piuttosto che
privata di lui) con una precisa pugnalata al cuore; e infine va a costituirsi
alla giustizia, ma non senza prima compiere un’ultima (o prima?) opera di bene: farsi consegnare ai
gendarmi da un povero padre di 11 figli, in modo da procurargli i 1000 Luigi d’oro della taglia che gli pende sulla testa!
Tutto ciò diede modo allo scrittore di giustificare così - non senza un tocco di spocchia - anche le esagerazioni del suo granguignolesco dramma:
“Mi confido che questo mio scritto, quando si guardi al notabile suo svolgimento, possa a ragione annoverarsi fra i libri morali. Il vizio v’ottiene il castigo che merita; il traviato si ravvia nel cammino della legge, e la virtù ne riesce trionfante. Chi vuol meco esser giusto leggami da capo a fondo, e cerchi comprendermi; e se non loda lo scritto, apprezzerà, non v’ho dubbio, l’onesto scrittore.”
Tutto ciò diede modo allo scrittore di giustificare così - non senza un tocco di spocchia - anche le esagerazioni del suo granguignolesco dramma:
“Mi confido che questo mio scritto, quando si guardi al notabile suo svolgimento, possa a ragione annoverarsi fra i libri morali. Il vizio v’ottiene il castigo che merita; il traviato si ravvia nel cammino della legge, e la virtù ne riesce trionfante. Chi vuol meco esser giusto leggami da capo a fondo, e cerchi comprendermi; e se non loda lo scritto, apprezzerà, non v’ho dubbio, l’onesto scrittore.”
___
Com’è
naturale, nello stendere il libretto il Maffei dovette necessariamente
tagliare, ridurre e semplificare molto, rispetto al dramma. Ma lo fece senza
dover pagare eccessivo dazio, in altre parole, riuscendo a mantenere sufficientemente
integre le fondamentali caratteristiche dell’originale. Qui si può trovare una sinossi
dell’intero dramma schilleriano e - chiaramente evidenziate - le
parti che Maffei ha trasferito nel libretto, insieme ad alcuni essenziali traguardi sui principali passaggi
musicali.
Anche a colpo
d’occhio ci si può rendere conto della quantità dei tagli: intere scene del
dramma - che pure sarebbero importanti per comprendere le recondite ragioni che
muovono l’azione dei protagonisti o per rivelarci il loro pensiero su problemi
di primaria grandezza - sono state ignorate; diversi personaggi, soprattutto
masnadieri (Spiegelberg e Kosinsky ad esempio, due chiari alter-ego di Carlo) ma non solo (vedi il
servitore Daniele) non hanno trovato
posto nel libretto; Maffei conserva il Pastore Moser, uomo di grande fermezza
ma anche di totale integrità, mentre trascura il frate che si presenta ai
masnadieri alla fine del second’atto del dramma di Schiller: un chiaro esempio
di Chiesa asservita allo Stato!
Si noterà anche qualche libertà presa dal
librettista, come ad esempio il momento dell’agnizione fra Carlo e Amalia (Parte III, Scena 2) fortemente anticipato rispetto al dramma (ultima scena) per
raggiungere un obiettivo squisitamente melodrammatico:
inserire a circa metà dell’opera - al posto dell’incontro in quadreria fra il Carlo travestito da
Conte di Brand e Amalia - il classico duetto d’amore fra i due protagonisti! (E
pazienza se quell’incontro resta lì appeso senza capo nè coda, con Amalia e Carlo
che spariscono insieme per poi ricomparire alla spicciolata: lui dopo poco fra
i suoi masnadieri, bivaccanti lì attorno; lei solo alla fine dell’opera,
catturata nel castello assaltato dai masnadieri medesimi! E pazienza se Maffei - nell’inventare questa
scena, forse tratto in inganno da una frase sibillina che Amalia pronuncia nel
citato incontro in quadreria -
incorre in un marchiano errore, facendo dire ad Amalia che Massimiliano è
morto, quando nella seconda scena della Parte precedente Arminio le aveva
rivelato, suscitandone l’esultanza, che il vecchio era ancora in vita...)
Allo stesso modo, Maffei lascia in vita
Massimiliano (che Schiller fa spirare prima del finale, all’auto-accusa di Carlo)
per potersi permettere un ultimo terzetto
(Amalia, Massimiliano, Carlo) con coro, a chiudere l’opera. Con il sipario che
cala appunto sul tragico trapasso di Amalia circondata dal dolore di tutti: un finale
classicamente melodrammatico che
rimpiazza quello ingenuamente buonista
dello schilleriano Carlo, pentito e divenuto improbabile benefattore...
___
Sul fronte musicale, Verdi, reduce dal completamento del quasi contemporaneo e rivoluzionario Macbeth, sembra qui tornare al seguito delle orde di... Attila. Le cabalette sparse a piene mani e certa rozzezza delle parti corali fanno concludere a molti critici che I masnadieri sia un passo indietro rispetto all’innovativo dramma sul soggetto shakespeariano. Peraltro di questo non sarebbe giusto incolpare il solo Maffei, che invece aveva appena contribuito a sistemare nel migliore dei modi proprio il Macbeth claudicante di Piave. Forse c’è per il fenomeno una spiegazione più semplice: fu in realtà il Macbeth ad essere una splendida quanto isolata eccezione all’interno di un cammino ancora lungo che avrebbe faticosamente portato Verdi dal lontano Nabucco (passando per Luisa) a Rigoletto.
Il pesarese-rossiniano-doc Michele Mariotti (fra un paio di mesi, al ROF, tornerà a cimentarsi con la tremenda Semiramide) è atteso a questa nuova prova verdiana dopo precedenti positive esperienze. Lo spettacolo sarà garantito da David McVicar, che di spunti d’attualità per renderci digeribile il truce soggetto schilleriano ne ha quanti ne vuole, dati i tempi...
Le voci in campo sono quelle collaudatissime di Michele Pertusi (Massimiliano) o collaudate di Fabio Sartori (Carlo) e Massimo Cavalletti (lo sbifido Francesco). La povera Amalia sarà nelle mani (e soprattutto nella voce) di Lisette Oropesa, che ho personalmente apprezzato al ROF ultimo come Adina, ma che qui dovrà rivaleggiare virtualmente con la mitica e leggendaria Jenny Lind, che ebbe la parte proprio cucita addosso da Verdi in persona: trattandosi di parte piuttosto rossiniana (anche se la Lind mai cantò opere del pesarese) le premesse perchè il soprano cubano-americano faccia bene ci son tutte.
La prima martedi 18, alle 20.
Sul fronte musicale, Verdi, reduce dal completamento del quasi contemporaneo e rivoluzionario Macbeth, sembra qui tornare al seguito delle orde di... Attila. Le cabalette sparse a piene mani e certa rozzezza delle parti corali fanno concludere a molti critici che I masnadieri sia un passo indietro rispetto all’innovativo dramma sul soggetto shakespeariano. Peraltro di questo non sarebbe giusto incolpare il solo Maffei, che invece aveva appena contribuito a sistemare nel migliore dei modi proprio il Macbeth claudicante di Piave. Forse c’è per il fenomeno una spiegazione più semplice: fu in realtà il Macbeth ad essere una splendida quanto isolata eccezione all’interno di un cammino ancora lungo che avrebbe faticosamente portato Verdi dal lontano Nabucco (passando per Luisa) a Rigoletto.
Il pesarese-rossiniano-doc Michele Mariotti (fra un paio di mesi, al ROF, tornerà a cimentarsi con la tremenda Semiramide) è atteso a questa nuova prova verdiana dopo precedenti positive esperienze. Lo spettacolo sarà garantito da David McVicar, che di spunti d’attualità per renderci digeribile il truce soggetto schilleriano ne ha quanti ne vuole, dati i tempi...
Le voci in campo sono quelle collaudatissime di Michele Pertusi (Massimiliano) o collaudate di Fabio Sartori (Carlo) e Massimo Cavalletti (lo sbifido Francesco). La povera Amalia sarà nelle mani (e soprattutto nella voce) di Lisette Oropesa, che ho personalmente apprezzato al ROF ultimo come Adina, ma che qui dovrà rivaleggiare virtualmente con la mitica e leggendaria Jenny Lind, che ebbe la parte proprio cucita addosso da Verdi in persona: trattandosi di parte piuttosto rossiniana (anche se la Lind mai cantò opere del pesarese) le premesse perchè il soprano cubano-americano faccia bene ci son tutte.
La prima martedi 18, alle 20.
Nessun commento:
Posta un commento