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21 giugno, 2019

Cornelius Meister fra Strauss e Mendelssohn alla Scala


La stagione concertistica scaligera 18-19 si è chiusa ieri con il l’ultima replica del concerto diretto (in sostituzione del programmato Metzmacher) da Cornelius Meister, al suo ritorno in Scala dopo l’applaudita Fledermaus dello scorso anno.

Concerto assai ricco ed impegnativo, con ben due poemi sinfonici straussiani (in origine Metzmacher aveva in programma Rendering di Berio) e la più lunga sinfonia di Mendelssohn. Purtroppo, che sia lirica o sinfonica, la... sinfonia è sempre la stessa: platea con almeno il 40% dei posti vuoti, palchi un filino meno peggio e gallerie abbastanza affollate (ma non certo esaurite).

Don Juan e Macbeth sono (Aus Italien permettendo...) i primi due Tondichtungen composti (insieme a Tod und Verklärung) dal giovane Richard Strauss fra il 1888 e il 1890.

Curiosamente le tre opere coeve hanno caratteristiche diverse ma sono in qualche modo tra loro collegate. Il Don è un poema erotico-eroico, pervaso da lirici languori amorosi e da grandi slanci passionali, dall’abbagliante luminosità, per nulla offuscata dalla repentina fine. Macbeth viceversa è un’opera scura, introversa, come si addice al soggetto: l’instabile personalità di Macbeth appena controbilanciata da quella più lirica e seducente della Lady. La Tod sembra voler creare quasi una simbiosi o una sintesi delle altre due opere: parte dalla cupa evocazione di dolore (fisico - la malattia - e spirituale - il lancinante anelito verso alti ideali, sempre mancati in vita) per arrivare, dopo la morte, proprio alla conquista di quegli ideali, che si dispiegano in tutta la loro grandezza. Insomma, un trittico, o una trilogia, dove il polo positivo e quello negativo della natura umana vengono dapprima evocati separatamente e poi messi in contatto per far scoccare la scintilla del sublime.

Meister mi è parso abbastanza a suo agio (sarà... l’età?) con Don Juan, mentre l’ho trovato un poco contratto e spaesato nel Macbeth, obiettivamente più sbifido da padroneggiare, ammettiamolo. Certi eccessi di fracasso sono in fondo giustificabili nel Don, perchè accompagnano temi e motivi di straordinaria presa, mentre lasciano indifferenti nel Macbeth, che è, dal punto di vista tematico, assai poco appariscente.

Il pubblico ha accolto con applausetti i due poemi, che evidentemente non hanno suscitato eccessivi entusiasmi.
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La mendelssohniana Lobgesang è - a dispetto della numerazione (2) - la penultima delle 5 sinfonie del celebre direttore della Gewandhausorchester. Alla Scala mancava da più di 11 anni, precisamente dal Natale 2007, quando fu diretta da uno dei successori di Mendelssohn sul podio di Lipsia: Riccardo Chailly. Proprio in quell’occasione scrissi alcune note su contenuti, struttura e soprattutto sostrato filosofico-religioso della Sinfonia, note che mi sento di riproporre ai soliti affezionati perditempo...

Le prime 22 battute della sinfonia ne presentano - si potrebbe dire - il programma: è il tema del Magnificat, esposto subito dai tre tromboni (strumenti religiosi per antonomasia) che verrà ripreso successivamente dalle voci, e poi ripetuto proprio nelle ultime 10 battute dell’opera, sul possente richiamo:

Alles, was Odem hat,
lobe den Herrn!
Halleluja! 
Tutto ciò che ha respiro
lodi il Signore!
Alleluia!

A puro titolo di curiosità, vediamo alcuni esempi (presi da youtube, in modo che chiunque possa toccare con... orecchio) di interpretazione di questa solenne apertura, che in qualche modo sintetizza lo spirito dell’opera. Va premesso che Mendelssohn ha posto precise indicazioni metronomiche su ogni sezione della partitura, quindi è possibile fare verifiche assai puntuali sul rispetto (o meno) di tali indicazioni da parte dell’interprete. (Poi ciascuno tirerà le proprie conclusioni estetiche, magari infischiandosene delle indicazioni dell’Autore medesimo...) Bene: l’introduzione consta precisamente di 21 battute in 4/4, con indicazione 96 semiminime (al minuto). Ergo la fredda e implacabile aritmetica ci dice che tali 21 battute dovrebbero essere suonate precisamente in 60:96x4x21 = 52,5 secondi. Ecco ora i risultati della ricerca (tempi misurati al secondo, senza frazioni, quindi risultati arrotondati):

interprete

secondi

metronomo

scostamento

Herbert von Karajan con i Berliner

80

63

+34%

Claudio Abbado con la London Symphony

80

63

+34%

Wolfgang Sawallisch con la New Philharmonia

80

63

+34%

Vladimir Ashkenazy con la DSO Berlino

77

65

+32%

Christoph Spering con la DNO

59

85

+11%

Andrés Orozco-Estrada con la ONF

54

93

+3%

Edo de Waart con la Radio olandese

53

95

+1%

Markus Stenz con la Radio olandese

52

97

-1%

Mark Elder con la Halle

51

99

-3%

Marcus Bosch con la Aaken Sinfonieorchester

50

101

-5%


In rete si trova anche un’esecuzione di Chailly al Gewandhaus. Si tratta però - toh, la mania del Direttore di riesumare oggetti obsoleti... - della versione originale della Sinfonia (25/6/1840, cui mancano quindi parti dei numeri 3-6-9, aggiunte prima del 3/12/1840) che ha piccole differenze proprio nell’Introduzione (battute 5-8 e 20-21) peraltro credo ininfluenti sul tempo di esecuzione. Dove Chailly stacca 62 secondi, corrispondenti a metronomo 81, con un rallentamento rispetto a Mendelssohn del 16%.

Cosa si può dedurre da questi risultati? Che c’è una scuola tradizionale (Abbado giovine incluso) che ammanta questo Mendelssohn di enfasi e pomposa retorica, sforando addirittura di 1/3 le sue indicazioni? E invece una generazione più moderna che rispetta la volontà dell’Autore, magari spingendosi (di poco) anche al di là dei suoi dettami? Io ho pochi dubbi sul come schierarmi: con i secondi! Perchè francamente, i primi mi pare scambino Mendelssohn con... Wagner, tanto per non far nomi ma cognomi! Uno che, fra l’altro, aveva stroncato senza appello la Sinfonia-Cantata. Tuttavia l’Introduzione rappresenta pur sempre solo 60 secondi su 60 o più minuti, quindi non sarebbe neanche corretto giudicare solo da essa l’interpretazione dell’intero lavoro.

Cornelius Meister? Non avevo con me uno strumento da cronometrista di atletica, ma il mio orecchio mi suggerisce che il giovane crucco abbia tenuto un tempo assai più sostenuto rispetto ai dettami dell’Autore, ma non così smaccatamente lento quanto i citati quattro dell'avemaria...

Dopodichè devo dire che la sua lettura mi ha abbastanza convinto, a giudicare dalle agogiche e dalle dinamiche adottate. Sembrerà paradossale, ma forse la Lobgesang è più facile da dirigere (e magari anche da suonare) dei poemi di Strauss, fatto sta che ne è uscita un’esecuzione equilibrata, rigorosa, che alle mie orecchie ha reso al meglio l’atmosfera di serietà e di nobiltà che caratterizza quest’opera.

Giudicherei anche ottima o quasi la prestazione delle tre voci, fra le quali ha spiccato Genia Kühmeier (sostituta di Eva Liebau, annunciata originariamente). Ma anche Martina Janková e Tomislav Mužek hanno ben meritato (il tenore ha efficacemente proposto quel drammatico e reiterato Hüter, ist die Nacht bald hin?)

Naturalmente non si può non rendere omaggio - ma proprio in ginocchio, cantandogli una speciale Lobgesang - al Coro di Bruno Casoni, a dir poco strepitoso nelle colossali fughe e nelle perorazioni della lode. Per i coristi e per tutti un autentico trionfo, con ripetute chiamate e fragorosi applausi, che han fatto sembrare il Piermarini zeppo come un uovo.

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