La stagione concertistica scaligera
18-19 si è chiusa ieri con il l’ultima replica del concerto
diretto (in sostituzione del programmato Metzmacher)
da Cornelius Meister, al suo ritorno
in Scala dopo l’applaudita Fledermaus
dello scorso anno.
Concerto assai ricco ed impegnativo, con
ben due poemi sinfonici straussiani (in origine Metzmacher aveva in programma Rendering di Berio) e la più lunga sinfonia di Mendelssohn. Purtroppo, che sia
lirica o sinfonica, la... sinfonia è sempre la stessa: platea con almeno il 40%
dei posti vuoti, palchi un filino meno peggio e gallerie abbastanza affollate
(ma non certo esaurite).
Don Juan e Macbeth
sono (Aus Italien permettendo...) i
primi due Tondichtungen composti (insieme
a Tod und Verklärung) dal giovane Richard Strauss fra il 1888 e il 1890.
Curiosamente
le tre opere coeve hanno caratteristiche diverse ma sono in qualche modo tra loro
collegate. Il Don è un poema
erotico-eroico, pervaso da lirici languori amorosi e da grandi slanci
passionali, dall’abbagliante luminosità, per nulla offuscata dalla repentina
fine. Macbeth viceversa è un’opera
scura, introversa, come si addice al soggetto: l’instabile personalità di
Macbeth appena controbilanciata da quella più lirica e seducente della Lady. La
Tod sembra voler creare quasi una
simbiosi o una sintesi delle altre due opere: parte dalla cupa evocazione di
dolore (fisico - la malattia - e spirituale - il lancinante anelito verso alti
ideali, sempre mancati in vita) per arrivare, dopo la morte, proprio alla
conquista di quegli ideali, che si dispiegano in tutta la loro grandezza.
Insomma, un trittico, o una trilogia, dove il polo positivo e quello negativo
della natura umana vengono dapprima evocati separatamente e poi messi in
contatto per far scoccare la scintilla del sublime.
Meister mi è parso abbastanza a suo agio
(sarà... l’età?) con Don Juan, mentre l’ho trovato un poco contratto e spaesato
nel Macbeth, obiettivamente più sbifido da padroneggiare, ammettiamolo. Certi
eccessi di fracasso sono in fondo giustificabili nel Don, perchè accompagnano
temi e motivi di straordinaria presa, mentre lasciano indifferenti nel Macbeth,
che è, dal punto di vista tematico, assai poco appariscente.
Il pubblico ha accolto con applausetti i
due poemi, che evidentemente non
hanno suscitato eccessivi entusiasmi.
___
La mendelssohniana
Lobgesang
è - a dispetto della numerazione (2) - la penultima delle 5 sinfonie del celebre
direttore della Gewandhausorchester.
Alla Scala mancava da più di 11 anni, precisamente dal Natale 2007, quando fu
diretta da uno dei successori di Mendelssohn sul podio di Lipsia: Riccardo
Chailly. Proprio in quell’occasione scrissi alcune note su contenuti,
struttura e soprattutto sostrato filosofico-religioso della Sinfonia, note che
mi sento di riproporre
ai soliti affezionati perditempo...
Le prime 22 battute della sinfonia ne
presentano - si potrebbe dire - il programma: è il tema del Magnificat, esposto subito dai tre
tromboni (strumenti religiosi per antonomasia) che verrà ripreso successivamente
dalle voci, e poi ripetuto proprio nelle ultime 10 battute dell’opera, sul
possente richiamo:
Alles,
was Odem hat,
lobe
den Herrn!
Halleluja!
|
Tutto ciò che ha respiro
lodi il Signore!
Alleluia!
|
A puro titolo di curiosità, vediamo
alcuni esempi (presi da youtube, in
modo che chiunque possa toccare con... orecchio) di interpretazione di questa
solenne apertura, che in qualche modo sintetizza lo spirito dell’opera. Va
premesso che Mendelssohn ha posto precise indicazioni metronomiche su ogni
sezione della partitura, quindi è possibile fare verifiche assai puntuali sul
rispetto (o meno) di tali indicazioni da parte dell’interprete. (Poi ciascuno
tirerà le proprie conclusioni estetiche, magari infischiandosene delle
indicazioni dell’Autore medesimo...) Bene: l’introduzione consta precisamente
di 21 battute in 4/4, con indicazione 96 semiminime (al minuto). Ergo la
fredda e implacabile aritmetica ci dice che tali 21 battute dovrebbero essere
suonate precisamente in 60:96x4x21 = 52,5 secondi. Ecco ora i risultati
della ricerca (tempi misurati al secondo, senza frazioni, quindi risultati
arrotondati):
interprete |
secondi |
metronomo |
scostamento |
Herbert von Karajan con i Berliner |
80 |
63 |
+34% |
Claudio
Abbado
con la London Symphony |
80 |
63 |
+34% |
Wolfgang Sawallisch con la New Philharmonia |
80 |
63 |
+34% |
Vladimir Ashkenazy con la DSO Berlino |
77 |
65 |
+32% |
Christoph
Spering con la DNO |
59 |
85 |
+11% |
Andrés Orozco-Estrada con la ONF |
54 |
93 |
+3% |
Edo de Waart con
la Radio
olandese |
53 |
95 |
+1% |
Markus
Stenz
con la Radio olandese |
52 |
97 |
-1% |
Mark
Elder
con la Halle |
51 |
99 |
-3% |
Marcus Bosch con
la Aaken Sinfonieorchester |
50 |
101 |
-5% |
In rete si trova anche un’esecuzione di Chailly al Gewandhaus. Si tratta però
- toh, la mania del Direttore di riesumare oggetti obsoleti... - della versione
originale della Sinfonia (25/6/1840, cui mancano quindi parti dei numeri 3-6-9,
aggiunte prima del 3/12/1840) che ha piccole differenze proprio
nell’Introduzione (battute 5-8 e 20-21) peraltro credo ininfluenti sul tempo di
esecuzione. Dove Chailly stacca 62 secondi, corrispondenti a metronomo 81, con
un rallentamento rispetto a Mendelssohn del 16%.
Cosa si può dedurre da questi risultati?
Che c’è una scuola tradizionale (Abbado giovine incluso) che ammanta questo
Mendelssohn di enfasi e pomposa retorica, sforando addirittura di 1/3 le sue indicazioni?
E invece una generazione più moderna che rispetta la volontà dell’Autore, magari
spingendosi (di poco) anche al di là dei suoi dettami? Io ho pochi dubbi sul come schierarmi:
con i secondi! Perchè francamente, i primi mi pare scambino Mendelssohn con...
Wagner, tanto per non far nomi ma cognomi! Uno che, fra l’altro, aveva
stroncato senza appello la Sinfonia-Cantata. Tuttavia l’Introduzione
rappresenta pur sempre solo 60 secondi su
60 o più minuti, quindi non sarebbe neanche
corretto giudicare solo da essa l’interpretazione dell’intero lavoro.
Cornelius Meister? Non avevo con me uno strumento
da cronometrista di atletica, ma il mio orecchio mi suggerisce che il giovane
crucco abbia tenuto un tempo assai più sostenuto rispetto ai dettami dell’Autore,
ma non così smaccatamente lento quanto i citati quattro dell'avemaria...
Dopodichè devo dire che la sua lettura
mi ha abbastanza convinto, a giudicare dalle agogiche e dalle dinamiche
adottate. Sembrerà paradossale, ma forse la Lobgesang è più facile da dirigere
(e magari anche da suonare) dei poemi di Strauss, fatto sta che ne è uscita un’esecuzione
equilibrata, rigorosa, che alle mie orecchie ha reso al meglio l’atmosfera di
serietà e di nobiltà che caratterizza quest’opera.
Giudicherei anche ottima o quasi la prestazione delle tre voci, fra le quali ha spiccato Genia Kühmeier (sostituta di Eva Liebau, annunciata originariamente). Ma anche Martina Janková e Tomislav Mužek hanno ben meritato (il tenore ha efficacemente proposto quel drammatico e reiterato Hüter, ist die Nacht bald hin?)
Naturalmente non si può non rendere omaggio - ma proprio
in ginocchio, cantandogli una speciale Lobgesang
- al Coro di Bruno Casoni, a dir poco strepitoso nelle colossali fughe e nelle
perorazioni della lode. Per i coristi
e per tutti un autentico trionfo, con ripetute chiamate e fragorosi applausi,
che han fatto sembrare il Piermarini zeppo come un uovo.
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