Niente Presepe, solo molti Alberi-di-Natale...
In questo dicembre 2007 La Scala ha davvero indossato un abito tedesco! Sarà stato solo un caso, o c’è dietro una precisa e voluta programmazione, magari con lo zampino del tedesco Barenboim?
Prima Wagner con il Tristan, poi la IX di Beethoven, con Masur; ora la Lobgesang di Mendelssohn, diretta da chi (Chailly) oggi ne prosegue la tradizione, calcando il podio della Gewandhaus.
Molto più della Reformationssinfonie (numerata 5 nel catalogo di Mendelssohn, quella che cita il famoso Dresden Amen, poi parsifalizzato da Wagner) la scarsamente eseguita Lobgesang (numerata 2, ma scritta quasi 10 anni dopo) incarna tutto un intero universo germanico.
Musicalmente: Bach, Händel e ovviamente - anche se per aspetti più superficiali che sostanziali, che diedero a molti, Wagner in primis, lo spunto per critiche e stroncature - Beethoven (la Nona, per l’appunto).
Ma soprattutto Gutenberg, di cui nel 1840 - anno della presentazione della sinfonia, il 25 giugno, nella Thomaskirche a Lipsia, con 500 esecutori! - ricorreva il 4° centenario della scoperta della stampa a caratteri mobili; scoperta (oggi sappiamo che fu coreana, ma insomma...) che contribuì in primo luogo alla capillare diffusione della Bibbia, da cui Mendelssohn trasse i versi da musicare nella sua colossale sinfonia-cantata.
Ma, con Gutenberg, anche Hans Sachs (su cui Lortzing compose per la stessa occasione un’operina comica) e, dulcis-in-fundo, Martin Luther, da Sachs apostrofato come l’Usignolo del Wittenberg, con versi ripresi poi da Wagner nel mirabile Wacht auf! dei Meistersinger.
Gutenberg, Sachs, Luther, Bach, Beethoven! Questo il crogiolo della Lobgesang, con la Bibbia a fare da sfondo unificante! (qui si possono chiudere gli occhi e, magari sul ricordo di acquerelli dello stesso Felix, immaginare il tipico ambiente tedesco di metà ‘800).
La struttura della sinfonia-cantata è così schematizzabile: tre movimenti strumentali, quasi senza soluzione di continuità, seguiti dalla cantata in nove sezioni (o dieci, a seconda delle edizioni critiche, che scindono o meno il n°2) con intervento di soli (2 soprani e un tenore) e coro. I testi sono intrisi di lodi a Dio e al continuo progresso umano - dall’oscurità alla luce - reso possibile, appunto, dalla diffusione del messaggio biblico, a sua volta accelerata dalla moderna tecnologia di stampa.
La mistura - per taluni schizzinosi critici, impropria e gratuita - fra musica da auditorium e musica da chiesa (vi interviene anche l’Organo) rappresenta il carattere principale dell’opera, dal punto di vista del contenuto. I tempi: Mendelssohn, come anche Beethoven del resto, ha posto in partitura chiare indicazioni metronomiche, che dovrebbero quindi guidare il direttore in modo abbastanza vincolante.
Ad aprire la sinfonia sono i tre tromboni soli, quasi un preludio di altre trombonate famose: dal Brahms di Ein Deutsches Requiem (per esempio ad accompagnare, nel n°6, le parole der letzten Posaune) al Wagner dei Cavalieri del Graal, per finire a Mahler, ultimo movimento - Auferstehung - della Sinfonia II (che ci porta nientemeno che nel Giorno del Giudizio).
L’incipt (FA-SOL-FA-SIb) richiama apertamente uno dei Magnificat, come riportati nel Liber usualis. Ne ritroveremo un altro anche in Strauss (Also sprach Zarathustra). Il tema ritorna ciclicamente più volte lungo l’intera opera, per poi chiuderla in modo solenne.
Nella sezione vocale, particolare rilievo ha il n°6. Questo numero, assieme al 3 e al 9, fu aggiunto da Mendelssohn qualche mese dopo la prima esecuzione. In realtà è fondamentale, nell’economia dell’opera, quasi fosse la zeppa di un portale.
Qui c’è il passaggio dalla notte al giorno (simbolizzato illuministicamente dall’invenzione della stampa) descritto con teatrale drammaticità: i tre richiami del tenore al guardiano (figura tanto severa e implacabile qui, pur non parlando in prima persona, quanto routinaria e oleografica sarà nei Meistersinger) angosciosamente interrogativi, con altezze sempre crescenti di un tono (REb, MIb, FA il motto orchestrale, citato da Wagner nella Walküre; DO, RE, MI la supplica: Hüter, ist die Nacht bald hin?) creano davvero una tensione cromatica fortissima, che sfocia nell’annuncio, in RE maggiore, del soprano solo e poi (al n°7, con l’intera orchestra) nella liberatoria perorazione di tutto il coro: Die Nacht ist vergangen! Der Tag ist gekommen! Una fuga di vaste proporzioni, che ne anticipa nell’atmosfera altre più famose, quelle del brahmsiano Requiem. E infatti un certo parallelo si può tracciare fra i n°6-7 della Lobgesang e il n°6 del Requiem di Brahms: anche in quest’ultimo abbiamo il contrasto fra la morte (con i tre richiami DO#-RE-MIb) e l’inferno, rappresentati dal DO minore, e la successiva fuga - di proporzioni gigantesche - in DO maggiore, sui versi:
In questo dicembre 2007 La Scala ha davvero indossato un abito tedesco! Sarà stato solo un caso, o c’è dietro una precisa e voluta programmazione, magari con lo zampino del tedesco Barenboim?
Prima Wagner con il Tristan, poi la IX di Beethoven, con Masur; ora la Lobgesang di Mendelssohn, diretta da chi (Chailly) oggi ne prosegue la tradizione, calcando il podio della Gewandhaus.
Molto più della Reformationssinfonie (numerata 5 nel catalogo di Mendelssohn, quella che cita il famoso Dresden Amen, poi parsifalizzato da Wagner) la scarsamente eseguita Lobgesang (numerata 2, ma scritta quasi 10 anni dopo) incarna tutto un intero universo germanico.
Musicalmente: Bach, Händel e ovviamente - anche se per aspetti più superficiali che sostanziali, che diedero a molti, Wagner in primis, lo spunto per critiche e stroncature - Beethoven (la Nona, per l’appunto).
Ma soprattutto Gutenberg, di cui nel 1840 - anno della presentazione della sinfonia, il 25 giugno, nella Thomaskirche a Lipsia, con 500 esecutori! - ricorreva il 4° centenario della scoperta della stampa a caratteri mobili; scoperta (oggi sappiamo che fu coreana, ma insomma...) che contribuì in primo luogo alla capillare diffusione della Bibbia, da cui Mendelssohn trasse i versi da musicare nella sua colossale sinfonia-cantata.
Ma, con Gutenberg, anche Hans Sachs (su cui Lortzing compose per la stessa occasione un’operina comica) e, dulcis-in-fundo, Martin Luther, da Sachs apostrofato come l’Usignolo del Wittenberg, con versi ripresi poi da Wagner nel mirabile Wacht auf! dei Meistersinger.
Gutenberg, Sachs, Luther, Bach, Beethoven! Questo il crogiolo della Lobgesang, con la Bibbia a fare da sfondo unificante! (qui si possono chiudere gli occhi e, magari sul ricordo di acquerelli dello stesso Felix, immaginare il tipico ambiente tedesco di metà ‘800).
La struttura della sinfonia-cantata è così schematizzabile: tre movimenti strumentali, quasi senza soluzione di continuità, seguiti dalla cantata in nove sezioni (o dieci, a seconda delle edizioni critiche, che scindono o meno il n°2) con intervento di soli (2 soprani e un tenore) e coro. I testi sono intrisi di lodi a Dio e al continuo progresso umano - dall’oscurità alla luce - reso possibile, appunto, dalla diffusione del messaggio biblico, a sua volta accelerata dalla moderna tecnologia di stampa.
La mistura - per taluni schizzinosi critici, impropria e gratuita - fra musica da auditorium e musica da chiesa (vi interviene anche l’Organo) rappresenta il carattere principale dell’opera, dal punto di vista del contenuto. I tempi: Mendelssohn, come anche Beethoven del resto, ha posto in partitura chiare indicazioni metronomiche, che dovrebbero quindi guidare il direttore in modo abbastanza vincolante.
Ad aprire la sinfonia sono i tre tromboni soli, quasi un preludio di altre trombonate famose: dal Brahms di Ein Deutsches Requiem (per esempio ad accompagnare, nel n°6, le parole der letzten Posaune) al Wagner dei Cavalieri del Graal, per finire a Mahler, ultimo movimento - Auferstehung - della Sinfonia II (che ci porta nientemeno che nel Giorno del Giudizio).
L’incipt (FA-SOL-FA-SIb) richiama apertamente uno dei Magnificat, come riportati nel Liber usualis. Ne ritroveremo un altro anche in Strauss (Also sprach Zarathustra). Il tema ritorna ciclicamente più volte lungo l’intera opera, per poi chiuderla in modo solenne.
Nella sezione vocale, particolare rilievo ha il n°6. Questo numero, assieme al 3 e al 9, fu aggiunto da Mendelssohn qualche mese dopo la prima esecuzione. In realtà è fondamentale, nell’economia dell’opera, quasi fosse la zeppa di un portale.
Qui c’è il passaggio dalla notte al giorno (simbolizzato illuministicamente dall’invenzione della stampa) descritto con teatrale drammaticità: i tre richiami del tenore al guardiano (figura tanto severa e implacabile qui, pur non parlando in prima persona, quanto routinaria e oleografica sarà nei Meistersinger) angosciosamente interrogativi, con altezze sempre crescenti di un tono (REb, MIb, FA il motto orchestrale, citato da Wagner nella Walküre; DO, RE, MI la supplica: Hüter, ist die Nacht bald hin?) creano davvero una tensione cromatica fortissima, che sfocia nell’annuncio, in RE maggiore, del soprano solo e poi (al n°7, con l’intera orchestra) nella liberatoria perorazione di tutto il coro: Die Nacht ist vergangen! Der Tag ist gekommen! Una fuga di vaste proporzioni, che ne anticipa nell’atmosfera altre più famose, quelle del brahmsiano Requiem. E infatti un certo parallelo si può tracciare fra i n°6-7 della Lobgesang e il n°6 del Requiem di Brahms: anche in quest’ultimo abbiamo il contrasto fra la morte (con i tre richiami DO#-RE-MIb) e l’inferno, rappresentati dal DO minore, e la successiva fuga - di proporzioni gigantesche - in DO maggiore, sui versi:
“Herr, du bist würdig zu nehmen Preis und Ehre und Kraft,
denn du hast alle Dinge erschaffen,
und durch deinen Willen haben sie das Wesen und sind geschaffen.“
“Vorrei vedere tutte le Arti, in specie la Musica,
al servizio di Colui che ce le ha donate e create”.
Ed infatti nella sinfonia-cantata ci sono, insieme: Sacra Scrittura, Progresso, Illuminismo, fede in Dio e fede nella Ragione; un sistema di valori positivi, quasi al limite dell’utopia o addirittura dell’integralismo, dove la luce diventa nientemeno che un’arma (die Waffen des Lichts). Distanza stellare davvero - a cominciare dal diatonismo quasi stomachevole, che per noi scafati è paradossalmente un carattere di debolezza - dall’incipiente decadentismo del cromatico e notturno Tristan!
In ogni caso, inutile negare l’evidenza: la Riforma gettò nel mondo tedesco i semi di un progresso culturale, e quindi artistico, e quindi musicale, che il (nostro) mondo rimasto legato a Santa Romana Chiesa non ha saputo esprimere.
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