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27 dicembre, 2007

Il Ring: una “vision” pazza? (III)

Continuiamo a seguire Paul Brian Heise nella sua interpretazione feuerbachiana del Ring, iniziando da personaggi ed avvenimenti del Rheingold.

La rinuncia all’Amore di Alberich rappresenta la nascita della mente riflessiva dell’Uomo, che deve sollevarsi al di sopra degli istinti naturali (rappresentati dal desiderio frustrato per le tre Rheintöchter) per raggiungere la capacità di astrazione e di pensiero simbolico. In sostanza: nell’Uomo, e solo in esso, l’istinto, quando represso, si trasforma in pensiero.

La forgiatura dell’Anello da parte di Alberich rappresenta:
- l’essenza della consapevolezza umana,
- l’impulso a completare ciò che l’esperienza ci presenta come incompleto,
- l’impeto a far quadrare il cerchio, a perfezionare l’imperfetto.

L’Uomo, unico fra tutti gli animali, cerca la conoscenza del mondo reale ben al di là di ciò che gli è strettamente necessario per garantirsi la sopravvivenza. Questa capacità di astrazione produce la conoscenza e il pensiero scientifico, la capacità di cogliere aspetti della Natura (le sue leggi) che vanno al di là delle sue immediate manifestazioni sensibili. Ecco il vero strumento del potere terreno, la capacità di forzare e piegare Madre Natura per soddisfare gli umani bisogni. Lo scavare di Alberich, e dei suoi, nel sottosuolo e l’accumulo del suo Tesoro rappresentano metaforicamente l’incessante opera dell’Uomo per penetrare sempre più i segreti di Madre Natura, per poi impiegarli a proprio vantaggio.

Ma la conoscenza, oltre a fornire all’Uomo la consapevolezza del suo potere sulla Natura, si porta dietro anche la consapevolezza dei limiti, delle miserie e della caducità della natura umana, insomma tutto ciò che viene racchiuso nel termine germanico Not: stato di necessità, privazione, ansia, pericolo. Da qui la nascita, nell’Uomo, di quell’angoscia esistenziale che lo porta addirittura - e proprio impiegando le sue stesse capacità raziocinanti, l’Anello e il Tarnhelm - a disconoscere il mondo reale allorquando esso delude le sue aspettative, e quindi ad inventarsi un mondo immaginario, un illusorio rimpiazzo di Madre Natura, un regno dei cieli, un paradiso senza fine e senza dolore (le mele d’oro di Freia) che lo affranchi dalla dura realtà della vita (rappresentata allegoricamente da Erda).

E questo abbandonarsi all’illusione (il termine germanico Wahn) porta alla nascita del pensiero religioso ed artistico. E Wotan impersona appunto questo impulso, tipicamente soggettivo, perchè controllato da immaginazione e sentimento, e non da Ragione e Verità. Questo desiderio a sua volta si estrinseca nel continuo affannarsi del dio per sequestrare prima (tramite Loge) e mantenere nascosta e inaccessibile poi (tramite Fafner) la conoscenza scientifica (l’Anello e il Tesoro di Alberich!) in quanto essa rappresenta per il mondo degli dèi un nemico mortale. Ma a sua volta questo disconoscimento della verità comporta metaforicamente l’uccisione di Madre Natura!

In definitiva, il conflitto fra Wotan e Alberich impersona quello fra Wahn e Not. La differenza fra i due sta nel fatto che Alberich guarda in faccia la realtà (Not), la affronta a viso aperto, avendo spazzato via, con la maledizione dell’Amore, tutte le illusioni e le sovrastrutture che condizionano l’uomo; mentre Wotan, pur avendo piena consapevolezza del Not, che muove le sue stesse azioni (musicalmente Walhall=Anello!) vorrebbe perpetuare il Wahn, che è il prodotto del lato religioso-artistico della mente umana. In sostanza: Nibelheim altro non è se non l’amara e cruda verità che si nasconde dietro la brillante facciata del Walhall, del mondo di Wotan. E ancora tutto ciò spiega perchè Wotan ed Alberich siano entrambi degli elfi, chiari e scuri (licht-alben, schwarz-alben).

Ma l’inevitabile progresso conoscitivo e scientifico dell’Uomo porterà - prima o poi - alla sconfitta della Religione (e alla vittoria della Ragione, di Alberich): questa terribile constatazione e consapevolezza è alla base di tutte le azioni e comportamenti di Wotan; e spiega l’intima dissociazione della sua psiche.

Loge rappresenta la metafora dell’umana artistica capacità di auto-illusione. È lui che illude gli dèi di poter perpetuare la loro condizione (le Mele di Freia) mettendo a tacere la terribile verità (Freia reclamata come ricompensa dai Giganti) attraverso l’uso del Tesoro di Alberich! Da gran furbone qual’è, il filibustiere prende così due piccioni con una fava:

1. illude (musicalmente Loge=Tarnhelm!) gli dèi (e gli uomini) che davvero possono liberarsi dalle ferree leggi della Natura, impersonate dallo spaventevole ammonimento di Erda: tutto ciò che esiste, finisce, e
2. offre loro redenzione dal peccato insito nel loro egoistico impulso (il Walhall), che ha ingenerato le pretese dei Giganti su Freia.

Non è un caso che Loge nutra intimo disprezzo per gli dèi: lui conosce perfettamente la verità, sa benissimo che la sua Arte è tutta una finzione, che serve solo ad illudere quei miserabili. Per ora resta al loro servizio (alla fine del Rheingold si accoderà agli dèi che entrano in Walhall) ma non per molto... Intanto però il sequestro del Tesoro e dell’Anello priva - almeno momentaneamente - Alberich (la conoscenza) della possibilità di prevalere.

Di fondamentale importanza è lo scontro Wotan-Alberich - nella quarta scena - che porta alla maledizione dell’Anello. Alberich esclama, rivolto a Wotan: “...se io ho peccato, ho peccato solo contro me stesso; ma tu, immortale, se mi strappi l’Anello peccherai contro tutto ciò che fu, è e sarà”.

Alberich sta accusando Wotan del peccato di fede religiosa: il pessimismo e la rinuncia al mondo reale, che è soggetto a divenire e a mutare. Poco dopo sarà Erda a riecheggiare indirettamente quell’accusa, quando affermerà: “...io conosco tutto ciò che fu, è e sarà”. Prendendo in ostaggio l’Anello, Wotan peccherà (simbolicamente uccidendola) contro Madre Natura, nascondendone la Verità per perpetuare l’illusione che tiene in vita il suo mondo!

Qual’è il significato della maledizione di Alberich (“tutti coloro che possiederanno l’Anello, ne saranno distrutti”)? Tutti quei mortali che si sono auto-illusi con la Religione - inventandosi divinità, immortalità, paradiso, redenzione, libero arbitrio e amore superno, come antidoto alla fatale Verità - saranno inesorabilmente costretti ad accumulare tutto quel tesoro di conoscenza (l’oro) che alla fine distruggerà la loro stessa illusoria felicità.

Gli dèi - e gli uomini che credono in loro - aborriscono la Verità e si autoconvincono che le proprie false credenze siano la Verità. Ma questa situazione non può essere sostenuta a lungo: essi cominciano ad avvertire i dubbi e le paure che l’ammonimento di Erda induce. In effetti, Alberich ha maledetto quell’impulso religioso a fuggire la Realtà, che non può essere soddisfatto: per quanto tale impulso religioso dell’Uomo cerchi soddisfazione nella trascendenza, per sfuggire alla condizione di mortalità del mondo naturale, l’Uomo non può mai raggiungere la redenzione e continua a ritrovare se stesso anche nelle più remote regioni della sua immaginazione religiosa. Gli dèi e il Walhall restano inesorabilmente ancorati alla loro vera origine: l’Anello forgiato da Alberich; il quale Alberich invece non è colpito dalla maledizione, in quanto riconosce la propria condizione e prende atto della Realtà.

Ecco allora il dilaniante dilemma di Wotan: per impedire che il Tesoro di conoscenza venga usato da Alberich per destabilizzare il mondo degli dèi, egli deve metterlo sotto sequestro. Ma con la necessità di difendersi da esso, egli finisce per divenirne conscio a sua volta, e in ciò vede chiaramente la fine delle ragioni della sua propria esistenza, e la vittoria di Alberich!

Fafner impersona appunto la paura di Wotan dell’auto-conoscenza. Egli è il simbolo dei tabù religiosi che ostacolano il pensiero razionale, la paura della Verità che tiene in ostaggio la ragione (Alberich). L’uccisione di Fasolt - la dimostrazione pratica della potenza dell’Anello! - dà a Wotan la conferma delle ragioni della sua paura. Non potendo accettare, nè cambiare la tremenda e orribile Realtà, egli decide ora di cessare di esserne conscio; e cercherà di imparare da Erda (sia visitandola di persona, che percorrendone il dorso, come Wanderer in cerca di spiegazioni al suo stato di necessità) il modo per dimenticare la paura che lei gli ha instillato e per consegnare la conoscenza oggettiva all’oblìo.

Questo doppio, schizofrenico desiderio - conoscere le ragioni della sua paura e i mezzi con cui rimuoverla - si incarna in Brünnhilde. Lei insegnerà a Siegfried (l’erede di Wotan) sia la paura che il modo di dimenticarla. Ciò simboleggia quel dono di Natura che permette all’Uomo di neutralizzare il pensiero oggettivo, facendo prevalere il sentimento: sono i sogni della religione e dell’arte, resi possibili dall’impiego del pensiero e dell’immaginazione controllati dal sentimento. Ma questa redenzione dalla Verità non può che essere temporanea, poichè l’Uomo è destinato ad accrescere la conoscenza di sè e del mondo, finchè la scienza moderna (Hagen) arriverà ad estirpare definitivamente il nostro antico modo di pensare, e la nostra illusoria fede nel trascendente.

(continua)

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