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18 agosto, 2018

ROF-XXXIX live - Ricciardo e Zoraide



Ieri l’Adriatic Arena gremita del tradizionale pubblico cosmopolita ha ospitato la terza rappresentazione del titolo principale di questa edizione del ROF: Ricciardo&Zoraide. La performance musicale ha confermato (con punte più o meno marcate) quanto alto sia il valore di questa partitura ancor oggi immeritatamente trascurata.

Da elogiare la prestazione di orchestra (la OSN-RAI che Giacomo Sagripanti ha condotto con grande autorevolezza, gesto misurato ma sempre preciso ed efficace, e grande attenzione ai dettagli nell gestione delle dinamiche e delle agogiche) e di coro (il Ventidio Basso di Giovanni Farina, compatto e brillante negi momenti di maggior enfasi, in cui si esibisce in primo piano, come in quelli di religioso raccoglimento, cantando di lontano, dietro la scena).

Juan Diego Flórez era ovviamente - dati i suoi precedenti al ROF, che gli ha dato fama imperitura - il più atteso e devo dire che non ha deluso i suoi ammiratori con una prestazione davvero all’altezza della sua fama. Potrei sbagliare, ma rispetto alla prima (ascoltata per radio) mi è parso ancora più sicuro ed efficace nello sciorinare tutto il suo repertorio di virtuosismi, spiccando impeccabili acuti e sovracuti, ma anche sapendo cesellare da par suo i risvolti più introspettivi del personaggio di Ricciardo.

Pretty Yende ha (a mio modesto parere) confermato pregi e difetti già emersi alla prima: buona impostazione generale, ma alternanza di alti e bassi, sopratutto negli acuti e nelle colorature: i primi spesso ghermiti con una certa approssimazione, le seconde che non paiono essere proprio la sua miglior dote. In ogni caso, una prestazione che merita ampia sufficienza (il pubblico è andato direttamente all’ottimo!)

Sergey Romanovsky, ritornato a Pesaro a un anno dall’esordio, ha cercato di dare nerbo al personaggio di Agorante, riuscendovi a metà: l’approccio interpretativo è più che corretto, ma la voce (e qui conta madre-natura) non è propriamente quella di un baritenore quale il ruolo pretenderebbe, il che costringe il tenore russo a innaturali forzature. In ogni caso anche per lui successo caloroso.

Xavier Anduaga (ospite in anni recenti dell’Accademia rossiniana ed esordiente al ROF un anno fa) ha mostrato interessanti doti naturali di tenore contraltino che ne fanno interprete approprito del personaggio del crociato Ernesto, il che gli ha garantito un’accoglienza fin troppo... trionfale.

La (comprensibilmente) gelosa Zomira ha trovato in Victoria Yarovaya un’interprete all’altezza, per impostazione, portamento e qualità della voce. Rispetto alle prestazioni non memorabili degli anni scorsi il contralto russo mi pare decisamente cresciuto. Peccato però che alla sua voce manchi qualche decibel per passare dal discreto al buono, ecco.

Il veterano del ROF (vi esordì nell’ormai lontano ’97) Nicola Ulivieri ha messo tutta la sua esperienza nel creare in maniera eccellente il personaggio di Ircano, che irrompe sulla scena solo a metà del second’atto ma poi vi ha una presenza tutt’altro che marginale. La sua voce potente e ben impostata ha svettato anche nei concertati che chiudono l’opera.

I tre accademici (Sofia MchedlishviliMartiniana Antonie e Ruzil Gatin) hanno più che onorevolmente completato il cast.

Come detto, gran successo per tutti, con tambureggiamenti del tavolato e ripetute ovazioni. Personalmente non sono facile agli entusiasmi, ma mi fa piacere constatare quelli che animano il pubblico come accaduto ieri.
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Sull’allestimento si potrebbe tranquillamente sorvolare, data la sua totale inconsistenza rispetto al soggetto; il quale è già inconsistente di suo, figuriamoci! Dovendo rappresentare l’opera in forma scenica (molto più senso avrebbe darla in forma concertante, o semi-scenica) tutto diventa possibile, soprattutto se il regista non si chiama... Ronconi (!)

Ecco che allora (scene di Gerard Gauci) l’esterno della reggia di Agorante assume l’aspetto di una gigantesca tenda Tuareg (ma anche quello del tendone di un gran circo barnum...) mentre al suo interno si erge miracolosamente una struttura a due piani di architettura mista occidentale (volte a semicerchio) e pseudo-orientale (volte ad ogiva tendente al... triangolo). Il fiume Nubio che costeggia Duncala è esondato al punto da trasformarsi nel... lago Nasser (la reggia sarà stata spostata in alto pietra-a-pietra come si fece con i templi di Abu-Simbel, immagino).

I costumi dei protagonisti sono ispirati (da Michael Gianfrancesco) a geniale sincretismo, chè si va dal corpetto-su-petto-nudo di Agorante all’abbiglimento zigano di Ricciardo (quando da paladino... paludato si traveste da baluba) alla purpurea veste cardinalizia di Ernesto (certo siamo alle crociate ordinate dal Papa, ohibò) alle gonne rococò delle signore, che però hanno le parrucche sostituite da prosaiche cucuzze...) Ircano ha proprio l’aspetto di un cavaliere medievale (ma qui anche il libretto non scherza...)

I personaggi si muovono come  nelle recite scolastiche (cioè stanno spesso impalati) oppure sfruttano furbescamente la passerella da avanspettacolo (ormai divenuta una costante degli allestimenti all’Adriatic Arena) anche per avvicinarsi al pubblico scavalcando la rumorosa orchestra così da farsi meglio udire. I cori si dispongono al lati della scena, oppure si allineano rigorosamente in mezzo al palco.

Essendo i registi (Marshall Pynkoski e consorte Jeannette Lajeunesse Zingg) di professione coreografi, ecco che infarciscono le scene di danzatori e balletti, trasformando l’opera in grand-opéra. Si salva da tutto questo pot-pourri Michelle Ramsay, che mostra di saper bene come maneggiare le luci.

Insomma, una... farsa, ecco, sul cui carattere dissacrante si può disquisire, nel senso di stabilire se sia proditorio o involontario. 

17 agosto, 2016

ROF-37 Ciro da Babilonia torna a Pesaro

 

Ieri sera ecco il redivivo Ciro in Babilonia, tornato presto sulle scene del ROF dopo il tardivo esordio del 2012, ovviamente con lo stesso allestimento di allora, firmato da Davide Livermore. Per le note introduttive sull’opera e i commenti alla regìa rimando a quanto scrissi appunto in occasione della produzione originale, della quale questa ripresa non ha proprio mutato alcunchè, salvo l’aggiornamento di poche immagini filmate in cui appaiono gli interpreti principali.

E fra gli interpreti ha trionfato l’inossidabile Ewa Podleś, la cui voce sembra non risentire del trascorrere degli anni. Certo, la fatica si fa sentire e alla fine si è avvertito lo sforzo sovrumano che la cantante polacca ha dovuto sostenere nella scena XII, per lei davvero massacrante, e poi nel finale concertato. Ma le ovazioni che il pubblico che gremiva il Rossini le ha riservato devono averla ripagata con gli interessi. Il suo non è un Ciro superlativo soltanto nel canto, ma anche e forse soprattutto nell’espressione, nell’immedesimazione dell’interprete con le mille sfaccettature del personaggio, di cui restituisce tutta l’umanità, il pathos e insieme la severa, persino proterva inflessibilità nel punire il truce Baldassare.

Pretty Yende conferma la buona prova dell’esordio: efficace nelle agilità e nei virtuosismi, esibiti con sicurezza quasi sfrontata, ma anche nella cantabilità dei passi più lirici, dove esibisce buon portamento e pregevoli legati. Antonino Siragusa è un Baldassare dignitoso, la voce c’è, chiara e squillante, gli acuti sono raggiunti con evidente sforzo (sappiamo bene come Rossini definisse le emissioni di petto, alla Duprez...) e il risultato nel complesso è più che accettabile.  

Degli altri comprimari dirò bene di Alessandro Luciano, che si conferma, come tenore rossiniano, assai più che una promessa; e meno bene di Oleg Tsybulko, uno Zambri dalla voce piuttosto ingolata e cavernosa. Meglio di lui Dimitri Pkhaladze che non ha sfigurato nella parte del profeta Daniello, impersonata con sufficiente efficacia e voce bene impostata. Il SIb di Isabella Gaudí è uscito sufficientemente pulito e in più, rispetto alla storica interprete del ruolo di Amira (Anna Savinelli, una gran racchia, almeno stando a Rossini) la cantante spagnola vanta una presenza fisica di tutto rispetto!

Il coro di Andrea Faidutti, che Livermore veste in parte con costumi babilonesi e in parte con abiti primo-‘900 (gli spettatori del cinema dove si proietta il Ciro) ha dato come sempre buona prova di sè, nel canto ed anche nella recitazione.

Da ultimo, Jader Bignamini, al suo debutto al ROF e in pratica al suo esordio col Rossini operistico (che io sappia, in precedenza aveva diretto un paio di volte l’Ouverture del Tell e poi, di recente, con laVERDI, un’antologia di brani rossiniani). L’ormai lunga consuetudine sinfonica con l’Orchestra milanese di cui è oggi Direttore Associato (alla Xian) gli permette evidentemente di trattare anche partiture di livello relativamente modesto con la cura e l’attenzione ai minimi dettagli che si riservano normalmente a un Beethoven o a un Mahler. È proprio ciò che emerge da questa sua direzione, dove nulla sembra essere lasciato al caso o “tiratoviaallabellemeglio”. E l’Orchestra del Comunale bolognese (che di per sè, con Mariotti, ha fatto grandi passi avanti) ha risposto da par suo, come complesso e come singoli (corno, violino e viola in primis, ovviamente).

Ora rimane, del cartellone principale del ROF XXXVII, la quarta e ultima serie di recite, col Ciro a chiudere, sabato 20. Venerdi l’omaggio a Florez per i suoi 20 anni di ROF.