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02 marzo, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°19


Tutta Spagna (patrocinio dell’Instituto Cervantes) in questo 19° Concerto della stagione: direttore, solista e compositori (nativi e... simpatizzanti.) La Spagna (specie se c’è il bolerodiravel!) fa sempre centro, e l’Auditorium era pieno come un uovo, con nutrita rappresentanza di giovani e giovanissimi!

Il primo simpatizzante è Luis (per noi Luigi) Boccherini che dalla natia Lucca sbarcò dapprima a Vienna, poi a Milano, quindi a Parigi e infine (1768) in Spagna, dove raggiunse una discreta fama (propagatasi in Europa) pari alle infinite avversità e miserie che caratterizzarono buona parte della sua permanenza laggiù. Un altro italiano, Luciano Berio, nel 1975 ha orchestrato e concentrato, quasi liofilizzato le diverse versioni della Ritirata di Madrid, che si ascoltano in questo concerto.

Della Ritirata (marcia notturna) risulta che Boccherini abbia composto ben cinque versioni. Le tre principali e più eseguite si trovano rispettivamente nell’ultimo movimento del Quintetto per archi G324 (una specie di micro-poema-sinfonico ambientato nella capitale spagnola, tema e 11 variazioni, qui Savall a 9’46”) composto nel 1780; poi come secondo movimento del Quintetto con pianoforte G418 (11 variazioni, qui Ensemble Claviere); e infine come quarto ed ultimo tempo del Quintetto con chitarra G453 (derivato a sua volta - per i primi 3 tempi - dal G409, 12 variazioni, qui Scattolin&C).

Berio, su commissione della Scala, ha mantecato quattro delle cinque versioni, costruendo una pièce per grande orchestra, eseguita per la prima volta (ricordo di avervi assistito... bei tempi!) martedi 17 giugno 1975 al Piermarini, direttore Piero Bellugi. Nel 2000 anche laVerdi ci si è cimentata per la prima volta diretta proprio da Berio; poi nel 2004 l’ha anche incisa con Chailly.

Il brano si presenta come un tema con 11 variazioni: sono quelle musicate da Boccherini, che Berio riprende e rimescola, facendo progressivamente aumentare il volume del suono, con l’ingresso in scena di nuovi strumenti, a rappresentare l’approssimarsi e poi il passaggio ravvicinato della banda militare; quindi il suono tende progressivamente a sfumare, diradandosi sempre più, fino a scomparire del tutto. Va detto che questo effetto non l’ha inventato Berio, ma fu lo stesso Boccherini a pretenderlo, con precise indicazioni poste sulla partitura:


Torniamo alla registrazione di Chailly  per apprezzare la struttura e l’orchestrazione del brano così come ideata da Berio:

          Introduzione: sono i tamburini (assistiti dai violini secondi) a dettare il ritmo, che si manterrà per l’intero brano; è la banda che si avvicina;
   19” esposizione del tema della Ritirata; tre flauti in primo piano;
   47” variazione 1; affidata al flauto e ai violini;
1’16”        “       2;  oboe, poi accompagnato da flauto e clarinetti;
1’44”        “       3;  violini, con interventi di flauto e oboe;
2’13”        “       4;  legni e archi, con trombe sordina;
2’41”        “       5;  violini con interventi di flauti e trombe;
3’10”        “       6;  violini e fiati al completo; la banda è ormai vicina;
3’39”        ”       7;  orchestra piena: arrivo della banda sulla piazza;
4’08”        “       8;  violini, legni, oboe; il volume del suono decresce; la banda comincia ad allontanarsi;
4’37”        “       9;  oboe, poi accompagnato da flauto (variazione 2);
5’05”        “     10;  flauti, clarinetti, violini; il suono sfuma sempre più;
5’34”        “     11;  trombe con sordina, flauti; si ode quasi solo l’accompagnamento;
6’04” coda: la musica si allontana... tamburi, tre flauti e violini spengono il suono.

Come curiosità scopriamo che la conclusione della melodia di Boccherini coincide praticamente alla lettera (a partire dalla tonalità di DO maggiore, ma anche nel tempo - 2/4 vs 4/4 alla breve - e persino nell’acciaccatura e nel trillo!) con quella del tema principale del Rondo finale della Sonata per violino e pianoforte K296 che un tale Mozart aveva composto a Mannheim nel 1778 (due anni prima, quindi, della prima versione di Boccherini):

Che sia questione di plagio in piena regola, di citazione esplicita, o di pura... telepatia è domanda tutto sommato stucchevole: a noi basta sia musica mirabile. E come tale ci è stata proposta dal giovane e brillante Manuel Coves, e meritatamente applaudita dal pubblico oceanico dell’Auditorium.
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Ecco poi il primo spagnolo verace, Joaquín Rodrigo con il suo celebre (soprattutto per il centrale Adagio) Concierto de Aranjuez. Il Concerto, dedicato al chitarrista Regino Sáinz de la Maza y Ruiz, fu composto a Parigi nei primi mesi del 1939 ed eseguito per la prima volta a Barcellona, solista il dedicatario, sabato 9 novembre 1940, in pieno regime franchista. Rodrigo ne formulò una specie di programma, secondo il quale il primo movimento (Allegro con spirito, in RE maggiore) si ispirerebbe all’idilliaca natura dei giardini del palazzo reale di Aranjuez, che lui aveva visitato con la moglie, potendo peraltro apprezzarne soltanto i profumi e l’atmosfera, essendo lui cieco quasi dalla nascita; il secondo (il famoso Adagio, in SI minore) sarebbe un autentico lamento per il figlioletto nato morto e il terzo (Allegro gentile, RE maggiore) rappresenterebbe la sua serena accettazione del destino.  

La chitarra da sempre è tipico strumento di accompagnamento della voce o della danza, un po’ come l’arpa. Ma almeno quest’ultima, non fosse che per le dimensioni, ha una sonorità che le permette di emergere anche in mezzo ad un’orchestra sinfonica... Grande merito dei due compositori presentati qui (Rodrigo e Moreno-Torroba) è stato di aver scritto brani dove la chitarra ha una parte spiccatamente solistica.

Il concerto di Rodrigo si può apprezzare in rete, eseguito proprio dall’interprete di oggi, Pepe Romero, che ha ricevuto applausi a scena aperta, cioè anche al termine dei primi due movimenti. Nel secondo dei quali si è messa in bella mostra con il suo corno inglese la bravissima Paola Scotti.    
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Ancora chitarra con il Concierto en Flamenco di Federico Moreno-Torroba. Opera del lontano 1962 che Pepe Romero ha riscoperto e valorizzato. Qui lo vediamo (1 e 2) diretto dal fratello Angel interpretarlo nel 2007 a Malaga (i Romero sono una vera e propria dinastia di musicisti, c’è anche un altro fratello, Celin, tutti figli di Celedonio, e poi mogli e nipoti... e soprattutto sono stati fieri antifranchisti, il che torna a loro onore...) 

Il concerto consta di quattro parti, corrispondenti ad altrettanti e diversi balli di flamenco:

  1’22” Fandango
11’08” Farruca
  1’02” Alegrias de Cadiz
  7’25” Bulerias

Anche qui è mirabile la distribuzione di compiti fra solista e orchestra, i cui strumenti (oboi, flauti, violini...) propongono le melodie che poi la chitarra impreziosisce con i suoi virtuosi interventi.

Ancora grande accoglienza (applausi anche dopo ognuno dei movimenti intermedi) per Pepe Romero che, per nulla stanco dei due impegnativi concerti, ci regala anche un bis... famigliare, la conclusione di una Suite del padre Celedonio!
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Chiusura alla grande con l’immarcescibile Bolero di Ravel, come al solito innervato sul tamburino di Ivan Fossati, che ormai lo suona innestando il pilota automatico (! ma ciò non significa che al suo posto si possa mettere un robot!)

Pubblico entusiasta e Orchestra che manifesta apprezzamento per il Direttore, accogliendolo all’ultima uscita con applausi ritmati. Insomma, una serata davvero splendida!

07 novembre, 2014

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 8

 

Zhang Xian ci propone una gita in Spagna, servendoci nel concerto di questa settimana un menu spagnolo (o para-). Sappiamo che parecchia musica spagnola (o spagnoleggiante) fu composta da non-spagnoli (francesi e russi in testa) e così in questo concerto abbiamo due autori locali (peraltro… svezzati a Parigi) e due alieni (russo e francese, guarda caso) simmetricamente disposti attorno ad un perno… italo-turco!

Manuel deFalla apre il programma con la seconda Suite dal balletto El sombrero de tres picos, per la descrizione del cui contenuto letterario rimando a questo mio post di un paio d’anni fa, in occasione di un concerto che aveva tre brani in comune con quello attuale e che Bignamini era stato chiamato a dirigere proprio in sostituzione della Xian, allora divenuta prematuramente mamma per la seconda volta. Dal balletto (con intervento di una voce di mezzosoprano, che possiamo vedere qui in una versione di Antonio Márquez) deFalla estrasse due suites, la seconda delle quali ascoltiamo in questo concerto, chiusa dalla trascinante Jota.

Un brano proprio adatto a rompere il ghiaccio e scaldare l’atmosfera, accolto da scroscianti applausi.
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Ecco poi il secondo spagnolo-doc, Joaquín Rodrigo, con il suo celeberrimo Concerto de Aranjuez che viene interpretato da Miloš Karadaglić. Oddio, forse celeberrimo è un’esagerazione, e comunque riguarda, caso mai, solo il centrale tempo in Adagio, che effettivamente ha fatto il giro del mondo:


Lo si può apprezzare qui eseguito proprio dall’interprete di oggi. Il Concerto, dedicato al chitarrista Regino Sáinz de la Maza y Ruiz, fu composto a Parigi nei primi mesi del 1939 ed eseguito per la prima volta a Barcellona, solista il dedicatario, sabato 9 novembre 1940, in pieno regime franchista. Rodrigo ne formulò una specie di programma, secondo il quale il primo movimento (Allegro con spirito, in RE maggiore) si ispirerebbe all’idilliaca natura dei giardini del palazzo reale di Aranjuez, che lui aveva visitato con la moglie; il secondo (il famoso Adagio, in SI minore) sarebbe un autentico lamento per il figlioletto nato morto e il terzo (Allegro gentile, RE maggiore) rappresenterebbe la sua serena accettazione del destino. Mah… secondo me è meglio ascoltare questa musica per quello che è, non per quello che dovrebbe evocare.

Al grande successo di pubblico il bel Miloš risponde con un celebre bis, sempre in terreno ispanico, ma facendosi stavolta accompagnare dall’orchestra.
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La zeppa italiana del concerto è una suite per chitarra denominata Koyunbaba, di Carlo Domeniconi, ancora interpretata dal bravissimo Miloš, che introduce la sua performance parlandoci di sé e di come ha incontrato e amato questo pezzo. Il cui titolo ai milanesi può suonare fra lo scurrile e l’offensivo, ma in realtà è anche… peggio, avendo fama di menagramo. In ogni caso ha a che fare con la Turchia, dove l’Autore ha soggiornato a lungo occupandosi di musica del folklore locale: Koyunbaba è il nome di un paesino sul mar Egeo, vicino a Budrun, ma anche quello di antiche famiglie turche di pastori e possidenti, legate a vicissitudini poco rassicuranti… L’inserimento di questo brano in un concerto tutto spagnolo in realtà non è per nulla fuori luogo, non solo per lo strumento, un classico della musica iberica, ma anche per le inflessioni della melodia. Del resto Spagna e Turchia risentirono, nei secoli, dell’influsso della grande cultura araba, musica compresa.

Il brano è in quattro parti, più una coda che richiama l’inizio; lo possiamo ascoltare qui dallo stesso Karadaglić. È aperto in tempo Moderato, seguito (3’20”) da un Mosso, poi (4’31”) da un Cantabile e dal conclusivo Presto (7’48”) cui segue la coda (Moderato, 10’00”). In realtà la partitura, derivata in origine (1985) da un’improvvisazione, è stata rivista diverse volte nel corso degli anni e presenta (in particolare nel Presto, ma non solo) diversi da-capo che l’interprete può decidere se rispettare o meno, a seconda della sua sensibilità, il che può determinare tempi di esecuzione più o meno lunghi, rispetto agli 11’ del filmato.

Grandissimo successo per il 30enne montenegrino, protagonista di questa straordinaria esibizione di tecnica e insieme di sensibilità interpretativa.
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La parte finale del concerto ci propone i due autori non-spagnoli di musica spagnola divenuta celebre. Dapprima il Capriccio spagnolo di Rimski, che la Xian ha già eseguito qui almeno un paio di volte, e che dà modo all’orchestra di esprimere tutta la sua potenza di fuoco, ma anche alcune individualità di spicco. Prestazione trascinante, accolta da ovazioni.
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Infine ecco il bolerodiravel, un modo di dire più che un titolo (smile!) È sempre il percussionista-capo de laVERDI, Ivan Fossati, a porsi al centro dell’attenzione e dell’orchestra con il suo tamburino che deve sostenere – a mo’ di pedale - l’intera esecuzione, per un buon quarto d’ora! Però questa volta Xian ha evidentemente deciso di essere ultra-fedele alla partitura, che prevede l’impiego di un secondo tamburino per l’ultima apparizione del tema del bolero e da lì fino alla fine; e così a fianco di Ivan Fossati si è esibito anche Luca Bleu, per raddoppiare il fracasso della chiusa! 

Immancabile successo, così Xian ci fa riascoltare proprio la sezione finale del Bolero e ci manda a casa col morale alle stelle.