Zhang Xian ci propone
una gita in Spagna, servendoci nel concerto di questa settimana un menu spagnolo (o para-). Sappiamo che parecchia musica spagnola (o spagnoleggiante) fu
composta da non-spagnoli (francesi e russi in testa) e così in questo concerto
abbiamo due autori locali (peraltro… svezzati a Parigi) e due alieni (russo e
francese, guarda caso) simmetricamente disposti attorno ad un perno… italo-turco!
Manuel
deFalla
apre il programma con la seconda Suite
dal balletto El sombrero de tres picos,
per la descrizione del cui contenuto letterario rimando a questo
mio post di un paio d’anni fa, in occasione di un concerto che aveva tre
brani in comune con quello attuale e che Bignamini
era stato chiamato a dirigere proprio in
sostituzione della Xian, allora divenuta prematuramente mamma per la seconda
volta. Dal balletto (con intervento di una voce di mezzosoprano, che possiamo
vedere qui in una versione di Antonio Márquez) deFalla estrasse due suites, la
seconda delle quali ascoltiamo in questo concerto, chiusa dalla trascinante Jota.
Un brano proprio adatto a rompere il
ghiaccio e scaldare l’atmosfera, accolto da scroscianti applausi.
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Ecco poi
il secondo spagnolo-doc, Joaquín Rodrigo, con il suo celeberrimo Concerto
de Aranjuez che viene interpretato da Miloš Karadaglić. Oddio, forse
celeberrimo è un’esagerazione, e comunque riguarda, caso mai, solo il centrale
tempo in Adagio, che effettivamente
ha fatto il giro del mondo:
Lo si può apprezzare qui eseguito
proprio dall’interprete di
oggi.
Il Concerto, dedicato al chitarrista Regino Sáinz de la Maza y Ruiz, fu composto a
Parigi nei primi mesi del 1939 ed eseguito per la prima volta a Barcellona,
solista il dedicatario, sabato 9 novembre 1940, in pieno regime franchista.
Rodrigo ne formulò una specie di programma,
secondo il quale il primo movimento (Allegro
con spirito, in RE maggiore) si ispirerebbe all’idilliaca natura dei
giardini del palazzo reale di Aranjuez, che lui aveva visitato con la moglie;
il secondo (il famoso Adagio, in SI
minore) sarebbe un autentico lamento per il figlioletto nato morto e il terzo (Allegro gentile, RE maggiore) rappresenterebbe
la sua serena accettazione del destino. Mah… secondo me è meglio ascoltare
questa musica per quello che è, non per quello che dovrebbe evocare.
Al grande successo di pubblico il bel Miloš risponde con un celebre bis, sempre in terreno ispanico, ma
facendosi stavolta accompagnare dall’orchestra.
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La zeppa italiana del concerto è una suite per chitarra denominata Koyunbaba,
di Carlo Domeniconi, ancora
interpretata dal bravissimo Miloš, che introduce la sua performance
parlandoci di sé e di come ha incontrato e amato questo pezzo. Il cui titolo ai
milanesi può suonare fra lo scurrile e l’offensivo, ma in realtà è anche…
peggio, avendo fama di menagramo. In ogni caso ha a che fare con la Turchia,
dove l’Autore ha soggiornato a lungo occupandosi di musica del folklore locale:
Koyunbaba è il nome di un paesino sul mar Egeo, vicino a Budrun, ma anche
quello di antiche famiglie turche di pastori e possidenti, legate a
vicissitudini poco rassicuranti… L’inserimento di questo brano in un concerto
tutto spagnolo in realtà non è per nulla fuori luogo, non solo per lo
strumento, un classico della musica iberica, ma anche per le inflessioni della
melodia. Del resto Spagna e Turchia risentirono, nei secoli, dell’influsso
della grande cultura araba, musica compresa.
Il brano è in quattro parti, più una
coda che richiama l’inizio; lo possiamo ascoltare qui dallo stesso Karadaglić. È aperto in tempo Moderato, seguito (3’20”) da un Mosso, poi (4’31”) da un Cantabile e dal conclusivo Presto (7’48”) cui segue la coda
(Moderato, 10’00”). In realtà la
partitura, derivata in origine (1985) da un’improvvisazione, è stata rivista
diverse volte nel corso degli anni e presenta (in particolare nel Presto, ma non solo) diversi da-capo che l’interprete può decidere se
rispettare o meno, a seconda della sua sensibilità, il che può determinare
tempi di esecuzione più o meno lunghi, rispetto agli 11’ del filmato.
Grandissimo successo per il 30enne
montenegrino,
protagonista di questa straordinaria esibizione di tecnica e insieme di
sensibilità interpretativa.
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La parte finale del concerto ci
propone i due autori non-spagnoli di musica spagnola divenuta celebre. Dapprima
il Capriccio
spagnolo di Rimski, che la
Xian ha già eseguito qui almeno un paio di volte, e che dà modo all’orchestra
di esprimere tutta la sua potenza di fuoco, ma anche alcune individualità di spicco.
Prestazione trascinante, accolta da ovazioni.
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Infine ecco il bolerodiravel, un modo di
dire più che un titolo (smile!) È
sempre il percussionista-capo de laVERDI, Ivan
Fossati, a porsi al centro dell’attenzione e dell’orchestra con il suo
tamburino che deve sostenere – a mo’ di pedale
- l’intera esecuzione, per un buon quarto d’ora! Però questa volta Xian ha
evidentemente deciso di essere ultra-fedele alla partitura, che prevede
l’impiego di un secondo tamburino per l’ultima apparizione del tema del bolero e
da lì fino alla fine; e così a fianco di Ivan Fossati si è esibito anche Luca Bleu, per raddoppiare il fracasso
della chiusa!
Immancabile successo, così Xian ci fa
riascoltare proprio la sezione finale del Bolero e ci manda a casa col morale
alle stelle.
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