L’Auditorium SanFedele
ha ospitato ier sera il sesto dei dieci concerti del 23° Festival (Percorsi di
musica d’oggi 2014).
Siccome a me
non piace usare giri di parole o espressioni politically-correct o, peggio,
ipocrisie, dico subito che mi sono recato al concerto esclusivamente perché
l’ultimo dei brani in programma era (in origine almeno) l’ottavo quartetto di Shostakovich,
poi rimpiazzato dal decimo, che
personalmente metto un filino al di sotto dell’altro, ma sempre grande musica
è. E come fioretto per meritarmi quel
premio ho ascoltato, con vivo interesse ed altrettanta delusione, gli altri tre
brani in programma.
Il primo dei
quali era un altro quartetto, il Terzo,
di Helmut Lachenmann (nato nel 1935)
che è sottotitolato Grido, composto nel
2001. Qui lo si può ascoltare eseguito dai dedicatari del Quartetto Arditti (1., 2., 3.) A Lachenmann Alex Ross dedica ben… una pagina del suo
The rest is noise, prima per citarne
una specie di programma etico (La mia
musica si occupa di un negazionismo rigidamente strutturato, con esclusione di
ciò che mi appare come l’aspettativa di ascolto che si forma nella società);
poi per ricordarne le idee di estrema-sinistra-estrema, che si materializzano
(nel libretto della sua opera La piccola
fiammiferaia) persino in una citazione della terrorista Gudrun Ensslin,
della banda Baader-Meinhof (Rote Armee Fraktion), che inneggia a se stessa e ai
suoi complici come distrutti che si
ribellano alla distruzione; infine, bontà sua, gli riconosce di sapere
ancora darci degli shock, dopo un
secolo di rumore! A ribadire il concetto: di simili shock farei volentieri a
meno, mi bastano ed avanzano quelli procurati da giornali, tv e web.
Ecco poi due
pezzi di giovani (30enni) autori italiani, presenti in sala, composti a margine
di una sessione di studio proprio con Lachenmann, e che gli interpreti avevano
dato alla luce pochi mesi fa.
Dapprima ci
viene proposto Come di tempeste di Daniele
Ghisi. Sul suo sito, dove il brano può essere ascoltato nella sua
interezza, il compositore ce ne descrive una specie di programma: che per
fortuna ha come protagonisti quattro grammofoni, e non i quattro… elicotteri di
funesta memoria… E va bene così (faccio per dire).
Poi Grammar
Jammer di Alessandro Perini.
Il titolo suggerisce un’intrusione non propriamente delicata all’interno di un
discorso. Secondo Giorgio Pestelli il
contenuto… si
riferisce alla funzione di disturbo o meglio di inceppamento esercitata su un
flusso di parole o di note, alla ricerca di un rapporto tra suono e rumore
entro i limiti di una grammatica che tende a costituirsi a partire da
trasformazioni lineari di elementi diversi. Oh, così sì che si capisce tutto
(stra-smile!) E no-comment.
Il pezzo forte
– sì, almeno per me – della serata è stato il Quartetto n°10 di Dimitri Shostakovich. Un brano
apparentemente disimpegnato, ma che in realtà lascia emergere tratti nobili e
soprattutto, una narrativa chiara e
convincente: che non ha bisogno di spiegazioni legate a grammofoni o ideologie
assortite, perché si fa benissimo apprezzare come musica!
I quattro
movimenti presentano temi ben riconoscibili ed efficacemente dialoganti: ci
troviamo reminiscenze mahleriane (nell’Andante
iniziale) e stilemi inconfondibili del compositore (i due Allegretti). Magistrale anche la passacaglia dell’Adagio,
che ritorna, seguita dal tema del primo movimento, nella sezione conclusiva (in
Andante) del quartetto, che viene
così ad assumere anche caratteri di ciclicità.
I cremonesi si sono confermati compagine
di grande valore e il successo è stato pieno, in un SanFedele che vedeva
deserte pochissime delle sue 350 (circa) poltrone.
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