Ieri penultima
recita alla Scala del Boccanegra targato Barenboim-Domingo.
Quest’anno, a differenza della prima edizione di qualche anno fa, la coppia è
relegata (almeno dal punto di vista dei tempi di programmazione) a secondo cast (?!)
Teatro con il
solito e un po’ deprimente colpo d’occhio dei palchi occupati forse al 50%,
cosa cui andrebbe posto rimedio (a meno che non ci sia un sacco di gente che
butta quattrini in abbonamenti e biglietti che poi non utilizza… mah).
Di questo
Simone si sapeva ovviamente tutto, fin dal 2010, e poco di nuovo è emerso oggi.
Bravo per me Barenboim, che con questo Verdi evidentemente si sente a
suo agio, bravi con lui gli strumentisti e bravissimi i coristi di Casoni.
Fra gli
interpreti Fabio Sartori è quello che
ha convinto di più (per lui l’unico applauso a scena aperta della serata) ma
questo già la dice lunga sulla mediocrità del resto. Anastassov ha una voce adatta a salette per pochi intimi (Barenboim
lo ha inesorabilmente coperto, specie nella scena finale, e forse questo è
l’unico appunto da muovere al Kapellmeister);
per lui gli unici buh alla fine. La Serjan direi senza infamia e senza lode,
una voce certo adatta al personaggio di Amelia-Maria - né soprano drammatico,
né leggero - ma ieri piuttosto opaca e in certi momenti calante. Un filino
meglio Rucinski, voce proprio
baritonale (!) anche se nell’ottava bassa tende a… sparire. Panariello, Albani e Lavarian come da
minimo sindacale (ma a questi ruoli non si chiede di più).
Eccomi quindi
al Topone: che può cercare di
ingrossare la voce quanto vuole, ma resta sempre un… Gabriele Adorno! Nobbuono
davvero, perché a cantare le note giuste sarebbe capace anche… Sartori! E così,
col protagonista cantato dal cantante sbagliato, addio Simone.
Tiezzi non inventa
concetti arditi, si lascia andare solo nelle ultime battute, quando ci mostra
il popolo in abiti… verdiani e poi il solito specchione che cala dall’alto e si
inclina, facendo vedere al pubblico l’orchestra a 45 gradi! (sempre meglio che
a… 90, smile!)
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