XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta grazioli. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta grazioli. Mostra tutti i post

20 aprile, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.20

Il poliedrico Giuseppe Grazioli (attualmente trapiantato nelle… Gallie) dirige il 20° concerto della stagione 23-24 dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Concerto antologico, con 5 brani musicali in qualche modo ispirati dall’Italia (da Napoli in particolare) a musicisti nostri compatrioti, ma anche stranieri.

Pubblico per la verità abbastanza magro… ma non si può sempre fare Mahler o (solo) Ciajkovski!

La prima parte della serata vede una composizione contemporanea (proprio in prima assoluta) incastonata fra due brani ottocenteschi che più distanti non potrebbero esserle (!)

Si inizia infatti con Jules Massenet e la sua Scènes napolitaines, la quinta delle sette Suite per orchestra, composte fra il 1865 e il 1882, che si articola in tre sezioni: ecco qui un’esecuzione (di Michele Mariotti) cui si riferiscono i minutaggi esposti nel seguito:

1. La danse. Allegro, 6/8, MI minore (poi DO maggiore e MI maggiore). È un saltarello scatenato (e pure abbastanza stucchevole e ripetitivo, direi) in forma A-B-A’-B’ più breve introduzione e coda. Dopo l’introduzione sulla dominante SI, ecco la sezione A (4”) in MI minore; segue (1’21”) la sezione B in DO maggiore. Arriva ora (1’51”) la sezione A’, MI minore; e quindi (2’35”) la B’ in MI maggiore. La coda (3’05”) è ancora in MI minore.

2. La procession et l'Improvisateur. La prima sezione (3’20”) è ovviamente in tempo Lento e religioso, 3/4, tonalità SOL maggiore. Sono solo 15 battute, chiuse sulla sensibile FA#. Con un brusco scarto di tonalità (al MIb maggiore) attacca ora la seconda sezione costituita da una breve introduzione (4’45”) di 5 battute in tempo Allegro, 4/4, seguita dall’esposizione del tema principale, che sarà poi sviluppato su tre variazioni. Dapprima (4’56”) ecco l’Andantino quasi Allegretto di 25 battute in tempo di siciliana (6/8). Segue (5’52”) la prima variazione, nel medesimo tempo, ma assai più mossa dagli svolazzi di semicrome dei legni. La seconda variazione (6’49”) è in tempo 12/16, Un po’ ritenuto, e si muove negli archi per ondeggiamenti su un ritmo puntato. Infine (7’53”) ecco la terza variazione, in tempo 6/8, Allegro animato: è l’intera orchestra a ripresentare il tema con grande sfarzo e smaglianti colori.

3. La fête. Allegro, 4/4, DO maggiore. Si apre (8’24”) con rintocchi di campana, sul SI, poi gli archi e ancora i legni preparano adeguatamente - in atmosfera di dominante - il terreno per l’arrivo (8’58”) del brillante tema che si sviluppa con brevi divagazioni a REb e RE maggiore, per poi (12’12”, alla breve, Più mosso poco a poco) chiudere orgiasticamente l’opera.
___
È ora la volta (come nel precedente concerto) di una prima assoluta: si tratta di un’opera commissionata dalla Fondazione al 73enne architetto (!) Alessandro Melchiorre, dal titolo Microliti, che impegna anche due voci: di soprano (Joo Cho) e di basso-baritono (Nicolas Isherwood). 

Il titolo (che si rifà materialmente a piccoli frammenti preistorici di selce) in realtà è quello di una collana poetica autobiografica di Paul Celan (ebreo ukraino-rumeno sfuggito per miracolo alla Shoah) fatta di aforismi e mini-drammi, delle dimensioni dei microliti, appunto. Melchiorre ne ha musicati sette, così titolati:

1. Introduzione. Kammerkonzert-1 (baritono-soprano). In memoria dei genitori morti in campo di concentramento.

2. Marcia funebre. Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Ingeborg Bachmann a Vienna.

3. Concertante-1 (soprano). Incontro con Gisèle Lestrange (sua futura moglie) a Parigi.

4. Interludio-1. Kammerkonzert-2 (baritono-soprano). Incontro (mancato) con Adorno.

5. Interludio-2. Concertante-2 (baritono-soprano). L’amore per le poesie di Mandel’stam; brevi passaggi da Rilke.

6. Marcia funebre. Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Heidegger a Todtnauberg.

7. Kammerkonzert-3 (soprano-baritono). Vita di esule a Parigi; il Maggio francese; la Primavera di Praga.  

Come si può arguire, già il soggetto dell’opera non è dei più riposanti, per così dire; se poi aggiungiamo che il buon Melchiorre - da vecchio discepolo di Darmstadt - non ha fatto proprio nulla per addolcirci la pillola… ehm… ci siamo capiti, insomma. Atmosfere spettrali, canto spesso orientato allo Sprechgesang, insomma un piatto di digestione complicata, come minimo.
Naturalmente - e come è doveroso - il pubblico non ha lesinato applausi ad interpreti ed Autore, salito sul palco a ringraziare tutti.
___
Per ripagarci del… fioretto (so che è una battuta tanto facile quanto irriverente) è seguito subito, come antidoto (!?) il celeberrimo Capriccio italiano di Ciajkovski. (Qui una mia succinta descrizione del brano.) 

Travolgente, manco a dirlo, il successo per Orchestra e Direttore.
___ 
Dopo la pausa, di Renzo Rossellini è stata eseguita la rapsodia Canti del Golfo di Napoli, (qui, da 4’30”impiegata poi per l’omonimo balletto del 1954.  

Vi scorrono melodie popolari partenopee, su tonalità che si muovono dall’introduzione lenta in MI minore al LA minore (4’59”) e da qui a LA maggiore (6’29”) dove si ode la celebre ‘A vucchella, con le irruzioni del flauto. Subentra subito (7’38”) la tarantella, ancora in LA minore, che si sviluppa con un altro brusco passaggio (8’22”) al SOL minore. Lunga transizione su un SI tenuto e poi ecco, in MI maggiore (10’42”), la famosa Ie te vurria vasà… ripresa ancora da MI minore a maggiore (14’44”). Poi (15’21”) un rapido e ardito passaggio a FA maggiore, LAb maggiore e LA maggiore. Si torna drammaticamente (16’52”) a LA minore per l'iniziale tarantella che chiude brillantemente il brano sull’accordo di LA maggiore.
___

Ha chiuso la serata la Suite romantica (1907) di Franco Alfano. Qui la recente registrazione di Grazioli proprio con laVerdi.

La Suite, che evoca sensazioni ed esperienze di due innamorati in giro per l’Italia, da Venezia a Napoli attraversando l’Appennino, è strutturata in 4 sezioni:

1. Notte adriatica. Struttura tripartita: gli estremi lenti (intimità degli innamorati a Venezia) e la sezione centrale (il carnevale) assai mossa. Scrittura che sfiora l’atonalità (vagamente richiama la Verklärte Nacht di Schönberg).

2. Echi dell’Appennino: intermezzo bucolico fra greggi e pastori. Introduzione lenta, con il corno inglese (cornamusa) in primo piano. Poi poco a poco l’atmosfera si anima e una danza in tempo ternario si fa largo, fino a sfociare in puro parossismo, a piena orchestra. Un breve passaggio in 6/8 conduce al tempo di 3/4 della sezione conclusiva, una specie di lungo sguardo su prati e vallate. Torna alla fine l’intimità dei due innamorati.   

3. Al chiostro abbandonato: parentesi d’amore in luogo sconsacrato, ma pur sempre… sacro. Introduzione lenta, primi passi in quel luogo spettrale. Poi la musica si agita poco a poco, come ad evocare gli antichi fasti del luogo, le solenni cerimonie di cui era testimone… fino all’inesorabile declino e alla rovinosa caduta. Agli amanti non resta che allontanarsi mestamente.

4. Natale campanoil viaggio dei due innamorati si conclude a Napoli, entrando direttamente nel clima festoso, che solo temporaneamente lascia spazio a qualche delicata nenia natalizia. Ma presto è la festa partenopea a riprendere il sopravvento, fino all’esilarante chiusura.
___
Beh, questi brani di Rossellini e Alfano non saranno forse delle vette della musica strumentale italiana, ma lo specialista Grazioli ce le ha rese almeno godibili. Quindi, alla fine trionfo per tutti. E tutto sommato, una proposta intelligente e da apprezzare!

25 marzo, 2023

laVerdi 22-23. 21

Dedicato interamente a Vienna il 21° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio il sempre brillante Giuseppe Grazioli. Vienna sinfonica, come recita il titolo del concerto, che coniuga tre celeberrime Ouverture di operette con due brani (uno ancora leggero e l’altro più… impegnato) di un viennese che trovò fortuna in America.

Nel programma della stagione la locandina prevedeva una sequenza di brani che aveva la prima parte occupata da quelli, diciamo… leggeri e la seconda dalla Sinfonia di Korngold. Grazioli ha poi deciso di invertire quest’ordine, e non senza qualche buona ragione.

Si è quindi aperta la serata con il pezzo forte (in tutti i sensi) del programma, la Sinfonia in Fa diesis maggiore, che Eric Wolfgang Korngold compose (1947-52) dopo essersi di fatto congedato dal mondo della musica-da-film, che aveva contraddistinto la sua lunga e fortunata parentesi hollywoodiana. 

E forse proprio la sua compromissione con la musica (considerata dai puristi) poco seria fece sì che la critica accogliesse la Sinfonia con indifferenza, se non con disprezzo. Solo molti anni più tardi Rudolf Kempe la riportò alla luce, ma anche successivamente è rimasta parecchio in ombra, giudicata un tardivo e anacronistico ritorno alla Vienna di inizio secolo, o al massimo un maldestro tentativo di seguire strade già ampiamente battute nel ‘900 da altri (Shostakovich, ad esempio).
Recentemente il famoso Alex Ross (a beneficio dei benpensanti: è felicemente sposato da 17 anni con un maschio, il regista Jonathan Lisecki) dopo averla ascoltata a NY dai Berliner di Kirill Petrenkone ha dato invece - in un fulminante articolo comparso sul NewYorker - un giudizio lusinghiero. Sostenendo che i numerosi richiami (almeno sette, sparsi nei movimenti della Sinfonia) a musiche da film non solo non sono un segno di passatismo o di banalizzazione della musica seria, ma anzi mostrano come possano arricchirne i contenuti di spunti innovativi, pur mantenendosi prudentemente all’interno del sistema tonale.    

La Sinfonia – significativamente dedicata da Korngold al Presidente Roosevelt e con lui a quell’America che lo aveva accolto a braccia aperte e fatto… ricco - ha la struttura classica in quattro tempi ed un organico tardoromantico, irrobustito da percussioni moderne, pianoforte e celesta.

Il movimento iniziale è di difficile decifrazione, sul piano formale. Personalmente sono propenso a distinguervi tre macro-sezioni, legate alla presenza-assenza di accidenti in chiave: abbiamo una prima parte (con relativo gruppo tematico) che presenta in chiave i 6 diesis (FA#); seguita da una che non presenta alcun accidente; e poi da un’ultima che alterna i sei diesis al nessun accidente.

Apre in tempo Moderato, ma energico. Il metro muta spesso da 4/4 a 3/4, saltuariamente a 2/4, a testimoniare un procedere quasi ansiogeno. Siamo in FA#, sul cui terreno si muove la prima sezione del movimento, caratterizzata da frequenti schianti (marimba e pianoforte) ad intercalare una frase irregolare del clarinetto, cui subentra poi l’orchestra che risponde creando un’atmosfera di grande concitazione, animata ulteriormente da interventi dei corni.

Spariscono ora i 6 diesis in chiave: un significativo salto di tritono, che sottolinea il passaggio ad una sezione cantabile che si anima poco a poco fino ad un nuovo spettacolare, cinematografico ingresso dei corni, che lasciano poi spazio ad una nuova oasi di relativa serenità, protagonista il flauto.

Subentra una sezione in tempo Allegro, 4/4 con ritmo assai marcato dalle semiminime di quasi tutta l’orchestra (i celli invece percorrono ondeggianti e veloci semicrome) dove spiccano ancora perentori interventi dei corni. Abbiamo ora un progressivo ed eroico crescendo con agitati interventi di archi e fiati, culminante in un passaggio feroce dove tornano ripetuti schianti dell’orchestra.

Improvvisa calma e il clarinetto propone una lunga melodia che conduce al prepotente ritorno dell’atmosfera che aveva aperto il movimento. Atmosfera che si consolida con il ritorno ai 6 diesis in chiave: questa ripresa si carica di vitalità (ancora possenti entrate dei corni) abbandonando ancora i diesis.

Che ritornano per la coda conclusiva, protagonista ancora il clarinetto, in un’atmosfera progressivamente rasserenata, FA# maggiore.

Segue lo Scherzo (in seconda posizione come era diventato d’uso dopo la Nona). Forma abbastanza tradizionale: Scherzo-Trio-Scherzo-Coda. Lo Scherzo (Allegro molto) non ha accidenti in chiave (quindi è vagamente in DO) ed è in tempo pari (12/8): sono le terzine a dargli il caratteristico ritmo ternario; al suo interno c’è una parentesi in MI (3/2) dove spicca un’eroica – e proprio cinematografica – perorazione dei corni, poi ripresa anche dai violini. Il Trio (6/4) è canonicamente più tranquillo, la celesta ne impreziosisce la cullante melodia discendente. Ha una conclusione in LAb, che porta al ritorno dello Scherzo (incluso l’intermezzo dei corni, in MI). Dopo il quale inizia la sezione di coda conclusiva, culminante in un generale, fortissimo accordo di DO maggiore.  

Il lungo Adagio che segue evoca atmosfere lugubri e funeree, forse legate agli anni della guerra, che al tempo della composizione ancora lasciava i suoi strascichi di dolore e pietà. E non a caso in chiave c’è un bemolle: RE minore, è la tonalità del dolore sgorgante dalla nobile melodia che si dipana in orchestra, imperniata su un semplice motivo (discesa di quarta RE-LA e risalita di seconda LA-SI) che la farà da padrone fino alla fine, anche trasposta di grado. Il caldo suono del corno dà inizio allo sviluppo del tema, che poi esplode enfaticamente, quindi percorre un cammino dolente, dove udiamo due lamenti del corno che conducono al progressivo arenarsi della melodia.

Qui inizia un lungo percorso, aperto da ottavino e celesta con liquidi rintocchi, che poi si intensificano per velocità e forza, passando da semiminime a crome, poi sempre più veloci. L’atmosfera si fa incandescente, poi torna dolente, con la ricomparsa del tema principale e momenti di calma alternati ad altri strazianti sfoghi dell’orchestra (corni imploranti e salite all’acuto dei violini) chiusi da due lamenti del corno, ripresi dai violini e dall’ottavino.   

Verso la fine ecco uno squarcio dove il motivo principale si emancipa temporaneamente (passando per LA e SOL) a RE maggiore, prima di esplodere dolorosamente e ripiegarsi ineluttabilmente al minore, sul quale il movimento si chiude. 

Il Finale, come quello di tante sinfonie ottocentesche ispirate ad un programma per-aspera-ad-astra, è in Allegro e in tonalità maggiore, quasi Korngold volesse mettersi alle spalle gli orrori degli anni bui succeduti all’Anschluss (quelli forse evocati nell’Adagio): del resto proprio i 5 anni in cui si protrasse la composizione furono quelli della ripresa generale dopo la WWII, quando tutto il mondo provava a dimenticare il passato e a guardare con ottimismo al futuro.

Il movimento inizia curiosamente in SOL maggiore, per poi proseguire in RE maggiore, ancora in SOL per raggiungere il FA# d’impianto della Sinfonia soltanto per le ultimissime 28 battute!

La prima sezione, dopo una brusca e dissonante introduzione, proprio da musica-da-film, presenta un motivo in SOL maggiore che parrebbe… Shostakovich, pimpante e giocoso; segue poi un rumoroso passaggio con note ribattute, che conduce alla seconda sezione.

Qui siamo in RE maggiore e ascoltiamo inizialmente una melodia più distesa, che però poi si anima, ancora con note ribattute, e sfocia in un ritorno del primo tema, enfatico, nei corni, il che riporta anche la tonalità a SOL maggiore.

Inizia qui un corposo sviluppo, dove i temi delle due sezioni si confrontano e scontrano, fino ad arrivare ad un’oasi di calma, dove il flauto fa scivolare la tonalità di un semitono, da SOL a FA# maggiore. Il primo tema si incarica di portare la Sinfonia alla sua brillante conclusione. 
___ 
Che dire? Propenderei per dar ragione ad Alex Ross: siamo di fronte ad un lavoro tutt’altro che velleitario e retrogrado: qualcosa che non sfigura affatto nei confronti dei Prokofiev o degli Shostakovich, che a quell’epoca difendevano strenuamente, contro gli assalti di Darmstadt, tutto ciò che di buono esisteva del vecchio mondo… E oggi molta musica si schiera con loro.

L’esecuzione (penso sia il primo incontro dell’Orchestra con la Sinfonia) è stata di gran livello e Grazioli ha mostrato di padroneggiare da par suo un oggetto assai ostico per gli esecutori e di non facile digestione per il pubblico, soprattutto per la gran parte di esso che probabilmente era al suo primo incontro con l’opera, come testimoniano gli applausi scrosciati alla conclusione di ciascun movimento, cosa invece inusuale per una Sinfonia di repertorio.

Applausi comunque assolutamente meritati.        
___
Ecco quindi la seconda parte del Concerto, quella evidentemente più accattivante per il pubblico. Aperta ancora da Korngold, del quale viene eseguita Straussiana, in pratica la sua ultima opera (1953), un chiaro omaggio alla grande famiglia che a fine ‘800 aveva portato walzer, polke e mazurke in paradiso. Si tratta di un godibilissimo pot-pourri di motivi che echeggiano - nei tre generi musicali – stilemi ed atmosfere degli Strauss. La presentazione dell’editore Schott ci informa che il brano contiene riferimenti ad opere poco conosciute di Johann Strauss jr, come Fürstin NinettaCagliostro in Wien e Ritter Pasman.
 
Il breve brano (circa 7 minuti) si apre a ritmo di Polka, con gli archi che richiamano la famosa Pizzicato Polka, che i fiati poi arricchiscono di una gaia e saltellante melodia in FA maggiore. Ecco poi il turno della Mazurka, nella dominante DO maggiore, tempo grazioso, che poi si anima provvisoriamente, prima di portarci – tornando a FA maggiore - al Walzer. Che è costituito da due sezioni, la prima più pomposa (dove un attacco ricorda Frühlingstimmen), la seconda più distesa (cantabile). La sola prima sezione viene ripetuta per passare poi direttamente ad una coda sfrenata di 20 battute che chiude brillantemente il brano, accolto co gran calore.
___
Franz von Suppé è il secondo autore della serata, con l’Ouverture da Dichter und Bauer (Poeta e Contadino). Che si apre con una solenne e perentoria fanfara in RE maggiore che chiude la frase sulla dominante LA:
…per poi riprenderla e siglarla in gran pompa. A questo punto si fa silenzio e il violoncello solo canta la sua famosa melodia, vagamente ricordando nientemeno che l’analogo passaggio della rossiniana Ouverture del Tell!


La melodia del violoncello è intercalata e impreziosita da graziosi interventi dei legni; poi, proprio come in Rossini, ecco esplodere l’Allegro strepitoso in Sib maggiore, che si apre con l’anticipazione della ripida discesa del successivo climax. Per ora abbiamo due rumorosi passaggi (in RE e FA minore) in Allegro, che fanno crescere la tensione fino al trionfale climax in Sib:


L’atmosfera si fa più rarefatta e subentra ora una sezione in Allegretto, occupata da una serena melodia di walzer esposta da clarinetti e primi violini:


Melodia che si sviluppa in un controsoggetto in RE maggiore che ricade subito sul Sib. Si torna in Allegro e l’atmosfera ridiventa mossa, con un crescendo orchestrale che culmina nella riproposizione di questa intera sezione, cioè la melodia cantabile dell’Allegretto e il successivo crescendo in Allegro. Il quale ora sfocia però nella riproposizione dell’esuberante tema discendente del climax. Di qui si apre una frenetica coda che porta alla fragorosa conclusione.

Ora gli applausi scrosciano copiosi e rumorosi e Grazioli fa alzare alcuni protagonisti dell’esecuzione, commettendo però un’imperdonabile dimenticanza, ahilui: il violoncello di Mario Shirai Grigolato!
___ 
Tocca poi all’Ouverture di Die lustige Witwe (La vedova allegra) di Franz Lehár. In realtà l’operetta – un successo straordinario, amata e citata anche da Mahlernacque senza un’Ouverture, ma con la semplice Introduzione dell’Atto I. Dopo la replica n°400 il compositore ne raccolse i motivi principali in questo travolgente pot-pourri che viene di norma eseguito solo in concerto.    
___
Chiude in bellezza la serata l’Ouverture dal Pipistrello (Die Fledermaus) di Johann Strauss Jr. Che, a differenza della precedente, ha una struttura sinfonica di prim’ordine, come ho cercato di riassumere in queste note sull’intera opera. 

Inutile dire dello strepitoso successo, ricambiato con il bis della sezione finale.

12 marzo, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 20

Questa settimana laVerdi propone un appuntamento particolare, sia pure nel solco di una tradizione consolidata: un’opera di teatro musicaleLa voix humaine di Francis PoulencSul podio il versatile Giuseppe Grazioli.  

La parte introduttiva del concerto è però affidata alle due Suite dell’Arlésienne di Bizet. Curiosamente i soggetti dei due lavori in programma (di Alphonse Daudet e di Jean Cocteau, rispettivamente) hanno in comune un drammatico epilogo: un suicidio! Entrambi provocati da disillusioni amorose: nella pièce di Daudet il protagonista del gesto è un giovane, che si getta dal tetto della casa; in quella di Cocteau è una signora a strangolarsi con il filo del telefono...

L’Arlésienne. I due estratti dalle musiche di scena per L’Arlésienne furono approntati dall’Autore (prima Suite) e dal solito Ernest Guiraud (seconda Suite) lo stesso che predispose anche i recitativi della Carmen, alla morte prematura dell’Autore.

Oltre alle Suite, esiste anche una ricostruzione-orchestrazione dell’intero corpus delle musiche per il dramma di Daudet, predisposta da Dominique Riffaud, che si può ascoltare in rete ed ha la struttura mostrata in Appendice insieme a quella delle due Suite (evidenziate in rosso e blu). Entrambe le Suite si articolano in 4 numeri, che non rispettano necessariamente la sequenza degli avvenimenti narrati da Daudet: la loro durata complessiva supera di non molto i 30’, circa la metà della durata dell’insieme delle musiche di scena.

Va notato che il terzo numero della seconda Suite (quella di Guiraud) non proviene dall’Arlésienne, bensì dall’opera La jolie fille de Perth. Si noti infine come in entrambe le Suite il triste finale della storia venga accuratamente ignorato, per far posto ai brani più accattivanti e di grande effetto.

E Giuseppe Grazioli ne ha cavato un’interpretazione a dir poco entusiasmante, valorizzando al massimo livello tutti i tesori nascosti nelle due partiture, che davvero meritano di essere eseguite insieme, e non a spizzichi e bocconi come capita spesso di sentire.

Direttore e suonatori hanno quindi ricevuto dal pubblico (sempre pochi-ma-buoni, con i tempi che corrono...) un meritatissimo riconoscimento di applausi e ovazioni.
___
Ecco quindi il piatto forte della serata: La voix humaine di Francis Poulenc, interpretata dalla trentenne Alexandra Marcellier e con l’allestimento semi-scenico di Louise Brun.

Il monodramma di Cocteau è tutto recitato dalla protagonista al telefono (i cui trilli sono emessi dallo xilofono): la donna parla (a parte interferenze di centralinista ed estranei, fra il ridicolo e il grottesco, spiegabili con lo scenario ancora pionieristico di quel tipo di comunicazione) ad un uomo evidentemente a lei legato da passati vincoli d’amore, amore presumibilmente sfumato. Ecco la registrazione del 1959, anno della prima, protagonista Denise Duval (con Georges Prêtre).

Poulenc ha vergato a fronte della partitura alcune note di interpretazione, indirizzate al soprano e al direttore:

1. L’interprete deve essere giovane ed elegante;
2. Lei deciderà (con il direttore) come gestire le innumerevoli corone puntate che costellano la partitura;
3. I passaggi di canto senza accompagnamento devono avere un tempo assai libero, muoversi repentinamente dall’angoscia alla calma e viceversa;
4. L’intera opera dovrà caratterizzarsi per la massima sensualità orchestrale.

Beh, mi sento di dire che tutte le prescrizioni dell’Autore siano state ampiamente rispettate, a cominciare dalla prima! La bella Alexandra da Perpignan, ora accovacciata dietro una semplicissima struttura (una specie di lungo schedario a fisarmonica) e accanto ad uno scatolone pieno di lettere e fogli di spartito musicale, ora in piedi, sempre con in mano la cornetta (e il filo!) è stata protagonista di una prestazione davvero coinvolgente. E Grazioli ha fatto di tutto per realizzare quella sensualità orchestrale evocata da Poulenc.

Successo strepitoso per la Marcellier, per Grazioli, Orchestra e per la Brun.         
___

Appendice: l’Arlésienne e le due Suite.

Acte I 

1. Ouverture (Suite I-1 Prélude)
2. Mélodrame
3. Mélodrame
4. Mélodrame
5. Chœur et Mélodrame
6. Mélodrame et Chœur Final

Acte II 

Premier Tableau
7. Pastorale (Entr'acte et Chœur) (Suite II-1 Pastorale)
8. Mélodrame
9. Mélodrame
10. Mélodrame
11. Chœur - Mélodrame
12. Mélodrame
13. Mélodrame
14. Mélodrame

Deuxième Tableau
15. Entr'acte (Suite II-2 Intermezzo)
16. Final

17. Intermezzo (Suite I-2 Minuetto)

Acte III 

Premiere Tableau
18. Entr’acte, Carillon (Suite I-4 Carillon)
19. Mélodrame (2a parte: Suite I-3 Adagietto)
19. Mélodrame
20. Mélodrame
21. Farandole (Suite II-4 Farandole-b)

Deuxième Tableau
22. Entr'acte
23. Chœur (Suite II-4 Farandole-a)
24. Chœur (Suite II-4 Farandole-c)
25. Mélodrame
26. Mélodrame
27. Final. 

(Suite II-3 Menuetto dall’opera La jolie fille de Perth, N°17 duetto Mab - Duca di Rothsay)

15 dicembre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°11


Per questo ultimo appuntamento pre-natalizio de laVerdi (per la verità il 19 ci sarà Jais con laBarocca per il tradizionale Messiah) si rivede in Auditorium Giuseppe Grazioli, uno che qui è di casa e che ci regala un programma tutto italiano (lui è uno specialista assoluto di questo repertorio). 

Il fil-rouge che lega i 4 brani in programma è la Sicilia, con un percorso ad arco che parte dall’epopea medievale sublimata dal più grande compositore italiano dell’800 per arrivare al ‘900 fra le due guerre, quindi avanzare ancora fino ai tempi del miracolo economico, per poi ripiegare a inizio secolo.

Si parte con Giuseppe Verdi e l’Ouverture da I Vespri Siciliani, un vero capolavoro sinfonico, per compiutezza di forma e sapientissimo uso dei temi conduttori dell’opera. laVerdi l’ha suonata diverse volte negli ultimi anni ed anche ieri non ha mancato di far vibrare le corde del pubblico che ha accolto l’esecuzione con grandissimo calore.
___
Ecco poi Alfredo Casella con la sua Suite Sinfonica Op.41b tratta dalla commedia coreografica La Giara, ispirata a Pirandello, che vide la luce a Parigi nel 1924. Suite della durata di 20 minuti o poco più, che comprende i 2/3 (in termini di tempo) dell’intero lavoro.
___
Questa è la struttura completa della Commedia; la parte riquadrata è quella non inclusa nella Suite:

I - a) Preludio b) Danza siciliana

Preludio
- Andantino dolce, quasi pastorale
- Poco più lento, quasi adagio
- Allegro grottesco ed animato (Zi' Dima passa e scompare)
- Tempo primo

Chiòvu (Chiodo, danza popolare siciliana)
- Allegro vivace (Scena: aia siciliana; entrano i contadini)

Danza generale
- Allegro vivace
- Lontano - Avvicinandosi - Brillante e giocoso
- Sempre più forte, ma senza affrettare - Con tutta la forza - Calmato
- Lontano - Avvicinandosi - Giocoso
- Sempre più brillante e fortissimo - Stringendo

- Vivace (Irrompono tre ragazze spaurite)
- Grave, funebre (La grande giara spaccata; tutti piangono; strazio generale)
- Vivace (Un contadino chiama tre volte Don Lolò)
- Allegro drammatico (Don Lolò appare e scende; scena di furore; finimondo; contadini atterriti)
- Poco a poco stringendo (Entra Nela che riesce a placare le ire del genitore)
- Allegro vivace e grottesco (Entra Zi' Dima; i contadini lo accolgono come a una messa; tutti lo circondano e gli raccontano il fatto; lo conducono davanti alla giara)
- Lento (Zi' Dima esamina la giara; silenzio religioso)
- Dio nuovo animando (Zi' Dima annuncia che riparerà la giara; “Evviva Zi' Dima”)
- Stringendo (Don Lolò si spazientisce e scaccia i paesani; tutti fuggono; Don Lolò esce con Nela)
- Andante moderato (Zi' Dima prepara la riparazione; si fa notte; fora i pezzi col trapano)
- Vivace (Le tre ragazze spiano Zi' Dima)
- Andante moderato (Zi' Dima riprende il lavoro)
- Vivace (Le tre ragazze riappaiono; Zi' Dima non le vede)
- Andante moderato (Zi' Dima riprende ancora il lavoro)
- Allegro animato (Rientrano giocosamente i contadini)
- Stringendo (Zi'  Dima viene introdotto nella giara, poi chiusa con lembo rotto)
- Lento molto e misterioso (La giara sembra nuova; i contadini sono ammirati)
- Pesante ed allegro (I contadini cercano si estrarre Zi' Dima, ma la cosa non va)
- Agitato (Zi' Dima urla; nuovi tentativi dei contadini; nuove urla del vecchio; sforzi eroici)
- Allegro vivacissimo (Arriva Don Lolò stravolto e fa ruzzolare a terra i salvatori; disputa violentissima fra padrone e contadini)
- Alla breve, stringendo (I contadini vogliono spaccare la giara per liberare Zi' Dima; Don Lolò non lo permette: prima Zi' Dima deve pagare il danno; baruffa generale)
- Prestissimo (Don Lolò, dispersi i contadini, risale in casa)

II - a) “La storia della fanciulla rapita dai pirati” b) Danza di Nela c) Entrata dei contadini d) Brindisi dei contadini e) Danza generale f) Finale

- Allegro animato (Un contadino torna, accende la pipa a Zi' Dima e lo tranquillizza)
- Lento, calmissimo (Notte; chiaro di luna; calma; dalla giara escono le volute di fumo della pipa)
- “La storia della fanciulla rapita dai pirati” (Dal fondo della campagna s’innalza un canto popolare) (testo di Alberto Favara, 25 battute musicali in FA# maggiore cantate dal tenore)
- Vivacissimo e leggero (Nela scende dalla casa; danza attorno alla giara; chiama i contadini)
- Allargando (Entrano tutti i contadini festosamente)
- Pesante (Viene portato da bere)
- Allegro deciso (Brindisi dei contadini che acclamano Zi' Dima)

Danza generale
- Allegro rude e selvaggio (I contadini ebbri danzano intorno alla giara)
- Orgiastico e brutale (Don Lolò, destato dal baccano, si affaccia e vede la scena)
- Allegro vivacissimo (Don Lolò scende come toro infuriato; spavento generale)
- In due (Don Lolò abbranca la giara e la fa ruzzolare giù dall’altura; terrore dei contadini che si precipitano in soccorso di Zi' Dima)
- Allegretto molto moderato e rustico (Rientrano i contadini, innalzando in trionfo Zi' Dima liberato)

Finale
- Prestissimo (Don Lolò, disperato, è fuggito; Nela guida la danza generale)
___
Brano pieno di verve, ovviamente monopolizzato (canzone esclusa, che il giovane ucraino - trapiantato qui da noi - Denys Pivnitskyi ci ha esposto da dietro le quinte con bel portamento) da motivi di danza, ora graziosi ma più che altro sfrenati, che non possono non trascinare all’entusiasmo, cosa puntualmente accaduta ieri.
___
Di Nino Rota (uno dei beniamini di Grazioli, che ne ha inciso con laVerdi una montagna di musica) abbiamo ascoltato una parte della splendida Suite di musiche dal Gattopardo di Visconti, del 1963. Liberamente tratta dalla colonna sonora (di cui non segue la sequenza legata alla pellicola) ci propone però i temi principali del film, sapientemente organizzati in una struttura che ne esalta le bellezze.

Titoli di testa (Allegro maestoso)
N.6 - 
Viaggio a Donnafugata (Allegro impetuoso)
N.19 - 
Senza titolo (Sostenuto appassionato)
N.11 - 
Angelica e Tancredi (Andante)
N.7 -
I sogni del Principe (Un poco mosso ma tranquillo e sognante - con ansia - sentito - lo stesso tempo sereno e dolce)
N.3 - 
Partenza di Tancredi (Andante)
N.21 - 
Amore e ambizione (Sostenuto, quasi lento ma inquieto)
N.22 - 
Quasi in porto (Andante)
Finale (Stesso tempo)

Tutto ciò è anche riportato sul programma di sala, ma Grazioli salta direttamente da Angelica&Tancredi al Finale (?!) Anche il pubblico resta un filino perplesso.
___
Ha chiuso la serata Gino Marinuzzi con la sua Suite Siciliana, che si può apprezzare qui proprio in una registrazione di Grazioli con laVerdi. Composta a 27 anni, nel 1909, è chiaramente tributaria del tardoromanticismo d’oltralpe: con una battuta, e parafrasando Strauss - del quale Marinuzzi diverrà sommo ed apprezzato interprete - potremmo re-intitolarla Aus Sizilien!  

Come la Fantasia sinfonica del tedesco, si articola in quattro quadri ispirati ad altrettanti aspetti caratteristici della regione:

1. Leggenda di Natale (Andante triste)
2. La canzone dell’emigrante (Andante sostenuto)
3. Valzer campestre (Un po’ lento)
4. Festa popolare (Allegro vivace) 

Ottima prestazione dei ragazzi, accolta da convinti applausi. Forse per farsi perdonare l’auto-riduzione del Rota, Grazioli e l’Orchestra ci regalano il pezzo forse più siciliano dell’intero repertorio operistico!