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25 marzo, 2023

laVerdi 22-23. 21

Dedicato interamente a Vienna il 21° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio il sempre brillante Giuseppe Grazioli. Vienna sinfonica, come recita il titolo del concerto, che coniuga tre celeberrime Ouverture di operette con due brani (uno ancora leggero e l’altro più… impegnato) di un viennese che trovò fortuna in America.

Nel programma della stagione la locandina prevedeva una sequenza di brani che aveva la prima parte occupata da quelli, diciamo… leggeri e la seconda dalla Sinfonia di Korngold. Grazioli ha poi deciso di invertire quest’ordine, e non senza qualche buona ragione.

Si è quindi aperta la serata con il pezzo forte (in tutti i sensi) del programma, la Sinfonia in Fa diesis maggiore, che Eric Wolfgang Korngold compose (1947-52) dopo essersi di fatto congedato dal mondo della musica-da-film, che aveva contraddistinto la sua lunga e fortunata parentesi hollywoodiana. 

E forse proprio la sua compromissione con la musica (considerata dai puristi) poco seria fece sì che la critica accogliesse la Sinfonia con indifferenza, se non con disprezzo. Solo molti anni più tardi Rudolf Kempe la riportò alla luce, ma anche successivamente è rimasta parecchio in ombra, giudicata un tardivo e anacronistico ritorno alla Vienna di inizio secolo, o al massimo un maldestro tentativo di seguire strade già ampiamente battute nel ‘900 da altri (Shostakovich, ad esempio).
Recentemente il famoso Alex Ross (a beneficio dei benpensanti: è felicemente sposato da 17 anni con un maschio, il regista Jonathan Lisecki) dopo averla ascoltata a NY dai Berliner di Kirill Petrenkone ha dato invece - in un fulminante articolo comparso sul NewYorker - un giudizio lusinghiero. Sostenendo che i numerosi richiami (almeno sette, sparsi nei movimenti della Sinfonia) a musiche da film non solo non sono un segno di passatismo o di banalizzazione della musica seria, ma anzi mostrano come possano arricchirne i contenuti di spunti innovativi, pur mantenendosi prudentemente all’interno del sistema tonale.    

La Sinfonia – significativamente dedicata da Korngold al Presidente Roosevelt e con lui a quell’America che lo aveva accolto a braccia aperte e fatto… ricco - ha la struttura classica in quattro tempi ed un organico tardoromantico, irrobustito da percussioni moderne, pianoforte e celesta.

Il movimento iniziale è di difficile decifrazione, sul piano formale. Personalmente sono propenso a distinguervi tre macro-sezioni, legate alla presenza-assenza di accidenti in chiave: abbiamo una prima parte (con relativo gruppo tematico) che presenta in chiave i 6 diesis (FA#); seguita da una che non presenta alcun accidente; e poi da un’ultima che alterna i sei diesis al nessun accidente.

Apre in tempo Moderato, ma energico. Il metro muta spesso da 4/4 a 3/4, saltuariamente a 2/4, a testimoniare un procedere quasi ansiogeno. Siamo in FA#, sul cui terreno si muove la prima sezione del movimento, caratterizzata da frequenti schianti (marimba e pianoforte) ad intercalare una frase irregolare del clarinetto, cui subentra poi l’orchestra che risponde creando un’atmosfera di grande concitazione, animata ulteriormente da interventi dei corni.

Spariscono ora i 6 diesis in chiave: un significativo salto di tritono, che sottolinea il passaggio ad una sezione cantabile che si anima poco a poco fino ad un nuovo spettacolare, cinematografico ingresso dei corni, che lasciano poi spazio ad una nuova oasi di relativa serenità, protagonista il flauto.

Subentra una sezione in tempo Allegro, 4/4 con ritmo assai marcato dalle semiminime di quasi tutta l’orchestra (i celli invece percorrono ondeggianti e veloci semicrome) dove spiccano ancora perentori interventi dei corni. Abbiamo ora un progressivo ed eroico crescendo con agitati interventi di archi e fiati, culminante in un passaggio feroce dove tornano ripetuti schianti dell’orchestra.

Improvvisa calma e il clarinetto propone una lunga melodia che conduce al prepotente ritorno dell’atmosfera che aveva aperto il movimento. Atmosfera che si consolida con il ritorno ai 6 diesis in chiave: questa ripresa si carica di vitalità (ancora possenti entrate dei corni) abbandonando ancora i diesis.

Che ritornano per la coda conclusiva, protagonista ancora il clarinetto, in un’atmosfera progressivamente rasserenata, FA# maggiore.

Segue lo Scherzo (in seconda posizione come era diventato d’uso dopo la Nona). Forma abbastanza tradizionale: Scherzo-Trio-Scherzo-Coda. Lo Scherzo (Allegro molto) non ha accidenti in chiave (quindi è vagamente in DO) ed è in tempo pari (12/8): sono le terzine a dargli il caratteristico ritmo ternario; al suo interno c’è una parentesi in MI (3/2) dove spicca un’eroica – e proprio cinematografica – perorazione dei corni, poi ripresa anche dai violini. Il Trio (6/4) è canonicamente più tranquillo, la celesta ne impreziosisce la cullante melodia discendente. Ha una conclusione in LAb, che porta al ritorno dello Scherzo (incluso l’intermezzo dei corni, in MI). Dopo il quale inizia la sezione di coda conclusiva, culminante in un generale, fortissimo accordo di DO maggiore.  

Il lungo Adagio che segue evoca atmosfere lugubri e funeree, forse legate agli anni della guerra, che al tempo della composizione ancora lasciava i suoi strascichi di dolore e pietà. E non a caso in chiave c’è un bemolle: RE minore, è la tonalità del dolore sgorgante dalla nobile melodia che si dipana in orchestra, imperniata su un semplice motivo (discesa di quarta RE-LA e risalita di seconda LA-SI) che la farà da padrone fino alla fine, anche trasposta di grado. Il caldo suono del corno dà inizio allo sviluppo del tema, che poi esplode enfaticamente, quindi percorre un cammino dolente, dove udiamo due lamenti del corno che conducono al progressivo arenarsi della melodia.

Qui inizia un lungo percorso, aperto da ottavino e celesta con liquidi rintocchi, che poi si intensificano per velocità e forza, passando da semiminime a crome, poi sempre più veloci. L’atmosfera si fa incandescente, poi torna dolente, con la ricomparsa del tema principale e momenti di calma alternati ad altri strazianti sfoghi dell’orchestra (corni imploranti e salite all’acuto dei violini) chiusi da due lamenti del corno, ripresi dai violini e dall’ottavino.   

Verso la fine ecco uno squarcio dove il motivo principale si emancipa temporaneamente (passando per LA e SOL) a RE maggiore, prima di esplodere dolorosamente e ripiegarsi ineluttabilmente al minore, sul quale il movimento si chiude. 

Il Finale, come quello di tante sinfonie ottocentesche ispirate ad un programma per-aspera-ad-astra, è in Allegro e in tonalità maggiore, quasi Korngold volesse mettersi alle spalle gli orrori degli anni bui succeduti all’Anschluss (quelli forse evocati nell’Adagio): del resto proprio i 5 anni in cui si protrasse la composizione furono quelli della ripresa generale dopo la WWII, quando tutto il mondo provava a dimenticare il passato e a guardare con ottimismo al futuro.

Il movimento inizia curiosamente in SOL maggiore, per poi proseguire in RE maggiore, ancora in SOL per raggiungere il FA# d’impianto della Sinfonia soltanto per le ultimissime 28 battute!

La prima sezione, dopo una brusca e dissonante introduzione, proprio da musica-da-film, presenta un motivo in SOL maggiore che parrebbe… Shostakovich, pimpante e giocoso; segue poi un rumoroso passaggio con note ribattute, che conduce alla seconda sezione.

Qui siamo in RE maggiore e ascoltiamo inizialmente una melodia più distesa, che però poi si anima, ancora con note ribattute, e sfocia in un ritorno del primo tema, enfatico, nei corni, il che riporta anche la tonalità a SOL maggiore.

Inizia qui un corposo sviluppo, dove i temi delle due sezioni si confrontano e scontrano, fino ad arrivare ad un’oasi di calma, dove il flauto fa scivolare la tonalità di un semitono, da SOL a FA# maggiore. Il primo tema si incarica di portare la Sinfonia alla sua brillante conclusione. 
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Che dire? Propenderei per dar ragione ad Alex Ross: siamo di fronte ad un lavoro tutt’altro che velleitario e retrogrado: qualcosa che non sfigura affatto nei confronti dei Prokofiev o degli Shostakovich, che a quell’epoca difendevano strenuamente, contro gli assalti di Darmstadt, tutto ciò che di buono esisteva del vecchio mondo… E oggi molta musica si schiera con loro.

L’esecuzione (penso sia il primo incontro dell’Orchestra con la Sinfonia) è stata di gran livello e Grazioli ha mostrato di padroneggiare da par suo un oggetto assai ostico per gli esecutori e di non facile digestione per il pubblico, soprattutto per la gran parte di esso che probabilmente era al suo primo incontro con l’opera, come testimoniano gli applausi scrosciati alla conclusione di ciascun movimento, cosa invece inusuale per una Sinfonia di repertorio.

Applausi comunque assolutamente meritati.        
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Ecco quindi la seconda parte del Concerto, quella evidentemente più accattivante per il pubblico. Aperta ancora da Korngold, del quale viene eseguita Straussiana, in pratica la sua ultima opera (1953), un chiaro omaggio alla grande famiglia che a fine ‘800 aveva portato walzer, polke e mazurke in paradiso. Si tratta di un godibilissimo pot-pourri di motivi che echeggiano - nei tre generi musicali – stilemi ed atmosfere degli Strauss. La presentazione dell’editore Schott ci informa che il brano contiene riferimenti ad opere poco conosciute di Johann Strauss jr, come Fürstin NinettaCagliostro in Wien e Ritter Pasman.
 
Il breve brano (circa 7 minuti) si apre a ritmo di Polka, con gli archi che richiamano la famosa Pizzicato Polka, che i fiati poi arricchiscono di una gaia e saltellante melodia in FA maggiore. Ecco poi il turno della Mazurka, nella dominante DO maggiore, tempo grazioso, che poi si anima provvisoriamente, prima di portarci – tornando a FA maggiore - al Walzer. Che è costituito da due sezioni, la prima più pomposa (dove un attacco ricorda Frühlingstimmen), la seconda più distesa (cantabile). La sola prima sezione viene ripetuta per passare poi direttamente ad una coda sfrenata di 20 battute che chiude brillantemente il brano, accolto co gran calore.
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Franz von Suppé è il secondo autore della serata, con l’Ouverture da Dichter und Bauer (Poeta e Contadino). Che si apre con una solenne e perentoria fanfara in RE maggiore che chiude la frase sulla dominante LA:
…per poi riprenderla e siglarla in gran pompa. A questo punto si fa silenzio e il violoncello solo canta la sua famosa melodia, vagamente ricordando nientemeno che l’analogo passaggio della rossiniana Ouverture del Tell!


La melodia del violoncello è intercalata e impreziosita da graziosi interventi dei legni; poi, proprio come in Rossini, ecco esplodere l’Allegro strepitoso in Sib maggiore, che si apre con l’anticipazione della ripida discesa del successivo climax. Per ora abbiamo due rumorosi passaggi (in RE e FA minore) in Allegro, che fanno crescere la tensione fino al trionfale climax in Sib:


L’atmosfera si fa più rarefatta e subentra ora una sezione in Allegretto, occupata da una serena melodia di walzer esposta da clarinetti e primi violini:


Melodia che si sviluppa in un controsoggetto in RE maggiore che ricade subito sul Sib. Si torna in Allegro e l’atmosfera ridiventa mossa, con un crescendo orchestrale che culmina nella riproposizione di questa intera sezione, cioè la melodia cantabile dell’Allegretto e il successivo crescendo in Allegro. Il quale ora sfocia però nella riproposizione dell’esuberante tema discendente del climax. Di qui si apre una frenetica coda che porta alla fragorosa conclusione.

Ora gli applausi scrosciano copiosi e rumorosi e Grazioli fa alzare alcuni protagonisti dell’esecuzione, commettendo però un’imperdonabile dimenticanza, ahilui: il violoncello di Mario Shirai Grigolato!
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Tocca poi all’Ouverture di Die lustige Witwe (La vedova allegra) di Franz Lehár. In realtà l’operetta – un successo straordinario, amata e citata anche da Mahlernacque senza un’Ouverture, ma con la semplice Introduzione dell’Atto I. Dopo la replica n°400 il compositore ne raccolse i motivi principali in questo travolgente pot-pourri che viene di norma eseguito solo in concerto.    
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Chiude in bellezza la serata l’Ouverture dal Pipistrello (Die Fledermaus) di Johann Strauss Jr. Che, a differenza della precedente, ha una struttura sinfonica di prim’ordine, come ho cercato di riassumere in queste note sull’intera opera. 

Inutile dire dello strepitoso successo, ricambiato con il bis della sezione finale.

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