Dedicato
interamente a Vienna il 21° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul
podio il sempre brillante Giuseppe Grazioli. Vienna sinfonica,
come recita il titolo del concerto, che coniuga tre celeberrime Ouverture
di operette con due brani (uno ancora leggero e l’altro più… impegnato) di un
viennese che trovò fortuna in America.
Nel programma
della stagione la locandina prevedeva una sequenza di brani che aveva la prima
parte occupata da quelli, diciamo… leggeri e la seconda dalla Sinfonia di
Korngold. Grazioli ha poi deciso di invertire quest’ordine, e non senza qualche
buona ragione.
Si è quindi aperta la serata con il pezzo forte (in tutti i sensi) del programma, la Sinfonia in Fa diesis maggiore, che Eric Wolfgang Korngold compose (1947-52) dopo essersi di fatto congedato dal mondo della musica-da-film, che aveva contraddistinto la sua lunga e fortunata parentesi hollywoodiana.
E forse proprio la sua compromissione con la musica (considerata dai puristi) poco seria fece sì che la critica accogliesse la Sinfonia con indifferenza, se non con disprezzo. Solo molti anni più tardi Rudolf Kempe la riportò alla luce, ma anche successivamente è rimasta parecchio in ombra, giudicata un tardivo e anacronistico ritorno alla Vienna di inizio secolo, o al massimo un maldestro tentativo di seguire strade già ampiamente battute nel ‘900 da altri (Shostakovich, ad esempio).
Recentemente il famoso Alex Ross (a beneficio dei benpensanti: è felicemente sposato da 17 anni con un maschio, il regista Jonathan Lisecki) dopo averla ascoltata a NY dai Berliner di Kirill Petrenko, ne ha dato invece - in un fulminante articolo comparso sul NewYorker - un giudizio lusinghiero. Sostenendo che i numerosi richiami (almeno sette, sparsi nei movimenti della Sinfonia) a musiche da film non solo non sono un segno di passatismo o di banalizzazione della musica seria, ma anzi mostrano come possano arricchirne i contenuti di spunti innovativi, pur mantenendosi prudentemente all’interno del sistema tonale.
La Sinfonia – significativamente dedicata da Korngold al Presidente Roosevelt e con lui a quell’America che lo aveva accolto a braccia aperte e fatto… ricco - ha la struttura classica in quattro tempi ed un organico tardoromantico, irrobustito da percussioni moderne, pianoforte e celesta.
Il movimento iniziale è di difficile decifrazione, sul piano formale. Personalmente sono propenso a distinguervi tre macro-sezioni, legate alla presenza-assenza di accidenti in chiave: abbiamo una prima parte (con relativo gruppo tematico) che presenta in chiave i 6 diesis (FA#); seguita da una che non presenta alcun accidente; e poi da un’ultima che alterna i sei diesis al nessun accidente.
Apre in tempo Moderato, ma energico. Il metro muta spesso da 4/4 a 3/4, saltuariamente a 2/4, a testimoniare un procedere quasi ansiogeno. Siamo in FA#, sul cui terreno si muove la prima sezione del movimento, caratterizzata da frequenti schianti (marimba e pianoforte) ad intercalare una frase irregolare del clarinetto, cui subentra poi l’orchestra che risponde creando un’atmosfera di grande concitazione, animata ulteriormente da interventi dei corni.
Spariscono ora i 6 diesis in chiave: un significativo salto di tritono, che sottolinea il passaggio ad una sezione cantabile che si anima poco a poco fino ad un nuovo spettacolare, cinematografico ingresso dei corni, che lasciano poi spazio ad una nuova oasi di relativa serenità, protagonista il flauto.
Subentra una sezione in tempo Allegro, 4/4 con ritmo assai marcato dalle semiminime di quasi tutta l’orchestra (i celli invece percorrono ondeggianti e veloci semicrome) dove spiccano ancora perentori interventi dei corni. Abbiamo ora un progressivo ed eroico crescendo con agitati interventi di archi e fiati, culminante in un passaggio feroce dove tornano ripetuti schianti dell’orchestra.
Improvvisa calma e il clarinetto propone una lunga melodia che conduce al prepotente ritorno dell’atmosfera che aveva aperto il movimento. Atmosfera che si consolida con il ritorno ai 6 diesis in chiave: questa ripresa si carica di vitalità (ancora possenti entrate dei corni) abbandonando ancora i diesis.
Che ritornano per la coda conclusiva, protagonista ancora il clarinetto, in un’atmosfera progressivamente rasserenata, FA# maggiore.
Segue lo Scherzo (in seconda posizione come era diventato d’uso dopo la Nona). Forma abbastanza tradizionale: Scherzo-Trio-Scherzo-Coda. Lo Scherzo (Allegro molto) non ha accidenti in chiave (quindi è vagamente in DO) ed è in tempo pari (12/8): sono le terzine a dargli il caratteristico ritmo ternario; al suo interno c’è una parentesi in MI (3/2) dove spicca un’eroica – e proprio cinematografica – perorazione dei corni, poi ripresa anche dai violini. Il Trio (6/4) è canonicamente più tranquillo, la celesta ne impreziosisce la cullante melodia discendente. Ha una conclusione in LAb, che porta al ritorno dello Scherzo (incluso l’intermezzo dei corni, in MI). Dopo il quale inizia la sezione di coda conclusiva, culminante in un generale, fortissimo accordo di DO maggiore.
Il lungo Adagio che segue evoca atmosfere lugubri e funeree, forse legate agli anni della guerra, che al tempo della composizione ancora lasciava i suoi strascichi di dolore e pietà. E non a caso in chiave c’è un bemolle: RE minore, è la tonalità del dolore sgorgante dalla nobile melodia che si dipana in orchestra, imperniata su un semplice motivo (discesa di quarta RE-LA e risalita di seconda LA-SI) che la farà da padrone fino alla fine, anche trasposta di grado. Il caldo suono del corno dà inizio allo sviluppo del tema, che poi esplode enfaticamente, quindi percorre un cammino dolente, dove udiamo due lamenti del corno che conducono al progressivo arenarsi della melodia.
Qui inizia un lungo percorso, aperto da ottavino e celesta con liquidi rintocchi, che poi si intensificano per velocità e forza, passando da semiminime a crome, poi sempre più veloci. L’atmosfera si fa incandescente, poi torna dolente, con la ricomparsa del tema principale e momenti di calma alternati ad altri strazianti sfoghi dell’orchestra (corni imploranti e salite all’acuto dei violini) chiusi da due lamenti del corno, ripresi dai violini e dall’ottavino.
Verso la fine ecco uno squarcio dove il motivo principale si emancipa temporaneamente (passando per LA e SOL) a RE maggiore, prima di esplodere dolorosamente e ripiegarsi ineluttabilmente al minore, sul quale il movimento si chiude.
Il Finale, come quello di tante sinfonie ottocentesche ispirate ad un programma per-aspera-ad-astra, è in Allegro e in tonalità maggiore, quasi Korngold volesse mettersi alle spalle gli orrori degli anni bui succeduti all’Anschluss (quelli forse evocati nell’Adagio): del resto proprio i 5 anni in cui si protrasse la composizione furono quelli della ripresa generale dopo la WWII, quando tutto il mondo provava a dimenticare il passato e a guardare con ottimismo al futuro.
Il movimento inizia curiosamente in SOL maggiore, per poi proseguire in RE maggiore, ancora in SOL per raggiungere il FA# d’impianto della Sinfonia soltanto per le ultimissime 28 battute!
La prima sezione, dopo una brusca e dissonante introduzione, proprio da musica-da-film, presenta un motivo in SOL maggiore che parrebbe… Shostakovich, pimpante e giocoso; segue poi un rumoroso passaggio con note ribattute, che conduce alla seconda sezione.
Qui siamo in RE maggiore e ascoltiamo inizialmente una melodia più distesa, che però poi si anima, ancora con note ribattute, e sfocia in un ritorno del primo tema, enfatico, nei corni, il che riporta anche la tonalità a SOL maggiore.
L’esecuzione (penso sia il primo
incontro dell’Orchestra con la Sinfonia) è stata di gran livello e Grazioli ha
mostrato di padroneggiare da par suo un oggetto assai ostico per gli esecutori
e di non facile digestione per il pubblico, soprattutto per la gran parte di
esso che probabilmente era al suo primo incontro con l’opera, come testimoniano
gli applausi scrosciati alla conclusione di ciascun movimento, cosa invece inusuale
per una Sinfonia di repertorio.
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