sarà vero?

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25 ottobre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26 - Tjeknavorian in camera con gli archi.

Per coprire il lungo intervallo fino al verdiano Requiem del 14 novembre, Emmanuel Tjeknavorian ha pensato bene di riunire in camera Auditorium ventuno dei suoi archi (6-5-4-4-2) per proporci un interessante programma che spaziava da ‘700 a ‘900, partendo da Mozart, passando per Grieg ed approdando infine a BrittenAnche il pubblico era… da camera, occupando solo posti di platea, ma il calore lo ha fatto sentire più che mai.

Un programma che, a dispetto della sua traiettoria temporale, resta ancorato alla classicità e ad alcune sue tipiche forme di espressione: principalmente la Serenata e la Suite. Come dimostrano già i titoli delle prime due opere, di Mozart e Grieg; ma come ci rivela anche l’opera di Britten, intitolata Sinfonia, ma con movimenti che esplicitamente citano Bourrée e Sarabande. Nei brani di Grieg e Britten il richiamo alle danze caratteristiche delle Suite barocche si coniuga perfettamente con quello a musiche popolari dei rispettivi Paesi.

L’apertura del concerto era affidata a Mozart e alla sua celeberrima Eine kleine Nachtmusik, Serenata in Sol maggiore K 525.

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Di Edvard Grieg è stata poi eseguita Fra Holbergs tid (Dai tempi di Holberg), Suite in stile antico. Composta inizialmente (1884) per pianoforte, fu poco dopo trascritta (con parecchi arricchimenti) per orchestra d’archi. 

Il personaggio richiamato nel titolo è un letterato norvegese, Ludvig Holberg, vissuto fra il’600 e il ‘700 e diventato abbastanza famoso nei Paesi nordici (dove fu appunto soprannominato Il Molière del Nord) e soprattutto in Danimarca. Grieg si ispira a danze popolari di quel periodo per strutturare la sua Suite in cinque movimenti – sul modello barocco - classicamente ancorati alla stessa tonalità (SOL):

- Preludium  

- Sarabande  
- Gavotte  
- Air  
- Rigaudon  

In Appendice A ho riportato una mia breve sinossi della Suite.
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Ha chiuso la serata Benjamin Britten con la sua Simple Symphony op. 4, del 1933. Già il numero d’opera rivela trattarsi di composizione giovanile (del Britten ventenne) ma qui c’è di più, se lo stesso Autore ha rivelato (indicandone puntualmente i riferimenti in partitura) di aver rielaborato in essa composizioni risalenti a fino ad una decina d’anni prima! Insomma, anche Britten fu un po’ come Mozart, un bambino-prodigio…

La Sinfonia presenta la classica struttura in quattro movimenti (Allegro iniziale, Scherzo, Adagio e Finale vivace). Curiosamente, ciascun movimento riprende due temi da precedenti lavori: un brano di Suite o di Sonata e una Canzone:

- Boisterous Bourrée (Bourrée chiassosa, esuberante)

- Playful Pizzicato (Pizzicato giocoso)
- Sentimental Saraband (Sarabanda romantica)
- Frolicsome Finale (Finale gaio)

L’Appendice B reca una mia breve sinossi della Sinfonia.

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Il Tjek, che per l’occasione sfoggiava un’elegante giacca da passeggio color bordeaux, ha schierato - guidate da Dellingshausen - le… stringhe (!) in disposizione classica: violini alla sua sinistra, viole al centro, bassi a destra dietro (tutti costoro rigorosamente in piedi) e celli (i privilegiati, con seggiola) alla sua destra. Lui per l’occasione si è tenuto le partiture sotto gli occhi, il che può anche essere un segno di... rispetto per queste musiche che non sono per nulla da snobbare.

Così ha interpretato Mozart con la leggerezza e la leziosità dovuta alla più famosa delle serenate, e chiudendo gli occhi ci si poteva immaginare una festa in qualche giardino viennese, in una tiepida serata d’estate, ecco. 

Di Grieg ha saputo valorizzare la vena melodica, capace di evocare altrettanto efficacemente antiche danze popolari e solitari paesaggi nordici. 

Del giovane (e giovanissimo) Britten abbiamo potuto apprezzare la raffinatezza e l’originalità dei temi popolareschi ma anche l’austerità dei riferimenti al classicismo.

Ovazioni e applausi ritmati hanno salutato tutti i protagonisti di questa bella serata di musica!
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Appendice A. Holberg Suite

Preludium - Allegro vivace, 4/4, SOL maggiore. Dopo otto battute introduttive in SOL che impongono un ritmo marziale forsennato, curiosamente il delicato tema principale viene esposto nella dominante RE, il tutto subito ripetuto:

Poi si precipita al SOL e si avvia uno sviluppo caratterizzato da due parti, la prima più dimessa, nella relativa MI minore, la seconda nuovamente gagliarda (una derivazione del tema, in SOL) fino al ritorno del tema principale nella tonalità di impianto, sulla quale il Preludio si chiude con cinque battute di pomposa cadenza.  

Sarabande - Andante espressivo, 3/4, SOL maggiore. Le prime otto battute, ripetute, presentano il languido tema principale, sfociante sulla dominante RE:

La seconda parte del movimento (Un poco mosso, integralmente ripetuta) si apre mestamente sulla relativa della dominante (SI minore) che poi (Tempo I) trascolora a SOL maggiore, dove gli archi bassi conducono alla gloriosa ripresa del tema principale. 

Gavotte – Allegretto, 4/4 alla breve, SOL maggiore / MusettePoco più mosso, DO mggiore. Struttura che anticipa quella (Scherzo-Trio) del sinfonismo ottocentesco. La Gavotta è strutturata su due sezioni: la prima presenta il tema principale, un suo controsoggetto sulla dominante RE e il ritorno al SOL del tema:

La seconda riprende in modo variato il tema principale per chiuderlo enfaticamente. Segue (a mo’ di Trio) la Musette, nella sottodominante DO maggiore, costituita da due sezioni: la prima (di otto battute) che funge da introduzione, e la seconda (con il da-capo) che presenta un nuovo tema, seguita dalle otto battute introduttive:

Si riprende quindi per intero la Gavotta.  

Air - Andante religioso, 3/4, SOL minore. La macro-struttura è definibile come A-B-A. Nella prima sezione viene esposto – in 15 battute, con ripetizione - il dolente tema principale (che ha sfumature nella relativa SIb maggiore) che chiude modulando sulla dominante RE:

La sezione centrale si sposta invece sulla relativa di SOL (SIb maggiore) sulla quale propone sottili variazioni al tema principale:

Che torna, assai irrobustito nel suono e nella tonalità di SOL minore, nella conclusiva sezione, dove si accresce di due battute per chiudere poi con una scala discendente di un’ottava negli archi bassi.

Rigaudon - Allegro con brio, 4/4 alla breve, SOL maggiore. È una danza tipica della Francia (ma esportata anche in Inghilterra, e da lì nei Paesi nordici) anche qui in forma sandwich (A-B-A). La sezione A è a sua volta suddivisa in due parti, entrambe da ripetere: la prima, di 8 battute, suonata da violino e viola solisti, espone il tema principale:

La seconda, di 32 battute, propone una sua variante ampliata e poi sviluppata sulla dominante RE, con quattro battute di cadenza finale di ritorno al SOL. La sezione B (Poco meno mosso) presenta un nuovo tema, più lento e contemplativo, inizialmente in SOL minore (prime 8 battute):

Poi (28 battute, con da-capo) il motivo si sviluppa sulla relativa SIb maggiore e quindi chiude tornando a SOL minore. Si ripete quindi la sezione A senza da-capo.  

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Appendice B. Simple Symphony

Boisterous Bourrée - Allegro ritmico, 4/4 alla breve, RE minore. Quattro pesanti accordi introducono (esposizione) il primo tema (dalla Suite n°1 per pianoforte del 1926) piuttosto mosso, esposto inizialmente dai celli (contrappuntati animatamente in staccato dai secondi violini) e poi dall’intero ensemble:

Secondo i canoni della forma-sonata, segue il secondo tema (da una Canzone del 1923) nella relativa tonalità di FA maggiore:

Tema più elegiaco, esposto dai violini primi, che ha però qualche rassomiglianza con il primo (attacco dominante-tonica ascendente invece che discendente) e poi porta ad una sezione di sviluppo basata principalmente sul primo tema, prima della ripresa (Animato) che inizia non con il primo, ma con il secondo tema portato vigorosamente in RE maggiore per poi calare e sfumare (Tempo I) verso il tema iniziale, che chiude con isolati rintocchi, in RE minore, il movimento.     

Playful PizzicatoPresto possibile pizzicato sempre, 6/8, FA maggiore. Non può non ricordarci lo Scherzo della Quarta di Ciajkovski… Il tema viene però da un altro Scherzo, quello composto dall’undicenne Britten nel 1924!

Sono 61 battute in 6/8 dove tutti gli strumenti sono occupati ad inseguirsi suonando terzine (o spezzoni) di crome: una specie di ostinato che si muove su diverse tonalità: dal FA maggiore iniziale a RE minore; quindi a DO maggiore e LA minore; poi riprende il FA maggiore / RE minore, seguiti da SIb maggiore prima della chiusura sul FA. Attacca ora il Trio (Molto pesante) mutuato da una Canzone (sempre del 1924) dal ritmo puntato:

Che è composta da due sezioni di DO maggiore che ne chiudono in sandwich una in SOL. Si ripete quindi lo Scherzo, con breve coda conclusiva basata sul tema del Trio ma in FA maggiore.

Sentimental Saraband Poco lento e pesante, 3/2, SOL minore. La macro-struttura è del tipo A-B-A’-B’. La sezione A presenta ripetutamente un tema dolente e lamentoso, preso dalla Suite n°3 per pianoforte del 1925, con relativo controsoggetto:

La B invece (Poco più tranquillo) si rifà ad un Walzer per pianoforte del 1923, un tema assai languido e decadente, nella relativa SIb maggiore, anch’esso ripreso con varianti:

Torna (Più agitato) il primo tema, qui persino protervo, per poi lasciare la chiusura (Tranquillo) al tema di Walzer, che chiude il movimento nella pace e serenità del SIb.

Frolicsome FinalePrestissimo con fuoco, 4/4 alla breve, RE minore. Dopo otto battute introduttive, con scalate (due salti di quarta e due di quinta) al LA e al RE, attacca il primo tema, preso dalla Sonata n°9 del 1926:

Tema nervoso che sale per un’ottava dalla dominante, appoggiandosi sulla quarta aumentata per poi scendere alla sopratonica; viene ripetuto un’ottava più alta, per tornare alla tonica RE. Segue un controsoggetto che si adagia sul MI, dal quale, come mediante di DO, si diparte il secondo tema, più disteso e cantabile, preso da una Canzone del 1925:

Ora uno sviluppo ci porta alla ripresa dei due temi, il secondo di quali si trasferisce sulla tonalità principale della Sinfonia, che si avvia alla coda (Stringendo e poi Più presto) per chiudere con tre secchi accordi di RE maggiore. 


13 aprile, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.19

Il 40enne Sesto Quatrini (tuttora operante nella decentrata Lituania) ha fatto il suo esordio sul podio dell’Auditorium per dirigervi il settimanale concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Il cui titolo (Serate romane) fa ovviamente riferimento diretto al terzo brano in programma (i Pini di Respighi) ma indirettamente anche al primo, il Concerto in LA minore di Edvard Grieg, il compositore nordico che con l’Italia e Roma in particolare ebbe più di un contatto, compreso l’incontro con Ibsen che portò poi alla composizione delle musiche per il Peer Gynt.

Per interpretare il Concerto torna qui, dopo due anni e mezzo, un pianista 35enne - purtroppo per lui cieco dalla nascita - che allora avevamo avuto modo di apprezzare nell’Op. 35 di Shostakovich: Nobuyuki Tsujii. [Paradossalmente l’assenza del primo senso può addirittura aiutare l’esecutore ad approfondire la conoscenza di ciò che deve suonare, essendo egli costretto a decifrare con il tatto (sul supporto Braille) ogni singolo particolare della scrittura, anche quelli che – a prima vista – potrebbero essere trascurati.

Il lavoro di Grieg, oltre alla tonalità, si rifà scopertamente a quello di Schumann, già a partire dall’esordio, uno schianto orchestrale seguito da una poderosa serie discendente di accordi del pianoforte:

Poi naturalmente Grieg ci mette molto di suo, compresa qualche atmosfera dei suoi fiordi. Un’opera interessante, rimasta (praticamente) unica del genere nel catalogo del compositore norvegeseche mise in cantiere un secondo concerto, mai però portato a termine.

Nobuyuki (eccolo qui nel 2018 a Liverpool con Vasily Petrenko, da 23’20”) ha sciorinato una prestazione a dir poco strepitosa, tanto che il pubblico non ne voleva sapere di lasciarlo andare, costringendolo, si può dire, a regalarci non uno, ma ben tre bis! (con Grieg, Kapustin e ancora Grieg).
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Dopo l’intervallo ecco una prima assoluta: si tratta di Maggese, composizione commissionata dalla Fondazione milanese e dalla Toscanini di Parma all’ex-assessore alla cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno. Ispirata alla vecchia consuetudine contadina di dare respiro alla terra, fra una coltivazione e l’altra, in modo da permetterle di rigenerarsi invece che inaridirsi.

Ci si può vedere un implicito riferimento ai problemi ecologici che assillano oggi il nostro bistrattato Pianeta. O, più in generale, alla necessità di prenderci qualche pausa per combattere (come recitava un vecchio spot pubblicitario) il logorio della vita moderna!

In realtà per il compositore si è trattato della ripresa dell’attività creativa dopo ben 8 anni trascorsi a Palazzo Marino ad occuparsi di ogni aspetto della cultura della città.

Come spiega l’Autore sul programma di sala, il brano origina da una semplice cellula - un seme, di fatto - dalla quale poi si sviluppa l’intero corpo del brano quadripartito, quante sono le arature del maggese (ogni 45 giorni da marzo ad agosto). Un’alternanza di movimenti animato-lento, in cui si susseguono (come nelle 4 stagioni?): agitarsi di forze cupe e minacciose seguite da oasi di calma; soffocate grida lontane e scrosci sonori che finalmente si placano; temporali e calma di vento.

Un’opera tutto sommato godibile, con molto diatonismo, il che non guasta, diciamolo francamente. E così deve evidentemente aver pensato anche il pubblico, a giudicare dalla calorosa accoglienza all’esecuzione e all’Autore salito sul palco a ringraziare Orchestra e Direttore.  
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Ha chiuso in bellezza la serata Pini di Roma, secondo poema sinfonico della cosiddetta Trilogia romana di Ottorino Respighi. (Qui alcune mie note riassuntive dell’intero trittico.)

Orchestra come sempre impeccabile e meritato successo per tutti, a cominciare dal Direttore, che ha mostrato grande autorevolezza e sobrietà di gesto.

26 febbraio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 18

Il 55enne Andrey Boreyko torna sul podio dell’Auditorium (dopo l’esordio in streaming di circa un anno fa) per proporci un programma russo-norvegese, di musiche non proprio di quotidiano ascolto.

La prima opera in programma per la verità non è precisamente una primizia per l’orchestra, che l’ha già eseguita parecchie volte in passato, anche in forza dell’antica consuetudine con il compianto Rudolf Barshai, che è l’autore di questa Sinfonia da Camera, trascrizione di un famoso e controverso quartetto di Shostakovich (delle cui caratteristiche e della cui trascrizione scrissi qualcosa 8 anni orsono).

A proposito di Russia, siamo tornati in piena guerra fredda (e pure calda) e leggo che all’orso Gergiev viene posto un ultimatum: o condanni Putin, oppure con noi hai chiuso, per la Dama di Ciajkovski e per sempre. Beh, per coerenza allora dovremmo, prima che Gergiev, bandire dai nostri teatri e sale da concerto proprio l'invasore Ciajkovski, che nella Piccola Russia (leggi=Ukraina) passava le estati (c/o i ricchissimi latifondi della russa vonMeck) a comporre le sue opere (inclusa appunto la Seconda Sinfonia, Piccola Russia).  

Ieri sera invece si è fatto ciò che ha un senso fare in queste circostanze: una testimonianza. Già qualcosa si era intuito all’accordatura dell’orchestra: la presenza dei fiati (che in Shostakovich mancano). Poi si è capito il perchè: mentre sui due schermi ai lati del palco comparivano le bandiere ucraina e italiana, il russo Boreyko è salito sul podio, dopo aver fatto alzare in piedi il pubblico, per dirigere l’inno dell’Ukraina!

E il destino ha voluto che ad aprire il concerto fosse proprio quello Shostakovich che in fondo impersona tutte le contraddizioni di un uomo di cultura e di arte alle prese con un regime oppressivo. 

Boreyko ha fatto suonare l’Orchestra proprio come fosse un Quartetto, mettendo in risalto tutta la sofferenza, il dubbio, l’impotenza di un artista evocati dalle note del grande Dmitri. 
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La parte norvegese del programma ha la paternità di Edvard Grieg. Del quale chiunque saprebbe citare il Peer Gynt (no, veramente solo Il Mattino) e poi il Concerto per pianoforte. Pochi (o nessuno) sanno invece di una sua Sinfonia in Do minore, in programma qui in Auditorium. Un po’ anche per colpa sua: avendola composta a soli 20 anni, ne fu insoddisfatto fin quasi a vergognarsene, anche se non ne diede alle fiamme la partitura, limitandosi ad apporvi una scritta che ne proibiva l’esecuzione. Così più di un secolo più tardi, nel 1980, la sinfonia ha potuto essere portata nelle sale da concerto.

Non che l’autocritica di Grieg non avesse fondamento: trattasi effettivamente di un lavoro piuttosto acerbo - anche se contiene spunti interessanti - e piuttosto rivolto al passato che non al futuro. La forma è quella classica, addirittura pre-beethoveniana (pensiamo alla posizione dello Scherzo) con un primo movimento in canonica forma-sonata, poi un Adagio, quindi l’Allegro energico dell’Intermezzo (uno Scherzo innovativo solo nella denominazione) e un Finale che al massimo si avvicina a Schumann.

Possiamo schematicamente tracciarne le linee principali ascoltando il venerabile Neeme Järvi dirigerla con i Göteborgs Symfoniker.
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Ecco il primo movimento, nella più ortodossa e scolastica applicazione della forma-sonata. Dopo una gagliarda Introduzione di 10 battute in Allegro molto, attacca (19”) l’Esposizione, con il primo tema, di carattere maschio e determinato. Un ponte modulante porta (1’25”) all’ingresso del secondo tema, tradizionalmente femminile ed elegiaco, nella relativa del DO minore di impianto, MIb maggiore. Una languida melodia cadenzante (2’22”) ci porta alla chiusura dell’esposizione. Che viene ripetuta pari-pari da 3’15” (primo tema) e ripropone (4’20”) il secondo e poi (5’17”) la sezione cadenzante. Lo Sviluppo inizia a 6’02” e classicamente ripropone i due temi messi in rapporto ora dialettico, ora cooperativo. La Ricapitolazione parte a 8’38” con il primo tema in DO minore e procede (9’47”) con il secondo, adeguatosi come da sacri canoni alla tonalità del primo (DO, ma ovviamente mantenendo il modo maggiore). La sezione cadenzante (10’46”) chiude la Ripresa e introduce una Coda (11’35”) sfociante a sua volta (11’49”) in una stretta che chiude il movimento sul DO minore, con enfasi e fracasso quanto basta.

Il secondo movimento (Adagio espressivo) scende sul circolo delle quinte dai tre bemolli del DO minore (=MIb maggiore) ai quattro del LAb maggiore. È in pratica monotematico, con il motivo - esposto subito (12’31”) dai primi violini imitati dai fagotti - che poi innerva l’intero movimento, ritornando ogni volta o in tonalità diverse o in diverse sezioni dell’orchestra. Dopo una sua riesposizione (13’31”) in LAb si arriva (14’18”) ad un’ardita modulazione a FA maggiore per dar luogo ad un breve intermezzo, seguito dal ritorno del tema (15’09”) ripreso ora nella dominante in MIb dai celli. Ancora una transizione con un breve crescendo e poi (17’12”) torna il tema ripreso in LAb dal flauto; poi (18’04”) sono i primi violini ad esporlo largamente per l’ultima volta, prima di una cadenza che chiude languidamente il movimento.

Ecco poi l’Intermezzo (in effetti è lo Scherzo di classica memoria, Allegro energico). Siamo tornati a... casa, al DO minore di impianto della Sinfonia. Ecco la prima sezione (19’42”) dall’incedere piuttosto pesante, subito ripetuta. La seconda (20’16) inizia con meno impeto, poi torna a riproporre motivo e portamento della prima. A 21’07” ecco ciò che si può chiamare Trio, in DO maggiore, la cui prima sezione viene ripetuta. La seconda (22’10”) prepara pian piano un crescendo che porta (22’31”) alla ripresa dello Scherzo (DO minore); dopo aver sviluppato le sue potenzialità, essa cede il posto (23’37”) ad una severa coda che chiude il movimento in modo secco e sbrigativo.

Chiude la Sinfonia il Finale (Allegro molto vivace) che, nel più prevedibile degli scenari (per aspera ad astra, dall’Inferno al Paradiso, dalla polvere agli altari, dalla morte alla resurrezione, dalle tenebre alla luce e... si aggiunga qualunque altro percorso ascensionale) risuona nel limpido e solare DO maggiore. Come il primo, anche questo è in (un’assai più libera) forma-sonata. 24’10” Sono i primi violini ad esporre il primo tema spigliato, il cui incipit è una semplice cellula di 5 note. Tema presto reiterato e sviluppato fino a 24’52”, dove subentra un secondo motivo, meno mosso, con andamento ascensionale, nella relativa LA minore, poi modulante al SOL maggiore. A 25’16” ecco un motivo in flauti e poi violini, in SI minore che sfocia in un ponte che chiude l’esposizione, introducendo (25’56”) il complesso sviluppo. Vi ritroviamo soprattutto il primo tema, sottoposto a diverse variazioni che portano sorprendentemente (27’30”) ad un corale in LAb maggiore, poi FA maggiore, che conduce alla ripresa (28’45”). Dopo il primo tema in DO, ecco (29’26”) il secondo, ora in RE minore. A 30’24” ecco una particolare coda, col secondo tema, in FA minore che introduce il progressivo ritorno a DO maggiore per la finale perorazione.
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Beh, va riconosciuta a questo giovane Grieg molta buona volontà ed anche un certo equilibrio accompagnato dalla rinuncia a trovare facili effetti o retorica a buon mercato. Si racconta che la decisione di proibire l’esecuzione della sua Sinfonia fosse maturata in Grieg dopo l’ascolto della Prima del quasi coetaneo Johan Svendsen: mah, forse il nostro si lasciò troppo suggestionare dalla sovrabbondanza di quel lavoro, che (almeno alle mie orecchie) pare assai più velleitario di quello di Grieg (e mi sembra che la storia abbia poi fatto... giustizia).

Ascoltata poi dal vivo, la Sinfonia acquisisce ancor più spessore e qualità. Boreyko l'ha diretta con gesto sobrio, essenziale, ma fermo ed efficace. E l’Orchestra, pur al primo incontro con quest’opera, ha mostrato di averla perfettamente introiettata, restituendocela in tutta la sua pur acerba freschezza.

27 settembre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°2

Il quasi-47enne lusitano Nuno Côrte-Real fa il suo esordio con laVerdi dirigendo un programma piuttosto variegato, i cui tre pezzi sono labilmente collegati dall’evocare terre lontane (magari non per noi, ma per... Ibsen, Gauguin e Dvořák): Africa, Tahiti e America. Le date del concerto sono state anticipate rispetto allo standard poichè l’Orchestra parte ora per una tournée proprio in Portogallo, dove Côrte-Real ne terrà a battesimo l’esordio.

Sulla genesi delle musiche composte da Edvard Grieg per il Peer Gynt mi sono già dilungato all’interno di questo commento ad un’esecuzione di Bignamini di tre anni giusti-giusti orsono, quindi non aggiungo altro. Dirò invece dell’esecuzione di ieri, che mi è parsa rivelare (ma lo confermerà il brano successivo) la natura romantica del Direttore, che ha proposto questa pagina con grande leggerezza, ma senza quelle sdolcinature che troppo spesso ne caratterizzano l’esecuzione. Il pubblico, tutt’altro che oceanico a dir il vero, ha mostrato di apprezzare, stabilendo subito un rapporto di simpatia con questo portoghese dall’atteggiamento schivo e quasi timido, che dirige con gesto poco appariscente ma preciso ed efficace.
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E queste qualità sono emerse poi nel secondo brano in programma, che è - nientemeno - una prima assoluta! Si tratta di una sua composizione intitolata Noa-Noa e battezzata dall’Autore come Sinfonia (in cinque movimenti). È in realtà la versione orchestrata e assai ampliata (Op.62) di una breve composizione di musica elettroacustica del 1995, Noa-Noa, homenagem a Gauguin (Op.3) con la quale Côrte-Real vinse nel 2000 il Concorso Musica Viva a Lisbona. Ecco come l’Autore in persona ci presenta questo lavoro:

La Sinfonia Noa-Noa (‘profumo’, ndr) è stata ispirata dal libro omonimo di Paul Gauguin, scritto dal pittore dopo il suo primo soggiorno a Tahiti. È interessante notare come questa composizione (suddivisa in cinque movimenti, ciascuno dei quali ha lo stesso titolo dei quadri dipinti da Gauguin nelle isole del Pacifico) si riveli selvaggia e dirompente - proprio come è stata l’esperienza del pittore parigino - rispetto agli stili e alle convenzioni esistenti; la durezza, l’aridità e le dissonanze tipiche della musica contemporanea sono in essa totalmente estranee.

Un’attenzione particolare va riservata all’ultimo movimento intitolato Matamoe, che in tahitiano significa ‘Morte’, ma che nella visione di Gauguin ha un significato diverso: quello della morte della società borghese che non lo ha capito e la risurrezione in un nuovo, puro e genuino paradiso terrestre, libero da interessi e criminalità.

E queste note pubblicate sul programma di sala sono state integrate da Côrte-Real subito prima dell’esecuzione, con un breve intervento dove il Direttore ha spiegato il suo rapporto con la musica (e qui è emerso il suo carattere romantico) con la quale il compositore cerca di simboleggiare la sua visione del mondo, precisamente come fece Gauguin con le sue tele tahitiane. All’ascoltatore è riservato il compito di... decifrare la visione del rapsodo! O semplicemente di abbandonarsi ai suoi suoni.

1 D’où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous?


Atmosfera sognante, esotica, un tappeto sonoro (à la Debussy...) da cui emergono via via richiami ora cupi, ora sereni; un cammino che parte dal REb iniziale e si chiude sul SI conclusivo: risposte alle tre fatidiche domande?

2 Contes Barbares


Paesaggio crudo, aspro e minaccioso, sordi richiami del trombone sui colpi secchi delle percussioni; atmosfera da tregenda.

3 Idylle à Tahiti


Romanza per archi: un breve, classico intermezzo languido (SOL e DO maggiore!)

4 Le cheval blanc


Le percussioni sembrano effettivamente ritmare uno scalpitìo... contrappuntando il corno inglese che canta una mesta melopea, chiusa da una cadenza DO-SI.

5 Matamoe


Un insistente martellamento di tamburi lascia poco spazio al dispiegarsi di frasi musicali di senso compiuto, poi chiude bruscamente sulla cadenza RE-SI dell’orchestra. Evidentemente, la resurrezione deve ancora aspettare! 
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Accoglienza non meno che trionfale quella che il pubblico ha riservato a quest’opera, richiamando più e più volte sulla scena il musicista lusitano, che ha a sua volta ringraziato l’Orchestra, quasi schermendosi per un successo così pieno. Beh, abbiamo avuto un’altra piaceevole dimostrazione della preveggenza di Lenny Bernstein, che nel pieno della temperie serial-dodecafonica di 60 anni fa pronosticava un futuro per la musica... tonale!
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Chiude il concerto l’inflazionata Sinfonia dal nuovo mondo, che l’Orchestra nel corso dei 25 anni della sua storia aveva già messo in programma per ben 14 volte (l’ultima quasi 3 anni orsono). E Côrte-Real si affida a questa pluri-decennale esperienza per garantirsi il prevedibile successo. Cito un nome solo per glorificare tutti i ragazzi: il corno inglese di Paola Scotti.

18 settembre, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 51


È un programma tutto nordico (EXPO a parte) quello con cui Jader Bignamini ha aperto la sessione autunnale della stagione 2015: si tratta di lavori collocati in un arco di tempo di circa 50 anni, da 3/4 dell‘800 fino a 1/4 del ‘900.

In apertura, per la serie dedicata alla Fiera, Nicola Campogrande presenta il Brasile: che a noi – stando a lui – farebbe una strana impressione, perché non vi troviamo tracce di samba o di bossanova. Ecco finalmente spiegato perché a me fa una stana impressione l’Inno di Mameli: neanche la più piccola reminiscenza di funiculìfuniculà!
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La parte seria (smile!) del concerto è aperta da Andrey Baranov, che ci delizia con il celebre Concerto per violino di Jean Sibelius. Del quale si è sempre – come qui – eseguita la seconda, definitiva versione del 1905. Ma ovviamente ne esisteva una prima (1902-4) malamente accolta dal pubblico perchè peggio ancora suonata dal solista: versione che l’Autore aveva immediatamente ritirato e severamente proibito di eseguire, pur non distruggendone l’originale. Soltanto 25 anni orsono gli eredi hanno deciso di consentirne una sola esecuzione e registrazione, protagonista Leonidas Kavakos con la Lahty Symphony diretta da Osmo Vanskä. Ascoltandola si può facilmente constatare la maggior complessità, difficoltà ed ampollosità di questa prima versione, che spinse evidentemente Sibelius alla decisione di alleggerirla assai, sia cassando interi passaggi (una quarantina di battute nel solo primo movimento, quasi 10 minuti di musica nel complesso) sia prosciugando di parecchio l’orchestrazione, così da non sommergere il suono del solista sotto quello dell’orchestra.

Preso in mezzo tra tardo-romanticismo e prime avanguardie novecentesche, il buon Jean cercò di uscire dall’angolo con qualche innocente strappo alle regole classiche, che si materializza in specie nell’Allegro moderato, dove la forma-sonata viene alquanto strapazzata, sia nella struttura che nella scelta delle tonalità. Ma siamo, appunto, ad innocenti scappatelle, nulla di paragonabile a ciò che gli Schönberg a Vienna e i Debussy a Parigi stavano combinando o tramando, col trarre conseguenze radicali dal cromatismo del Tristan. Non parliamo dell’Adagio centrale, che affonda abbondantemente le radici nell’800 (Bruch, Wieniawsky, Lalo, per tacere di Mendelssohn); mentre un barlume di moderato modernismo affiora nell’Allegro conclusivo, con le sue melodie appena-appena impertinenti.

Baranov si conferma interprete di valore, non solo dal punto di vista della tecnica pura (cosa non ha saputo cavar fuori, nel primo bis, dall’ultimo Capriccio paganiniano!) ma anche e soprattutto da quello della sensibilità e della cura dei particolari: emerse, tanto per fare un esempio, dal diverso pathos con cui ha proposto i ritorni del tema principale dell’Allegro moderato.

Così il trionfo è stato enorme e i bis sono diventati due, al tellurico Paganini succedendo il severo Bach della Sarabanda dalla seconda Partita, in RE minore. 
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Il Peer Gynt di Grieg ha avuto una storia abbastanza strana: fu Ibsen in persona a chiedere al musicista (di 15 anni più giovane) di comporre delle musiche di scena per il suo omonimo dramma in versi del 1867, che lo stesso scrittore aveva originariamente escluso dovesse/potesse essere mai rappresentato a teatro. E così la musica di Grieg – che lo impegnò ben al di là delle sue iniziali e ottimistiche previsioni – servì per tenere a battesimo, giovedi 24 febbraio 1876 a Christiania (oggi Oslo) quel lavoro che poi divenne una pietra miliare della drammaturgia europea.

Il poema originale (a sua volta partorito… a rate, fra Roma, Ischia e Sorrento) consta di 5 atti per complessive 38 scene (3-8-4-13-10) ed è un costrutto a prima vista bizzarro, che manda a quel paese Aristotele e le sue unità, e dove il realismo più prosaico si mescola con elementi surreali, fantastici, grotteschi, filosofici e tragici. C’è dentro un po’ di Faust (Ibsen mette in bocca a Peer, storpiato, il famoso Das Ewig-Weibliche ziehet uns hinan!), di Don Quixote, di Rodomonte e persino di… Barone di Münchausen, ecco. Va da sé che l’intendimento di Ibsen fosse (anche) di mettere alla berlina stereotipi, comportamenti, pregiudizi e stupidità del mondo a lui contemporaneo. Ed è indubitabile che il lavoro sia una spregiudicata e corrosiva radiografia dell’individuo e insieme della società ottocentesca, non solo scandinava: tutto il quarto atto ne è una grottesca parodia, che prende di mira il colonialismo, quello spregevole degli schiavisti ma anche quello culturale degli esploratori tedeschi (la Sfinge che parla crucco… che poi è il direttore del manicomio!) Chissà se possiamo anche trovare una morale in tutto ciò, visto che il protagonista, dopo mille avventure, una più fallimentare dell’altra, troverà pace solo immergendo il capo nel… ventre della caritatevole Solveig, madre e sposa!

Quanto a Grieg, la sua colonna sonora (Op.23) come pubblicata da Peters (ma ne esistono diverse varianti, dato che venne rivista nel 1891) contiene 24 numeri (3-7-3-6-5) e comporta anche parti cantate da solisti e dal coro. Grieg estrapolò a distanza di qualche anno le due Suite (op. 46 e 55) eseguite qui in Auditorium, che raggruppano in totale 8 dei 24 numeri, per una durata complessiva di circa 35 minuti, proprio un terzo di quella delle musiche di scena complete. Lo specchietto sottostante presenta in grandissima sintesi i contenuti del dramma di Ibsen e quelli delle tre partiture di Grieg.


Come si noterà, le due suite (soprattutto la prima) presentano sequenze di brani abbastanza avulse da quella delle scene del dramma. E il famoso mattino, che apre la prima suite (e che chiunque fischietta sotto la doccia) evoca non già un’aurora boreale, ma… tropicale!


Con decisione saggia, Bignamini ha separato le due esecuzioni con l’intervallo e con il concerto di Nielsen, scongiurando così il pericolo di… saturazione che una musica pur così piacevole si porta dietro. Impeccabile come sempre l’Orchestra, in tutte le sezioni.
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Fra le due suite di Grieg il flautista Andrea Griminelli ci ha proposto il quasi sconosciuto Concerto di Carl Nielsen, datato 1926. Nielsen fu coetaneo di Sibelius (che però gli sopravviverà di più di 25 anni…) e cercò assai più del finlandese di affrancarsi dal tardo-romanticismo, pur non abbracciando le moderne (a quei tempi) innovazioni provenienti da Vienna e dintorni. Il Concerto eseguito qui ne è testimonianza abbastanza chiara: pur rimanendo sostanzialmente ancorato ai canoni della tonalità, Nielsen si sforza di trovare soluzioni originali sia nella forma – il concerto ha due soli movimenti - che nei timbri orchestrali.

Come dimostra subito la stridente dissonanza che caratterizza l’Introduzione, fra la linea melodica (in RE minore) di legni e archi alti che si appoggia su un protervo MIb di archi bassi, corni e fagotti:


E si noti allo stesso tempo come il MIb e il LA ci sbattano in faccia il diabolico tritono: ecco, non è propriamente un attacco classico!
Seguiamo l’esecuzione del grande Jean-Pierre Rampal, che di Griminelli è stato maestro e mentore.
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L’Allegro moderato, a parte il motivo introduttivo dell’orchestra, si articola su tre principali temi:


La forma è piuttosto libera e i tre temi vengono presentati in sequenza, con sviluppi contestuali; verranno poi citati nella lunga cadenza solistica che precede la coda conclusiva.

6” Introduzione orchestrale; a 17” entra il flauto solista che ripropone il tema introduttivo, variato. Senza soluzione di continuità ecco (33”) l’esposizione dell’impertinente tema (A) in MIb minore, subito riproposto (47”) una quinta sopra (SIb minore) dopo un fugace intervento orchestrale. Altra riproposizione di (A) dal DO# (55”) ed un’altra ancora (1’08”) dal LA.

Dopo un rallentando del solista che chiude sul FA, a 1’26” ecco l’orchestra (violini e legni) proporre, in FA maggiore, il tema (B) assai più elegiaco del precedente: sarà lui a monopolizzare la prossima sezione. Ben presto il flauto (1’35”) si fa carico del tema, portandolo a SIb maggiore, quindi tornando, dopo breve divagazione (2’10”) al FA maggiore di partenza. A 2’17” inizia un dialogo stretto fra solista e oboe, che si scambiano un breve inciso, che a 2’29” è ripreso dal clarinetto: è lui che ora dialoga in modo assai fitto con il flauto, attraverso una serie di rimpalli a base di terzine di semicrome, una specie di cadenza a due, si potrebbe definire.

Si arriva così (3’09”) alla ripresa del tema (B) nei violini, tonalità DO maggiore; tema poi rinforzato pesantemente (3’22”) dall’intervento di corni, fagotti e bassi. A 3’38” ecco un episodio aperto bruscamente dai timpani, protagonista il trombone basso, che aizza il flauto a ripetuti singhiozzi che introducono una transizione veloce verso il ritorno (4’05”) del tema (A) sul LA. Ancora un serrato dialogo flauto-trombone basso che porta (4’17”) il tema (A) all’oboe e ai violini-viole (sul SI) raggiunti ancora pesantemente da corni e trombone basso.

Finchè, improvvisamente (4’27”) ecco fare irruzione il maestoso tema (C) in MI maggiore, in legni e corni; tema poi (4’47”) trasferito al solista che lo sviluppa in modo elegiaco finchè (5’36”) non viene, da oboi e fagotti, richiamato… all’ordine, cioè al tema (A) che il flauto porta gradatamente a spegnersi (6’11”) su un LA. Qui abbiamo una breve cadenza solistica, bruscamente interrotta (6’36”) da ottoni e timpani che conducono ad una transizione orchestrale in cui fa capolino ancora il tema (A) prima che il flauto solista (6’58”) con perentori trilli chieda… la parola: sta per iniziare infatti (7’09”) la lunga e articolata cadenza principale.

La quale è caratterizzata dal fatto che lo strumento solista è sempre accompagnato da (almeno) un altro: inizialmente dal timpano, che fa da sfondo a veloci sestine culminanti nella proposizione (7’40”) del tema (A) dal LA, ribadito subito dopo dal SOL. A 8’04” subentra il tema (B) mentre il timpano tace, lasciando il ruolo di compagnia al clarinetto, che ancora ingaggia con il solista un botta-e-risposta a base di biscrome, e successivamente (8’22”) si alterna con lui nell’esporre il tema (C) contrappuntato da biscrome sincopate. Intervengono alla fine anche il fagotti, prima che il solista (8’43”) porti la cadenza a conclusione.

A 9’02” si passa a SOLb maggiore con corni, fagotti e clarinetti che riespongono, con grande calma e per terze (un po’ à la Brahms) il tema (B). A 9’25” ancora il solista ripropone il tema (C) con una divagazione variata (9’39”) al tema (A) seguito da un’impennata (9’53”) fino al SI sovracuto, da cui discende poi per terzine, fino d adagiarsi sul SOLb, dove (10’17”) i violini ancora ricordano il tema (B), ripreso (10’31”) dal solista che si incarica quindi di chiudere sommessamente, sul SOLb maggiore.

Come si vede, una brano dalla struttura assai libera, che lascia spazio alla fantasia e quasi all’improvvisazione: interessante e gradevole, senza aver pretese di imporsi come capolavoro.

Veniamo ora all’Allegretto, un poco (sic). Dopo una corposa revisione della sezione finale, con la quale Nielsen pose rimedio all’affrettata versione originale della stessa (licenziata solo per non mancare l’appuntamento con la prima esecuzione) la struttura del movimento si presenta come uno spurio rondo: A-B-C-A’-B’-C’-D, dove D in realtà non è un tema autonomo, ma è una vera e propria sezione, basata sul ritorno reiterato del tema (A) ma dove ricompare, variato, nel trombone basso, anche il tema (C) del primo movimento. La tonalità principale è SOL maggiore, ma la chiusa sarà in MI maggiore.


Ecco, a 11’29” i soli archi, cui poco dopo si aggiunge un pedale del corno, introdurre il movimento, con secche semicrome scandite sul primo e terzo ottavo della battuta (2/4). A 11’43” il solista espone lo sbarazzino tema (A) in SOL maggiore, ripreso subito come in parodia dal fagotto, che prosegue il suo dialogo con il flauto. Flauto che poi procede ad una transizione (con intervento del corno) che porta, dopo un breve rallentando (12’21”) al secondo tema (B) nella (fugace) tonalità di SI maggiore.
                                                 
Il tema è ripreso (12’28”) dai violini che innescano una corposa transizione orchestrale, dove il solista si limita a brevi incisi; transizione che chiude con un progressivo rallentando e diminuendo, che conducono ad un bizzarro cambiamento di tempo (12’56): Adagio ma non troppo, sul quale il solista espone il tema (C) assai languido e praticamente atonale, che si muove per lo più su gradi contigui. Il flauto lo sviluppa tornando (13’48”) dopo un inciso del corno, a SOL maggiore, poi procede fino ad esaurirne la spinta, con un ulteriore rallentamento. A 14’55” un poderoso tremolo degli archi, accompagnati in fortissimo dai fiati porta alla riproposizione variata del tema (C) bruscamente contrappuntata da tre interventi in staccato dell’orchestra.

Una cadenza del clarinetto ci riporta (15’30”) in Allegretto, con la riesposizione del tema (A) ancora in SOL maggiore. Questa ricomparsa del tema appare però piuttosto offuscata, scurita, insomma quasi intristita, tanto che la melodia del flauto è costantemente calante come pure l’accompagnamento del violino solo. A 15’59” l’orchestra propone una breve transizione, che porta (16’09”) alla riesposizione (in DO) del tema (B). Mentre gli archi (16’18”) ripropongono i sussulti dell’introduzione, il solista insiste sul SOL acuto, poi (LA-SOL) sembra esplodere in un lamento; quindi un perentorio rullo del timpano ci riporta al tempo Poco Adagio.   

Qui (16’32”) un altro poderoso tremolo dei violini introduce la ripetizione del tema (C) negli archi bassi e viole, subito ripreso dal solista in forma variata e portato praticamente a… morire.

Qui (17’04”) ha inizio la corposa sezione conclusiva del concerto. Siamo ora passati in Tempo di marcia (6/8) e sono i clarinetti, supportati dai fagotti, a proporre, per terze, una variante del tema (A) ancora (per poco) in SOL maggiore. Sì, perché a 17’18” il flauto solista riprende il tema modulando a MI maggiore e ingaggiando quindi un botta-e-risposta con l’orchestra, che (17’45”) propone negli archi un nuovo motivo per terzine, presto ripreso (17’52”) dal solista, quindi ancora dagli archi.

A 18’03” ecco l’entrata del trombone basso, che sosterrà un ruolo da protagonista: dapprima ribadendo il tema (A), poi mentre il solista si libra in continui svolazzi e gli archi ribattono l’incipit del medesimo tema, riproponendo (18’09”) sempre in MI maggiore una forma allargata del tema (C) del primo movimento! Chiusa (18’23”) con un glissando dal pianissimo al fortissimo dopo il quale il flauto, con l’accompagnamento del timpano che ritma il tema (A) si imbarca in una cadenza sulla quale (18’35”) interviene ancora il trombone in glissando.

A 18’49” sono gli archi a riesporre un frammento del tema (A) cui segue una transizione dove orchestra e solista si confrontano; quindi (19’09”) ecco una specie di rincorsa dell’orchestra, che porta (19’18”) all’ultima cadenza solistica (sempre col timpano a tener bordone) finchè si arriva (19’26”) alle sei battute conclusive, rallentando e diminuendo.

Che dire: anche qui nulla di veramente straordinario, ma il prodotto di un sano artigianato musicale.
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Griminelli non ha tradito le attese e la sua ormai consolidata fama internazionale, rendendoci gradevole questo brano che, soprattutto a chi lo ascolta per la prima volta, potrebbe risultare un filino indigesto. Per lui accoglienza calorosissima ricambiata con un bis forse dedicato al suo indimenticabile Maestro.