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26 febbraio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 18

Il 55enne Andrey Boreyko torna sul podio dell’Auditorium (dopo l’esordio in streaming di circa un anno fa) per proporci un programma russo-norvegese, di musiche non proprio di quotidiano ascolto.

La prima opera in programma per la verità non è precisamente una primizia per l’orchestra, che l’ha già eseguita parecchie volte in passato, anche in forza dell’antica consuetudine con il compianto Rudolf Barshai, che è l’autore di questa Sinfonia da Camera, trascrizione di un famoso e controverso quartetto di Shostakovich (delle cui caratteristiche e della cui trascrizione scrissi qualcosa 8 anni orsono).

A proposito di Russia, siamo tornati in piena guerra fredda (e pure calda) e leggo che all’orso Gergiev viene posto un ultimatum: o condanni Putin, oppure con noi hai chiuso, per la Dama di Ciajkovski e per sempre. Beh, per coerenza allora dovremmo, prima che Gergiev, bandire dai nostri teatri e sale da concerto proprio l'invasore Ciajkovski, che nella Piccola Russia (leggi=Ukraina) passava le estati (c/o i ricchissimi latifondi della russa vonMeck) a comporre le sue opere (inclusa appunto la Seconda Sinfonia, Piccola Russia).  

Ieri sera invece si è fatto ciò che ha un senso fare in queste circostanze: una testimonianza. Già qualcosa si era intuito all’accordatura dell’orchestra: la presenza dei fiati (che in Shostakovich mancano). Poi si è capito il perchè: mentre sui due schermi ai lati del palco comparivano le bandiere ucraina e italiana, il russo Boreyko è salito sul podio, dopo aver fatto alzare in piedi il pubblico, per dirigere l’inno dell’Ukraina!

E il destino ha voluto che ad aprire il concerto fosse proprio quello Shostakovich che in fondo impersona tutte le contraddizioni di un uomo di cultura e di arte alle prese con un regime oppressivo. 

Boreyko ha fatto suonare l’Orchestra proprio come fosse un Quartetto, mettendo in risalto tutta la sofferenza, il dubbio, l’impotenza di un artista evocati dalle note del grande Dmitri. 
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La parte norvegese del programma ha la paternità di Edvard Grieg. Del quale chiunque saprebbe citare il Peer Gynt (no, veramente solo Il Mattino) e poi il Concerto per pianoforte. Pochi (o nessuno) sanno invece di una sua Sinfonia in Do minore, in programma qui in Auditorium. Un po’ anche per colpa sua: avendola composta a soli 20 anni, ne fu insoddisfatto fin quasi a vergognarsene, anche se non ne diede alle fiamme la partitura, limitandosi ad apporvi una scritta che ne proibiva l’esecuzione. Così più di un secolo più tardi, nel 1980, la sinfonia ha potuto essere portata nelle sale da concerto.

Non che l’autocritica di Grieg non avesse fondamento: trattasi effettivamente di un lavoro piuttosto acerbo - anche se contiene spunti interessanti - e piuttosto rivolto al passato che non al futuro. La forma è quella classica, addirittura pre-beethoveniana (pensiamo alla posizione dello Scherzo) con un primo movimento in canonica forma-sonata, poi un Adagio, quindi l’Allegro energico dell’Intermezzo (uno Scherzo innovativo solo nella denominazione) e un Finale che al massimo si avvicina a Schumann.

Possiamo schematicamente tracciarne le linee principali ascoltando il venerabile Neeme Järvi dirigerla con i Göteborgs Symfoniker.
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Ecco il primo movimento, nella più ortodossa e scolastica applicazione della forma-sonata. Dopo una gagliarda Introduzione di 10 battute in Allegro molto, attacca (19”) l’Esposizione, con il primo tema, di carattere maschio e determinato. Un ponte modulante porta (1’25”) all’ingresso del secondo tema, tradizionalmente femminile ed elegiaco, nella relativa del DO minore di impianto, MIb maggiore. Una languida melodia cadenzante (2’22”) ci porta alla chiusura dell’esposizione. Che viene ripetuta pari-pari da 3’15” (primo tema) e ripropone (4’20”) il secondo e poi (5’17”) la sezione cadenzante. Lo Sviluppo inizia a 6’02” e classicamente ripropone i due temi messi in rapporto ora dialettico, ora cooperativo. La Ricapitolazione parte a 8’38” con il primo tema in DO minore e procede (9’47”) con il secondo, adeguatosi come da sacri canoni alla tonalità del primo (DO, ma ovviamente mantenendo il modo maggiore). La sezione cadenzante (10’46”) chiude la Ripresa e introduce una Coda (11’35”) sfociante a sua volta (11’49”) in una stretta che chiude il movimento sul DO minore, con enfasi e fracasso quanto basta.

Il secondo movimento (Adagio espressivo) scende sul circolo delle quinte dai tre bemolli del DO minore (=MIb maggiore) ai quattro del LAb maggiore. È in pratica monotematico, con il motivo - esposto subito (12’31”) dai primi violini imitati dai fagotti - che poi innerva l’intero movimento, ritornando ogni volta o in tonalità diverse o in diverse sezioni dell’orchestra. Dopo una sua riesposizione (13’31”) in LAb si arriva (14’18”) ad un’ardita modulazione a FA maggiore per dar luogo ad un breve intermezzo, seguito dal ritorno del tema (15’09”) ripreso ora nella dominante in MIb dai celli. Ancora una transizione con un breve crescendo e poi (17’12”) torna il tema ripreso in LAb dal flauto; poi (18’04”) sono i primi violini ad esporlo largamente per l’ultima volta, prima di una cadenza che chiude languidamente il movimento.

Ecco poi l’Intermezzo (in effetti è lo Scherzo di classica memoria, Allegro energico). Siamo tornati a... casa, al DO minore di impianto della Sinfonia. Ecco la prima sezione (19’42”) dall’incedere piuttosto pesante, subito ripetuta. La seconda (20’16) inizia con meno impeto, poi torna a riproporre motivo e portamento della prima. A 21’07” ecco ciò che si può chiamare Trio, in DO maggiore, la cui prima sezione viene ripetuta. La seconda (22’10”) prepara pian piano un crescendo che porta (22’31”) alla ripresa dello Scherzo (DO minore); dopo aver sviluppato le sue potenzialità, essa cede il posto (23’37”) ad una severa coda che chiude il movimento in modo secco e sbrigativo.

Chiude la Sinfonia il Finale (Allegro molto vivace) che, nel più prevedibile degli scenari (per aspera ad astra, dall’Inferno al Paradiso, dalla polvere agli altari, dalla morte alla resurrezione, dalle tenebre alla luce e... si aggiunga qualunque altro percorso ascensionale) risuona nel limpido e solare DO maggiore. Come il primo, anche questo è in (un’assai più libera) forma-sonata. 24’10” Sono i primi violini ad esporre il primo tema spigliato, il cui incipit è una semplice cellula di 5 note. Tema presto reiterato e sviluppato fino a 24’52”, dove subentra un secondo motivo, meno mosso, con andamento ascensionale, nella relativa LA minore, poi modulante al SOL maggiore. A 25’16” ecco un motivo in flauti e poi violini, in SI minore che sfocia in un ponte che chiude l’esposizione, introducendo (25’56”) il complesso sviluppo. Vi ritroviamo soprattutto il primo tema, sottoposto a diverse variazioni che portano sorprendentemente (27’30”) ad un corale in LAb maggiore, poi FA maggiore, che conduce alla ripresa (28’45”). Dopo il primo tema in DO, ecco (29’26”) il secondo, ora in RE minore. A 30’24” ecco una particolare coda, col secondo tema, in FA minore che introduce il progressivo ritorno a DO maggiore per la finale perorazione.
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Beh, va riconosciuta a questo giovane Grieg molta buona volontà ed anche un certo equilibrio accompagnato dalla rinuncia a trovare facili effetti o retorica a buon mercato. Si racconta che la decisione di proibire l’esecuzione della sua Sinfonia fosse maturata in Grieg dopo l’ascolto della Prima del quasi coetaneo Johan Svendsen: mah, forse il nostro si lasciò troppo suggestionare dalla sovrabbondanza di quel lavoro, che (almeno alle mie orecchie) pare assai più velleitario di quello di Grieg (e mi sembra che la storia abbia poi fatto... giustizia).

Ascoltata poi dal vivo, la Sinfonia acquisisce ancor più spessore e qualità. Boreyko l'ha diretta con gesto sobrio, essenziale, ma fermo ed efficace. E l’Orchestra, pur al primo incontro con quest’opera, ha mostrato di averla perfettamente introiettata, restituendocela in tutta la sua pur acerba freschezza.

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