Interessante accostamento nel programma del 15° concerto della stagione: é Oleg Caetani a proporci questa settimana due autori assai distanti nel tempo, ma accomunati da una visione, si potrebbe dire, religiosa della musica: Ildebrando Pizzetti e Anton Bruckner. Certo la religiosità di Pizzetti nulla ha a che fare con cattedrali barocche e dediche al buon Dio (copyright Bruckner Nona) trattandosi di interiore e pura spiritualità, ma ciò che arriva al nostro orecchio in entrambi i casi è manifestazione di rigore e integrità morale, tradotti in estetica dei suoni.
I Canti della stagione alta (titolo un poco criptico che l’autore si astenne sempre pudicamente dallo spiegare) è un Concerto per pianoforte e orchestra (composto da Pizzetti nel 1930) che solo epidermicamente si rifà ai modelli classici (tre movimenti chiusi da un Rondo): in realtà il pianoforte non è il solista in opposizione (o comunque in dialogo più o meno serrato) con l’orchestra, ma suona in comunione con essa, guidandone quasi costantemente il flusso sonoro.
La forma poi è assai più vicina al Durchkomponieren (melodia infinita...) che non a quelle classiche: il lungo primo movimento - Mosso e fervente, ma largamente spaziato (notare il fervente...) - si muove attorno alla tonalità di RE minore all’inizio per chiudere sul RE maggiore dopo diverse sognanti e languide peregrinazioni. Il secondo - Adagio - richiama in realtà un’atmosfera vicina a quella del primo, di gradevole cantabilità, muovendo dal SI minore, relativa del RE; svariando quindi nella sezione centrale lungo il circolo delle quinte a SOL e DO maggiore, dove udiamo un’improvvisata fanfara di corni, prima del ritorno a SI minore. Il Rondo conclusivo, formalmente assai eterodosso, ci porta finalmente in una serena e allegra atmosfera bucolica, che si muove ancora dal RE maggiore. Una sezione più dimessa prepara il ritorno dell’allegra scampagnata, che si amplia poi in improvvisate divagazioni. Dopo un ritorno del tema godereccio si arriva alla chiusura in un’inopinata, francamente enfatica oltre che maestosa esaltazione (à-la-Sibelius, per dire).
Ma qui dobbiamo aprire una parentesi, diciamo, piccante, che riguarda non già Pizzetti, ma il sommo (mio conterraneo bresà, ci tengo a dirlo) Arturo Benedetti Michelangeli. Il quale, nel 1943, chiese a Pizzetti di scrivergli una cadenza per il Concerto (che in origine non ne prevedeva alcuna) che il pianista contava di includere nel suo repertorio. Pizzetti la compose al volo, inserendola canonicamente nel movimento iniziale prima della ripresa del primo tema, e la inviò a Michelangeli, che ne fu (a detta dell’Autore) entusiasta, ma che poi non ebbe mai occasione di suonarla, non avendo più suonato per la verità nemmeno il concerto. Orbene, forse non tutti sanno che l’Arturo con-baffetti-da-sparviero (copyright Gianfranco D’Angelo) ebbe una burrascosa relazione con Marisa Borini (oggi ultra-novantenne) pianista e attrice nonchè moglie di un magnate (poi andato fallito) dell’industria dei pneumatici e soprattutto madre (con padre... alieno) della futura première-dame Carla Bruni maritata Sarkozy.
Ebbene, nel 1981 la Borini incise il Concerto di Pizzetti includendovi la cadenza dedicata al baffutello amante (prima di lei eseguita solo da Tito Aprea in tempo di guerra) con l’Orchestra radiofonica bavarese: la si può ascoltare qui a partire da 12’57” fino a 17’08” del primo movimento. Come si può udire, è una cadenza lunghissima, che viene regolarmente ignorata: solo Ciccolini la eseguì nel 1987 a Napoli (RAI) e poi in questa registrazione francese da 12’39” a 16’43”. Ignorata anche in questa esecuzione storica del brano, suonato da una delle sue prime interpreti, Lya De Barberis sotto la direzione dell’Autore nel 1955 con la RAI di Torino. E dallo stesso Caetani in questa registrazione con la consorte. Invece il felicemente ritornato in Auditorium Roberto Cominati si è pregiato di proporcela!
Come detto, il Concerto è saldamente
ancorato alla tonalità e alla melodia pura: e Cominati (che già ha interpretato il brano la scorsa estate a
Parma con la Toscanini e che per
sicurezza si è tenuto lo spartito sotto gli... occhiali) ha mostrato di essere
in perfetta sintonia con l’estetica del compositore. Caetani da parte sua ha
tenuto l’orchestra proprio al servizio e al seguito del solista, senza mai
(finale escluso, ovviamente) prevaricarne il ruolo.
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Come quasi tutte le sorelle, anche questa sinfonia fu ripetutamente sottoposta dall’Autore a revisioni e modifiche al punto che ancor oggi non c’è accordo fra musicologi ed editori-critici su una corretta catalogazione delle versioni, due delle quali (1872 e 1877) sono considerate come principali, ma ciascuna di esse presentando al suo interno ulteriori differenziazioni. La più macroscopica novità che presenta la versione 1877 rispetto alla prima del 1872 sta nella sequenza dei movimenti interni (cosa che capiterà poi alla Sesta di Mahler): in origine veniva prima lo Scherzo, che poi fu retrocesso dopo l’Andante.
Chi voglia inoltrarsi nel ginepraio delle versioni e sotto-versioni e varianti delle sotto-versioni può (ad esempio) affidarsi a William Carragan, che è l’ultimo - per ora - estensore di un’edizione critica dell’opera, arrivando dopo gli storici Robert Haas e Leopold Nowak. Oppure consultare questo minuzioso compendio.
Bruckner è ancor oggi spesso considerato
come palloso e velleitario (Brahms ebbe a liquidare la sua musica come ciarpame) e anche questa sinfonia al
primo ascolto lo conferma: di lui in genere si apprezzano spezzoni della Quarta e della Settima, null’altro... Ma a pensarci bene, anche Die Kunst der Fuge di Bach può risultare
ostica, cerebrale e in definitiva noiosa... Ovviamente nessuno è obbligato ad
accettare, men che meno esaltare, ciò che non riesce a digerire.
In questa Sinfonia c’è proprio la plastica dimostrazione del processo costruttivo (delle sue cattedrali) di Bruckner: le innumerevoli pause che si incontrano sono come i momenti di riposo che un costruttore si prende tra uno stadio e il successivo dell’edificazione. Fino a quando può contemplare il prodotto finito e... rendere grazie a Dio per aver avuto la ventura di portarlo a termine.
Caetani (mi) ha sorpreso optando per la versione originale del 1872 (edizione Carragan, presumo) francamente più immatura (e pedantesca, basta pensare ai da-capo del Trio...) della successiva, dove un po’ tutti i movimenti furono ripuliti e migliorati assai.
In ogni caso tanto di cappello a tutti per aver offerto una prova maiuscola, accolta con grandissimo calore da un pubblico non oceanico ma entusiasta.
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