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20 febbraio, 2022

La Scala si trasforma in una bisca (1)

Non è detto che questo non sia il destino del teatro...

Intanto sta arrivando alla Scala un’opera che al Piermarini si presenta in media (parlo del dopoguerra) una volta ogni 15 anni: è la ciajkovskiana Pikovaya Dama (per gli amici: la donna-di-picche) che negli ultimi 62 anni è andata in scena in quattro produzioni: 1960-63-89-04, l’ultima agli Arcimboldi diretta dal venerabile (ora pensionato...) Temirkanov.   

É la penultima opera composta da Ciajkovski, dieci anni dopo Onegin e due prima di Iolanta. Opera che ha un sapore anche italiano, essendo stata composta fra il gennaio e il marzo 1890 a Firenze, dove Ciajkovski aveva fatto tappa nel mezzo del suo nuovo viaggio in Italia.

Il libretto, opera del fratellino Modest, fu derivato dall’omonimo racconto di Pushkin ma, come accade a quasi tutte le esperienze di questo tipo, non senza pesanti - ma anche ineluttabili, come vedremo - manipolazioni.

Partiamo quindi da Pushkin. Il racconto, scritto in campagna, a Bol'shoe Boldino (600Km a est di Mosca) nel 1833, si suddivide in sei Capitoli, più un’Introduzione in versi e un Epilogo (fra parentesi quadre miei commenti).

Introduzione. Dodici versi che preparano l’atmosfera generale del racconto: si gioca a carte, per soldi.

Capitolo I. Pietroburgo. A casa dell’Ufficiale di Cavalleria Narumov si gioca a carte fino all’alba. Chi vince, chi perde e chi, come Hermann (ingegnere del Genio) sta a guardare interessato. Un ufficiale, tale Tomskij, racconta una strana storia di sua nonna, la Contessa, ormai ultra-80enne, che da giovane aveva fatto furore a Parigi, attirando persino le attenzioni di Richelieu. Avendo però perso ingenti somme al gioco e rifiutandosi suo marito di continuare a ripianare i suoi debiti, era ricorsa all’aiuto del Conte di SaintGermain, noto avventuriero, alchimista e stregone, il quale le aveva consentito di recuperare le somme perse suggerendole tre carte magiche da giocare in sequenza, al faraone.  

[Pushkin qui non precisa quale fosse stato il compenso richiesto dal Conte, certo non denaro nè altri beni materiali, cosa esclusa dal medesimo. Il Capitolo V ci darà però una possibile quanto inequivocabile risposta.]

La Contessa, dopo il ritorno a Pietroburgo da Parigi, non aveva mi rivelato il segreto delle tre carte nemmeno ai suoi figli e nipoti, salvo che ad un tale Caplitskij, un giovane che aveva evidentemente attirato le sue simpatie, rimasto sul lastrico a sua volta per le perdite al gioco.

Capitolo II. [Dato che trattasi di un capitolo piuttosto prolisso su aspetti non fondamentali del plot e per di più complicato da un flash-back di non immediata comprensione, preferisco sfrondare gli aspetti secondari e invece rimettere in sequenza temporale gli avvenimenti.]

Dunque: l’indomani della nottata di gioco, il baldo Hermann non aveva fatto altro che rimuginare sulla questione del segreto delle tre carte. Lui, che fino ad allora aveva sempre resistito alla tentazione del gioco, preferendo vivere del suo modesto ma onesto compenso da militare, cominciò a pensare a come avrebbe risolto con una sola seduta di gioco tutti i problemi del suo futuro.

[Partendo da una puntata di 47.000 rubli (la somma ereditata dal padre defunto) e giocando tre mani consecutive puntando tutto ogni volta, si sarebbe trovato alla fine con 47.000 x 8 = 376.000 rubli in tasca!]

E avrebbe potuto vivere di rendita. Ma come fare? Il caso gli diede una mano, facendolo capitare proprio davanti alla residenza della Contessa, ad una finestra della quale scorse una giovin fanciulla (Liza, di fatto la dama di compagnia della Contessa) al tavolo da lavoro. Da quel giorno aveva passato ore fuori dalla casa a fissare quella ragazza e contemporaneamente aveva chiesto al commilitone Tomskij di introdurlo presso la nonna.  

Capitolo III. É occupato all’inizio dalla lunga descrizione degli approcci di Hermann a Liza: biglietti d’amore e richieste di appuntamenti, ai quali la ragazza per qualche giorno non rispose, poi rispose opponendo dinieghi sempre meno convinti, fino a fargli pervenire finalmente una dettagliata descrizione di come introdursi in casa e raggiungerla nella sua camera, una notte in cui la Contessa e lei sarebbero state fuori fino alle due del mattino. Hermann seguì a puntino le indicazioni ma, invece di salire nella cameretta di Liza per attenderne il ritorno, si fermò in quella della Contessa! E quando costei rimase sola e in procinto di coricarsi, le si presentò davanti chiedendole, con giustificazioni e pretesti umanitari (far del bene ad un bravo giovane...) di rivelargli il segreto. Al rifiuto di lei, dapprima le rinfacciò il suo diverso atteggiamento tenuto con tale Caplitskij e poi, spazientito, tirò fuori la pistola (scarica) e ciò bastò a far... secca la povera vecchia.

Capitolo IV. Liza era nella sua stanza, perplessa per non aver trovato il suo amante, del quale aveva conosciuto il nome e anche una fama non proprio raccomandabile dal nipote della Contessa (Tomskij) alla festa da cui era reduce. Proprio in quel momento Hermann entrò nella stanza e rivelò a Liza ciò che era accaduto poco prima. Lei capì in quale tranello lui l’aveva attirata: lui mirava al segreto e non a lei! Gli consentì di allontanarsi da un passaggio secondario: Hermann immaginò come da lì potesse essere uscito - 60 anni prima - anche Caplitskij dopo il proficuo incontro con la Contessa. E ci fa anche sapere come il giovane avesse... ringraziato la Contessa per il favore cartaceo concessogli.

Capitolo V. Ai funerali della Contessa, dopo averne visto la salma composta nella chiesa, Hermann ha un mancamento e stramazza al suolo. Contemporaneamente anche Liza sviene. E qui ecco una rivelazione sensazionale: un vecchio maggiordomo della Contessa rivela ad un inglese lì presente che Hermann è figlio illegittimo della defunta! Hermann, riavutosi, si ubriaca, poi va a casa ed ha una diabolica visione: è la Contessa che gli reca i segni delle tre carte: 3, 7 e Asso! Dice di essere stata obbligata a farlo, poi gli ingiunge di giocarne una sola al giorno, quindi di non giocare mai più e di sposare la sua Liza.

Capitolo VI. Hermann pensa e ripensa a dove sfruttare il suo segreto, vorrebbe persino andare a Parigi, poi il caso lo aiuta: il commilitone Narumov lo introduce presso tale Cekalinskij, un riccone (arricchitosi con il gioco) che ospitava regolarmente una bisca. Hermann gioca da solo, al faraone, i 47.000 rubli dell’eredità del padre; prende una carta e il banco cala le due carte (a destra - pro-banco - un 9 e a sinistra - pro-puntatore - un 3). Hermann scopre la sua carta, un 3, e vince, portandosi a casa 94.000 rubli. La sera successiva, stessa scena: Hermann punta i 94.000 e pesca una carta; Cekalinskij cala a destra un Fante, a sinistra un 7; Hermann scopre la carta: è un 7, ha rivinto e se ne va con 188.000 rubli. La sera successiva prende una carta e vi punta i 188.000; Cekalinskij cala a destra una Donna, a sinistra un Asso: Hermann, senza neppure guardare la sua carta, convinto fideisticamente sia quella indicatagli dalla Contessa, annuncia la vittoria dell’Asso, ma apprende dal risollevato Cekalinskij di avere in mano una Donna, di Picche!

Epilogo. Hermann è impazzito e vive rinchiuso in manicomio: continua a ripetere 3, 7, Asso; 3, 7, Donna... Liza si è felicemente sposata, Tomskij ha avuto una promozione e si è a sua volta accasato.
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Prima di passare al libretto faccio qualche considerazione sul racconto. Cominciando dall’ambientazione temporale della storia. Dal contesto si evince che siamo praticamente contemporanei allo scrittore, diciamo all’inizio del 1800. Ma ecco subito una clamorosa fake (e relativa contraddizione): descrivendo le avventure giovanili (60 anni addietro) della Contessa, già nel primo capitolo Pushkin cita come contemporanei tre personaggi di cui solo due lo possono essere: tale Richelieu e tale Duca d’Orleans (presumibilmente Gastone). Fosse tutto qui, saremmo indiscutibilmente nella prima metà del 1600 (sotto Luigi XIII) quindi non 60, ma 160 anni addietro! In compenso 10 righe più sotto Pushkin cerca di rimettere le cose a posto facendo entrare nello stesso scenario il Conte di SaintGermain, vissuto appunto in pieno ‘700.

C’è poi in Pushkin quell’elemento (che ho messo in bella evidenza nel Capitolo V) assolutamente inquietante e allo stesso tempo poco plausibile. L’aspetto inverosimile riguarda l’età dei due protagonisti (Contessa e Hermann): lei è ormai ben oltre gli 80 (86, dice Hermann) mentre lui è un baldo giovane, diciamo parecchio sotto i 30, e anche a quei tempi la menopausa non dava scampo, nè esistevano ancora gli odierni miracolosi strumenti che consentono a nonne di divenire madri... Del resto, i due soli casi (SaintGermain e poi Caplitskij) che Pushkin ci notifica di tresche extraconiugali della donna potenzialmente sfociate in una (indesiderata?) maternità risalgono a 50-60 anni addietro, il che stride appunto con l’età del giovane del Genio. Infine: com’è possibile che un vecchio maggiordomo sia certo del rapporto di sangue fra Contessa e Hermann, quando invece la diretta interessata, ancora in vita, mostra di esserne all’oscuro? E infatti: lei è fermissima nel non rivelare il segreto al giovane che le sta di fronte, poi gli appare da morta dicendo di rivelarglielo solo perchè obbligata a farlo.

E qui ci colleghiamo all’aspetto inquietante della vicenda: rappresentato dalla possibilità che Hermann sia in realtà una reincarnazione del misterioso, inafferrabile e satanico Conte di Saint-Germain! Lo insinua il suo stesso nome: Hermann=Germain! Potremmo quindi immaginare che il Conte abbia voluto, dall’aldilà, aiutare la sua nuova incarnazione spedendo all’uopo il fantasma della Contessa a svelarle il segreto. La Contessa e non lui stesso, semplicemente perchè più credibile agli occhi di Hermann.

Ma resta tuttora da spiegare la conclusione catastrofica della vicenda. Perchè Hermann pesca dal mazzo una Donna, invece dell’Asso magicamente previsto e promesso? Difficile incolparne il giovane, che si è limitato disciplinatamente ad eseguire gli ordini ricevuti.

Una vendetta della Contessa contro Hermann? Forse che la sequenza corretta delle carte era 3-7-9 (9=Donna) cabalisticamente più consistente di quella che ha l’Asso in terza posizione? Ma se anche così fosse, Hermann avrebbe comunque perso, chè la Donna venne calata prima dell’Asso, quindi pro-banco... E poi: perchè la Contessa avrebbe dovuto vendicarsi di Hermann se gli aveva contemporaneamente affidato l’umile Liza? Meno plausibile ancora una vendetta dell’anima di SaintGermain...

Se consideriamo i casi di impiego dei numeri segreti, scopriamo che sono (cabalisticamente) tre: 1. La Contessa a Parigi: vince e torna alla vita normale, morendo ricca; 2. Caplitskij: vince ma poi finisce i suoi giorni in miseria; 3. Hermann: perde, il denaro e poi anche il cervello! Insomma, un continuo peggioramento di prestazioni del magico gingillo... Forse un messaggio moraleggiante di Pushkin?
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Passiamo ora al libretto di Modest Ciajkovski. Liquidando subito il problema dell’ambientazione temporale: che è, direi ovviamente, il primo ‘800 e, per quanto riguarda i trascorsi parigini della Contessa, il ’700 inoltrato. Viene quindi escluso il riferimento a Richelieu e inserito nel testo un nuovo Duca d’Orléans (presumibilmente Luigi) insieme a riferimenti a personaggi come Madame de Pompadour e un Conte di Condè (presumibilmente Luigi Enrico di Borbone).

Molto diversa rispetto al racconto è l’impaginazione della vicenda, che segue assai poco quella dell’originale: qui i due fratelli Ciajkovski aggiungono scene corali e di popolo e una scena d’amore del tutto assenti in Pushkin, e anche un intermezzo di teatro-nel teatro (caratterizzato da musica accattivante, quanto discutibile drammaturgicamente) con tratti di grand-opéra. Insomma, da un dramma costruiscono un melodramma in piena regola (come del resto aveva richiesto, per non dire ordinato, il patron dei Teatri Imperiali, Ivan Vsevolozhky, di fatto commissionando l’opera).

La figura di Hermann è da questo punto di vista paradigmatica. La sostanza non cambia di certo: una volta venuto a conoscenza della storia delle tre carte segrete, il giovane cresciuto con sani principii diventa vittima non tanto del vizio, quanto dell’ossessione delle tre carte, un mezzo da usare una sola volta nella vita e... a fin di bene (basta ricordare gli argomenti che usa per convincere la Contessa). La differenza fra Pushkin e Ciajkovski è l’iter del rapporto fra Hermann e Liza: nell’opera c’è bisogno, appunto, della componente amorosa ed allora ecco che subito ci viene presentato un giovane follemente e sinceramente innamorato della ragazza (che nel libretto è nipote della Contessa, quindi di nobile famiglia, non sua dama di compagnia) ben prima di venire a conoscenza della storia delle carte. E tuttavia (qui torna l’aspetto inquietante della vicenda) il giovane è terrorizzato - prima di conoscerne la storia - dalla vista della Contessa. Conosciuta poi la quale, si infila in un infernale meccanismo di cause-effetti, o di mezzi-fini: vede nelle tre carte la possibilità di arricchirsi e quindi di meritare il matrimonio con la nobile Liza, ma l’ossessione dell’obiettivo da raggiungere gli fa mettere la giovane in secondo piano, fino a perderne la stima (e spingerla addirittura al suicidio); tornerà verso di lei quando sarà troppo tardi, e con un pugnale conficcato nel petto!  

E sempre da melodramma sono proprio: la tragica fine della ragazza portata alla disperazione e al suicidio (laddove in Pushkin Liza dimentica abbastanza in fretta il povero Hermann per accasarsi dignitosamente); e l’aria strappalacrime che il tenore morente canta in conclusione dell’opera.

La figura della Contessa perde certi tratti un poco caricaturali del personaggio di Pushkin, per assumere quelli più drammatici di una donna che vive di ricordi di una gioventù ormai irrimediabilmente passata (e con qualche... scheletro nell’armadio). Come già detto (a proposito di Hermann) il libretto introduce l’aspetto inquietante relativo ai rapporti pregressi (in questa o... in un’altra vita) fra i due. Notiamo poi un‘altra differenza rispetto al racconto, riguardante i trascorsi parigini della donna: lo scrittore non fa cenno della contropartita concessa dalla Contessa a SaintGermain in cambio del segreto delle tre carte (salvo sorprenderci con la clamorosa rivelazione del maggiordomo). Nel libretto, mancando quest’ultima, veniamo a sapere quasi subito (dal racconto di Tomskij, che qui non risulta essere nipote della Contessa) del rendez-vous che siglò il patto fra i due. In più Ciajkovski cambia la storia del secondo amante della Contessa (in Pushkin è Čaplitskij) che qui non viene identificato (vedremo tra poco perchè) e inventa la visita del fantasma che avverte la Contessa della sua fine, allorquando un terzo amante verrà da lei per estorcerle il segreto.       

Diverso trattamento hanno nel libretto anche altri personaggi del racconto: Čaplitskij non è più colui che fu beneficiato dalla Contessa, per poi morire in miseria, ma uno dei compagni dell’allegra combriccola di gaudenti che si ritrova sempre per giocare. Per questo Hermann non accenna alla sua passata tresca con la Contessa, al momento del drammatico incontro con essa.    

Pure a Cekalinskij vengono cambiati i connotati: anche lui è uno degli amiconi, e non il riccone che ormai gestisce una bisca in piena regola. Perderà le prime due mani con Hermann, poi abbandonerà il gioco prima della mano decisiva.

Mano che avrà come protagonista un personaggio nuovo, il Principe Eletskij, melodrammaticamente necessario a comporre il classico triangolo tenore-soprano-baritono: lui è ufficialmente fidanzato con Liza, ma si accorge che lei ha altri... interessi; la sua dirittura morale lo spinge a comprendere la ragazza, ma anche a vendicarsi del rivale in amore. Così sfida Hermann nella mano conclusiva a faraone diventando con ciò lo strumento cui il destino affida il compito di fare giustizia.

Altro personaggio nuovo è Pauline, compagna di Liza, che la affianca nella scena del duetto ed è destinataria di una romanza. Meno importante è Maša, cameriera di Liza, come pure la parte del Maggiordomo. La Governante per lo meno è destinataria di un arioso...

Per il resto, Surin e Narumov fanno da riempitivo, come nel racconto, mentre del tutto nuovi sono i tre personaggi (non gli interpreti) della scena con Dafnis, Chloe e Pluto, tipico intermezzo da grand-opéra, inserito in barba a Pushkin, che si limitava a raccontare scampoli della festa tenutasi la notte della morte della Contessa.

Infine, non poteva in un’opera di questa portata mancare il Coro (al completo, incluse le voci bianche) subito in scena fin dall’inizio.

Tra poco un’esplorazione dell’opera.
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(continua)

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