Su LaRepubblica compare un provocatorio articolo di
Alessandro Baricco, sul tema del pubblico finanziamento per le istituzioni culturali.
Per sintetizzare, il nostro simpatico osservatore dei costumi la pensa così: i soldi pubblici - visto che sono sempre meno - vanno spesi nella scuola (e nella TV, come sussidiario educativo) in modo da attirare nel mondo della cultura e dell’arte i giovani, fin dalla più tenera età; lasciando poi ai privati di confezionare - secondo logiche di mercato - l’offerta culturale per gli adulti; i quali, essendo stati per tempo formati da scuola e TV, sentiranno il naturale bisogno di spettacoli, teatro, opere, balletti, concerti, mettendo con ciò a disposizione degli operatori le risorse economiche bastevoli alla produzione di quelli stessi spettacoli.
E nell’ultimo paragrafo dell’articolo si auspica la chiusura dell’asilo infantile rappresentato dal mondo incartapecorito della cultura odierna, per far spazio alla libera competizione fra tutte le migliaia di persone che fanno cultura con passione e capacità...
Quindi - deduco io - che l’establishment attuale se ne vada pure in malora: per selezione naturale sopravviveranno, fra tutti gli operatori, quelli che più sapranno adattarsi alle nuove condizioni.
Accattivante prospettiva, immaginata da uno che pontifica che il
futuro è finito...
Qualche osservazione - più soft della media dei commenti pubblicati dal giornale... - a margine dello scritto di Baricco.
Lui individua tre ragioni che hanno spinto le pubbliche istituzioni ad elargire quattrini per la cultura:
1. “allargare il privilegio della crescita culturale, rendendo accessibili i luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità”. Secondo Baricco questa motivazione è oggi svuotata dall’irruzione sul mercato di strumenti di “acculturamento di massa” (internet in primis) e in particolare - cita Baricco - in tre campi: libri, musica leggera e audiovisivi. Guarda caso - lo ammette candidamente - NON nei campi dell’opera lirica, della musica classica e del teatro, dove si concentra la spesa pubblica per la cultura! Ma lui trova subito un preciso nesso causa-effetto per spiegare la situazione: dove c’è il mercato, c’è vita e vitalità, dove c’è l’assistenza pubblica, c’è stasi, stagnazione e crisi.
Cioè: il mercato snobberebbe la lirica, i concerti e il teatro perchè lì c’è il monopolio delle pubbliche istituzioni? Beh, come barzelletta non c’è male! Basterà leggere il bilancio del Metropolitan per accorgersi che la sua sopravvivenza viene garantita sì dai privati (circa il 50% dei ricavi, pari alla quota di sussidio pubblico per LaScala) ma del tutto fuori dalle logiche di mercato: è puro mecenatismo di istituzioni private (anzichè pubbliche) che hanno come unico tornaconto una defalcazione dell’imponibile fiscale delle loro attività di business; ma niente profitti, niente ROI.
2. “difendere dall'inerzia del mercato alcuni gesti, o repertori, che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto, e che tuttavia ci sembravano irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà.” Anche qui Baricco mette in dubbio che l’obiettivo sia ancora da perseguire, o quanto meno non accredita le istituzioni artistiche della capacità di farlo. Testualmente: “Mi resta la certezza che l'accanimento terapeutico su spettacoli agonizzanti, e ancor di più la posizione monopolistica in cui il denaro pubblico si mette per difenderli, abbiano creato guasti imprevisti di cui bisognerebbe ormai prendere atto.”
Ecco, di nuovo l’abbaglio: la posizione monopolistica del denaro pubblico. Domanda: Baricco ha letto i bilanci delle fondazioni? Sa che il finanziamento pubblico raggiunge al massimo il 50% dei costi delle fondazioni, che per gran parte si reggono su elargizioni private? E ancora: c’è qualche legge che impedisce ai privati di offrire autonomamente cultura, imponendo il monopolio delle pubbliche istituzioni? Sorry, qui l’analisi mi pare faccia acqua da molte parti.
3. “la necessità che hanno le democrazie di motivare i cittadini ad assumersi la responsabilità della democrazia: il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi, e di riferimenti culturali forti.” Qui Baricco diventa impietoso e quasi offensivo: secondo lui tutto l’armamentario “culturale” che ingoia tanti soldi pubblici non è stato in grado di ergersi a diga contro la degenerazione anticulturale portata - in massima parte - da Berlusconi! Quindi, motivo in più per riformarlo alla radice, se non abbatterlo del tutto.
Primo: già la motivazione in sè è un po’ traballante, visto che della cultura hanno fatto un pilastro centrale del consenso anche tutte le più sanguinose dittature, ed anche le dittature soft di oggi (vero, Chavez?) Secondo, e di conseguenza, si dovrebbe concludere che la cultura sia una preoccupazione - genuina o interessata - di tutti e sotto tutti i cieli politici e ideologici. Terzo, che c. c’entra Berlusconi e il suo spadroneggiare? Dovremmo dire, caso mai, che per evitare il fenomeno, si sarebbe dovuto spendere in cultura di più, e non di meno! E che non risolveremo il problema buttando via anche quel poco che ci resta.
Passiamo adesso ai rimedi. Qui - miracolosamente - Baricco torna a raziocinare, se pur solo in parte.
Cosa propone?
1. “Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. Perché mai lasciamo scappare mandrie intere dal recinto, senza battere ciglio, per poi dannarci a inseguire i fuggitivi, uno ad uno, tempo dopo, a colpi di teatri, musei, festival, fiere e eventi, dissanguandoci in un lavoro assurdo? Che senso ha salvare l'Opera e produrre studenti che ne sanno più di chimica che di Verdi?”
Giusto e sbagliato insieme. Giustissima la considerazione relativa al fare di più nella e per la scuola (e per la TV educativa): serve appunto a non far scappare i vitellini dal recinto. Ma sbagliata l’idea dello spostamento dei fondi: perchè così facendo tratterremo i vitellini nel recinto, ma non avremo più il foraggio per alimentarli quando diventeranno buoi!
Scrive ancora Baricco: “Lo dico in un altro modo: smettetela di pensare che sia un obbiettivo del denaro pubblico produrre un'offerta di spettacoli, eventi, festival: non lo è più. Il mercato sarebbe oggi abbastanza maturo e dinamico da fare tranquillamente da solo.”
Ecco, questa è proprio una stupidaggine, come ho ricordato sopra (leggere i bilanci, please, di qualunque ente o fondazione, italiana o straniera fa lo stesso).
2. “Lasciare che negli enormi spazi aperti creati da questa sorta di ritirata strategica si vadano a piazzare i privati... Lo dico in modo brutale: abituiamoci a dare i nostri soldi a qualcuno che li userà per produrre cultura e profitti. Basta con l'ipocrisia delle associazioni o delle fondazioni, che non possono produrre utili...”
Qui non posso che ripetermi: dove sta scritto che a un privato è impedito di offrire spettacoli teatrali o musicali o lirici? Se è vero che il privato può spendere meglio ciò che investe, facendo profitti e quindi pagando meglio le maestranze... perchè tutto ciò non è già avvenuto? E perchè non sta ancora avvenendo, nel momento in cui lo Stato taglia in modo selvaggio i fondi?
Conclude Baricco: “Il mondo della cultura e dello spettacolo, nel nostro Paese, è tenuto in piedi ogni giorno da migliaia di persone, a tutti i livelli, che fanno quel lavoro con passione e capacità: diamogli la possibilità di lavorare in un campo aperto, sintonizzato coi consumi reali, alleggerito dalle pastoie politiche, e rivitalizzato da un vero confronto col mercato”.
Ancora una volta: c’è da abrogare qualche legge, o da promulgarne di nuove, per rendere possibile tutto ciò? Per intanto di sicuro c’è che si sta togliendo la flebo di Stato dal braccio dell'ammalato. E non si vedono all’orizzonte imprenditori ansiosi di metterci la loro flebo privata.
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