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07 febbraio, 2012

Salonen fa cippirimerlo alla Scala


Stando a quanto riporta il suo sito personale, Salonen ha diretto un concerto a Parigi il 27 gennaio, e riprenderà l'attività il 24 febbraio, a Essen. In pratica, salta i quattro concerti scaligeri: questo della stagione della Filarmonica e i tre del prossimo fine-settimana, della stagione del Teatro. La Scala ha annunciato la defezione per i tre concerti dell'11-12-13 il giorno 23 gennaio con e-mail inviata ai possessori di biglietto; la Filarmonica (per il concerto del 6) ha fatto altrettanto il 25 gennaio. Ma già dal 21 la notizia era di dominio pubblico. Dal che si deve dedurre che, mentre ancora stava tenendo concerti a Parigi e confermava quelli successivi in Germania, Salonen ha cancellato quelli milanesi di inizio febbraio. Nulla di tutto ciò compare sul sito del maestro, né vi si trovano notizie di malattie, indisposizioni o altre cause del default. La vicenda assomiglia vagamente a quella di cui fu protagonista Abbado un paio d'anni fa (lui almeno aveva esibito un certificato medico, smile!) e quindi, applicando il metodo induttivo di quella vecchia volpe di Andreotti… evidentemente c'è del marcio nei rapporti fra il maestro e il teatro. Il che fa perdere al pubblico italiano le prestazioni di un direttore (e compositore, datosi che c'era il suo concerto per violino nell'originario programma di ieri) di quelli che oggi vanno per la maggiore. Ora, Salonen sarà pure un ragazzino (53enne!) un po' viziato… ma possibile che tutti i contrattempi capitino proprio qui da noi?

Meno male che è stato recuperato in fretta e furia Daniel Harding per rattoppare il buco, peraltro con un programma modificato (niente Musorgski, niente… Salonen) con l'inserimento del Primo concerto di Brahms, eseguito al pianoforte da Lars Vogt, che avevamo ascoltato in Auditorium lo scorso settembre, in occasione del primo concerto della stagione de laVerdi (allora in un apprezzato Imperatore). Questo Brahms non è certamente di quelli che ti strappano le budella né ti eccitano qualche corda dell'io profondo… e Vogt si guarda bene dal metterci qualcosa di suo per smuovere le acque. Insomma: una prestazione dignitosa, la sua e quella dell'orchestra (acciaccature indesiderate del corno a parte, ma nella norma, smile!) che va valutata anche tenendo conto dello stato di relativa emergenza indotto dalla defezione finnica.

È per fortuna rimasto in programma Le sacre, già diretto qui da Harding tempo addietro (col balletto). Opera potremmo dire di repertorio per la Filarmonica, che vi si è esibita lodevolmente un paio d'anni fa anche con Daniele Gatti. Harding mi è parso frenare certe intemperanze della partitura, allentando un pochino i tempi e smussandone gli spigoli più aguzzi (per lo meno, questa è stata la mia percezione del suo approccio). Certo, è musica che non ti lascia mai indifferente… e se lo fa ormai da cent'anni, vuol dire che è materia tosta assai!

Un'ultima nota di ambiente: parrebbe proprio che fra Harding e i Filarmonici stia crescendo un feeling particolare, almeno a giudicare dai reciproci atteggiamenti e ammiccamenti prima e dopo la prestazione. Qualcuno avverta Barenboim…
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16 settembre, 2011

La “Verdi” apre la nuova stagione


Primo appuntamento della Stagione 2011-2012 per laVerdi all'Auditorium. Il programma è di quelli talmente classici da sfiorare lo stomachevole, ma una certa qual sostenutezza la si può anche accettare, data la circostanza inaugurale. Del resto, che laVerdi sappia come cavarsela anche con opere ed autori meno inflazionati è stato dimostrato non più tardi di domenica scorsa, con il trionfale War Requiem alla Scala.

Però, diciamo la verità, riproporre troppo di frequente titoli come questi fa correre un serio rischio: che i direttori e/o i solisti – tanto per differenziarsi e non venire tacciati di essere custodi di musei ammuffiti – e il pubblico – per non annoiarsi e sentire qualcosa di nuovo – propongano, e rispettivamente acclamino, interpretazioni cervellotiche o gigionesche, rendendo così un pessimo servizio alla musica. Grazie a dio ieri l'abbiamo scampata, ma non sempre è così…

È il 41enne Lars Vogt a cimentarsi d'acchito con un mostro sacro, l'Imperatore di Beethoven. Soprattutto nell'iniziale Allegro ne dà una visione nervosa, secca, con poco legato, quasi cattiva (ma qui siamo all'interno dei confini della sacrosanta libertà dell'interprete). Poi nell'Adagio un poco mosso tira fuori una buona cantabilità, scatenandosi ancora nel Rondò. Bravissima Xian nell'assecondare l'interpretazione del solista, lungamente acclamato e che ci allieta con questo bis.

Dopo l'intervallo la Fantastica di Berlioz. La riascoltiamo dall'Orchestra Verdi dopo circa 18 mesi (allora guidata da quello che oggi ne è diventato il Direttore Principale) e devo dire che ha fatto la stessa impressione – ed ha avuto lo stesso successo – di allora. Xian ne coglie tutta la nevrosi che la anima, già dalle Réveries-Passions (dove ci risparmia meritoriamente il ritornello dell'esposizione). Spettrale il bal, con le due arpe in evidenza, e sempre struggente la scena campestre: qui il bravissimo Emiliano Greci si allontana momentaneamente dal palco ed esce… non per fare pipì – smile! – ma per rispondere da lontano, con il suo oboe, al richiamo del corno inglese, imbracciato dall'altrettanto bravo Luca Stocco (non per nulla alla fine i due saranno ripetutamente chiamati per un applauso speciale). Il giusto livello di fracasso viene tirato fuori dalla marcia al supplizio, e infine tornano gli spettri (qui impersonati dal clarinetto in MIb di Jader Bignamini) a riproporre per l'ultima volta l'idée-fixe, ridotta a osceno sberleffo. Il Dies-Irae ruttato dalle due tube (oggi sostituiscono i vecchi oficleidi) porta al finale assordante, con le otto tremende terzine di tutta l'orchestra che sfociano nel conclusivo accordo di DO maggiore:


Manco a dirlo, pubblico praticamente in delirio.

Il secondo appuntamento sarà (quasi) tutto di marca ciajkovskiana.
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