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28 aprile, 2025

Filidei alla Scala: debutto con applausi e contestazioni

Ieri sera il Piermarini ha ospitato la prima assoluta de Il nome della rosa, opera che il Teatro ha commissionato a Francesco Filidei, che ha predisposto – con Stefano Busellato (e altri) - anche il libretto, derivandolo dal romanzo di Umberto Eco.

Parto dalla fine. Applausi convinti per i cori di Malazzi e Casoni, poi per i singoli cantanti. Sembra un trionfo, ma quando tutto il cast si affaccia in parata al proscenio ecco piovere dal secondo loggione una salva di buh, che poi si estende anche all’uscita del team registico e dello stesso Filidei. Insomma, un debutto piuttosto contrastato.

Parliamoci chiaro: la musica di Filidei non è propriamente un dolce rosolio, peccando forse di velleitarismo e di eccessiva cerebralità: la struttura cosiddetta a frattali, con le 24 scene che esplorano in andata e ritorno l’intera scala cromatica è di difficile comprensione, poiché gli scarti di tonalità, che sarebbero già difficilmente avvertibili se le linee melodiche e armoniche fossero di natura diatonica, diventano un grammelot se sono a volte improntate ad atonalità, altre a serialità e quasi perennemente infarcite di dissonanze e rumorismo.

Insomma, musica troppo artefatta e quindi fredda agli occhi orecchi di un pubblico che fatica a raccapezzarvicisi. Aggiungiamo che il canto è spesso pura declamazione, se non puro parlato, e così si può spiegare la reazione negativa di parte del pubblico, di cui hanno fatto le spese in blocco i componenti del cast che singolarmente hanno invece dato il massimo e personalmente mi sento di accomunare in un generale elogio, da estendersi poi alla compagine orchestrale e al Direttore Metzmacher che l’ha guidata con polso fermo e sicuro.

Quanto all’allestimento, Michieletto (con il suo team) ha risolto da gran maestro di teatro tutti i problemi che la messinscena di un simile soggetto comporta. Mi limito a citare alcune intuizioni davvero geniali che caratterizzano il suo spettacolo, complessivamente di alto livello.

Dapprima, la presentazione della scena di apertura (il portale della Chiesa) mostrato non (come si potrebbe pensare) come un tableau vivant, ma come un enorme bassorilievo che progressivamente si anima con la fuoriuscita dei personaggi ivi scolpiti, ad evocare e rappresentare mirabilmente lo sconcerto e l’ammirazione insieme dello stupefatto Adso, mentre il coro canta versi dell’Apocalisse.

Poi una specie di enorme Dama con il liocorno, nel cui grembo va a sdraiarsi (al posto dell’animaletto) il conturbato Adso. E ancora la scena finale del primo atto, davvero geniale nel coniugare le due essenze della Ragazza: quella erotica e sensuale, che esce dal collo mozzato della testa di un enorme bue - trascinato dai sei personaggi dolciniani con teste d’animali - dal quale poi l’essenza umana e miserevole della stessa ragazza estrarrà l’enorme cuore.

E che dire della drammatica presentazione della morte di Malachia, che nel testo è descritta in tre parole, mentre noi la vediamo proprio come si materializza nell’incubo del povero bibliotecario, suggestionato da Jorge con la visione degli scorpioni che lo divorano!

E poi la resa (impossibile da ottenere se si dovesse seguire pedestremente il testo) della morte di Abbone, progressivamente imprigionato da due blocchi di pietra che lentamente si stringono al suo corpo, sospinti da Jorge!

E infine la scena conclusiva, con i tronconi del velario del labirinto che crollano al suolo mentre la croce si incendia e Guglielmo e Adso si congedano, prima che la visione della donna (nelle sue due espressioni) chiuda il dramma, con i contrabbassi che esalano, dopo il DO che ciclicamente ci riporterebbe all’inizio della storia, quel DO# nel grave che prefigura una nuova (?) vita.

Ecco: in sintesi, uno spettacolo di altissimo livello, che a mio modesto avviso va apprezzato per la nobiltà delle intenzioni degli autori e la professionalità degli esecutori.


24 aprile, 2025

Eco in musica alla Scala

La stagione scaligera 24-25 ha il privilegio particolare di offrire al pubblico la prima assoluta di una nuova opera (quasi) tutta italiana: a parte il Concertatore (Metzmacher) sono italiani l’ispiratore (Eco), il compositore-librettista (Filidei) e il regista (Michieletto).

[Stante la natura anche esoterica del romanzo, si può osservare come esista un legame, appunto… cabalistico, fra il cognome del compositore e un’esternazione che Eco mette in bocca a Salvatore: Filii Dei, sono! riferita ai poveri abitanti del villaggio che il vice-cellario rifornisce sottobanco di cibarie.]

Il romanzo di Umberto Eco compie precisamente 45 anni e la sua fama è stata ingigantita dal fiorire di trasposizioni cinematografiche, teatrali, televisive. Oltre che da una serie di Postille, che l’Autore pubblicò pochi anni dopo il romanzo, in cui fornì dettagli sullo stesso titolo, sulle ragioni dell’ambientazione (tardo-, e non alto-) medievale, sulla stagione in cui si dipana la vicenda, dalla quale dipende nientemeno che il luogo in cui si svolge… E poi da chi far narrare la storia (Adso e non… Umberto?) e come corredarla di dettagli, anche apparentemente barbosi, ma utili a far calare il lettore nello scenario altrimenti gratuito cui si riferisce la narrazione.

E tante, ancora tante altre profondissime considerazioni, incluse quelle sulle caratteristiche di thriller del romanzo. Ma un thriller che va ben oltre il classico stereotipo del tipo ma chi sarà il serial-killer? Che infatti c’è e non c’è, e comunque fa lui stesso una pessima fine!

E infine, lo Sherlock Holmes medievale, giustamente arrivato dalla Baskerville Hall di Conan Doyle, e di cui Adso ci sembra impersonare l’aiutante dott. Watson… Ma Guglielmo, essendo Inquisitore del Sacro Romano Impero, si occupa specialmente di reati che hanno a che fare con la Religione, proprio come il suo collega Bernardo Gui, che opera nel campo nemico, ad Avignone. Ed ecco allora che il romanzo si dilunga su (o si arricchisce di?) una copiosa dote di concioni di carattere metafisico, o secolare travestito da tale. Che finiscono quasi con il trasformare il thriller in una disputa tutta politico-religiosa fra le due fazioni principali (Papa e Imperatore) affiancate da ordini monastici (Domenicani e Francescani/Benedettini).

Detto ciò (e molto altro ci sarebbe da dire) la domanda che viene spontanea è: l’opera musicale di Filidei (con la direzione di Metzmacher e la regìa di Michieletto) cosa ci dirà di quella di Eco? Si fermerà (come il film con Sean Connery) al thriller (cioè alla superficie) o saprà spingersi oltre, in realtà un po’ più in alto?

Una prima risposta alla domanda ci è stata fornita dallo stesso Autore, intervenuto giorni fa alla consueta conferenza Prima delle Prime, spalleggiato dal musicologo Gianluigi Mattietti. Ed è una risposta rassicurante, nel senso che Filidei ha dichiarato di aver voluto portare nella sua opera tutti i diversi aspetti del romanzo, pur con le costrizioni che caratterizzano sempre operazioni di questo tipo. Ha suddiviso lo spettacolo in due Atti, con l’intervallo posto poco prima della fine del giorno 3, cioè dopo il romantico-erotico incontro di Adso con la ragazza innominata. Ciascun atto comprende 12 sezioni, rispetto ai 50 capitoli del romanzo, con parecchie simmetrie musicali che Filidei ha cercato di spiegare anche meglio in un’altra illuminante intervista rilasciata al canale youtube di Mario Calabresi.

La figura sottostante (che ho predisposto interpretando liberamente lo schema proposto da Filidei sul programma di sala) schematizza la macro-struttura dell’opera in termini squisitamente musicali: abbiamo le 24 scene, divise nei due atti, supportate dai 12 suoni della scala cromatica, che nella prima parte si muovono a ventaglio, come indicato dalle frecce, dal DO al FA# e nella seconda retrocedono dal FA# al DO, dove però un’ultima, faticosa salita al DO# (Filidei la sottolinea nelle due citate esternazioni, ma non la disegna nello schema pubblicato) sembra voler riaprire il discorso…

Insomma, un costrutto squisitamente… musicale (nel senso scientifico del termine). Staremo a vedere il risultato, se cioè si potrà dire che questa musica di Filidei sappia poetizzare l’intelletto (copyright Thomas Mann su Wagner).

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Il libretto dell’opera ci permette di fare qualche considerazione riguardo l’approccio seguito da Filidei&C nella predisposizione del soggetto. Una di queste, ad esempio, riguarda la gestione delle numerose narrazioni che innervano il testo di Eco: racconti che il narratore (Adso) ci fa di fatti e/o di risposte che lui, o il suo capo Guglielmo, hanno ricevuto da personaggi che si muovono nella vicenda. Come presentare queste situazioni?

È chiaro che sarebbe stato ridicolo replicare questa modalità in modo pedestre: chè allora i personaggi dell’opera si sarebbero ridotti al narratore ed al suo capo, se non addirittura al solo narratore. L’ovvia alternativa è stata di limitare al massimo (se non proprio di togliere di mezzo) gli interventi del narratore e far direttamente parlare (=cantare) i personaggi narrati. Ed infatti la locandina ci presenta 17 interpreti di 20 personaggi. Ecco una tabella che sommariamente ne inquadra le caratteristiche e le voci (i personaggi colorati sono gli ospiti temporanei (come Guglielmo e Adso) del monastero benedettino, arrivati per un incontro di natura diplomatica fra rappresentanti del Papa e dell’Imperatore: in giallo i primi, in verde i secondi):

Filidei ha ignorato alcuni personaggi che popolano la vicenda narrata da Eco: alcuni sono effettivamente poco influenti, come Giovanni Dalbena, membro della delegazione papista (che figura nella locandina web, mentre è rimpiazzato da Alborea nel libretto) ma altri stupisce che non compaiano nel cast: Alinardo da Grottaferrata, vecchissimo monaco, le cui esternazioni sono di determinante aiuto a Guglielmo e Adso in relazione sia ai misfatti che si succedono, che a certi aspetti peculiari della labirintica biblioteca. E poi sono ignorati Aymaro d’Alessandria, che aiuta gli investigatori con informazioni sulla personalità dei reggitori dell’Abbazia; e ancora Nicola da Morimondo, esperto vetraio, Pacifico da Tivoli e Pietro da Sant’Albano, monaci che danno un più o meno forte contributo a definire il quadro complessivo del microcosmo dell’Abbazia.

Ma l’assenza più importante è quella del giovane Bencio da Upsala (che in Eco sarà nominato vicebibliotecario al posto di Berengario) la cui testimonianza è determinante ai fini di chiarire la morte per suicidio di Adelmo da Otranto, la prima delle (sette!) vittime di cui veniamo a conoscenza. Costui è già passato a miglior vita qualche giorno prima dei fatti narrati da Eco, e di lui Adso ci parla attraverso racconti di altri personaggi che ebbero con Adelmo un qualche rapporto, e magari ricordano qualche sua esternazione. Del più drammatico di questi racconti è protagonista Berengario da Arundel, che guarda caso si scoprirà aver avuto una relazione, ehm… equivoca, proprio con Adelmo, con il quale (anzi, con lo spettro del quale) afferma di essere stato protagonista di uno spaventevole incontro faccia a faccia, nel cimitero dell’Abbazia, la notte in cui Adelmo morì.

Ma è un racconto poco convincente per Guglielmo e Adso, che scoprono la verità proprio con il successivo interrogatorio di Bencio, che è stato testimone dell’equivoco rapporto carnale fra Berengario e Adelmo, del rifugiarsi di quest’ultimo nella cella di Jorge per confessarsi e del suo successivo vagare disperato nel cimitero, inseguito da Berengario (e spiato da Venanzio); il che dà a Guglielmo la quasi certezza del suicidio di Adelmo, per l’insostenibile vergogna del peccato commesso.

Orbene, dato che Filidei ha tenuto Bencio fuori dalla storia, come ha risolto lo spinoso problema? Primo: durante il Prologo, mentre Guglielmo e Adso sono ancora in viaggio, ci mostra in un flashback Adelmo che si confessa da Jorge e ne viene cacciato senza misericordia; secondo: ci presenta successivamente il drammatico incontro fra Berengario e Adelmo (guarda caso interpretati dallo stesso cantante) sotto forma di racconto del primo, che però canta anche ciò che racconta il secondo!  


Quanto alle tessiture vocali, la curiosità che si può avanzare qui riguarda i tre ruoli maschili assegnati a voci femminili en-travesti: quasi che Filidei sentisse il bisogno di rompere la monotonia di un’opera che avrebbe – all’origine – soltanto una voce femminile (la ragazza) su 20! A questo fine si potrebbe anche attribuire la scelta di affidare a due controtenori i tre personaggi (Berengario, Adelmo e Malachia) che presentano caratteristiche… LGBTQ+. E poi, come non pensare a Strauss (Octavian-Sophie) a proposito dell’incontro d’amore - fine primo atto, dalla penultima scena del giorno 3 di Eco - di due voci femminili (Adso e Ragazza del villaggio)?
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Come anticipato più sopra, una delle caratteristiche del romanzo consiste nel frequente interrompersi della narrazione dei fatti principali – quelli relativi agli aspetti thrilling della vicenda, che il lettore vorrebbe divorare tutti d’un fiato – per fare spazio a lunghe (a volte lunghissime, e dottissime quanto… ehm, esasperanti) divagazioni – le cosiddette ecfrasi - su oggetti e/o temi che con l’azione hanno legami spesso assai labili, o come minimo assai remoti. Eco ovviamente ha qui modo di sfoggiare la sua enciclopedica cultura, e di arricchire la sua storia - di per sé molto coinvolgente ma anche di un genere piuttosto abusato - con elementi di alto spessore filosofico, religioso (e teologico), psicanalitico (ed erotico), scientifico e ovviamente artistico (come la minuziosa contemplazione del portale della chiesa da parte di Adso o la descrizione della struttura labirintica della biblioteca). Ma persino… culinario, come dimostra la descrizione del lavoro in cucina, con dotte e dettagliate citazioni di carni e verdure (inclusi i peperoni, errore storico rimediato nella riedizione, insieme a quelli relativi al violino e allo scambio di torrione meridionale-orientale dell’Edificio); non manca neppure una rara ricetta del casio in pastelletto!

Nelle sue citate Postille, lo scrittore paragona questo andamento altalenante della narrazione all’avvicendarsi, nel classico melodramma, di recitativi, dove si sviluppa l’azione, e di arie (o altri numeri musicali) dove il tempo si ferma per lasciare spazio a riflessioni di varia natura. E su questa similitudine di Eco il compositore rivela di aver fatto leva nella costruzione della sua opera.

Ebbene, devo dire che la promessa è stata mantenuta solo in parte. Parliamoci chiaro, pensare di riprodurre in musica le dottissime e lunghissime ecfrasi di Eco sarebbe stato quasi impossibile, e allora Filidei per trarsi d’impaccio si è rifugiato in corner nel… gregoriano. Ad esempio, rimpiazzando pagine e pagine di descrizione del portale della Chiesa con qualche verso dell’Apocalisse messo in bocca al coro; o impiegando antifone cantate da Adso e inni dal Salterio che il coro canta alla scoperta del cadavere di Venanzio; o impiegando parti del Cantico dei Cantici per sottolineare l’amplesso fra Adso e la Ragazza innominata.

Sono omesse quasi tutte le lunghe ecfrasi a contenuto rievocativo delle diatribe e degli scontri fra guelfi e ghibellini e fra ordini monastici e papato, con scambi di accuse di eresia e di secolarizzazione; resta, affidato al coro, un accenno alle vicende dei dolciniani; e restano ovviamente gli accesi scambi di vedute che accadono in presa diretta, tipicamente nella grande scena dell’incontro a carattere diplomatico fra le due delegazioni convenute all’Abbazia.

Per il resto l’opera si concentra sugli aspetti più strettamente thrilling del romanzo, relativi alle visite nella labirintica biblioteca e alla decifrazione dei diversi enigmi che porta progressivamente Guglielmo e Adso ad avvicinarsi alla definitiva scoperta della verità.

Un’ultima curiosità: nella conclusione, Filidei ha inventato un… ritorno di fiamma in Adso che, tornato ormai vegliardo all’Abbazia diroccata, rivede la statua della Madonna e torna con il pensiero alla ragazza innominata… [Siamo o no nel melodramma?]    

Qui una sommaria elencazione delle principali divergenze fra il testo di Eco e il libretto di Filidei. 

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Scenografia e rispetto delle indicazioni di Eco. Sarà interessante osservare se e quanto delle minuziose indicazioni di Eco sono state osservate (o mutate) da regista/scenografo.

Ad esempio, ecco come Eco immagina il labirintico piano-biblioteca (secondo) dell’Edificio, la costruzione che ospita anche: scriptorium (primo) e cucine/refettorio (terra). La planimetria sottostante rappresenta il luogo del (pen)ultimo atto della storia: la sala eptagonale della biblioteca, detta Finis Africae, in cui si è barricato – protetto da una porta-specchio che ne dissimula uno dei due ingressi (l'altro, ancor più segreto, è raggiungibile salendo direttamente dall'ossario, sotto il piano terra) - l’autore morale (in un solo caso, l’ultimo, anche materiale) delle sei morti succedutesi nei sei giorni precedenti, cui si aggiungerà la sua (auto-avvelenamento, completato dalle fiamme) in quelle primissime ore del settimo giorno, dove si compirà il destino di distruzione dell’intero monastero. 

Certo, in teatro sarà difficile riprodurre fedelmente quel labirinto, suddiviso in 11 sezioni fra loro imbricate: ANGLIA, GERMANI, GALLIA, HIBERNIA, ROMA, YSPANIA; LEONES, AEGYPTUS, IUDAEA, FONS ADAE e ACAIA. Dalle poche immagini pubblicate (dove il labirinto è semitrasparente e… si muove ruotando su se stesso) è anche difficile immaginare l’efficacia della scenografia: ci penseranno Michieletto e Fantin a risolvere da par loro il problema.

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Per finire, ecco invece uno schematico elenco delle sette morti, con relative cause:


Il problema da risolvere per autore e regista risiede nel fatto che, nel romanzo, le vicende relative a queste morti si imbricano fra loro (proprio come le sezioni del labirinto della biblioteca) ed è già complicato seguirle a dovere leggendo il romanzo. Abbiamo già visto come sia stato complicata e non del tutto convincente la soluzione del caso Adelmo-Berengario. Vedremo come Filidei-Michieletto sapranno toglierci queste castagne dal fuoco.
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Commenti dal vivo dopo la prima di domenica 27 aprile (che sarà anche trasmessa in diretta da Radio3). 

30 marzo, 2025

Una divertente opera seria alla Scala

Splendido debutto scaligero (a distanza di soli… 256 anni dalla nascita!) per L’opera seria di Gassmann-Calzabigi, questo melodramma settecentesco che fa un poco da cerniera fra Gluck e Mozart.

Merito di chi decise di proporcelo (tale Meyer…) e di chi ce lo ha servito in tavola scena come meglio non si potrebbe: la premiata coppia Christophe Rousset / Laurent Pelly.

Dico subito che gli inevitabili tagli alla musica riguardano quasi esclusivamente recitativi secchi, mentre gli accompagnati e le arie/concertati (della serie: prima la musica…) sono sostanzialmente rispettati. Rousset (che ha anche accompagnato al cembalo) coadiuvato dall’Orchestra mista Scala – Les Talents Lyriques (24 + 11 elementi) ha apportato pochi ritocchi alla partitura, come l’anticipo dell’aria di Passagallo (I miei balli son tanti miracoli) all’inizio del terz’atto, trasformando quindi la scena marziale del ritorno di Nasercano in un gustoso balletto da avanspettacolo; ha poi sfrondato il finale delle esternazioni singole dei vari protagonisti, chiudendo con il coro Noi giuriamo.

Pelly, da parte sua, ha proposto scene (di Massimo Troncanetti) piuttosto scarne: il primo atto con un semplice fondale a parete con porte dalle quali entrano ed escono i protagonisti che si aggirano in uno spazio vuoto; nel secondo compaiono anche pareti laterali (sempre con porte) a chiudere la scena della prova dell’opera seria; nell’atto conclusivo la prima parte ad Agra ha un’ambientazione esotica orientaleggiante, con palme, tende e la sagoma di un elefante sul quale entra Rossanara, più pochi orpelli che al momento opportuno crolleranno miseramente, provocando l’interruzione dello spettacolo (il cui fiasco è quindi attribuito a regista e scenografo, più che ad autori e cantanti…)

A sipario chiuso si svolge il cambio scena (accompagnato da suoni di arpa che ricordano quelli degli intervalli RAI anni ‘70, con pecorelle e affini) che ci porta nel retro del teatro, dove ritroviamo solo la parete di fondo con le tre porte dei camerini delle primedonne, dalle quali sortiranno anche le rispettive madri per la caotica scena finale.  

Lionel Hoche anima le coreografie, con partecipazione di ballerini (scena ad Agra) e mimi vestiti come diavolacci neri a rappresentare metaforicamente sciagure, imprevisti e contrattempi che affliggono l’ambiente del teatro, oltre che i militari che arrivano alla fine del second’atto a sedare il tumulto creatosi durante la prova.

I costumi, dello stesso Pelly, sono a loro volta una parodia del ‘700, con abiti tutti di color chiaro e forme esageratamente bizzarre, con pochi elementi atti a distinguere fra loro i vari personaggi. Unica eccezione il povero Fallito, abbigliato come un teatrante di oggi (ma con calzoni alla zuava….) Efficaci le luci di Marco Giusti ad illuminare (o oscurare) le varie scene. 

Quanto alla compagnia di canto, mi sento di accomunare tutti indistintamente in un unico giudizio di piena approvazione. Cosa che ha fatto anche il pubblico (folto all’inizio e poi abbastanza smagritosi – affar loro – nei due intervalli) che, rimasto freddino nel primo atto, ha cominciato ad applaudire le arie nel secondo e più ancora nel terzo. Per poi gratificare tutti di almeno 10 minuti di applausi ed ovazioni alla fine dello spettacolo.

Insomma, una proposta di ottimo livello che dà lustro a questa stagione scaligera di transizione.

 

25 marzo, 2025

Alla Scala l’opera seria ridicolizzata da Calzabigi-Gassmann

Il progetto della Scala di rivisitazione del melodramma del ‘700 si materializza in questa stagione con un’opera che solo relativamente di recente (1994) è stata riportata alla luce (da René Jacobs) dopo aver conosciuto un grande successo a Vienna proprio alla fine del ‘700, seguito purtroppo da un totale oblio.

L’opera seria fu dovuta alla collaborazione dei due personaggi di spicco – nessuno dei due viennese! - del teatro musicale di Vienna dell’epoca (1769): il librettista Ranieri de’ Calzabigi, già collaboratore di Gluck (Orfeo, Alceste) dopo il pensionamento di Metastasio, e il compositore di origini boeme Florian Leopold Gassmann, fattosi le ossa in Italia (Venezia, in particolare). 

Il soggetto mette programmaticamente alla berlina le degenerazioni del melodramma (per intenderci, quello pre-mozartiano) e soprattutto del suo ambiente: teatri, impresari, librettisti, compositori e – ovviamente – cantanti e relative claque, pubblico compreso. Come crudamente esplicitato da Calzabigi nella prefazione al libretto:

Il soggetto rappresenta le ultime fasi di prova e la successiva rappresentazione di una nuova opera, ergo è un tipico esempio di teatro-nel-teatro. I primi due atti in cui si struttura ci portano infatti a casa dell’impresario, tale Fallito (Tradito, in partitura, per mettere subito in chiaro lo scenario) dove sono convenuti gli autori e gli interpreti per il briefing (Atto I) e la prova al clavicembalo (Atto II). L’atto conclusivo è ovviamente ambientato in Teatro, dove si registra il disastroso flop dell’opera seria, con lo spettacolo interrotto, dopo sole quattro scene, dalle intemperanze del pubblico e poi salvato solo dal provvidenziale balletto che subentra all’opera per calmare gli animi degli spettatori inferociti.

La scena conclusiva si svolge nei camerini, con i commenti di protagonisti e parenti e la simpatica scoperta che l’impresario si è dileguato con… la cassa! Ma la conclusione dell’opera sarà solo apparentemente disfattista nei confronti del mondo del teatro musicale, anzi: i protagonisti del clamoroso flop, traendo la giusta lezione dall’accaduto, matureranno, ciascuno per la propria professione, animosi propositi di riscatto e volontà di non mollare. Quindi una visione tutto sommato ottimistica sul futuro del melodramma!

Ecco qui i personaggi dei primi due atti e della scena finale, collegati a quelli dell’opera seria, intitolata L’Oranzebe, che Calzabigi mutuò piuttosto vagamente da Aureng-Zebe (Imperatore Mogul) di John Dryden (1676). Come si vede, gli interpreti dell’Imperatore e del suo Capitano non sono presenti alle prove, né cantano nell’opera:

Oltre a quello dell’Impresario e degli autori, anche i nomi dei principali componenti del cast sono scopertamente e parodisticamente allusivi. Le madri delle tre signore del cast intervengono solo nella scena finale, dando il loro valido contributo al tutti-contro-tutti che chiude l’opera in tragicomica farsa.

Il testo di Calzabigi, e la musica di Gassmann a ruota, sono proprio rappresentativi di due mondi dall’estetica assai diversa: il vecchio, incarnato da Metastasio, e il nuovo, del quale Calzabigi e Gassmann (e prima di lui l’ultimo Gluck) erano divenuti i campioni.

Non è quindi un caso che l’opera seria (L’Oranzebe, appunto) di cui la comedia di Calzabigi celebra il fallimento, sia mutuata come soggetto e testi proprio da Metastasio. E in particolare, come ha osservato il prof. Lucio Tufano (Sulle tracce di Oranzebe. L’opera seria di Calzabigi e Gassmann) che i quattro personaggi principali de L’Oranzebe e la vicenda che li lega fra loro rispecchino da vicino quelli del libretto metastasiano di Adriano in Siria: libretto evidentemente ben noto a Calzabigi, che a quel tempo era collaboratore del Poeta cesareo.

Una caratteristica peculiare del libretto (la scena sesta del second’atto ne è la testimonianza più smaccata) consiste nella stretta rete di relazioni fra la commedia (e i suoi personaggi) e l’opera, i cui personaggi saranno incarnati da quelli della commedia. Alcune di queste relazioni sono messe in evidenza nella succinta sinossi dell’opera, che segue più sotto.

Però, attenzione: nel terzo atto, dell’opera seria L’Oranzebe ascolteremo solo quattro scene e proprio nulla di ciò cui abbiamo assistito nella prova! La tabella che segue è una mia personale rielaborazione di quella presentata nel citato lavoro di Lucio Tufano. Mostra i riferimenti all’opera seria L’Oranzebe (atto III) che troviamo nei primi due atti (la comedia) relativi alle prove: tutti riferimenti irrisolti, evidentemente a parti dell’opera virtuale (L’Oranzebe, appunto) successive alla scena 4, quando avviene l’interruzione.


Comedia L'opera seria => Opera L'Oranzebe / Riferimenti irrisolti
I-1  propositi dell'impresario Fallito: eliminazione 40 versi di recitativo   
                                                          eliminazione dell'aria del fulmine 
                                                          eliminazione dell'aria del rusignolo 
                                                          eliminazione del minuetto
                                                          taglio di metà duetto
I-10 vanterie del librettista Delirio:   scena della battaglia
                                                         aria di Rossanara Pallid'ombra del misero amante
II-1 Diatriba sull'aria di Nascareno (interprete Ritornello) che va rifatta
II-3 Il librettista Delirio mostra a Ritornello il nuovo testo (Quel nocchier)
II-4 Il compositore Sospiro decide di usare la musica di Col tuo dolce amico oblio
II-5 Aria di Rana (Barbara! E non rammenti) cantata dal compositore Sospiro
II-6 Recitativo Nasercano (Abbastanza finora)
      Aria Saebe (No, crudel d’amor capace)
      Duetto Rossanara-Nasercano (Ah non mi dir così)
      Recitativo Rana (Già propizio à miei voti)
      Aria Rana (Delfin che al laccio infido)
      Aria Rossanara (Pallid’ombra del misero amante)
      Aria Nasercano (Quel nocchier)

In effetti, indovinare la trama dell’opera seria L’Oranzebe dal qualcosa di frammentario, che ascoltiamo durante la prova, e il poco che accade a teatro prima della sospensione, è impresa ardua assai!

Sinossi dell’opera

SINFONIA

ATTO I – Preliminari della preparazione dell’opera seria L’Oranzebe

Introduzione strumentale.

Scena 1. I due autori della nuova opera L’Oranzebe, Delirio e Sospiro, si complimentano a vicenda per la sublimità di testi e musica [Duetto, poi Terzetto Oh che bell’opera! Che bella musica!]; arriva però l’impresario Fallito [Con quell’estro bizzarro poetico] che poco dopo strapazza testo e musica [Aria Signor Delirio, tante sentenze]. I due Autori protestano, ma l’impresario è inflessibile e annuncia tagli di arie, recitativi e minuetti.

Scena 2. I due sfortunati autori non possono far altro che disperarsi [Duetto Ho di fuoco nel petto] imprecando contro l’impresario, il teatro e la città.

Scena 3. Arriva ora la primadonna Stonatrilla, issata su portantina dai suoi lacchè [Cavatina Camerieri! Staffieri! Lacchè!] A proposito di relazioni commedia-opera si noti come, nel L’Oranzebe, lei interpreti il personaggio della principessa Rossanara, che entrerà in scena proprio portata su un baldacchino! Si lamenta per l’accoglienza dimessa e per non aver potuto ancora provare gli abiti di scena. L’impresario cerca maldestramente di scusarsi.

Scena 4. Rientra il compositore e Maestro di Cappella, Sospiro, poi ecco Porporina, destinata ad interpretare, en-travesti, l’Ufficiale delle armate Mogul. Nascono subito attriti fra lei e la prima donna Stonatrilla [Aria Ragazzuccia, mettete giudizio]. L’impresario cerca invano di sedare lo scontro. Anche qui, nell’opera le due cantanti interpreteranno ruoli che le vedranno divise da opposti sentimenti.

Scena 5. Altro scontro: fra Porporina e il compositore Sospiro, suo spasimante, reo di averle composto un’aria modesta. Lui per tranquillizzarla gliela canta e se ne va. [Aria di Porporina, cantata da Sospiro, Cari quegli occhi amabili].

Scena 6. Arriva ora la Smorfiosa, cui Porporina confessa di snobbare il compositore, ma di tenerlo buono per… la pensione, quando potrebbe tornarle utile. La Smorfiosa si lamenta dei sarti che le hanno provato l’abito di scena, gente rozza e puzzolente; propone di chiedere che siano sostituiti da cavalieri.

Scena 7. Ecco ora presentarsi il primo musico (un castrato, all’epoca) Ritornello [Cavatina Benchè da te lontano]. Smorfiosa subito lo sequestra chiedendogli aiuto e conforto per la recita imminente. Porporina coglie al volo la situazione e si allontana, cantando un’aria alle due… tortorelle [Aria Più non si trovano fra noi le mutrie]. Anche qui, nell’opera seria, Ritornello e Smorfiosa si caleranno nei panni di un condottiero e della sua nobile preda di guerra…

Scena 8. Rimasti soli, Ritornello e Smorfiosa possono liberamente abbandonarsi ai propri sentimenti e lei gli canta un’aria piena di sdolcinato languore [Aria Mio dolce amorino]. Che anticipa ciò che accadrà nell’opera seria!

Scena 9. L’Impresario Fallito incontra ora tale Passagallo, compositore e coreografo dei balli che accompagnano l’opera. Costui convince il riluttante impresario a scritturare due coppie di famosi ballerini che sono lì di passaggio [Aria Vedrete che salti].

Scena 10. Rimasto solo, Fallito si abbandona ora ad una lunga esternazione [Recitativo accompagnato Maledetta l’impresa] colma di pessimismo e di amarezza per la vita stentata che conduce, piena di ostacoli e scarsa di soddisfazioni. Arrivano Stonatrilla e il librettista Delirio che hanno saputo dei ballerini e intendono visionarli. Poi Delirio assicura Fallito che lo spettacolo potrebbe essere un gran successo [Aria State attento a quest’Oracolo] soprattutto per una scena di battaglia e per merito delle qualità attoriali di Stonatrilla (e ovviamente dei suoi testi, come l’aria di Rossanara) ma che la musica rischia davvero di mandare tutto a meretrici!

Scena 11. Assemblea generale per verificare costumi, spartiti e tutto quanto serve allo spettacolo. Sorgono problemi a non finire, e tutti maledicono il teatro e quella loro vita insopportabile! [Concertato finale Io vi giuro mie dive adorabili. Stretta Che veleno mi bolle nel petto!].

ATTO II – Prova al clavicembalo di alcuni numeri importanti dell’opera seria L’Oranzebe

Scena 1. L’impresario Fallito incontra gli Autori di testo e musica, che stanno ancora reciprocamente congratulandosi per la sublime qualità dei rispettivi prodotti. Ma subito nascono i primi contrattempi: Ritornello (protagonista come Nasercano nell’opera) non gradisce per nulla la sua aria del torrente e chiede che venga rifatta. Librettista e compositore si palleggiano la responsabilità e la precedente armonia di intenti si sbriciola rapidamente, culminando in autentica rissa, con scambio di accuse e reciproche denigrazioni [Terzetto Asinaccio! Ignorantaccio!]. Fallito comincia a temere il peggio [Ora sì, siamo aggiustati].

Scena 2. Il librettista Delirio torna dall’Impresario e miracolosamente consegna il nuovo testo dell’aria, scritto – a dir lui - a gran velocità dopo un incontro con il protagonista Ritornello! Fallito lo mette in guardia: che non gli venga in mente, un domani, di far l’impresario [Aria Se di fare l’impresario] poiché farebbe una gran brutta fine… 

Scena 3. Il librettista Delirio incontra il protagonista Ritornello, che è lì per chiedergli di cambiare la sua aria. Scopriamo così che Delirio aveva già modificato il testo ancor prima di incontrarlo (come aveva riferito a Fallito). Il librettista chiede al cantante di leggere il nuovo testo (drammatico, un marinaio che sfida Scilla e Cariddi e vi fa naufragio) e ne corregge i continui errori di lettura [Duetto Quel cocchier]. Poi lo invita spocchiosamente a studiarlo bene, mentre sta arrivando il compositore, che dovrà riscriverci le note.

Scena 4. Il compositore Sospiro incontra quindi Ritornello, che gli propone il nuovo testo di Delirio da musicare. Il compositore lo mette in guardia da questi cambiamenti all’ultimo momento, che potrebbero metterlo in gran difficoltà. Ma, alle insistenze del cantante, che ha già sparsa in giro la voce del cambiamento, chiede di vedere il nuovo testo. E magicamente scopre che vi ci si adatta a meraviglia la musica di un’aria languida (un innamorato che invita l’amata a stendersi con lui sull’erba, vicino ad un ruscelletto) che lui aveva composto per una recita a Milano, dove Ritornello l’aveva cantata con gran successo. Ritornello la ricorda a memoria [Aria Col tuo dolce amico oblio]. E così l’affare è concluso con reciproca soddisfazione: e chi se ne frega se testo (drammatico) e musica (sdolcinata) fanno letteralmente a pugni (il pubblico si berrà tutto senza neanche capirlo).

Scena 5. Il compositore Sospiro incontra adesso la sua amata Porporina, che gli chiede di sentire al cembalo la sua aria (da cantarsi nell’opera da parte dell’Ufficiale Rana, che lei interpreta en-travestì) appena rimaneggiata dal compositore. Sospiro ne canta [Aria Barbara! E non rammenti] le prime due strofe e Porporina ne rimane affascinata, ma interrompe il canto di Sospiro senza fargli finire la ripetizione della strofa iniziale: un’aperta critica alle convenzioni metastasiane.  

Scena 6. Arrivano tutti gli altri interpreti, per la prova d’insieme. Ne mancano due (l’Imperatore Mogol e il suo Capitano Rutleno) ma si passa sopra al loro ritardo, data la scarsa rilevanza delle due parti. Inizia Ritornello (=Nasercano) con il suo recitativo accompagnato [Abbastanza finora] apprezzato nonostante il raffreddore che lo affligge. Librettista e compositore fanno qua e là osservazioni e correzioni. Poi arriva Smorfiosa (=Saebe) con la sua aria [No, crudel d’amor capace] preceduta dall’ultima parte del recitativo [Va! Sul tuo capo] e accolta con entusiasmo da compositore e da Ritornello, mentre il librettista Delirio non manca invece di criticare la musica per le sue bizzarre trovate, al che Sospiro si inalbera, accusando il librettista di passatismo. Arriva ora un duetto con Stonatrilla=Rossanara e Ritornello=Nasercano [Ah non mi dir così] che alcuni accolgono come sublime, mentre il librettista ancora critica le note. Ora c’è il recitativo [Dove corri, Rutleno] con Porporina (=Rana) e… tale Gastigo (=Rutleno) che però è sempre assente, sostituito dal compositore. Che poi decide di saltare la successiva aria di Porporina, in quanto lunga e noiosa (e a base di… tonni e delfini); ma Delirio insiste e così Porporina, dopo un recitativo accompagnato [Già propizio à miei voti] canta la sua aria [Delfin che al laccio infido] piena di virtuosismi, picchiettati e sovracuti, accolta dai lazzi del compositore, di Ritornello e di Smorfiosa, mentre il librettista difende altezzosamente i suoi versi. Ora tocca a Stonatrilla (=Rossanara) che si esibisce nella sua drammatica scena, uno dei brani-chiave dell’opera, che inizia con un lungo, cupo recitativo accompagnato [Dove son! Che m’arriva!] seguito da un’aria invero massacrante [Pallid’ombra del misero amante]. Il librettista si raccomanda la recitazione, fondamentale per rendere al meglio il dramma di una donna che, dando per morto l’amato, si vorrebbe suicidare. Il compositore pretende che le venga messa in mano una coppa con il veleno, che qualcuno surroga con un calamaio! Alla fine dell’aria ecco i soliti commenti simmetrici, fra chi resta rapito/disgustato dai versi e chi dalla musica. Il coreografo Passagallo chiede di provare il balletto, ma ancora manca la nuova aria di Ritornello (=Nasercano) di cui si sono occupati gli Autori nelle Scene 1>4. Ritornello [Aria Quel nocchier…] ripete gli stessi errori di lettura fatti nella Scena 3, provocando le nuove proteste di Delirio, che interrompe bruscamente il canto, oltretutto lamentando che la musica (quella languida, con oboe e sordini, affibbiata al testo drammatico dal compositore nella Scena 4) faccia a pugni con i suoi versi. Ritornello riprende l’aria [Ei ben scorge il rio periglio] ma non fa che suscitare altre ire del librettista, che incolpa il compositore di aver rivestito il suo testo con musica totalmente inadatta! Porporina sta con il compositore, Stonatrilla con il versificatore, l’Impresario per calmare le acque fa provare il balletto di Passagallo.

Con una breve introduzione strumentale inizia ora [Conoscete eh Porporina?] il concertato finale dell’Atto secondo. Una Ballerina viene presa di mira dai salaci commenti di tutta la compagnia di canto, che irride la danzatrice, brava a costruirsi la fama con le… gambe! Tutto il corpo di ballo, con Passagallo in testa, si ribella alle insinuazioni e ne nasce un progressivo crescendo di offese e contro-offese, che sfocia in un autentico parapiglia, interrotto da un poderoso colpo di tamburo! Che annuncia l'arrivo delle guardie (fatte chiamare da Fallito) per sedare il tumulto, che si spegne lentamente fino alla profetica esternazione finale del coreografo: sarà il suo ballo a salvare l’opera dalla bancarotta!  

ATTO III – Rappresentazione dell’opera L’Oranzebe e sua infausta conclusione

SINFONIA

Marcia trionfale.

Scena 1. Il Generalissimo Nasercano (=Ritornello) capo dell’Armata Mogol, rientra trionfalmente nella capitale dell’Indostan, Agra, dopo aver sconfitto i nemici dell’Impero [Recitativo accompagnato Valorosi guerrieri e Aria di bravura Se con voi do in braccio al vento]. Con lui la regina indiana Saebe (=Smorfiosa) in catene, che si lamenta del trattamento subito [Recitativo accompagnato Signor, soffersi assai]. Nasercano mostra comprensione [Non io, bella regina] e Saebe gli riconosce dignità [Di te non so dolermi] e confessa di amarlo [Aria Saprei costante, e ardita]. Nasercano [Quel tuo timor fa torto] si dice certo che l’Imperatore saprà riservarle addirittura il ruolo di Regina.

Scena 2. Rana (=Porporina) Ufficiale delle armate Mogol, accoglie Nasercano come eroe nazionale e gli annuncia [Recitativo accompagnato Presenta a Nasercano] la visita di Rossanara (=Stonatrilla) la sorella dell’Imperatore.

Scena 3. In Recitativo accompagnato Rossanara a sua volta si profonde in lodi per l’eroe nazionale [Duce, tornasti alfin] lasciando trasparire il suo amore per lui. Nasercano [Principessa gentil] la ringrazia per la sua stima e le presenta Saebe, affidandola alla sua benevolenza. Rossanara, turbata alla vista della regina indiana prigioniera, comincia a sospettare che lei sia innamorata di Nasercano [Aria di bravura No, se a te non toglie il fato].

Scena 4. Saebe scopre la gelosia di Rossanara [Recitativo accompagnato Rossanara è gelosa] e questo è per lei buon segno. Ma anche Rana, che evidentemente cova mire sulla sorella dell’Imperatore, comincia a sperare. Nasercano si preoccupa allora di tranquillizzare Rossanara.

XXX

È precisamente a questo punto che il pubblico inferocito interrompe la recita: tutti i protagonisti scappano dietro le quinte e il sipario viene abbassato. Si presenta allora Passagallo [recitativo Riveriti signori] che propone al pubblico un… passaballo, promettendo mirabilie [Aria I miei balli son tanti miracoli] come un qualunque navigato piazzista. 

Musica del Ballo.

Scena ultima. Nei camerini e corridoi del teatro si discute del mortificante flop. Le tre cantanti sono raggiunte dalle rispettive madri (anche queste dai nomi allusivi: Caverna, Befana e Bragherona). Ritornello e Passagallo discutono della qualità di testo e musica: il primo li difende, aggiungendo che di norma il pubblico viene a teatro per chiacchierare, giocare e cenare, senza curarsi troppo dello spettacolo… Il secondo riporta alcune reazioni del pubblico: il soggetto è puerile, innaturale, i personaggi senza carattere, i contenuti bambineschi; e quanto alla musica: il compositore si limita a scopiazzare da altri, senza ispirazione e arte, è un ciabattino, non un maestro. Ritornello ribatte che le stesse critiche si potrebbero fare a tutti gli autori e compositori di questo mondo. Il librettista Delirio non si scoraggia per l’insuccesso: la strada per il Parnaso è faticosa, e anche illustri letterati vi han fatto naufragio. Ora inizia una sezione con accompagnamento, protagoniste le mamme [Bragherona: Ohè dico, Caverna, ascoltate!] durante la quale le tre megere si scontrano, ciascuna denigrando le figlie delle altre due, con ampie citazioni di manchevolezze, incapacità e fiaschi collezionati in ogni teatro. Vengono rinchiuse nei camerini, mentre gli altri si chiedono che fare, e come minimo di avere il compenso. Ma si scopre che Fallito è fuggito col malloppo! Generale sconcerto (mamme comprese, tornate in scena) e maledizione contro gli impresari. Poi il finale, a strumentazione piena [tutti: Noi giuriamo per que’ numi] è una sequela di propositi apparentemente disfattisti e minacce di sabotaggi espressi in sequenza da: Sospiro, Porporina, Delirio, Stornatrilla, Passagallo, Smorfiosa, Ritornello e, a nome delle mamme, da Bragherona (in Appendice le rispettive esternazioni). 

Ma in effetti è chiaro che nessuno ha intenzione di lasciare quel mondo che pure dice di disprezzare!

Appendice: Principali numeri musicali dell’opera.

Segue una lista di numeri musicali, che include quindi i recitativi accompagnati, escludendo invece i recitativi secchi:

 
A-S
Interprete
Numero musicale
I-1
Delirio-Sospiro-Fallito 

Fallito
Terzetto Oh che bell’opera! Che bella musica! [D-S]
              Con quell’estro bizzarro poetico {F}
Aria Signor Delirio, tante sentenze
I-2
Delirio-Sospiro
Duetto Ho di fuoco nel petto
I-3
Stonatrilla
Cavatina Camerieri! Staffieri! Lacchè!
I-4
Stonatrilla
Aria Ragazzuccia, mettete giudizio
I-5
Sospiro (per Porporina)
Aria Cari quegli occhi amabili
I-7
Ritornello
Porporina
Cavatina Benchè da te lontano
Aria Più non si trovano fra noi le mutrie
I-8
Smorfiosa
Aria Mio dolce amorino
I-9
Passagallo
Aria Vedrete che salti
I-10
Fallito
Delirio
Recitativo accompagnato Maledetta l’impresa
Aria State attento a quest’Oracolo
I-11
Tutti
Concertato Io vi giuro mie dive adorabili
Stretta Che veleno mi bolle nel petto!
II-1
Delirio-Sospiro-Fallito
Fallito
Terzetto Asinaccio! Ignorantaccio!
Ora sì, siamo aggiustati
II-2
Fallito
Aria Se di fare l’impresario
II-3
Ritornello-Delirio
Duetto Quel cocchier
II-4
Ritornello
Aria Col tuo dolce amico oblio
II-5
Sospiro (per Porporina)
Aria Barbara! E non rammenti
II-6
Ritornello
Smorfiosa

Stonatrilla-Ritornello
Porporina-Sospiro
Porporina

Stonatrilla

Ritornello
Tutti
Recitativo accompagnato Abbastanza finora
                                        Va! Sul tuo capo
Aria No, crudel d’amor capace
Duetto Ah non mi dir così
Recitativo accompagnato Dove corri, Rutleno
                                        Già propizio à miei voti
Aria Delfin che al laccio infido
Recitativo accompagnato Dove son! Che m’arriva! 
Aria Pallid’ombra del misero amante
Aria Quel nocchier / Ei ben scorge il rio periglio
Concertato Conoscete eh Porporina?
III-1
Nascareno (Ritornello)

Saebe (Smorfiosa)
Nascareno (Ritornello)
Saebe (Smorfiosa) 
Recitativo accompagnato Valorosi guerrieri
Aria Se con voi do in braccio al vento
Recitativo accompagnato Signor, soffersi assai 
                                        Non io bella regina
                                        Di te non so dolermi
Aria Saprei costante, e ardita
III-2
Rana (Porporina)
Recitativo accompagnato Presenta a Nasercano
III-3
Rossanara (Stonatrilla)
Nascareno (Ritornello)
Rossanara (Stonatrilla)
Recitativo accompagnato Duce, tornasti alfin
                                        Principessa gentil
Aria No, se a te non toglie il fato
III-4
Saebe (Smorfiosa)
*** interruzione ***
Passagallo
Recitativo accompagnato Rossanara è gelosa
*** interruzione ***
Recitativo accompagnato Riveriti signori
Aria I miei balli son tanti miracoli
III-5
Tutti
Tutti
Sospiro
Porporina
Delirio
Stonatrilla
Passagallo
Smorfiosa
Ritornello
Bragherona
Tutti
Accompagnato Ohè dico, Caverna, ascoltate!
Noi giuriamo per que’ numi
Io se ancora mill’anni ho da vivere
Io per me non vuo’ darmi altro incomodo
Nello stile d’enimma o d’Oracolo
In que’ giorni che piena passabile
Io per quanto si spenda in vestiario
Mille smorfie io farò, mille squasimi
Quanto a me spargerò nemicizie
Di mammaccia seguendo la regola
Noi giuriamo per que’ numi

La citata registrazione di Jacobs fruibile in rete contiene (nel tracciato temporale del video e nel sottostante commento) i dettagli a singoli numeri musicali o scene (inclusi quindi anche recitativi secchi) che sono di grande ausilio (insieme al testo del libretto) per seguire al meglio l’esecuzione. [Avvertenza: Jacobs sposta a prima del concertato finale dell’Atto II l’aria di Passagallo I miei balli son tanti miracoli, collocata nell’originale dopo l’interruzione dell’opera seria nell’Atto III].

Inoltre, chi volesse anche esplorare la partitura manoscritta, può visualizzarla (non scaricarla, ahinoi, salvo farne esplicita richiesta via e-mail) a questi link: Atto I, Atto II, Atto III.