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quattro chiacchiere al petrus-bar
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11 novembre, 2012

Un Rigoletto senza gobba!


Ieri sera alla Scala la terza rappresentazione (primo cast) di Rigoletto. Una produzione dal taglio zeffirelliano, piuttosto datata, a firma Gilbert Deflo, già riproposta anche un paio d'anni or sono e replicata ora per risparmiare sulla parcella di tale Luc Bondy (cui era andato l'incarico originario) e allo stesso tempo per risparmiare a noi poveri pirla un Konzept svizzero innovativo come quello dell'indimenticabile Tosca, peraltro già qui replicata in due stagioni (quando si dice il masochismo!)

Le novità di questo autunno piovigginoso, ma non freddo, sono il funambolico, ormai californiano (ciao Hugo!) Gustavo Dudamel e quel Kaufmann-de-noantri che risponde al nome di Vittorio Grigolo. Poi, accanto alla collaudata Elena Mosuc, un nuovo protagonista, George Gadnidze, che a giudicare da questo video si presentava, diciamo, ehm, con poca gobba e molta approssimazione (smile!)

Le figure dei tre protagonisti del cosiddetto dramma popolare meritano qualche considerazione preliminare.

Su quella del Duca gli esegeti sono divisi, tra quelli che non gli perdonano proprio nulla, e lo considerano un volgare libertino (com'era effettivamente il Francesco I di Francia di Hugo, e come erano, diciamolo pure, i Gonzaga di Mantova, sanLuigi escluso!) e coloro che invece (ah, il relativismo…) gli vogliono concedere una qualche attenuante, insomma una prerogativa di essere umano, prendendo a pretesto la vicenda presentata (da Piave) a cavallo fra primo e secondo atto.

Forse Verdi, che doveva essere uno disposto ai più ampi compromessi in materia (smile!) ha voluto tenere il piede in due scarpe, presentandoci un Duca che - dopo l'iniziale inequivocabile esternazione del Questa, o quella – si fa immelensire udendo Gilda dichiararsi innamorata di lui (che invece era abituato a prendersi tutte quelle che voleva, e meno innamorate erano, tanto meglio!) fino a straziarsi per il rapimento della giovane. Però, venendo a sapere che la stessa è proprio in casa sua, si fa subito richiamare dal Possente amor (una baldanzosa cabaletta!) per raggiungerla e… aggiungerla dongiovannescamente alla sua lista. Insomma, un tamarro qualsiasi che godette però della comprensione del compositore, che si fece scudo della censura austro-veneziana per risparmiarci la ripresa diretta della scena in cui il Duca è in camera a consolare la Gilda per l'affronto patito la notte precedente.

Però che il Duca sia tipo amabile e dall'innocente fascino conquistatore ce lo conferma tale Maddalena - volgare prostituta al servizio del fratello-magnaccia-sicario Sparafucile (però, che coppia!) - che se ne innamora quasi di amor filiale (in effetti non risulta chiarissimo dal libretto se i due si accoppino o meno…) fino a suggerire al fratello (integerrimo fino ad allora nel rispettare i contratti di 
business) di far secco, al posto del caro Duca del mio cuor (!) il primo che passa di lì (la povera Gilda, guarda caso!) pur di risparmiare il bel giovine che l'aveva ordinata come piatto del menu. La donna è mobile!

Ma che dire di Gilda? Una ragazza morigerata, per bene, che se ne sta castamente rinchiusa in casa da cui esce solo per andare alla messa? Ahi ahi. A parte che di messe galeotte è piena la cronaca, lei per amore dello sconosciuto che tutte le feste al tempio la tampinava, arriva a raccontar balle al preoccupatissimo genitore, nonché ad assicurarsi la complicità di tale Giovanna, che il padre aveva assunto in funzione di cerbera. Domanda: ma dopo che si è trovata in casa (se non direttamente in camera da letto) dell'innamorato - scoprendo che non era la topaia in cui diceva di vivere il suo bel Gualtier Maldè, studente squattrinato, ma il fastoso Palazzo Ducale di Mantova - che fa la nostra santarellina? Si allea subito col padre vendicatore, per far secco un tipo che le ha estorto in un sol colpo la fiducia e la verginità? Ma no, lei, pur di fronte a prove schiaccianti e flagranti della natura puttanesca del Duca, decide di sacrificare la sua propria vita per salvare quella del suo amato libertino! Beh, bisogna riconoscere che quella mattinata (!) trascorsa in camera col Duca doveva averle fatto proprio un grand'effetto…

Insomma, se il femminismo non ci fosse, qui bisognerebbe inventarlo (neanche Wagner arrivò mai a pensare a due redentrici per un sol uomo peccatore!)

Ovviamente, ciò che trasforma una improbabile tragicommedia in un capolavoro di dramma è… la musica del contadino di Roncole, che 160 anni dopo la prima apparizione ancora non ne vuol sapere di annoiare chi l'ascolta, persino a dispetto di esecuzioni, diciamo… da sottoScala, come quella ascoltata ieri.

Al protagonista Gagnidze, oltre che la gobba, manca proprio la capacità di calarsi nel ruolo, per cui quello che ascoltiamo è un Rigoletto da osteria, tutto uno schiamazzare e vociferare.  Persino l'espressione del viso (chissà se è proprio quella naturale del... cantante) è perennemente impostata sul ghigno truculento e incazzoso. La vendetta poi (complice forse Dudamel che l'attacca almeno a 183 invece che a 138 di metronomo, smile!) sembra una parata di bersaglieri. 

Vittorio Grigolo ha di sicuro l'appeal del Duca (intendo quello che serve in camera da letto…) Quanto alla voce… sarà meglio soprassedere! 

È invece da sottolineare la buona prova di Elena Mosuc, che restituisce musicalmente (soprattutto) oltre che attorialmente una pregevole Gilda. 

Alexander Tsymbalyuk, che in queste stesse settimane impersona lo sbifido Fafner, qui non ci fa propriamente la figura del drago: uno Sparafucile, il suo, piuttosto incolore ed anemico, ad esser buoni. Appena passabile anche la Maddalena di Ketevan Kemoklidze, che si è difesa come ha potuto nel finale quartetto, dove si sentivano la Mosuc e… sussurri sparsi.

Tutti gli altri onestamente all'altezza, anche se Monterone forse meriterebbe di più del prezzemolo Panariello; onesta anche la prestazione del coro di Casoni, non sempre pulitissimo (ma quanto c'entra il Gustavo?)

A proposito, si scopre che Dudamel non è ancora Toscanini (e neanche Gavazzeni, se è per quello): ma se lui dirige un'opera italiana ogni 200 sinfonie tedesche, che si può pretendere? 

Insomma, come antipasto per l'incombente anno verdiano, qualcosina di più Lissner poteva anche cucinarci; però pensando allo scampato pericolo svizzero, tutto sommato ci dobbiamo quasi consolare!

22 dicembre, 2011

Con Dudamel la Scala anticipa la Pasqua a Natale



Martedi il forfait (causa influenza intermittente) della diva-Anna, mercoledi lo striking-choir che manda a monte la nona, e stasera la Harteros che la dà buca a poche ore dal concerto… insomma l'era del nuovo Direttore musicale sembra aprirsi nel segno della sfiga (il 13° dello zodiaco, per i poco informati).


Per fortuna, per il Concerto di Natale, era in apparente buona salute almeno il californiano d'adozione Gustavo Dudamel, tornato in Scala un mese dopo il concerto con la Bolivar. Essendo come sempre proiettata nel futuro, per Natale la Scala ha messo in programma la Resurrezione, opera di un altro famoso Gustavo. E opera che è tornata finalmente a farsi udire dentro il Piermarini, dopo le diverse promesse non mantenute (da Abbado, ma anche – senza colpa – da Pappano con la S.Cecilia) nella primavera del 2010.

Dudamel, che ha diretto a memoria questo behemoth musicale, ne ha proposto una visione ampollosa e retorica al massimo grado. Non brutta, ci mancherebbe, ma con i movimenti esterni dilatati quanto di più non si potrebbe. E i 90 minuti di durata sono lì a dimostrarlo.

L'orchestra si è portata bene, anche nella sezione ottoni (sua croce-e-delizia) che ha limitato i danni ad un paio di sbavature, non di più. Eccellenti gli strumentini e veramente compatti gli archi, nei numerosi passaggi della sinfonia dove sarebbe facile cadere in asincronie e sfasature.

Il coro di Casoni – riposatosi con lo sciopero di ieri (smile!) - ha ripreso la forma di un tempo ed è quindi risorto pure lui dalle ceneri…

Il soprano Genia Kühmeier, arrivata evidentemente all'ultimo momento, e il contralto Anna Larsson hanno assai onorevolmente assolto il loro compito. In particolare la seconda, nel Lied della rosellina rossa (e dello sbifido angioletto tentatore…)

Alla fine un gran trionfo e numerose chiamate per le soliste, per Casoni e ovviamente per il Direttore che, una volta assolto il suo compito sul podio, mai più vi mette piede, rintanandosi in mezzo agli orchestrali a condividere con loro gli applausi: un bel segno di modestia, in tempi di divismo esasperato.

E domani, tutt'altro Mahler a Firenze con il sommo Claudio… che però - a giudicare dal numero di posti (soprattutto di platea, e piuttosto salati) ancora disponibile in internet e dagli sconti last minute - sembra non destare un interesse così spasmodico. Vedremo.
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22 novembre, 2011

Dudamel con la Bolívar alla Scala


Ieri sera la Scala ha ospitato un concerto speciale per la Fondazione Progetto Arca. Sul palco i ragazzi dell'Orchestra Simón Bolívar del Venezuela (prodotto del Sistema Abreu) guidati dal loro giovane-vecchio condottiero Gustavo Dudamel, più che mai integrato con i suoi compagni (a parte le entrate, non è mai risalito sul podio per ricevere personalmente gli applausi, che ha lasciato solo al gruppo, dentro al quale si è mescolato proprio come un primus-inter-pares).

Programma robusto e impegnativo, che ci ha portato musiche distanti all'incirca un secolo, dal Beethoven maggiorenne alla coppia Ravel-Stravinski.

La Sinfonia in MIb è – nel suo genere - l'opera che segna la grande svolta di Beethoven, che si allontana decisamente e definitivamente da tradizioni e schemi settecenteschi per aprire nuove vie e nuovi orizzonti. Mai prima di quell'estate del 1804 si era udito qualcosa di simile ai due schianti di tutta l'orchestra (con tre corni!) con cui il genio di Bonn inchioda immediatamente l'ascoltatore alle sue responsabilità… (al confronto impallidisce anche il severo attacco della mozartiana Jupiter). La Sinfónica si presenta con un organico ipertrofico: tutti i fiati letteralmente raddoppiati (6 corni!) per contrastare la massa di ben 70 archi (nemmeno Strauss… e cresceranno ancora dopo l'intervallo!) ma Dudamel sa come dosare il suono e impiega l'intero apparato solo a ragion veduta, restituendoci un Beethoven tutto sommato assai sobrio e senza eccessi tardo-romantici. Fanno sempre impressione la compattezza e il livello tecnico di questa squadra, se si pensa al come viene costruita.

Dopo la pausa il palco si affolla ulteriormente: altri archi (!) e arpe, pianoforte e celesta, sax, tromboni e tuba, batteria di percussioni, per la Seconda Suite da Daphnis et Chloé di Ravel. Dove peraltro sono gli strumentini (flauti e clarinetti in specie) ad essere chiamati a virtuosismi stratosferici. Gran trionfo personale per la prima (bionda e bella!) flautista.

Chiude L'uccello di fuoco di Stravinski, precisamente i 6 numeri della Seconda Suite (del 1919). Mirabile il contrasto fra i numeri languidi e delicati (vedi la Danza delle principesse con il suo sognante tema esposto dall'oboe) e quelli scatenati (come la Danza infernale, col suo bizzarro Allegro rapace); di grandissimo effetto la chiusa, con gli smaglianti accordi dei fiati sul tappeto di SI maggiore, in tremolo, degli archi. Pubblico in delirio e immancabile bis, che è la sinfonia della Forza, di certo un omaggio all'Italia, ma anche un chiaro riferimento alle circostanze e alle volontà che rendono possibile – almeno in campo musicale - il fenomeno-Venezuela.

Poi si fa buio in sala per la vestizione dei ragazzi, che indossano – come Gustavo - la casacca giallo-rosso-blu-stellata (ci vuole davvero un po' di colore in questo ambiente scaligero che scade sempre di più nel grigio) e si scatenano in un paio di forsennati e vorticosi pezzi di bravura: magari in tutte le discoteche si suonasse questa musica e in questo modo! Tifo da stadio - o da discoteca, appunto – a salutare questa splendida gioventù.
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17 novembre, 2010

Gustavino in concerto alla Scala


Prima di chiudere (il 18 novembre) il ciclo della Carmen, per il quale non è che abbia raccolto consensi proprio estasiati (almeno stando a ciò che si racconta in giro… personalmente una serata della Dante lo scorso dicembre mi è bastata ed avanzata) il funambolico venezuelano, al momento re di LosAngeles, sale sul podio dei Filarmonici per un concertone di quelli classici.
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Dapprima è il 53enne Pierre-Laurent Aimard a fargli da sodale (quanto ad età potrebbe essergli padre) nel beethoveniano ImperatoreInterpretazione che rifugge da ogni enfasi ed esibizionismo: quasi tutta in punta di piedi (o di dita!) nulla di eroico o imperiale. E forse per questo da godere e ricordare (massimamente l'Adagio). L'orchestra fa il suo dovere, senza peccati né invasioni di campo, guidata da un sempre sorridente Dudamel (che sfoglia una partitura formato tascabile!) Accoglienza calorosa da parte di un pubblico folto, ma non oceanico e… niente bis.

 
Il campione di El Sistema di Abreu - che alcuni auspicano venga chiamato a ricoprire il posto, vacante da 5 anni, che fu di Muti, e prima di Abbado (della serie: meglio anche un ignorante di opera, che nessuno) – ha invece tutta quanta in mente la partitura della Settima di Bruckner, quattro movimenti per un totale di 443 + 219 + 402 + 339 = 1403 misure! Sinfonia già ascoltata qui dai filarmonici a gennaio scorso, sotto la guida di un pedante Christoph Eschenbach. Gustavo, che ha fuoco latino nelle vene, e ai professori trasmette allegria e non timore reverenziale, ne dà un'interpretazione asciutta ed equilibrata nei tempi (forse ancora un filino troppo lento, per me, l'iniziale Allegro moderato).

 
In particolare nell'Adagio - preso atto che anche lui non se l'è sentita di negare all'addetto ai piatti i suoi tre secondi di gloria - Dudamel ha mostrato una stupefacente maturità (o forse ha semplicemente preteso il pedestre rispetto della partitura, senza aggiungerci troppo di suo) evitando di cadere in qualunque retorica – Tod-in-Venedig - o in eccessivi deliqui.

 
I filarmonici hanno risposto onorevolmente: gli ottoni, tubette comprese, non hanno incespicato mai (sarà poco, ma spesso non c'è nemmeno questo) anche se si potrà storcere un poco il naso sulla qualità del suono. Discreti gli archi e ottimi i legni. Alla fine applausi nutriti, sporcati da un fischio e da un urlo (da interpretarsi come buh?) per un'orchestra che – da 5 anni senza una guida stabile ed autorevole – fa quel che può.

 
In complesso: accontentiamoci di una piacevole serata di grande musica, che tira su un poco il morale, abbattuto da questa insistente pioggia novembrina (per non parlar d'altro…)
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05 ottobre, 2009

Duddy infiamma LosAngeles

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Fino a questa sera (le 11 del mattino sul Pacifico) si può vedere e ascoltare la Nona di Beethoven che Gustavo Dudamel ha diretto per il suo debutto ufficiale a LosAngeles (Hollywood Bowl).
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Forse non da antologia… salvo che per il livello di entusiasmo che Dudamel ha scatenato laggiù. Applausi, anzi urla, fino dal suo ingresso, come per una rock-star.

Il ragazzo ha fatto anche un discorsetto, alla fine, mezzo inglese e mezzo spagnolo: Stiamo uniti per la musica, per Beethoven e facciamolo per questi bambini che sono qui oggi. Un unico continente, niente nord e sud. Sono orgoglioso di essere sud-americano, ma più ancora di essere americano.











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E poi un bis del coro finale con fuochi d’artificio e sparo di mortaretti!

Americanate?
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