Prima di chiudere (il 18 novembre) il ciclo della Carmen, per il quale non è che abbia raccolto consensi proprio estasiati (almeno stando a ciò che si racconta in giro… personalmente una serata della Dante lo scorso dicembre mi è bastata ed avanzata) il funambolico venezuelano, al momento re di LosAngeles, sale sul podio dei Filarmonici per un concertone di quelli classici.
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Dapprima è il 53enne Pierre-Laurent Aimard a fargli da sodale (quanto ad età potrebbe essergli padre) nel beethoveniano Imperatore. Interpretazione che rifugge da ogni enfasi ed esibizionismo: quasi tutta in punta di piedi (o di dita!) nulla di eroico o imperiale. E forse per questo da godere e ricordare (massimamente l'Adagio). L'orchestra fa il suo dovere, senza peccati né invasioni di campo, guidata da un sempre sorridente Dudamel (che sfoglia una partitura formato tascabile!) Accoglienza calorosa da parte di un pubblico folto, ma non oceanico e… niente bis.
Il campione di El Sistema di Abreu - che alcuni auspicano venga chiamato a ricoprire il posto, vacante da 5 anni, che fu di Muti, e prima di Abbado (della serie: meglio anche un ignorante di opera, che nessuno) – ha invece tutta quanta in mente la partitura della Settima di Bruckner, quattro movimenti per un totale di 443 + 219 + 402 + 339 = 1403 misure! Sinfonia già ascoltata qui dai filarmonici a gennaio scorso, sotto la guida di un pedante Christoph Eschenbach. Gustavo, che ha fuoco latino nelle vene, e ai professori trasmette allegria e non timore reverenziale, ne dà un'interpretazione asciutta ed equilibrata nei tempi (forse ancora un filino troppo lento, per me, l'iniziale Allegro moderato).
In particolare nell'Adagio - preso atto che anche lui non se l'è sentita di negare all'addetto ai piatti i suoi tre secondi di gloria - Dudamel ha mostrato una stupefacente maturità (o forse ha semplicemente preteso il pedestre rispetto della partitura, senza aggiungerci troppo di suo) evitando di cadere in qualunque retorica – Tod-in-Venedig - o in eccessivi deliqui.
I filarmonici hanno risposto onorevolmente: gli ottoni, tubette comprese, non hanno incespicato mai (sarà poco, ma spesso non c'è nemmeno questo) anche se si potrà storcere un poco il naso sulla qualità del suono. Discreti gli archi e ottimi i legni. Alla fine applausi nutriti, sporcati da un fischio e da un urlo (da interpretarsi come buh?) per un'orchestra che – da 5 anni senza una guida stabile ed autorevole – fa quel che può.
In complesso: accontentiamoci di una piacevole serata di grande musica, che tira su un poco il morale, abbattuto da questa insistente pioggia novembrina (per non parlar d'altro…)
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