La
nuova tappa verso l’agognata meta (marzo 2026) delle due rappresentazioni del
ciclo completo del Ring arriva ora alla Seconda giornata (Siegfried). Ieri la prima
rappresentazione, in un teatro affollato ma non troppo, ecco.
Prima
dell’inizio, a luci in sala già spente, sul sipario rigido vengono proiettate
scritte con il NO alla guerra e il SI alla pace, con il nobile, ecumenico appello di... Simon Boccanegra. Servirà a qualcosa?
___
Qualcuno
ha azzardato una similitudine, in fatto di contenuti musicali, fra le quattro
parti del Ring e gli altrettanti movimenti di una sinfonia (e infatti si dice
anche che Wagner abbia portato la sinfonia nell’opera…) Siegfried assumerebbe
quindi, perlomeno in analogia alla sinfonia beethoveniana (e post-) la
posizione e il ruolo dello Scherzo. Il più illustre esegeta italiano del
Ring, Teodoro Celli, così si esprimeva in proposito nella sua memorabile
Guida
all’ascolto
del 1983:
Ma
naturalmente si potrebbe anche associare la quadripartita forma del Ring alle quattro
stagioni: partendo dal Rheingold visto come il crudo Inverno
dell’Universo; passando poi a Walküre come la promettente Primavera;
quindi a Siegfried, la calda Estate; e per finire con Götterdämmerung,
l’Autunno che prefigura il ritorno alla stagione fredda, dove tutto
lentamente muore per prepararsi ad un nuovo ciclo di vita…
E,
perchè no, a proposito di vita, anche alle fasi dell’esistenza di ogni creatura
vivente, che viene faticosamente alla luce, poi si sviluppa, quindi esprime il
massimo delle sue potenzialità, per poi lentamente avviarsi al suo inevitabile
tramonto, con prospettive consolanti o disperanti…
È
ovvio che questi raffronti lasciano il tempo che trovano, se non altro perché
le dimensioni stesse del mostro wagneriano impediscono di poterne cogliere
l’intero panorama in un sol colpo d’occhio e in una sola esperienza, nemmeno
mettendosi per 15 ore consecutive ad ascoltarlo da cima a fondo… e peggio
ancora quando le quattro parti sono messe in scena separatamente e a distanza
di mesi (o anni!) E poi, la stessa materiale estensione temporale della
composizione del tutto rende inevitabili piccole o grandi mutazioni nello stile
compositivo di Wagner.
Resta comunque possibile,
prendendo a testimone Verdi, individuare anche in Wagner quella che il Peppino
definiva come la tinta di ogni sua opera. E da questo punto di vista
certamente si può concludere che Siegfried sia, musicalmente, davvero un’opera
solare.
E
quindi: come ce l’ha proposta, la simpatica Simone Young? Una confortante testimonianza
tecnologica ci veniva dallo scorso Festival wagneriano,
dove la Young ha esordito - dopo decenni di gavetta - proprio con la direzione del Ring, con cast (quasi
del tutto) diverso da quello scaligero. Ieri la
Direttrice aussie mi è parsa apprezzabile nell’approccio all’agogica, e
un po’ sopra le righe nelle dinamiche,
spesso fin troppo invadenti. Il che ha messo in risalto la splendida forma dell’Orchestra,
facendo uscire dalla buca travolgenti fiumi sonori (memorabile il corno di Giovanni
Emanuele Urso!); suoni che hanno magari penalizzato le voci, ecco.
Michael Volle, è stato
ancora una volta un Wotan all’altezza del ruolo: gli anni si fanno sentire, ma la voce… pure, in senso positivo, ovvio!
Siegfried
è Klaus Florian Vogt, che canta benissimo con la sua voce di tenore…
lirico. Chi si aspetterebbe il classico Heldentenor magari storce il
naso. Ma ci dobbiamo accontentare e forse pure abituarci.
Benissimo
la Camilla Nylund, una convincente Brünnhilde, capace sempre di
emozionarci: per la sua trasformazione nella Walküre e qui per la sua sofferta,
ma alla fine convinta, accettazione del suo status di donna.
Ottima
ancora la prestazione di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, un Mime esemplare
per canto e presenza scenica. Il fratello cattivo Alberich è un Ólafur
Sigurdarson che (come in Rheingold) è eccessivamente caricaturale, ma
vocalmente apprezzabile.
Onesta
la prestazione del drago Fafner, un Ain
Anger un po’… leggero da vivo, con i tritoni poco efficaci, ma meglio
da moribondo, quando torna al classico diatonismo.
Bene
anche la Erda di Christa
Mayer, che resiste come può agli strapazzi di cui la fa bersaglio l’ingrato
Wotan.
Piacevole
sorpresa l’uccellino di Francesca Aspromonte, voce penetrante (e non…
pigolante) che peraltro il regista ha sempre fatto cantare ben in primo piano e
non, come accade spesso, appollaiata in qualche remoto angolo della torre
scenica.
Per
tutti i musikanten alla fine solo applausi, ovazioni e trionfo pieno.
___
McVicar. Come nei due
precedenti drammi, la sua impostazione scenica è piuttosto minimalista, con
poco più dell’essenziale. Tuttavia mi è parsa complessivamente efficace.
Nel
primo atto la stamberga di Mime è assolutamente realistica, con la forgia, il
mantice e tutti gli attrezzi necessari, il che ci permette di seguire
perfettamente tutto il complesso processo di rifusione e ricostruzione della
spada. Un paio di trovate sono da segnalare: Mime che si traveste da megera
quando deve spiegare a Siegfried di essergli anche madre, oltre che padre (poi
si abbiglierà da regina al momento di esultare per la prossima riuscita del suo
piano). Poi la veste di Sieglinde che lui mostra a Siegfried quando gli
descrive la sua nascita; veste che poi Wotan – alla seconda domanda che
indirizza a Mime - ritrova e stringe al petto in commosso ricordo della figlia!
Nel
secondo atto la scena è più spoglia (un paio di alberi e poco più) per
accogliere Alberich, vestito da sovrano spodestato che trascina un carretto con
le sue povere cose, inclusa una corona dorata; e Wotan che arriva per
organizzare la pantomima con Fafner. Scena che poi si svuota proprio all’uscita
del drago, una specie di enorme ragno teschiuto manovrato da comparse, finchè è
vivo. Poi, trafitto al cuore da Siegfried, si ritira sul fiondo e al suo posto
compare… Ain Anger a far la figura del… moribondo. L’uccellino è un gallinaceo-giocattolo,
a volte manovrato dalla Aspromonte e altre fatto svolazzare qua e là da
una comparsa munita di lunga pertica: come detto, ciò consente alla cantante di
farsi ben udire da tutti.
Nel
terzo atto la scena si riduce alla presenza di un globo terracqueo dietro al quale
compare Erda per il suo confronto con il padre delle sue numerose figlie… Poi la
scena viene quasi totalmente chiusa da una grande quinta che lascia solo
intravedere un ambiente infuocato. Wotan e Siegfried si incontrano, e scontrano,
solo al proscenio. Per la terza e conclusiva scena tornano l’enorme testa supina
di Erda e la manona (una delle tre comparse nel Rheingold) che nella Walküre
era servita come letto su cui adagiare Brünnhilde. Che ora viene svegliata dai ripetuti
baci di Siegfried per dar poi luogo al travologente finale, con lucente amore e
ridente morte.
Insomma,
una messinscena che personalmente tendo ad apprezzare, come onesto compromesso
fra un frusto tradizionalismo e tante astruse ambientazioni moderne. Qui il
pubblico si è diviso fra applausi e qualche contestazione. Ma in complesso
direi che questa tappa del lungo viaggio sia stata un buon… passo avanti.