XIV

da prevosto a leone
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26 novembre, 2012

La dignità del Tristan alla Fenice


Ieri pomeriggio la terza del Tristan veneziano, in un teatro affollato, ma non proprio esaurito. Anzi, andatosi tristemente svuotando di intervello in intervallo. Che dire? perle ai porci?

Beh, forse proprio non erano perle, ma certo un Tristan più che decoroso non si ascolta e vede tutti i giorni. E si avrebbe sempre qualcosa da imparare, se i buhatori spiegassero le loro ragioni. Dico: quello (o quei due al massimo) che hanno accolto Chung alla sua uscita finale sul palco con sonorissimi buh dovrebbero gentilmente far sapere ai poveri pirla che gridavano bravo! e applaudivano calorosamente che cosa non andava secondo loro nella direzione del coreano (o erano forse i suoi occhi sporgenti?) Direzione che io (ma evidentemente sono un crasso ignorante, e per questo mi piacerebbe imparare qualcosa…) ho trovato di livello se non assoluto, quanto meno elevatissimo (gli perdonerò qualche eccessivo fracasso nel finale).

La compagnia di canto non è proprio di quelle da star-system, ma se l’è cavata degnamente. Su tutti, per me, la Brangäne di Tuija Knihtila, voce bellissima e penetrante, che ha spesso sovrastato – nei loro dialoghi - la pur brava Brigitte Pinter. La quale è stata un’apprezzabile Isolde, pur con qualche piccola pecca sugli acuti pieni, un po’ troppo aperti e vocianti. E il modo con cui fissava in continuazione Chung (non Tristan!) fa pensare anche a un qualche disagio, se non proprio ad insicurezza (sarà mica questa la ragione dei buh al maestro?)  

Ian Storey, da cinque anni esatti a questa parte (cioè da quando Barenboim gli appaltò per la prima volta il ruolo per l’inaugurazione scaligera del 2007) è evidentemente migliorato, almeno come capacità di tenuta fino in fondo (allora aveva mostrato chiare défaillances, e anche in seguito, vedi a Genova nel 2010, se l’era cavata solo grazie ad abbondanti tagli nel second’atto). La voce non sarà straordinaria (anche lui meno penetrante della Knihtila) ma pare anche emotivamente adatta al personaggio (non parliamo poi delle qualità attoriali, che non si scoprono oggi).

Il Kurwenal di Richard Paul Fink non mi è dispiaciuto, sia nelle sue sguaiate esternazioni del prim’atto, che nelle sue premurose attenzioni del terzo. Un po’ a desiderare ha lasciato il suo modo di muoversi (ma quanto c’entra la regìa?) che ne faceva più una figura di cuoco o, che so, di addetto alle stalle, che non del rude luogotenente di Tristan!    

Attila Jun era König Marke: voce discreta, non eccezionale; quello che personalmente gli contesto è una caratterizzazione troppo focosa e meridionale della figura del vecchio Re: che ai miei occhi dovrebbe essere un personaggio dolorosamente colpito dal tradimento del figlioccio, ma che mantiene sempre (nel canto e nei gesti) l’aplombe e la regalità del suo ruolo, senza fare gesti inconsulti o imprecare come Rigoletto contro i cortigiani (!) 
     
Francamente modesto il Melot di Marcello Nardis (meno male che canta poco, smile!); apprezzabili i comprimari, in specie Gian Luca Pasolini, il mozzo che ha l’ingrato compito di rompere il ghiaccio. Come pure il pastore Mirko Guadagnini (chi ha trionfato con pieno merito è stata la sua… controfigura al corno inglese, Renato Nason) e Armando Gabba (il timoniere).

Il coro di Claudio Marino Moretti non si è mai… visto, ma ha sostenuto efficacemente la sua parte, che è limitata al primo atto.
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Due cosette sull’allestimento di Paul Curran (con le scene/costumi di Robert Hopkins e le luci di David Jacques). Dirò subito che, con tante stupidaggini che si vedono in giro di questi tempi, qui siamo al rigore (quasi) assoluto: grazie!

Sì, non mancano trovate abbastanza gratuite, come il Tristan che gioca a carte con Kurwenal durante l’intera prima scena: qui non si tratta solo di infedeltà rispetto al libretto, ma di una evidente banalizzazione del personaggio. Tristan se ne dovrebbe stare da solo a scrutare il mare (o il vuoto) perché ha qualcosa (e sapremo bene cosa) che gli rode dentro: mostrandocelo mentre gioca a carte per far passare il tempo è francamente deludente. E poi contrasta in pieno con il pretesto che Tristan invocherà per rispedire Brangäne a mani vuote (dover attendere al timone…) Buona invece l’idea scenografica della gabbia che rinchiude Tristan, efficace strumento ad evocare la barriera psicologica che separa i due protagonisti. Così come efficace e quasi didascalico è l’impiego delle luci al momento del brindisi e del risveglio: buio totale dopo l’assunzione del filtro e poi una luce violenta e concentrata sul pavimento verso la quale i due amanti, finalmente dichiaratisi, si trascinano bocconi, fino a congiungere le loro mani.

Nel second’atto la scena è nuda e sembra più un carcere che una lussuosa dimora, albero spoglio incluso (che il sempre sapido amfortas giustamente vedrebbe meglio nella Walküre!) Le libagioni dei due amanti (Tristan si è portato dietro in bisaccia bottiglia e calici, ma Isolde tracanna anche direttamente dalla bottiglia!) sono forse un cedimento alle abitudini del regista (scozzese, smile!) Quando i due amanti vengono sorpresi, secondo Wagner Isolde dovrebbe accucciarsi vergognosa sul sedile fiorito (e fin qui ci siamo quasi… mancano solo i fiori) e Tristan, in piedi, dovrebbe aprire il braccio per coprire col mantello la vista della svergognata. Qui invece vediamo Tristan coprire direttamente (in modo biblico, proprio!) la sventurata… Evabbè. Poi, dopo che Marke ha fatto il pistolotto e Tristan e Isolde hanno chiarito a tutti le loro intenzioni, il nostro eroe bacia la sua amata… dove? Mica in fronte, come poeticamente avverte Wagner, ma proprio e bene sulla bocca (in modo che anche i distratti possano capire, smile!)  

Nel terz’atto tornano le suppellettili del primo (fasciami di nave e gabbia di legno) ma tutte sgangherate e cadenti: e ci sta senz’altro, dato ciò che è accaduto nel frattempo. Tristan giace su una poltrona (e va bene) e se ne sta anche abbastanza fermo, come vorrebbe Wagner (che lo fa alzare solo all’avvicinarsi di Isolde). Bende insanguinate dappertutto non lasciano dubbi sul suo stato fisico, anche se l’attenzione di noi tutti dovrebbe concentrarsi esclusivamente su quello spirituale…

Il finale è rappresentato con efficacia e poesia: Isolde trasfigurata sul cadavere di Tristan e tutti gli altri, in penombra, inebetiti ad osservare.
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Per me, lo spettacolo vale assolutamente la pena (del prezzo del biglietto e del trasferimento in laguna). Poi però: non scappate durante gli intervalli, please!

29 aprile, 2010

Carlo Felice: un Tristan con lo sconto

No, non era una riduzione del prezzo dei biglietti… siamo a Genova, figuriamoci. No, si è trattato di un generoso regalo alla coppia Storey-McKrill (ma soprattutto al primo) sotto forma di un brutale taglio al grande duetto del secondo atto, sei strofe a testa abbuonate ai due protagonisti! Sarebbe interessante scoprire se si sia trattato di un episodio (magari legato alla presenza imprevista del tenore britannico, che doveva avere un turno di riposo, rimpiazzato da Sergey Nayda, ma che l'altoparlante, dopo l'intimazione a silenziare i telefoni, ha annunciato in scena) o invece non fosse un provvedimento già pianificato in partenza. In tutti i modi, nobbuono.

Invece chissà se un bel taglio ai prezzi d'ingresso non avrebbe contribuito ad evitarci l'immagine di una platea sì e no riempita al 50%. Sento dire che anche le recite precedenti non sono state da più… Brutto affare, perché porta acqua al mulino dei tagliatori di (teste) fondi e di chi sostiene che il teatro musicale non sia (più) un'arte da promuoversi con risorse pubbliche. Uguale a: buonanottealsecchio!

La performance: in sintesi, qualcosa fra il discreto e il mediocre, ma vediamo meglio, cominciando da regia&accessori. Intanto va premesso che in origine la regia doveva essere affidata a Giancarlo Cobelli, ma che poi se ne è fatto carico - proprio à la Wagner – il venerabile Gianluigi Gelmetti. Il quale – sulle scene di Maurizio Balò – ha fatto la cosa più saggia (per nulla ovvia ai tempi d'oggidì): applicare le direttive che l'Autore ha lasciato scritte sulla partitura fra, o sopra, o sotto i pentagrammi.

Peraltro qualche trovata gratuita la vediamo comunque, ad esempio: Tristan prima, e Kurwenal poi (già, lo scudiero imita sempre il condottiero!) si feriscono mortalmente con atti esplicitamente suicidi, afferrando le lance di Melot e Marke per trafiggersi con esse: trattasi nel primo caso di un'evidente forzatura dell'originale, nel secondo di un'invenzione bella e buona.

Invece dubito che siano dipese da Gelmetti alcune scelte francamente discutibili, legate all'impiego di movimenti mimici, sullo sfondo – ma non solo - della scena: nel secondo atto, a sottolineare il (tagliato) duetto d'amore e nel terzo a simulare lo scontro fra i fedeli di Kurwenal e quelli di Marke. Inoltre, all'inizio del terzo atto, vediamo ben 5 comparse in scena, dapprima immobili, poi indaffarate attorno a Tristan, che non sono assolutamente previste nell'originale e che finiscono per distogliere l'attenzione dello spettatore dalle vaneggianti esternazioni dell'eroe ferito.

Ma siamo sempre lì: Tristan è un'opera tutta cerebrale, centrata sull'introspezione psicologica, quindi assai statica, difficile da digerire; per di più in tedesco, lingua che pochi capiscono e che magari i cantanti sbiascicano male. E allora, per evitare che lo spettatore medio si esasperi, bisogna attirarne l'attenzione con qualche improbabile accessorio.

Altra domanda che viene spontanea: perché le ambientazioni, tutte, devono essere buie, spoglie e deprimenti? Nei primi due atti Wagner prescrive ambienti lussuosi (la nave ammiraglia del RE di Cornovaglia, perdinci!) e la residenza principesca di Isolde, immersa in una specie di parco botanico. Invece noi vediamo il fasciame decrepito di una barcaccia (smile!) che fa invariabilmente da pavimento e pareti. Certo, alla Scala un paio d'anni fa Peduzzi aveva fatto anche di peggio, ma questo non è un buon motivo per assolvere lo scenografo.

Com'è andata sul piano musicale?

Qualche osservazione ambientale. Gelmetti fa aprire il sipario sempre all'inizio – non alla fine – dei tre preludi: peraltro la scena è quasi al buio, si intravedono solo le strutture e i personaggi sono immobili. Quindi, tutto sommato, poco male, anche se vien da domandarsi perché l'Autore abbia puntigliosamente indicato sulla partitura la battuta precisa per l'alzata del sipario.

Secondo: la voce del marinaio che canta la sua canzone all'inizio dell'opera e il suono del corno inglese che canta la sua melodia all'inizio del terzo atto arrivano forse un po' troppo da lontano. In compenso, alla conclusione del primo atto, le tre trombe e i tre tromboni previsti da Wagner sulla scena sono in realtà dislocati su due loggette che danno direttamente sulla parte bassa della platea. Per chi, come il sottoscritto, stava proprio lì sotto, un effetto sgradevolissimo, in quanto si udivano solo quegli ottoni, e nulla di quanto usciva dalla buca e dalla scena.

In dettaglio. Gelmetti – sempre senza bacchetta - ha fatto onestamente la sua parte, con un po' di discontinuità: nei primi due atti ha tenuto bene a bada l'orchestra, impedendo che coprisse le non potentissime voci dei protagonisti; ma nell'atto conclusivo ha mollato briglie e ormeggi e le voci han faticato a passare; penalizzato soprattutto Storey nel suo finale vaneggiamento. Discreta l'esecuzione dei preludi, con tempi sempre staccati appropriatamente e senza strappi indebiti. Qualche passo non ha avuto il giusto amalgama di suono (vedi i due passaggi dei violoncelli che annunciano l'arrivo di Tristan – atto II – dove il FA tenuto dei due corni ne copriva eccessivamente la melodia). Bellissimo invece l'effetto del corno inglese di Claudio Binetti (fatto salire sul palco alla fine a godersi un meritato applauso) nella gioiosa perorazione all'arrivo di Isolde nel terzo atto.

Ian Storey è stato un Tristan così-così: presenza scenica notevole, ma voce poco penetrante; francamente a due anni (e rotti) di distanza dal suo debutto nel ruolo alla Scala non mi è parso aver progredito di molto; è arrivato discretamente fino in fondo, grazie al fiato risparmiatosi nel secondo atto!

Elaine McKrill era Isolde: poco udibile nell'ottava bassa, buona in alto, però i due SI alla fine del duetto li ha francamente urlati. Discreto il Liebestod, anche se il conclusivo Lust lo ha tenuto sì e no una minima, anziché la prescritta semibreve. Problemi di fiato, evidentemente.

Brangäne era Monika Waeckerle. Prestazione più che dignitosa, la sua, voce potente e passante, forse un vibrato non troppo gradevole, però merita un plauso.

Jukka Rasilainen è stato un buon Kurwenal, la sua voce non si è mai persa, timbro forse troppo leggero per il personaggio, ma ottima resa. Per me, il migliore, con la Waeckerle.

Il König Marke di Andrzej Saciuk piuttosto discutibile: la voce c'è, ma l'interpretazione francamente ha deluso; già la presenza fisica, per chi ha in mente Mattila o Salminen, è imbarazzante (ma qui il poveraccio non ne ha colpa!) però il monologo del secondo atto lo ha tirato via (complice Gelmetti?) alla maniera di quei curati che recitano giaculatorie a mitraglia… tanto nessuno ci capisce nulla e ci si interessa!

Gli altri (Roberto Accurso, Melot; Antonio Poli, marinaio e pastore; Alessandro Battiato, timoniere) han fatto dignitosamente la loro parte, come il Coro di Franco Sebastiani.

Alla fine grandi applausi per tutti, assolutamente doverosi perché un Tristan è pur sempre un Tristan, mica noccioline!

Ma chissà se erano anche di liberazione, dopo quattro ore e mezza (ancora poche, per via dei tagli) di impegno. O perché nel frattempo l'Inter aveva raggiunto la finale?