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26 novembre, 2012

La dignità del Tristan alla Fenice


Ieri pomeriggio la terza del Tristan veneziano, in un teatro affollato, ma non proprio esaurito. Anzi, andatosi tristemente svuotando di intervello in intervallo. Che dire? perle ai porci?

Beh, forse proprio non erano perle, ma certo un Tristan più che decoroso non si ascolta e vede tutti i giorni. E si avrebbe sempre qualcosa da imparare, se i buhatori spiegassero le loro ragioni. Dico: quello (o quei due al massimo) che hanno accolto Chung alla sua uscita finale sul palco con sonorissimi buh dovrebbero gentilmente far sapere ai poveri pirla che gridavano bravo! e applaudivano calorosamente che cosa non andava secondo loro nella direzione del coreano (o erano forse i suoi occhi sporgenti?) Direzione che io (ma evidentemente sono un crasso ignorante, e per questo mi piacerebbe imparare qualcosa…) ho trovato di livello se non assoluto, quanto meno elevatissimo (gli perdonerò qualche eccessivo fracasso nel finale).

La compagnia di canto non è proprio di quelle da star-system, ma se l’è cavata degnamente. Su tutti, per me, la Brangäne di Tuija Knihtila, voce bellissima e penetrante, che ha spesso sovrastato – nei loro dialoghi - la pur brava Brigitte Pinter. La quale è stata un’apprezzabile Isolde, pur con qualche piccola pecca sugli acuti pieni, un po’ troppo aperti e vocianti. E il modo con cui fissava in continuazione Chung (non Tristan!) fa pensare anche a un qualche disagio, se non proprio ad insicurezza (sarà mica questa la ragione dei buh al maestro?)  

Ian Storey, da cinque anni esatti a questa parte (cioè da quando Barenboim gli appaltò per la prima volta il ruolo per l’inaugurazione scaligera del 2007) è evidentemente migliorato, almeno come capacità di tenuta fino in fondo (allora aveva mostrato chiare défaillances, e anche in seguito, vedi a Genova nel 2010, se l’era cavata solo grazie ad abbondanti tagli nel second’atto). La voce non sarà straordinaria (anche lui meno penetrante della Knihtila) ma pare anche emotivamente adatta al personaggio (non parliamo poi delle qualità attoriali, che non si scoprono oggi).

Il Kurwenal di Richard Paul Fink non mi è dispiaciuto, sia nelle sue sguaiate esternazioni del prim’atto, che nelle sue premurose attenzioni del terzo. Un po’ a desiderare ha lasciato il suo modo di muoversi (ma quanto c’entra la regìa?) che ne faceva più una figura di cuoco o, che so, di addetto alle stalle, che non del rude luogotenente di Tristan!    

Attila Jun era König Marke: voce discreta, non eccezionale; quello che personalmente gli contesto è una caratterizzazione troppo focosa e meridionale della figura del vecchio Re: che ai miei occhi dovrebbe essere un personaggio dolorosamente colpito dal tradimento del figlioccio, ma che mantiene sempre (nel canto e nei gesti) l’aplombe e la regalità del suo ruolo, senza fare gesti inconsulti o imprecare come Rigoletto contro i cortigiani (!) 
     
Francamente modesto il Melot di Marcello Nardis (meno male che canta poco, smile!); apprezzabili i comprimari, in specie Gian Luca Pasolini, il mozzo che ha l’ingrato compito di rompere il ghiaccio. Come pure il pastore Mirko Guadagnini (chi ha trionfato con pieno merito è stata la sua… controfigura al corno inglese, Renato Nason) e Armando Gabba (il timoniere).

Il coro di Claudio Marino Moretti non si è mai… visto, ma ha sostenuto efficacemente la sua parte, che è limitata al primo atto.
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Due cosette sull’allestimento di Paul Curran (con le scene/costumi di Robert Hopkins e le luci di David Jacques). Dirò subito che, con tante stupidaggini che si vedono in giro di questi tempi, qui siamo al rigore (quasi) assoluto: grazie!

Sì, non mancano trovate abbastanza gratuite, come il Tristan che gioca a carte con Kurwenal durante l’intera prima scena: qui non si tratta solo di infedeltà rispetto al libretto, ma di una evidente banalizzazione del personaggio. Tristan se ne dovrebbe stare da solo a scrutare il mare (o il vuoto) perché ha qualcosa (e sapremo bene cosa) che gli rode dentro: mostrandocelo mentre gioca a carte per far passare il tempo è francamente deludente. E poi contrasta in pieno con il pretesto che Tristan invocherà per rispedire Brangäne a mani vuote (dover attendere al timone…) Buona invece l’idea scenografica della gabbia che rinchiude Tristan, efficace strumento ad evocare la barriera psicologica che separa i due protagonisti. Così come efficace e quasi didascalico è l’impiego delle luci al momento del brindisi e del risveglio: buio totale dopo l’assunzione del filtro e poi una luce violenta e concentrata sul pavimento verso la quale i due amanti, finalmente dichiaratisi, si trascinano bocconi, fino a congiungere le loro mani.

Nel second’atto la scena è nuda e sembra più un carcere che una lussuosa dimora, albero spoglio incluso (che il sempre sapido amfortas giustamente vedrebbe meglio nella Walküre!) Le libagioni dei due amanti (Tristan si è portato dietro in bisaccia bottiglia e calici, ma Isolde tracanna anche direttamente dalla bottiglia!) sono forse un cedimento alle abitudini del regista (scozzese, smile!) Quando i due amanti vengono sorpresi, secondo Wagner Isolde dovrebbe accucciarsi vergognosa sul sedile fiorito (e fin qui ci siamo quasi… mancano solo i fiori) e Tristan, in piedi, dovrebbe aprire il braccio per coprire col mantello la vista della svergognata. Qui invece vediamo Tristan coprire direttamente (in modo biblico, proprio!) la sventurata… Evabbè. Poi, dopo che Marke ha fatto il pistolotto e Tristan e Isolde hanno chiarito a tutti le loro intenzioni, il nostro eroe bacia la sua amata… dove? Mica in fronte, come poeticamente avverte Wagner, ma proprio e bene sulla bocca (in modo che anche i distratti possano capire, smile!)  

Nel terz’atto tornano le suppellettili del primo (fasciami di nave e gabbia di legno) ma tutte sgangherate e cadenti: e ci sta senz’altro, dato ciò che è accaduto nel frattempo. Tristan giace su una poltrona (e va bene) e se ne sta anche abbastanza fermo, come vorrebbe Wagner (che lo fa alzare solo all’avvicinarsi di Isolde). Bende insanguinate dappertutto non lasciano dubbi sul suo stato fisico, anche se l’attenzione di noi tutti dovrebbe concentrarsi esclusivamente su quello spirituale…

Il finale è rappresentato con efficacia e poesia: Isolde trasfigurata sul cadavere di Tristan e tutti gli altri, in penombra, inebetiti ad osservare.
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Per me, lo spettacolo vale assolutamente la pena (del prezzo del biglietto e del trasferimento in laguna). Poi però: non scappate durante gli intervalli, please!

2 commenti:

Amfortas ha detto...

Anch'io ho consigliato di andare a vedere questo spettacolo e vedo che ho fatto bene.
Rigrazie della citazione, in effetti quell'albero ci poteva stare proprio nella Walküre, chissà, magari lo riciclano!
Ciao e grazie :-)

daland ha detto...

@Amfortas
Effettivamente lo spettacolo è di livello notevole. Resta l'amara constatazione dell'inadeguatezza degli attuali (e siamo nel terzo millennio) strumenti di "divulgazione e fruizione": per ciascuno degli (idioti) spettatori che se ne sono andati negli intervalli, sono sicuro che ce ne sarebbero mille altri (soprattutto giovani) che avrebbero potuto godere di questo spettacolo e ne sono stati impediti.
Ciao!