XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta thielemann. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta thielemann. Mostra tutti i post

30 dicembre, 2018

Capodanno in musica


Il Capodanno viene festeggiato in tutto il mondo anche da Istituzioni musicali grandi e piccole, e l’Italia non fa eccezione: cito solo la Fenice di Venezia e la Scuola di Fiesole.

Ieri sera laVerdi ha iniziato la sua quattro-giorni con la prima esecuzione della Nona di Beethoven, appuntamento ormai divenuto immancabile. Sul podio quel Claus Peter Flor che 19 anni fa (proprio in questa circostanza) esordì quasi per caso con l’Orchestra di cui oggi è Direttore Musicale.

Auditorium al gran completo e orchestra colorata di rosso dagli abiti delle rappresentanti del gentil sesso (Viviana esclusa, in canonico nero). La co-spalla Dellingshausen affianca come concertino la spalla Santaniello; i quattro solisti (entrati in posizione dopo lo Scherzo) sono collocati dietro l’orchestra (disposizione con violini secondi al proscenio) e davanti al coro.

Inutile dire della trionfale accoglienza per un’esecuzione che definire impeccabile è ancora poco. Le quattro voci (Gal James, Sonia Prina, Cameron Becker e Jochen Kupfer) hanno retto abbastanza bene l’impegno, anche se, non essendo fulmini di guerra, forse la dislocazione sul palco non le ha premiate come meriterebbero. 

Grandissima, al solito, la prestazione del Coro di Erina Gambarini, accomunato insieme a orchestra, solisti e direttore in un entusiastico applauso, anche ritmato, che ha chiuso questa prima tappa del passaggio di consegne da questo poco commendevole 2018 a... auguri! 
___ 

A proposito di esordi, ecco che il tradizionalissimo appuntamento di Vienna ospita quest’anno il battesimo di Christian Thielemann. Abbastanza curiosamente, il suo curriculum pubblicato sul sito dei Wiener non cita la posizione di Musikdirektor del Festival di Bayreuth (?!) 

Martedi prossimo, ore 11:15, appuntamento su Radio3 per la diretta audio. 

Qui la classifica aggiornata dei Direttori delle 80 edizioni (2019 compreso) che si sono succedute senza alcuna interruzione dal 1940 (in realtà il primo concerto si tenne a SanSilvestro del 1939):

Willi Boskowsky 
25
1955-1979
Clemens Krauss 
13
1940 (31/12/1939)
1941-1945
1948-1954
Lorin Maazel 
11
1980-1986
1994
1996
1999
2005
Zubin Mehta
5
1990
1995
1998
2007
2015
Riccardo Muti
5
1993
1997
2000
2004
2018
Mariss Jansons
3
2006
2012
2016
Josef Krips 
2
1946-1947
Claudio Abbado 
2
1988
1991
Carlos Kleiber 
2
1989
1992
Nikolaus Harnoncourt
2
2001
2003
Georges Pretre †
2
2008
2010
Daniel Barenboim
2
2009
2014
Franz Welser-Möst
2
2011
2013
Herbert von Karajan 
1
1987
Seiji Ozawa
1
2002
Gustavo Dudamel
1
2017
Christian Thielemann
1
2019

 

26 luglio, 2018

Bayreuth ha aperto con il Lohengrin di Thielemann


Ieri pomeriggio(-sera) Radio3 ha irradiato da Bayreuth la prima della nuova produzione di Lohengrin, diretto dal padrone di casa (musicalmente parlando) Christian Thielemann e interpretato da Piotr Beczala, chiamato appena in tempo a rimpiazzare il forfait-tario Roberto Alagna.

Per ciò che si può giudicare dall’ascolto tecnologico, direi che sia stato un trionfo per Thielemann, che in questo repertorio ha pochi rivali, poichè oltre a conoscere come le proprie tasche ogni segreto delle partiture (ha ora diretto tutto il Wagner che si presenta a Bayreuth) conosce meglio di chiunque altro l’ambiente (materiale e... umano) della verde collina. Certo il suo è un approccio ultra-conservatore (Cosima ne sarebbe entusiasta) e un Boulez, per dire, gli è mille miglia lontano. Poi è da vedere se il suo sia anche l’approccio autentico del vecchio Richard o quello, appunto, della terribile figlia di Liszt.

Quanto ai contenuti, ormai è diventato uno standard anche a Bayreuth il taglio di 168 battute che separano la celebre esternazione di Lohengrin dall’arrivo del cigno (qualcuno potrebbe direttamente cassare quelle battute da una nuova edizione critica dell’opera...) Ai curiosi interessati offro la possibilità di ascoltare questi più di 4 minuti che si perdono, qui da 12” a 4’30”, da un’edizione proprio di Bayreuth del 1954 (prima dell’avvento del taglio) diretta da Jochum con Windgassen.

Passando alle voci, discreto Beczala e ottima (per me) la Harteros. Quanto alla venerabile Meier, la sua classe non tradisce mai, peccato che la sua sia (ormai...) una voce troppo acuta e poco appropriata (almeno per i miei gusti, sia chiaro) per la personalità della cattivona Ortrud, assomigliando troppo a quella di Elsa (il duetto del second’atto pareva cantato da una sola voce!) Voto abbastanza alto anche per Konieczny, un Friedrich assai autorevole; un filino sotto lo Heinrich del veterano Zeppenfeld; sufficienza risicata per l’araldo Silins.

Strepitosi coro e orchestra, componenti che lassù davvero non tradiscono mai.

La regìa ha collocato l’opera in una centrale elettrica. Quindi... spettacolo elettrizzante?!

PS: il sito di Radio3 presenta ora la programmazione addirittura fino al 31 luglio! Veniamo così a sapere che oggi potremo ascoltare Parsifal e domani Tristan. Disco rosso invece per i Meister di sabato (troppo Wagner nuoce evidentemente alla salute...)

25 agosto, 2015

Da Rossini a Wagner

 

Chiusosi il ROF il 22, si sta chiudendo anche Bayreuth, un Festival che ha avuto come principale oggetto di interesse il nuovo Tristan della premiata coppia Christian-Kathy, che ha avuto l’ultima replica il 23. E dopo averne ascoltato la prima per radio, l’ormai lontano 25 luglio, torno sull’argomento per esprimere ora qualche considerazione sulla messinscena, essendo disponibile in web (almeno fino ad ora, salvo interventi censori…) la registrazione filmata di una successiva rappresentazione. Pur con tutte le cautele, dovute al fatto che la regìa televisiva – soprattutto con l’uso dello zoom - in qualche modo distorce (in meglio e/o in peggio) ciò che la regìa teatrale propina allo spettatore in sala, è possibile quanto meno trarre dalle immagini registrate alcuni concreti spunti di riflessione.

In generale la critica parla di una Katharina che avrebbe abbandonato, magari complice Thielemann, il furore iconoclasta dei suoi Meistersinger del 2007 per orientarsi verso un approccio magari più vicino a quello di zio Wieland, cercando cioè di approfondire i molteplici significati reconditi del dramma. Ma c’è poi riuscita? A me pare proprio di no, e spiegherò perché.

Le scene sono piuttosto spartane e assai fredde, per non dire glaciali, e le luci danno il loro contributo alla creazione di atmosfere quasi spettrali, e sempre sono funzionali – non sembri un paradosso – ad accentuare l’oscurità, che permane anche in quei rari momenti dove la scena dovrebbe essere – stando al testo - in piena luce (un esempio per tutti: il finale atto I). I costumi sono assai curati e sufficientemente anonimi: moderni, ma seri e non pacchiani, compreso il cappottone di Tristan, peraltro di foggia piuttosto diversa dal solito cliché made-in-DDR

Assolutamente di alto livello l’interpretazione dei componenti del cast, dal punto di vista attoriale: la ripresa televisiva mette benissimo in risalto le grandi qualità di tutti (fino a che punto legate a specifiche indicazioni e prescrizioni della regista o già in loro dotazione, sarebbe peraltro da appurare).

Le diverse personalità dei protagonisti sono messe a fuoco in modo accettabile, se si esclude – ahinoi, e questo è il punto dolente dell’intera messinscena – la figura di Re Marke, sulla quale evidentemente la regista ha deciso, chissà poi perché, di riversare gran parte della sua (residua?) dotazione di idee strampalate e dissacratorie. La cosa ha implicato, per conseguenza diretta, una concezione a dir poco cervellotica dell’intero second’atto e poi del finale del dramma.         
 
Atto I

Il freddo ginepraio di scale e praticabili entro cui si muovono i 4 personaggi (marinaio e cori non si vedono, salvo fugaci apparizioni di addetti all’apertura o chiusura di qualche varco) immagino debba rappresentare il livello di totale incomunicabilità che separa i due protagonisti principali, mentre per gli altri due (Brangäne e Kurwenal) costituisce la barriera alla conoscenza di ciò che avviene nella psiche dei rispettivi padroni. Nelle prime due scene (o quasi) la regista rispetta alla lettera il testo: Isolde manifesta a Brangäne tutta l’insopportabilità della situazione in cui lei si trova, le chiede di Tristan e le ordina di andare da lui per invitarlo a renderle omaggio. Brangäne esegue, riferisce l’ordine di Isolde a Tristan, che risponde tergiversando (ed estraendo dal cappottone il velo nuziale, simbolo certamente azzeccato in quel preciso frangente e nelle scene successive: lui sta recando Isolde in sposa al suo Re).

Ma adesso abbiamo una prima chiara deviazione rispetto al testo originale: mentre Kurwenal inizia la sua impertinente descrizione degli avvenimenti che portarono alla morte di Morold, con tanto di testa mozzata e rispedita in Irlanda, ecco che Isolde, invece di ascoltare da lontano, dal suo alloggio a prua, raggiunge i tre cercando, pienamente corrisposta da Tristan, di congiungersi con lui, impeditane dallo scudiero. E già qui siamo al gratuito, poiché se è (o sarà…) evidente che i due protagonisti si amano fin dallo sguardo, è altrettanto chiaro dal testo che nessuno dei due si vuol ancora esporre esplicitamente verso l’altro.

E il peggio arriva quando, finita l’esternazione di Kurwenal, lui, Isolde e Brangäne vengono fatti letteralmente sprofondare di due piani rispetto a Tristan (che cerca invano, contrariamente al libretto, di raggiungerli): per cui tutta la successiva scena terza si svolgerà, anziché fra Isolde e l’ancella, di fatto fra Isolde e Kurwenal(!) Il quale, invece di irrompere all’inizio della quarta scena, viene quindi messo a parte dei particolarissimi rapporti intercorsi fra il suo capo e la principessa d’Irlanda, fatti dei quali lui dovrebbe rimanere totalmente all’oscuro addirittura fino al terzo atto! L’unico sottoprodotto plausibile di questa strampalata interpretazione di Catherina è il pugnale (ma nemmeno, pare un innocuo coltello da cucina, che però qui simbolizza beceramente la spada) che Isolde strappa a Kurwenal e che le serve per mimare su di lui il racconto del suo incontro (e conseguente innamoramento) con Tristan.

Altra chiara e gratuita – e fuorviante – scelta della regista è di far udire da Tristan, appostato su un praticabile proprio al di sopra di Isolde, l’esternazione della donna, che (in realtà) dovrebbe confidare solo all’ancella di non poter sopportare la prospettiva di dover vivere vicino all’eroe che lei ama senza poterne godere. Sì, perché Tristan deve solo immaginare (e sperare) che lei lo ami, non certo averne la certezza dalle di lei parole!

A questo punto bisogna pur parlare dei filtri, anzi del filtro! OK, d’accordo, sappiamo bene che questa storia dei filtri è tutta una finzione e che il filtro d’amore in realtà è acqua fresca, o comunque un qualunque intruglio non venefico, che insomma deve solo servire a non far schiattare gli innamorati dopo che si sono, bevendolo e credendolo di morte, dichiarati implicitamente il loro amore. Però, accipicchia, un minimo di realismo e di logica andrebbe conservato, altrimenti tutto diventa una gratuita pagliacciata.

Come l’ha immaginata Wagner tutta questa storia? Ecco: in uno scrigno (d’oro!) sono conservati alcuni recipienti contenenti i filtri (uno contro le malattie, un altro contro i veleni e un terzo, afrodisiaco). Ma Isolde indica all’ancella (che inorridisce) una quarta ampolla, da lei accuratamente contrassegnata: il filtro di morte, che lei intende bere con Tristan, che sta per arrivare. Al momento opportuno, quando Isolde ordinerà a Brangäne di versare il liquido nella coppa d’oro dove brindare con Tristan, l’ancella (che si dovrà solo vedere, poiché non canterà in quel frangente) invece del filtro di morte, verserà quello d’amore (o di… non morte, ecco). Tutto perfettamente realistico quindi, perché logico e plausibile.

Invece la Kathy cosa ci propina? Tutti i filtri sono di ugual colore rosaceo e contenuti in fiale perfettamente uguali (!?); Isolde estrae dal suo abito quello di morte, perfettamente uguale agli altri (evidentemente senza alcun contrassegno particolare); Brangäne glielo strappa di mano e le restituisce quello d’amore (tanto son tutti uguali!) Di conseguenza, al momento del brindisi è Isolde e non l’ancella (che è del tutto assente) ad estrarre dal petto il filtro, senza accorgersi però che non è quello giusto, che Brangäne le ha scambiato sotto il naso poco prima: insomma, una pantomima francamente risibile. E ancora non è tutto, come vediamo tra poco.

La quarta scena si dovrebbe aprire con l’irruzione di Kurwenal per annunciare alle donne che il porto è in vista. Qui invece lo scudiero, come si è visto, era già lì da un pezzo… In compenso, al posto di Kurwenal, che invano cerca di spostare un paio di scale per salire, è Isolde ad essere issata repentinamente all’altezza di Tristan, per il loro fatale incontro (!?) Qui c’è il drammatico scontro fra Isolde e l’ancella (che sta al piano di sotto!) a proposito del filtro, che Isolde ha con sé, ed è già quello… scambiato prima da Brangäne!: ma che senso ha allora la disperazione dell’ancella, quando lei sa benissimo che la fiala in possesso di Isolde, e che verrà usata per il brindisi, non è quella di morte? (Chiedere lumi a Kathy, please.)

La quinta scena si apre con l’entrata di Tristan, che Isolde accoglie con un… appassionato abbraccio (!?!) Ed anche in seguito lo avvicina con moine del tutto gratuite. Invece è perfetta la resa del momento in cui Tristan, dal voi, passa al tu, mettendo in mano ad Isolde la spada (ehm… il coltellino) con cui vendicare Morold. Lei invece è piuttosto prosaica, facendo scendere la punta del coltello lungo il corpo di lui, fino ad altezze… vergognose, ecco.

Ovviamente, date le premesse, Brangäne è del tutto assente (non solo col canto) dalla scena del brindisi, mentre in compenso lì c’è un nuovo appassionato abbraccio (eddai!) fra i due protagonisti. Scena francamente poco efficace, con il contenuto della fiala che viene versato sulle mani unite dei due, così come fiacca è la scena del successivo… risveglio: i due paiono più inebetiti che in suprema esaltazione, ecco. E l’abbraccio che finalmente li unisce finisce per dire poco (della serie al lupo, al lupo!) essendo ormai il terzo, a quel punto.

Il finale è dignitoso, sempre con pochissima luce, ed ha comunque il pregio di non far invadere la scena da masse disturbanti e, come è peggio (vedi Chéreau) dal farvi entrare anzitempo Re Marke. 

Tutto sommato un atto caratterizzato da una regìa non esecrabile, anche se piuttosto (diciamo così) confusionaria, in particolare per ciò che attiene agli spostamenti fisici dei 4 personaggi, che bisnonno Wagner - orsono 150 anni - aveva previsto con assoluta meticolosità, in funzione dei rispettivi stati d’animo, e che la pronipotina ha bellamente reinventato senza particolare costrutto.

Atto II

Invece di perdere un sacco di tempo a descriverlo passo per passo, facciamo prima proponendo un test di drammaturgia, mostrando esclusivamente le immagini (audio spento) di quest’atto senza preannunciare il titolo dell’opera, e chiedendo agli esaminandi di descrivere sommariamente l’azione che hanno visto in scena. Ecco, la risposta quasi unanime sarebbe pressappoco di questo tenore:

Un boss mafioso vuole liberarsi di un capo-banda rivale, così si serve di una delle sue zoccole, che fa opportunamente imbottire di droga, per adescare il rivale in uno dei suoi locali, osservandone inosservato dall’alto ogni minima mossa. A rapporto consumato, compresi riti sado-maso, lo sorprende in flagrante ed ha quindi il facile pretesto per farlo mandare al creatore dal suo guardaspalle. Gli dedica anche un accorato quanto ipocrita epitaffio, prima di andarsene trascinando via la povera zoccola.     

Capito com’è il second’atto di Tristan, versione riveduta e corretta dalla Kathy?

Atto III

Qui abbiamo un sano minestrone dei primi due atti. Il giardino del castello di Kareol, dove Tristan giace moribondo sotto un gran tiglio, si è trasformato in un luogo di veglia funebre, con tanto di lumini disposti intorno alla quasi-salma. Oltre a Kurwenal e al pastorello (che peraltro dovrebbe soltanto affacciarsi al muro di cinta) vegliano Tristan altri due individui non meglio precisati (inutile dire che sono un’invenzione della regista, anzi una scopiazzatura da Chéreau, che ce ne aveva messi una mezza dozzina almeno…)

Tristan è stato accoltellato alla schiena dal sicario del boss Marke (e non infilzato nel petto, come da libretto) però giace tranquillamente… supino (come da libretto! un modo come un altro per far rimarginare la ferita). Poi addirittura si alza e si mette a girare qua e là come nulla fosse: evidentemente tutto il second’atto doveva essere stato solo un brutto sogno, provocato forse dall’intruglio bevuto a bordo nell’atto iniziale.

Nei suoi vaneggiamenti, lui vede ovviamente Isolde, che gli appare diverse volte, incastonata in piramidi trasparenti (e questa magari è un’idea sensata); poi si accascia, questa volta bocconi, perché la ferita deve davvero fargli molto male, ecco. Ma ben presto si rimette arzillamente in piedi, Isolde sta arrivando e lui ne vede una, due, tre e addirittura quattro!

Finalmente muore e viene ricoperto da un telo, sul quale Kurwenal depone una croce e i due clandestini collocano due calle. Ma Isolde deve provare a riportarlo in vita, così lo scopre, però per poco, chè qualcuno ristende il velo e depone croce e fiori sulla salma. Finito? Beh, ancora manca l’arrivo del boss Marke e del resto dei protagonisti, che compaiono di botto in scena, proprio teletrasportati. Il parapiglia che ne segue, con ammazzamenti di Melot e Kurwenal, sembra un gioco delle belle statuine. Alla domanda di Marke che chiede di Tristan, il morente Kurwenal risponde (come da libretto): sta qui, accanto a me. Peccato che accanto a lui giaccia… Melot, evabbè.

Marke si mette al collo una fascia (sarà quella di sindaco o una stola di prete?) per fare l’elogio funebre al rivale che lui aveva fatto accoltellare nel second’atto; Isolde canta il suo Liebestod sulla salma, accanto a Brangäne, con Marke impietrito ad osservare i tre (miracolo, proprio come da libretto!) Ma, precisamente quando il corno inglese intona per l’ultima volta il motivo del filtro (SOL#-LA-LA#-SI) ecco il boss che si riprende la sua zoccola e se la porta via.

Il bello è che a Bayreuth – alla prima - hanno buato Thielemann e la Herlitzius, mica la tenutaria del baraccone! Vengono i brividi a pensare come sarebbe (o sarà…) un suo Parsifal.

26 luglio, 2015

Da Bayreuth nessuna sorpresa


Il tanto atteso e pubblicizzato debutto della nuova coppia-padrona del festival è stato tutt’altro che un evento epocale. A giudicare dall’ascolto radiofonico, la prestazione musicale mi è parsa di livello appena dignitoso, ad essere indulgenti. Certo, con Wagner e il Tristan non si può non emozionarsi, ci mancherebbe!


Ma Thielemann è Thielemann, nel bene e anche nel male; lui evidentemente si ritiene un wagneriano meglio di Wagner tanto da permettersi di correggere le partiture del genio di Lipsia con una serie di indicazioni agogiche (dei rallentando, soprattutto) che sono tanto gratuite quanto di facile effetto. Del cast mi hanno personalmente convinto due comprimari: Iain Paterson che è un Kurwenal davvero autorevole come non capita spesso di sentire e Christa Mayer, un’ottima Brangäne. Stephen Gould si è ben difeso, ma mi è parso continuamente tirare il freno a mano, forse temendo di rompersi al primo serio sforzo. Chi mi ha francamente deluso è stata Evelyn Herlitzius, discreta solo quando deve cantare a mezza voce (Liebestod compreso) ma che appena deve forzare un po’ verso gli acuti ha la voce che si sbianca e metallizza in modo davvero sgradevole: le rinunciatarie (o protestate) Westbroeck e Kampe avrebbero avuto poche difficoltà a far meglio (per il 2016 già si parla di Petra Lang!) Georg Zeppenfeld è un Marke discreto, ma per me gli manca quella profondità di voce e tono (tipo il Talvela dei bei tempi, per dire…) Persino il marinaio, che ha il gravoso compito di aprire (a cappella) il dramma ha esibito una voce quasi ridicola, degna di Mime.

Se si aggiunge che anche la messinscena di Kathi non pare aver sollevato entusiasmi (almeno a dar retta al parere dell’inviato RAI, Marco Maugeri, solitamente aperto e ben disposto rispetto alle innovazioni registiche) si deve concludere che la montagna (anzi no: la collina verde) ha partorito un topolino. Che va ad aggiungersi alla colonia di Neuenfels, che proprio oggi aprirà il suo ultimo ciclo di vita lassù.

Ecco, con questo lungo e sofferto scritto la chiudo lì sull’edizione 2015. Vado a mettere i piedi a mollo nel brodo di quello stagno che chiamano Adriatico.

23 luglio, 2015

Bayreuth 2015: debutta la coppia Christian-und-Kathi

  



Sì, una specie di Tristan-und-Isolde, della cui nuova produzione – la grande novità di quest’anno - i due saranno i principali artefici, a partire da sabato 25 luglio. (Qualche maligno potrebbe anche proporre un parallelo con la famigerata coppia Winifred Wagner - Heinz Tietjen di hitleriana memoria!)


Lei come premio riceverà, proprio alla chiusura dell’edizione 104 del Festival, l’esclusiva della Direzione di questo circo-barnum, essendosi finalmente sbarazzata (grazie al determinante aiuto del Kapellmeister, si mormora) della sorellastra Eva con la quale aveva dovuto dividere il posto dal lontano 2009. Lui - smaltita la delusione per la mancata chiamata dai Berliner - da semplice preparatore musicale del Festival ne diventa Musikdirektor.

E per mettere subito in chiaro chi comanda in fatto di suoni e voci, l’autoritario Christian ha già licenziato non una, ma ben due Isolde (poi l’ufficialità vuole si sia trattato di spontanee rinunce delle cantanti): dapprima è toccato ad Eva-Maria Westbroek e poi è stata la volta di Anja Kampe. Così il personaggio della selvaggia Irlands Kind sarà interpretato da Evelyn Herlitzius, non nuova nel ruolo, che peraltro non è certo un suo cavallo di battaglia.     

Navigando nel sito del Festival, ho notato un particolare che mi sembra – potrei sbagliare – un’assoluta novità: si ipoteca già il 2016! Nel senso che le statistiche del Festival (che di norma dovrebbero comprendere la corrente edizione, non anche le future!) già includono invece anche il 2016 per molti (non tutti, attenzione!) i protagonisti – sonori e non – dei titoli. Per dire, Stephen Gould è già consuntivato come Tristan anche per l’anno prossimo, mentre invece la Herlitzius risulta assumere il ruolo di Isolde limitatamente al 2015. Un caso interessante riguarda il Ring, per il quale il regista Castorf è già accreditato anche dell’edizione 2016, mentre Kirill Petrenko è fermo al 2015: mica ci sarà sotto qualcosa con Thielemann per via della preferenza data dai Berliner al russo, che per di più se la spassa con la Kampe, dal medesimo Thielemann protestata per il ruolo di Isolde?... Sì, tutti sanno che certi contratti si stipulano con anni e anni di anticipo (così come vengono disdetti anche senza preavviso, come ben sappiamo dalle vicende scaligere) ma altra cosa è indicare già oggi la presenza 2016 nel curriculum bayreuthiano di un tenore (o di un costumista, per dire): fossi nei citati a futura memoria mi procurerei da qualche immigrato napoletano una montagna di amuleti scaccia-sfiga!

Per chi, nonostante le svendite last-minute, si ostina a non pianificare il pellegrinaggio alla verde collina, c’è sempre la radio: mamma RAI (Radio3) ci delizierà con Tristan (25, 16:00) Lohengrin (26, 16:00) e Holländer (31, 18:00) risparmiandoci ancora il Ring petrolifero di Castorf.

Ma al Ring ci pensa, come sempre, momia Radio Clasica, che ci eviterà di perdere la pregevole – ne sarei certo – esecuzione di Petrenko (27-28-30-1).
___
Dunque, Tristan! Sempre spulciando il sito del Festival, si scopre una significativa pagina bianca al link intitolato Inszenierung, dove per gli altri titoli si trovano invece note (più o meno interessanti) sui diversi allestimenti. Domanda: perché? Segreto industriale della Kathi che non vuole sbilanciarsi nemmeno di un millimetro, per sorprenderci (anzi no, sorprendere chi vorrà anche vedere, oltre che ascoltare) sabato prossimo? Oppure il Konzept della pronipotina terribile è così complicato che non lo si può presentare in 50 righe? Oppure il palco resterà vuoto come la pagina web e anche i cantanti saranno giù a cuocere nella fossa? Vedremo (anzi: vedranno). 


Come sua abitudine, Wagner prese lo spunto per il suo Tristan dai racconti medievali (primo fra tutti quello di Gottfried von Straßburg) per poi liberamente piegarli alle proprie concezioni estetiche e filosofiche. Ecco quindi che quelle farraginose e improbabili storie diventano, nella sua penna, autentici capolavori dove la componente psicologica prende quasi sempre il sopravvento. Non per nulla si parla di Wagner come del Freud ante-litteram.

Tristan si può benissimo interpretare come dramma che nasce dal conflitto quasi insanabile fra due personalità tanto forti da preferire l’auto-annullamento piuttosto che svelare per prime i propri sentimenti: nel nostro caso un maschilismo e un femminismo a dir poco autodistruttivi. E il primo atto della Handlung non fa che sviluppare questo assunto; poi ci penserà il filtro magico a garantire l’esistenza dei due atti successivi.    

Il big-bang dal quale prende inizio e sviluppo il dramma è un ben preciso e fatale momento: l’istante dello sguardo. Quello che i due si scambiano quando lei, dopo averne curato la ferita, ha riconosciuto nel sedicente Tantris il nemico Tristan, l’uccisore del suo promesso sposo (Morold). Così, invece di ucciderlo, fulminata dallo sguardo di lui, lascia cadere la spada e lo risparmia: ciò facendo gli rivela implicitamente il suo amore, ma la sua presunzione (di donna intellettualmente emancipata) e insieme il suo subconscio (di donna tout-court) le impediscono di abbassarsi ad esternargli il suo sentimento, e le impongono di attendere che sia Tristan a fare il primo passo.

Tristan non solo si rende conto di essersi, a sua volta e in quel preciso momento, innamorato (orrore, per un cavaliere della sua statura!) e sa perfettamente - o almeno così crede il suo maschilista subconscio - di aver fatto colpo, con quello sguardo, su Isolde; ma la sua presunzione (di maschio superiore) gli impedisce di abbassarsi ad esternarle il suo sentimento, e gli impone di aspettare che sia lei a cadergli ai piedi.

Ecco il cuore del dramma: entrambi aspettano che sia l’altro(a) a cedere per primo(a). Una situazione di stallo, un autentico surplace; e quindi un equilibrio instabile, che non può diventare normalità, ma che dovrà essere rotto, inevitabilmente e traumaticamente.

Infatti, siccome nessuno dei due è disposto a cedere, la nevrosi che si crea all’interno delle rispettive psiche e quindi fra le loro persone, sale fino al parossismo. Entrambi perdono letteralmente la testa (in linguaggio scientifico: schizofrenia acuta) e mettono in atto sconsiderati propositi di distruzione dell’altro(a), in un’assurda e freudiana escalation, che culmina con il gesto di suprema, speculare presunzione: l’assunzione del filtro di morte.

E per l’appunto il filtro libera finalmente entrambi dalla schiavitù delle convenzioni (i vacui e presuntuosi vaneggiamenti, i rispettivi Träume, di Ehre e Schmach) e così può finalmente entrare in campo e in scena una cosa, straordinaria ma indescrivibile perchè oscura (misterioso, altero...) che quelle stesse convenzioni (di cui anche noi spettatori siamo schiavi) chiamano irrispettosamente: amore.

Nel primo atto, Wagner ci fa di Tristan e Isolde due ritratti - per certi aspetti - simili, o speculari (sono entrambi affetti da acuta schizofrenia) ma per altri assai diversi; in particolare:
- Isolde racconta apertamente e senza pudore i suoi sentimenti: a Brangäne e a tutti noi, ma non a Tristan; a quest’ultimo racconta più che altro storie inverosimili, o come minimo provocatorie;
- Tristan invece, i suoi sentimenti non li racconta proprio a nessuno (nè a Kurwenal, nè a noi, nè tanto meno ad Isolde).

Già in ciò possiamo forse individuare un tratto che oggi si definirebbe maschilista nel carattere di Tristan, ma in realtà di Wagner medesimo. (Ne avremo una chiara conferma al momento dell’assunzione del filtro: Isolde la programmerà come atto congiunto e unificante, mentre Tristan la compirà smaccatamente da solo, come manifestazione di superiorità.)

Dunque, Tristan e Isolde, al primo sguardo, si sono innamorati. O meglio: nelle rispettive psiche è scoccata una scintilla, il big-bang appunto, si è prodotta la classica oscillazione brusca, tipica dei sismografi allorquando rilevano un - vicino o lontano - terremoto.

Che Isolde sia innamorata ce lo dice - ma proprio esplicitamente - lei stessa, all’inizio della Scena II: Mir erkoren, mir verloren, hehr und heil, kühn und feig! Todgeweihtes Haupt! Todgeweihtes Herz! Non c’è dubbio che si tratti di una straordinaria dichiarazione d’amore. Però si tratta di un amore impossibile, quello di una donna per un uomo votato - ragione e sentimento - alla morte! Uno - crede lei - per il quale l’amore è una categoria sconosciuta, che non trova posto nella sua Heldenleben (per questo, oltre che kühn - ardito - è anche feig - vile!) Ma essendo lei prigioniera della sua stessa presunzione, oltre che delle convenzioni, si guarda bene dal muovere il primo passo verso l’amato.

Tantris, guarito da Isolde, torna come Tristan a casa di Re Marke, in Cornovaglia, ma quella scintilla, scoccata nella sua psiche al momento dello sguardo, ha ormai fatto divampare un incendio che lo sta consumando insopportabilmente. Come ammetterà nell’Atto II, in fondo al cuore (...bis in des Herzens tiefsten Schrein) la ama, ma contemporaneamente il suo subconscio comincia ad odiarla, come responsabile di avergli creato questa condizione, per lui innaturale: ma come! un puro eroe che si è fatto irretire da una donna? Per di più così superbamente fiera (...so rühmlich schien und hehr...) che gli pare irraggiungibile, a meno che lui non si abbassi ad abdicare all’intero suo sistema di valori. E questo è ancora nulla: la donna in realtà ha anche in mano la sua vita, e non una, ma due volte addirittura: per avergli risparmiato una sicura morte (la spada lasciata cadere) e poi per averlo curato e rimesso in salute. 


Questa doppiezza di sentimenti (schizofrenia amore-odio) ingenera in Tristan l’idea di un folle disegno: far sì che lei sia costretta ad essergli vicina, così da minacciarla con un’alternativa secca: la prospettiva di rodersi nell’ansia per il resto dei suoi giorni, o cedere e dichiararsi a lui. Domanda: perché mai Tristan obbliga un riluttante Re Marke, addirittura minacciando di abbandonarlo, ad accettare Isolde in moglie? Nella sua lunga esternazione del second’atto, dopo la scoperta del flagrante adulterio, il sovrano ricorda come si fosse fieramente opposto all’idea del matrimonio ed avesse infine ceduto alle pressioni quasi ricattatorie del popolo sobillato da Tristan, che aveva poi preteso di essere lui stesso a recapitargli Isolde, andandola a prelevare in Irlanda. E tutto ciò per trovarsi ora tradito proprio dal suo delfino e proprio con la moglie! Il Re, oltre e più che addolorato, è incredulo e stupito (…warum mir diese Hölle?) dal comportamento di Tristan.

Il quale comportamento non è certo determinato dal codice cavalleresco, bensì dalla tremenda frustrazione (e relativa dissociazione) che lacera la sua psiche! E già dal viaggio di ritorno dall’Irlanda, sulla nave ammiraglia che ci appare all’alzarsi del sipario, Tristan mette in atto il suo piano: restare a portata di sguardo di Isolde, e contemporaneamente ignorarla. Costringerla ad uno psicologico e logorante braccio di ferro, da cui lei esca comunque piegata: o rassegnandosi a subire una perenne sofferenza, o cedendogli finalmente (nel qual caso a Tristan basterebbe dare un semplice comando alla ciurma: virare a dritta di 90°, e volgere la prua a sud, invece che ad est!)

Che Tristan in cuor suo aspetti quest’ultimo evento risulta inequivocabilmente chiaro dal suo trasalire (auffahrend) e dalla sua emozionata esclamazione (Was ist? Isolde?) all’annuncio fattogli da Kurwenal dell’arrivo del messaggio recato da Brangäne. Ma subito si ricompone (Er fasst sich schnell...) e per ora continua a tirare la corda, rifiutandosi di far visita alla principessa, con la scusa di dover reggere il timone.

Isolde, dal canto suo, è ormai convinta, dal comportamento tenuto da Tristan, che egli per davvero la consideri nulla più che un articolo da regalo (per Marke). Lo ama, ma contemporaneamente comincia ad odiarlo - e non solo per la sua indifferenza, ma anche per la sua ingratitudine - e a meditare sull’insostenibilità del suo proprio futuro: dover sopportare la vicinanza dell’uomo amato senza poterlo avere (Ungeminnt den hehrsten Mann stets mir nah zu sehen, wie könnt ich die Qual bestehen?)

Analizziamo un attimo lo stato in cui si trova la sua psiche: lei si è innamorata dell’uomo che le ha appena ucciso il promesso sposo, quindi subisce già per questo una gigantesca costrizione psichica, con annesso senso di colpa; per di più, l’uomo di cui si è innamorata la ignora bellamente (frustrazione...) Insomma: lei ama perdutamente un tale che le ha distrutto la felicità passata e contemporaneamente le prepara l’infelicità futura! Davvero una condizione insostenibile. 
Come si vede, il disegno di Tristan parrebbe concretizzarsi…

Ma lei, fra la scelta tra eterna infelicità con Marke e resa incondizionata a Tristan, decide per la terza opzione: farla finita... Da sola? Fosse così, le basterebbe tracannare il filtro di morte dall’ampolla che lei stessa ha chiaramente contrassegnato. No, evidentemente anche Tristan deve morire, per pagare la sua colpa, il suo peccato di presunzione, di ingratitudine, di indifferenza e di superbia; affinchè - almeno nella morte - i loro destini si possano finalmente incontrare. Il problema di Isolde, a questo punto, è: come creare l’occasione per il mortale brindisi con lui?

Quando Kurwenal la sollecita a prepararsi per essere accompagnata da Tristan verso Marke, è lei a trasalire e rabbrividire: il viaggio sta per concludersi, e l’occasione rischia di sfumare! E allora trova un pretesto - la riconciliazione dovutale per una colpa non espiata - per incontrare Tristan prima dello sbarco. E fa preparare a Brangäne il filtro di morte, per Tristan e per sè.

Tristan - anche per lui ormai il tempo stringe - adesso dimentica il pretesto del timone e si presenta ad Isolde, ma con atteggiamento formale, scruta le intenzioni della donna (segretamente spera ancora e sempre nel miracolo?) risponde con frasi fatte alle di lei rimostranze riguardo l’etichetta, domanda quale sia il motivo per cui Isolde chiede riconciliazione.

Per tutta risposta, Isolde si inventa una nuova, inverosimile spiegazione al comportamento da lei tenuto con Tantris. A Brangäne aveva raccontato una prima verità: di non aver ucciso Tantris perchè intenerita dalla sua misera condizione... A Tristan racconta invece di averlo risparmiato e rimesso in sesto perchè lui potesse poi essere vittima di un legittimo vendicatore di Morold (!?) Vendicatore che però non può esistere in alcun luogo, essendo ora Tristan da tutti amato...

Al che Tristan, pallido e cupo, offre ad Isolde la sua spada perchè lei stessa possa compiere la vendetta. Ma attenzione: le si rivolge non più con il lei, ma con il tu (!?!) Perchè questo stato d’animo? E perchè questo improvviso mutamento di etichetta? Comincia per caso a sospettare che Isolde non lo ami? Che il suo atteggiamento di allora fosse davvero motivato dal solo, cinico disegno di vendetta? (o da pura carità cristiana, null’altro?) Insomma: un sospetto che ingigantisce la sua frustrazione; sì, poichè se le cose stessero così, allora sarebbe tutto il suo castello di carte a cadere miseramente. E con esso perderebbe di significato la sua propria esistenza: ed allora, tanto vale chiuderla, una volta per tutte! E per di più offrendo a quella stessa donna altera e presuntuosa la spada con cui finirlo, per manifestarle tutta la sua superiorità di maschio…

Isolde rifiuta però la spada adducendo due giustificazioni: (a). Come potrei uccidere il servitore fedele del Re a cui vado sposa? (b). Ciò che non feci tempo addietro (con Tantris) a maggior ragione non potrei fare ora. Ma allora, sta forse per cedere? Per rivelare a Tristan che lei lo ama fin dal primo momento? Al contrario, lei decide di alzare ulteriormente la posta, aggiungendo un particolare di portata capitale: tu, Tristan, mi guardasti fisso negli occhi per valutarmi (come fa un mediatore di vacche che scruta un capo per deciderne il prezzo) e per capire se ero degna di andare in sposa al tuo Re (!?!) Ma davvero Isolde è convinta di una simile ipotesi? Insomma: sta qui confermandoci di aver ormai perso tutte le speranze, oppure sta tentando l’estrema provocazione, per costringere Tristan a cedere?

E infatti, dopo che Isolde rifiuta la spada, Tristan cade in cupa meditazione (...düsterem Brüten). Come mai? Sta forse ancora cercando di capire quali carte stia giocando l’altra? Oppure è per caso anche lui sul punto di cedere? Perdinci, lui sa bene quali fossero (e siano) i suoi sentimenti verso Isolde e che quando le rivolse quello sguardo non era certo per misurarne le qualità esteriori... gli basterebbe una parola per rompere finalmente quel muro di presuntuosa incomunicabilità che li separa!

E invece, finster (cupo) sempre più schiavo della sua nevrosi, decide pervicacemente di continuare nel braccio di ferro, e pronuncia la famosa, criptica frase: ...fass' ich, was sie verschwieg, verschweig ich, was sie nicht fasst.

Che significa? Non significa, per caso (nel suo maschilista subconscio!): io ho capito che tu mi ami, anche se me lo nascondi... mentre tu non capisci che io ti amo, e perciò te lo nascondo (perchè non mi meriti...) ?!?

Ormai il tempo stringe, si sta gettando l’àncora, e Isolde non può che giocare il tutto per tutto: mit leisem Hohne, quasi schernendolo, detta a Tristan il discorsetto di circostanza da fare a Marke, di lì a poco, in occasione della consegna del regalo!

E Tristan, a questo punto - ormai ha la disperata conferma che il futuro rischia di essere insopportabile per lui, quanto e più che per Isolde - beve per primo e da solo. In modo da chiudere (guarire del tutto) un’esistenza divenuta per lui invivibile e contemporaneamente per dare alla donna che non lo ha capito - o che non si è voluta piegare - l’estrema, inequivocabile e sprezzante lezione di superiorità.

E infatti Isolde si sente ancora e nuovamente tradita e disprezzata: per bere a sua volta, deve letteralmente strappargli di mano la coppa.

Insomma: nessuno dei due ha voluto/saputo cedere all’altro(a). Una speculare schizofrenia li ha costretti ad agire contro se stessi e - in definitiva - contro l’Amore!

La tensione psicologica, che si era creata entro ciascuno dei due e fra i due, ha ormai raggiunto il suo apogeo: in realtà siamo arrivati al limite di rottura di quell’instabile equilibrio, al momento in cui il surplace risulta non più prolungabile.

A questo punto il dramma avrebbe anche potuto chiudersi lì, con i due protagonisti a morire, ai lati opposti della scena, ciascuno vittima della propria presunzione, oltre che delle vigenti convenzioni (Ehre e Schmach). Insomma: un tragico atto unico, una Cavalleria Rusticana ante-litteram e sui-generis!

Wagner aveva però ancora da confezionare, per poi somministrarceli, due etti - pardon, due atti - di oppio (amore e morte); e, come farebbe ogni grande mago o stregone, si è servito di un filtro per garantirsi la possibilità del taglio e dello spaccio.