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06 febbraio, 2011

Fidelio passa da Ravenna



D'inverno Rimini (Nord) è – più o meno – così…

Ma non ditelo ai crucchi (smile!) chè sennò non tornano più da queste parti, dove invece portano anche cose serie, come il Fidelio che passa in questi giorni da Ravenna, al Teatro Alighieri. Trattasi della produzione bolzanina - già lassù collaudata - dell'accoppiata Kuhn-Schweigkofler (gli stessi creatori di una notevole Elektra, un anno fa) rinforzata da interpreti austro-tedeschi.

Teatro lodevolmente stipato e pubblico che ha fatto onore allo spettacolo.

Allestimento intelligente ed interessante, con scene minimaliste di Walter Schütze e luci di Claudio Schmid: una semplice pedana vuota, circondata dai protagonisti, in costumi vagamente moderni, che vi salgono sopra via via che arriva il loro turno di intervenire nel plot. In più solo qualche sgabello e dei pali (tipo lap-dance) che scendono di tanto in tanto dall'alto, ad esempio per ricordarci simbolicamente che ci troviamo in una prigione. Programmaticamente Schweigkofler gestisce la parte attoriale secondo canoni da commedia dell'arte, il che a volte finisce per debordare in avanspettacolo, ma mai in modo volgare. Sotto questo punto di vista devo dire che tutti hanno svolto lodevolmente il loro compito.

Sul piano musicale, cito in ordine di apparizione:

Jaquino era Alexander Kaimbacher: voce leggera ma chiara e gradevole, come quella della Marzelline  di Rebecca Nelsen. Insieme hanno costituito una coppia assai efficace. Molto applaudita, in particolare, la Nelsen. Il tenore ha anche fatto pro tempore il mago da circo, esibendosi in alcuni tipici trucchi (anelli che si separano e si uniscono, spade a trafiggere inesistenti corpi, fuochi fatui che si sprigionano dalle mani) durante la marcia del primo atto, che Kuhn ha tirato in lungo eseguendo puntualmente il ritornello.

Leonore era Anna Katharina Behnke. Un'ottima prestazione, la sua (notevole l'Abscheulicher) in cui trovo un unico neo congenito, per così dire, un eccesso di vibrato sulle note alte che personalmente gradisco poco. Alla fine, grande accoglienza per lei.

 
Il Rocco di Ethan Herschenfeld è più che dignitoso, anche se la voce è poco penetrante e più baritonale che da basso. Nel quartetto iniziale forse è mancato a lui e agli altri tre succitati un tocco di pathos in più che non avrebbe guastato.

 
Don Pizarro era Thomas Gazheli. Prestazione notevole, sia sul piano attoriale (un ennesimo Gouverneur con handicap fisico – tutore alla gamba sinistra – e personalità schizoide) che su quello del canto, dove è stato eccellente nei momenti di grande violenza, mentre l'eccessivo macchiettismo ne ha un poco compromesso le frasi da cantare a mezza voce. Trionfo comunque per lui.


Il Florestan di Andreas Schager (mi) ha molto convinto: voce bella e chiara, non certo da heldentenor, ma per me appropriata al personaggio. Bravo anche ad emettere correttamente i suoni, nella sua aria tremenda di esordio, pur costretto a farlo da posizioni non proprio rilassanti (tipo flessioni sugli avambracci…) Applausi convinti anche per lui.

 
Infine, più che dignitoso il Don Fernando di Sebastian Holecek, voce potente e presenza autoritaria, come si addice al personaggio del lungimirante Minister.

Rouwen Huther e Ruggiero Lopopolo han fatto dignitosamente la loro parte di solisti, in mezzo al coro dei prigionieri.

 
Impeccabile, sia nel commovente coro del primo atto, che nelle finali esternazioni di giubilo, il Vienna Philharmonia Choir guidato da Walter Zeh.

 
Gustav Kuhn non ha resistito alla tentazione di infilare la Leonore 3 subito prima del Finale. Scelta sempre discutibile, nonostante Mahler… Schweigkofler ha cercato di catturare l'interesse del pubblico facendo sedere i prigionieri sulla piattaforma ad assistere alla proiezione di foto dell'Archivio Provinciale di Bolzano (scattate dopo la seconda guerra mondiale) in memoriam, si potrebbe dire, dei tempi in cui i reclusi vivevano serenamente in famiglia. Un diversivo che solo in parte, a mio modestissimo avviso, ha messo riparo ai danni arrecati all'azione dalla lunga cesura imposta dal quarto d'ora sinfonico. Detto questo, un bravi! a direttore e ai professori della Haydn di BZ-TN per l'esecuzione invero trascinante e fragorosamente applaudita a scena aperta.

 
A parte questa discutibile scelta, Kuhn ha ben reso la duplicità del dramma: quasi commedia leggera nel primo atto, tutto in punta di piedi (Pizarro a parte) e giusta pesantezza nel secondo, condotto con serietà davvero tutta beethoveniana. Anche per lui e per l'Orchestra un gran trionfo finale.

 
Conclusione: una bellissima serata di musica, che conferma l'ottimo livello di queste produzioni, spesso definite con sufficienza come provinciali. Avercene!

 

24 gennaio, 2010

Elektra a Modena


Il Teatro Comunale di Modena – anche qui qualche desolante vuoto in platea e nei palchi - ha ospitato l'Elektra, reduce dalle due recenti rappresentazioni della stessa produzione a Bolzano. Elektra in bianco e nero, potremmo dire, anche nell'esito: trionfale per i musicanti, Gustav Kuhn in testa, e di sonora contestazione per il regista Manfred Schweigkofler.
L'idea generale della messa in scena (di Hans-Martin Scholder) è suggestiva. Forse anche per tener conto delle ridotte dimensioni dei teatri cui è destinata la produzione (Bolzano, Modena, Piacenza, Ferrara) oltre che della natura della tragedia, le strutture del palcoscenico e della buca vengono impiegate in modo non tradizionale. Intanto: l'Orchestra viene disposta, su cinque gradoni, al fondo della scena, quasi a rappresentare proprio il coro nella tragedia greca (e ciò è congruente con il ruolo che l'orchestra gioca in quest'Opera, quasi come in Wagner). La buca viene quindi impiegata come appendice della scena, spoglia - solo una poltrona - e angusta (ed anche ciò appare appropriato, rispetto alla natura della tragedia e alle indicazioni del libretto). Ulteriori spazi scenici sono ottenuti attraverso l'impiego di impalcature di tubi-dalmine, che formano un arco, ai lati del proscenio e sopra di esso. Infine, una scala metallica viene calata dall'alto al momento, per Clitennestra, di scendere dal palazzo verso il cortile dove si trova Elektra.
Il Direttore d'orchestra quindi non vede i cantanti, o meglio, lui può vedere la scena attraverso due piccoli monitor disposti ai piedi del leggìo, ma i cantanti difficilmente possono vedere lui; il che aumenta i loro meriti per un'esecuzione di buon livello, peraltro facilitata dall'essere loro sempre avanti (spesso molto avanti) rispetto agli strumenti.
I costumi, sempre di Scholder, sono assai poco micenei, piuttosto moderni, e hanno l'ambizione di rappresentare le personalità dei personaggi in chiave attuale: in particolare spiccano l'abbigliamento pesantemente kitch di Clitennestra, una vera e propria megera piena di pietre e anelli (amuleti contro tutti i suoi complessi, le sue idiosincrasie e le sue ansie, come ella stessa ammette, nel libretto), quello di Oreste (una tunica più o meno greca, indossata sotto un classico pastrano DDR e su bassi stivaletti moderni con calzini corti), quello di Egisto (in smoking, con camicia fuori dai pantaloni e bottiglia di champagne in mano, essendo lui reduce da uno dei suoi bagordi – ma questa è un'idea del regista, ovviamente) e quelli delle 5 ancelle (moderne segretarie che nel tempo libero si agghindano alla stregua di donne fatali). Per il resto, nulla di troppo sconvolgente, salvo la didascalica colorazione proprio degli abiti delle 5 ancelle: nero per le 4 pro-Egisto e bianco per l'unica pro-Oreste, il che dovrebbe orientare lo spettatore a meglio comprenderne il ruolo, le parole e la diversa sorte (con Egisto la bianca viene maltrattata, col ritorno di Oreste si prende la rivincita, ascia in pugno!)
Buona direi la direzione attoriale degli interpreti, con qualche trovata non disprezzabile, come il finale, dove Elektra non danza, ma viene rivestita di un abito bianchissimo e con esso si nasconde dietro un velo nero trasparente calato dall'alto, anche qui a rappresentare il bianco-nero di tutto ciò che la vicenda sottende. Velo che poi viene strappato, prima che Elektra stramazzi.
Schweigkofler presenta il suo Konzept sul programma di sala: molto incentrato sul sostrato socio-politico del dramma, dove dittature e rivoluzioni si mescolano e quasi si confondono, tutte accomunate dal sangue che scorre. Insomma, bianco e nero a rappresentare le due metà in cui la famiglia di Agamennone - e con lei la società che le ruota attorno - è divisa: golpisti e realisti, o anche fascisti e partigiani, si potrebbe dire, che hanno commesso, commettono o commetteranno – tutti, pur con fini diversi - atrocità e vendette di ogni tipo. Insomma, una vision discretamente nichilista, per non dire qualunquista, che senza forse va al di là degli obiettivi che si prefissero Hofmannstahl e Strauss. Obiettivi peraltro – a mio modesto avviso – presentati in modo sufficientemente valido (al di là dei proclami ideologici del regista) il che mi è parso non far meritare alla regìa i sonori buuh di buona parte del pubblico. Fosse tutto qui, il Regietheater non sarebbe oggetto di dispute, e forse il termine stesso non sarebbe mai stato coniato (e lo scrive uno che proporrebbe, per chi lo pratica, l'applicazione di qualche articolo del Codice Penale…)
Ora, la musica! Intanto l'orchestra, nell'occasione l'insieme di due: la Haydn di BZ-TN e quella dell'Emilia-Romagna: data la sua posizione lontana e in penombra, non ho provato a verificarne l'immenso organico (stando al programma di sala, mancherebbero all'appello 4 viole, mentre ci sarebbero rinforzi per corni e trombe), ma è stata certamente all'altezza dell'ingrato compito, senza alcuna sbavatura. Kuhn direi impeccabile nei tempi e nell'agogica. Lui non conoscerà la partitura a memoria (ma sfido chiunque a farlo... e in effetti 9 dei 15 minuti di ritardo sull'inizio sono stati provocati dalla mancata accensione della lampada sul suo leggìo!) ma di certo sa come penetrarne a fondo lo spirito, restituendoci tutte le mille sfumature di cui Strauss l'ha riempita. E poi ha il merito di aver presentato l'opera senza i tradizionali e barbari tagli! 
I cast di questa produzione (nei protagonisti) sono due. A Modena la prima di ieri è stata interpretata da quello che a Bolzano – se ben intendo - aveva fatto la seconda. Vediamo in dettaglio.
Elektra era Elena Popovskaya. Molto buona la sua prestazione, voce calda e chiara, nel registro alto come nel basso, nessun urlaccio nei momenti topici. Gran trionfo per lei.
Chrisothemis era Maida Hundeling. Voce forte, potente, proprio da soprano drammatico, ancor più della Popovskaya. In effetti – se si esclude la statura e la prestanza fisica, assai appropriate per quel ruolo - la voce è forse meno adatta ad interpretare la parte della sorellina di Elektra, una che ama il quieto vivere e non vuol far l'eroina. Benchè debba fermarsi al SI acuto (Elektra tocca il DO) la sua parte è sempre segnata da Strauss su un rigo più alto di quello della sorella (che deve scendere fino al SOL sotto il rigo, contro il SIb di Chrisothemis). Qualche raro urlo ingolato e qualche difficoltà nelle note basse, ma anche per lei c'è stata una grande ovazione.
Mihaela Binder-Ungureanu ha impersonato Klytämnestra. Direi fantastica (grazie a regìa e costumi) nella parte attoriale, ma efficacissima anche sul piano musicale, che le riserva un impervio SOL# acuto, 15 semiminime, alla fine di quel tremendo "damit ich wieder schlafe". Un successo anche per lei.
Orest era impersonato da Wieland Satter. Direi più che discreto, anche se dalla voce non troppo penetrante (nelle sue prime battute dovrebbe quasi ricordare l'Hagen della veglia, nel Götterdämmerung): in quella specie di duetto con Elektra, lei ne ha sovrastato la voce. Però anche per lui grandi applausi.
Richard Decker era Aegisth. Compito assolto senza infamia né lode, ma del resto si tratta di una parte ancor più magra (come durata ed impegno) di quella di Orest.
Efficaci le cinque ancelle (Jelena Bodrazic, Monika Wäckerle, Anahita Ahsef, JaeHee Kim, Lara Martins) che hanno l'ingrato compito di aprire il dramma.
Gli/le altri/e su un piano di ampia sufficienza, rispetto alle parti contenute che li riguardano. Un tocco di danza è stato portato da David Thaler, che si è esibito dall'alto dell'impalcatura, al momento dell'ingresso in scena di Clitennestra.
Ottimo, pur nella brevità dell'impegno, il coro del Municipale di Piacenza.
In conclusione, uno spettacolo più che positivo, che dimostra come anche organizzazioni medio-piccole, quando uniscono i loro sforzi e lavorano con serietà, possono ottenere risultati di tutto rispetto, da far invidia alle più titolate (e… foraggiate) scale! Privare queste realtà delle già scarse risorse pubbliche di cui godono sarebbe proprio un delitto (però, accidenti, anche il pubblico dovrebbe far ressa al botteghino!)