XIV

da prevosto a leone
Visualizzazione post con etichetta pilsan. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pilsan. Mostra tutti i post

23 ottobre, 2020

laVerdi 20-21. Concerto n°5

Allora, proprio ieri sera è scattato il coprifuoco - dalle 23 alle 5, tipiche ore di punta di movida, partite di calcetto clandestine, sessioni intensive di palestra e assalti a treni e autobus - con l’emissione da parte di Fontana dell’ordinanza, in contrasto con gli... ordini del suo capitano (il quale a sua volta ha l’unico obiettivo di scaricare la patata bollente nell’altro campo, dove stanno i sindaci PD delle principali città lombarde, per poi impallinare loro).

Ora, chi come il sottoscritto abita a mezz’ora (in moto) o a 50 minuti (mediamente, con i mezzi pubblici) dall’Auditorium la cosa può anche interessare poco: il concerto (al giovedi) finisce prima delle 22 (le altre tre repliche sono ancora più anticipate) e quindi si ha il giusto tempo per rientrare all’ovile; ma chi deve venire dall’hinterland o - peggio - da fuori provincia, come fa? Il biglietto di ingresso può servire come salvacondotto, da allegare all'autocertificazione? Ah, saperlo... Forse - come argutamente si scrive sul FattoQuotidiano - bisognerebbe imporre un coprifuoco dalle 5 alle 23 per Gallera&C!
___
Bene, dato a Cesare Fontana ciò che... non si merita, vengo al sodo: riecco sul podio il Direttore musicale Flor per il quinto appuntamento del primo trimestre di questa stagione covid-dipendente.

Appuntamento che vede il ritorno del tuttora sottovalutato Leoš Janáček, già protagonista del concerto inaugurale alla Scala con uno dei suoi ultimi lavori (Taras Bulba) e del quale adesso si esegue invece un brano giovanile (composto a 23 anni) che impegna i soli archi dell’Orchestra: la Suite del 1877. (Brano da non confondere con la meno eseguita Suite per Orchestra - fiati 2-2-3-2/3-2 inclusi, più timpani, triangolo e arpa - del 1891, che è una specie di centone ricavato da musiche per il teatro.)

La Suite si presenta in 6 movimenti, originariamente pensati proprio sul modello barocco, ma poi realizzati in modo del tutto (o quasi) divergente da esso, tanto che l’Autore la fece pubblicare solo quasi mezzo secolo dopo averla composta, e senza alcun sottotitolo. Abbastanza innovativa (per qualcuno magari anche cervellotica...) la progressione tonale, che parte dal SOL minore per chiudere in SI maggiore! Insomma, un bell’esercizio di un tipo promettente, che poi - non per sua colpa - non ha mai veramente sfondato.  
___
Ecco qualche sommaria indicazione per seguirne lo sviluppo, ascoltandola da Manfred Honeck alla Philharmonie con gli archi di Pittsburgh.

Si parte (1’43”) con un Moderato in SOL minore (4/4 alla breve, una novantina di battute) aperto da pesanti accordi con acciaccatura. La prima sezione, caratterizzata da un tema energico, sfocia, dopo rapide modulazioni a SIb maggiore e LA maggiore, verso una pausa di riflessione (note pizzicate degli archi bassi) che prepara la seconda sezione. Che inizia a 3’02” in DO maggiore, esponendo un tema più lirico e cantabile. A 3’35” si modula a MIb maggiore, poi ancora (4’07”) a SOL maggiore per chiudere con una cadenza morente.

Segue (5’29”) un Adagio in SOL maggiore (4/4, una trentina di battute) affidato ai soli archi alti, divisi in 4 parti (Violini I, 2 Violini II e Viola). La tonalità è continuamente increspata da inflessioni espressioniste (mahleriane, si direbbe) e la struttura è in tre sezioni. La prima viene ripetuta a 6’25”, la seconda (7’10”) presenta una fugace digressione a RE maggiore e viene a sua volta ripetuta a 7’54”. La terza (8’38”) ha la funzione di cadenza conclusiva.

Ecco ora (9’43”) un Andante con moto, ancora in SOL maggiore (4/4, meno di 30 battute). Si tratta di un breve e gaio brano di danza popolare. La prima sezione viene ripetuta a 9’55” e si chiude a 10’06”. La seconda sezione presenta pure una ripetizione (ma non con il da-capo) e porta, dopo due impertinenti quanto fugaci modulazioni a MIb maggiore, alla rapida conclusione.

Lo Scherzo (10’45”) è in RE minore e SOL (minore-maggiore) in 3/4 per circa 210 battute, e sa molto di... Beethoven (nona): l’incipit del Presto riprende pari-pari quello di un piccolo esercizio (Intrada, per 4 violini) del 1875, nella stessa tonalità. La prima sezione sfocia in SOL minore e viene ripetuta a 11’05”. A 11’22” ecco la seconda, che resta in SOL minore salvo una breve digressione alla relativa SIb maggiore, per concludersi a 11’53”. Qui il tempo si fa Andante (è in effetti il Trio dello Scherzo) e la tonalità è SOL maggiore: è una melodia soave e cullante, che si chiude a 12’57” con l’ultima riproposizione nei gradi più alti della tessitura strumentale. A 13’17” riprende il Presto che conclude il movimento abbastanza sorprendentemente (tramite il FA# dei Violini II) in RE maggiore.

Segue (14’12”) un secondo Adagio in RE e poi SIb maggiore (4/4, poco più di 40 battute). Si caratterizza - a differenza di quello del secondo movimento, riservato ai soli archi alti - per il ruolo preminente di quelli bassi, che nelle prime 8 battute introducono, riprendendo il RE maggiore dell’ultima semiminima dello Scherzo, il languido tema che (15’07”) viene esposto dai violini ancora in RE, per poi virare, attraverso il SI, al SIb maggiore (15’37”) dove viene ripreso dai violoncelli, quindi (16’15”) da violini, poi viole, ancora violini e celli. A 17’18” ecco la sezione conclusiva, affidata a celli e bassi, poi ancora ai violini, che ripropone il tema.

Chiude la Suite un nuovo Andante in SI minore (4/4, 80 battute). Anche questa è una parziale sorpresa, criticata da molti (incluso l’autorevole biografo-esegeta di Janáček, Jaroslav Vogel): sia per il tempo (si preferirebbe un Allegro) che per la tonalità (tutta la Suite tende a ruotare intorno al SOL, e il SI naturale gli è un filino distante - la relativa minore della dominante RE). Il movimento rispetta abbastanza da vicino i canoni della forma-sonata: si inizia (18’33”) con l’esposizione del primo tema, seguita da quella del secondo (19’00”) nella relativa RE maggiore. L’esposizione viene (19’24”) classicamente ripetuta, poi (20’12”) arriva lo sviluppo, che elabora principalmente il secondo tema. Infine ecco (21’05”) la ricapitolazione dei due temi nella stessa tonalità di SI minore, fino alla coda conclusiva (21’42”) che vira inaspettatamente (forse, stante i precedenti...) a SI maggiore.
___
Devo dire che un (sia pur minuscolo) lato positivo il Covid ce lo ha portato: la possibilità (legata alla necessità) di ascoltare dal vivo opere, come questa, che sono di assai rara programmazione, soprattutto da parte delle maggiori compagini sinfoniche che - come laVerdi - fanno del grande repertorio classico il loro cavallo di battaglia. Così è accaduto anche per questa proposta invero interessante, che i ragazzi dell’Orchestra hanno mostrato di affrontare con lo stesso entusiasmo che mettono in Mahler, Strauss, Beethoven e Mozart.
___
Che è l’autore del secondo ed ultimo brano in programma, interpretato da un giovane di belle speranze, il 25enne Aaron Pilsan, tornato qui dopo quasi due anni. Allora aveva affrontato un mostro sacro qual è il Quarto beethoveniano, sorprendendo tutti per la sua maturità nel padroneggiarlo. Adesso conferma la sua grande classe con il Concerto per pianoforte e orchestra K414 In LA maggiore, una delle prime composizioni del Mozart viennese (1782-3) destinata ad aprire la strada alla gloriosa serie di concerti che culminerà con il K595 del 1791.

L’Orchestra è di struttura cameristica: soli quattro fiati (coppie di oboi e corni) più il fagotto, ma solo ad-libitum in funzione di basso. Gli archi sono indicati a quattro, quindi i contrabbassi sono eventualmente impiegabili come rinforzo dell’accompagnamento: qui in Auditorium la configurazione è di 23 elementi (6-5-5-4-3).

Una curiosità - spesso citata nelle esegesi - riguarda il centrale Andante, che si apre con una esplicita citazione (tonalità compresa) del Bach londinese (Johann Christian) che era scomparso al tempo della composizione del Concerto e che Mozart aveva conosciuto nel suo viaggio a Londra: si tratta del tema - sottilmente variato nel ritmo - dell’Andante Grazioso dall’Ouverture per un’opera di Baldassare Galuppi, intitolata La calamita de’ cuori:

Qui Peraya ci propone la giustapposizione dei due brani: prima il passaggio di Bach, e poi (2’23”) l’intero movimento di Mozart.

Pilsan ci ha offerto questo piccolo gioiello con la giusta delicatezza (Mozart ne parlava come di musica che deve immediatamente piacere al pubblico, ma senza essere superficiale o cadere nel volgare) e l’Orchestra a ranghi ridotti ha presumibilmente riprodotto l’ambiente originale che caratterizzava queste esecuzioni. E in effetti il pubblico non ha lesinato convinti applausi a tutti, solista, direttore e strumentisti. Dopo un nuovo richiamo a mezzo applausi ritmati, per ringraziare Pilsan ha offerto - a noi sparuti rari-nantes - dapprima un funambolico Chopin (Etude op.10 n°8) e poi questa personalissima Elisa.

Fuori, una pioggerella pulviscolare ci riporta nella triste prospettiva del coprifuoco... Che - fate voi chi - ce la mandi buona.  

25 gennaio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°14


In prossimità della Giornata della Memoria laVerdi ha voluto rendere omaggio a due compositori che furono vittime (pur con diversi esiti) della follia nazista: Hanns Eisler, la cui unica colpa fu di essere un ebreo convinto pacifista e sostenitore dell’ideologia comunista, il che lo costrinse - dopo l’avvento di Hitler - a lasciare la sua Germania esiliandosi in USA (da dove dovette peraltro andarsene dopo la guerra, proprio perchè... comunista); e l’ebreo boemo Erwin Schulhoff, pure comunista militante, morto di tubercolosi nel 1942 nel campo di concentramento di Wurzburg dove era stato rinchiuso dai nazisti che lo avevano arrestato proprio mentre cercava di riparare in URSS.

L’impaginazione del concerto sembra quasi volerci ammonire che le più grandi civiltà possono generare - se non si vigila e, appunto, non si fa tesoro delle esperienze passate - autentici mostri. Come è stato possibile che da un’epoca e da un Paese che aveva prodotto - nel campo artistico e musicale - figure come quelle di Beethoven e Wagner sia potuta nascere una barbarie come quella che insanguinò l’Europa e il mondo intero?

Domande quanto mai di attualità nel mondo di oggi che, svanita l’illusione della fine della storia e dell’avvento dell’Eden, sembra purtroppo avviato a ripiombare in un inferno dove i muri da poco abbattuti vengono ricostruiti ancor più alti e impenetrabili e dove milioni di esseri umani tornano ad essere considerati come pericoli pubblici dai quali doversi difendere, anche con la forza.

Per meditare su tutto ciò il programma presentato questa settimana in Auditorium, dopo una trascinante Ouverture e uno dei più straordinari Concerti solistici, non si chiude trionfalmente - come da tradizione - con una grande opera sinfonica, bensì con due onesti lavori usciti dalla penna di individui che furono innocenti vittime della barbarie novecentesca succeduta al glorioso ‘800.

Timothy Brock, originario dell’Ovest americano, è specialista (come studioso, esecutore e compositore) di musiche da film (per questa sua esperienza è stato già ospite in Auditorium) oltre che di musica del ‘900, il che ha a che fare in particolare con il terzo brano in programma. Ma sa ovviamente destreggiarsi con tutto il repertorio classico e così la sua lettura dell’Ouverture del Tannhäuser è davvero trascinante, mettendo efficacemente in mostra il contrasto fra la componente mistica e quella erotica del brano (contrasto che peraltro caratterizza l’intera opera).

Il giovanissimo austriaco Aaron Pilsan ci ha poi deliziato con il monumentale quanto ostico Quarto concerto di Beethoven, forse e senza forse la più alta espressione di questo genere di pianismo: lui si è portato dietro lo spartito, ma lo ha lasciato sul bordo del pianoforte, forse per sentirsi vicino a... Beethoven. La sua è stata un’interpretazione convincente, tutta leggera e come in punta di piedi, salvo il turbinoso finale.

Se a soli 24 anni mostra questa maturità, c’è davvero da aspettarsi da lui un futuro ricco di grandi cose. Per ringraziare degli applausi ci suona dapprima un Mozart proprio... turco (parodia o geniale parafrasi?) e poi un trascinante Chopin (primo studio op.10).
___
Ecco poi i due brani (composti quasi contemporaneamente, fra il 1931 e il ’32) che in qualche modo ci portano all’attualità delle celebrazioni di fine gennaio. Il primo è Niemandsland di Eisler, un breve suite in quattro parti, tratta dalle musiche per l’omonimo film dai contenuti chiaramente pacifisti ed anti-militaristi. Più che un’orchestra sinfonica, qui abbiamo una band con sax e banjo, oltre al pianoforte, potenziata da qualche violoncello. Sono 10 minuti di musica accattivante, che però i puristi nazi bollavano come degenerata, bontà loro... 
___
Chiude la serata la Sinfonia n°2 di Schulhoff, che risente chiaramente dell’atmosfera da realismo socialista, che l’Autore ebbe modo di respirare in URSS. Ci si sente però anche qualcosa di Mahler, oltre che dello Stravinski neoclassico. Insomma, nulla di straordinariamente originale, un po’ come la sinfonia di Schmidt ascoltata l’altra settimana: due autori ideologicamente agli antipodi che sembrano incontrarsi sul terreno musicale.

Pubblico non oceanico e ulteriormente smagritosi all’intervallo (nobbuono) che ha riservato calore e applausi a Brock e ai ragazzi. Date le circostanze, bene così.