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11 agosto, 2025

ROF-2025 alla radio (1-3).

Zelmira ha aperto ieri sera a Pesaro (Auditorium Scavolini) il 46° Rossini Opera FestivalCome ormai accade da tempo immemorabile, Radio3 ha trasmesso in diretta l’evento (e trasmetterà domani e dopo - ore 20 - anche le due altre prime serate del cartellone principale). Anche Oreste Bossini ha ormai assunto in pianta stabile la responsabilità (che per lunghi anni fu di Giovanni Vitali) della presentazione e dei commenti allo spettacolo.

Lasciando ovviamente il giudizio sull’allestimento di Bieito (per il quale rimando ad un successivo scritto, dopo visione in-corpore-vili) comincio con il segnalare che, contrariamente alle (mie…) previsioni, ma anche alla prassi seguita fin qui nelle due precedenti proposte (1995 e 2009) la versione presentata è quella che si può identificare come Vienna-1822, e non quella di Parigi-1826. Il che significa, in sostanza, che nel finale mancano l’aria di Zelmira (Da te spero, oh Ciel clemente) e la successiva scena mutuata da Ermione, cabaletta (Dei, vindici ognor voi siete) compresa. Ma ciò è evidentemente contemplato, come possibile scelta, dall’Edizione critica della Fondazione Rossini, ragion per cui il ROF può aver deciso di presentarla come primizia di questa edizione del Festival.

La direzione di Giacomo Sagripanti (Barbiere 2014, Ricciardo£Zoraide e PMS 2018, Moise 2021) alla testa dell’Orchestra del Comunale di Bologna mi è parsa assai curata e convincente, almeno nelle scelte agogiche, con tempi quasi mai troppo sostenuti (sulle dinamiche la diffusione tecnologica lascia spesso false impressioni). Bene anche il Coro del teatro Ventidio Basso guidato da Pasquale Veleno (esordiente al ROF).

Quanto alle voci, lodevole la prestazione della protagonista Zelmira, Anastasia Bartoli, che ha confermato le sue doti già messe in luce qui in Eduardo&Cristina 2023 e in Ermione 2024. Da ricordare il duetto con Emma (e con arpa e corno inglese…) e il finale Riedi al soglio, con belle colorature.

Esordiente in assoluto al ROF, Marina Viotti è la fedelissima di Zelmira, Emma, ben distintasi nel citato duetto con Zelmira, nel terzetto con la stessa e Polidoro, e soprattutto nell’aria viennese dell’inizio del second’atto (Ciel pietoso) e nella successiva cabaletta col coro (Ah se è ver).  

Veniamo ai due tenori. Il marito di Zelmira (Ilo) è Lawrence Brownlee (Cenerentola 2010) che nella sua aria di esordio (Terra amica) e successiva cabaletta (Cara, deh attendimi) che è anche la più impegnativa, ha superato discretamente i due primi RE sovracuti e poi (La bianca mano) ha abbassato il terzo ad un meno rischioso SI, chiudendo poi con i DO ghermiti a fatica. Più sicuro nel centro della tessitura.

L’usurpatore Antenore è interpretato da Enea Scala (Sigismondo 2010, Mosè 2011, Occasione 2013, Otello 2022, Eduardo 2023, Ermione 2024); nelle citate precedenti presenze al ROF non mi aveva mai completamente convinto, e devo dire che anche ieri non mi ha…. convinto del contrario, ecco. Vibrato piuttosto sgradevole, acuti spesso ingolati ed anche intonazione non pulitissima.

Al vecchio Re Polidoro presta la voce Marko Mimica (Gazza 2015, Donna 2016) che tende spesso a forzare eccessivamente l’emissione, ma in complesso se l’è cavata dignitosamente, dando il suo efficace contributo anche ai numeri d’insieme (terzetto e quintetto).

Il consigliere/stratega/sicario di Antenore, Leucippo è Gianluca Margheri (Pietra 2017, Bruschino 2021) che per me ha meritato di più del suo… datore di lavoro: voce solida, buona intonazione e portamento.

Gli esordienti nel cartellone principale sono Paolo Nevi (Eacide) e il Gran Sacerdote Shi Zong. In particolare, note positive per il primo.

Per ora è tutto, aspettiamo il dittico di questa sera per… estendere questi commenti.

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Il glorioso (e rimesso in ordine) Teatro Rossini ha ospitato ieri la prima del dittico Soirées musicales – La cambiale di matrimonio: un autentico coda-testa rossiniano, trattandosi di una delle composizioni post-operistiche e della prima (compiuta) composizione operistica del Gioachino.    

Le dodici canzoni che compongono la raccolta delle Soirées (anni 1830-35) costituiscono una primizia del ROF-2025, in quanto viene rappresentata la nuova versione - che sostituisce l’originale accompagnamento del solo pianoforte con quello di un ensemble strumentale cameristico - approntata da Fabio Maestri e presentata per la prima volta in uno dei concerti del cartellone collaterale del ROF-2019.   

Canzoni interpretate da quattro voci (soprano, mezzo, tenore e baritono) che fanno anche parte dei cast dell’Italiana in Algeri (Vittoriana De Amicis, Andrea Niño e Gurgen Baveyan) e di Zelmira, in cui compare Paolo Nevi.

La distribuzione delle voci ha una base paritetica fra soprano e tenore (6 canzoni a testa, di cui una in duetto) più due canzoni per il mezzosoprano (entrambe in coppia con il soprano) e una per il baritono, in coppia con il tenore.

L’orchestrazione di Maestri non è per nulla invasiva e – grazie a Christopher Franklin, esordiente nel cartellone principale, ma da tempo di casa al ROF - conserva quindi tutta la leggerezza e la discrezione che caratterizzano questi gustosi cammei che ci fanno scoprire quel Rossini miniaturista che continuerà su questa strada ancora per molto tempo, con i Peché de vieillesse.

Assai apprezzabile la prestazione dei quattro interpreti, che il pubblico ha accolto con molto favore.

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La cambiale di matrimonio viene riproposta nell’allestimento di fortuna del 2020, realizzato in piena emergenza Covid, con la platea allora interamente occupata dall’orchestra e i palchi pure razionati. Oggi si torna alla normalità, il che sono certo permetta di apprezzare meglio lo spettacolo di Laurence Dale. Qui la registrazione di Radio3.

Sotto la guida di Franklin l’agguerrita Filarmonica Gioachino Rossini ha brillantemente accompagnato la voce del decano del ROF Pietro Spagnoli (Bianca&Falliero 1989, Otello 1991, Messa 1992, Matilde 1996, Bruschino 1997, Adina 1999, Gazzetta 2001, Pietra 2002, Turco 2016, Barbiere 2018, Bruschino 2021) che non smette di stupire, questa volta nei panni del protagonista, commerciante in… figlie, Tobia Mill.

La merce in vendita figlia di Mill, Fannì, è la bravissima Paola Leoci (Adelaide 2023) che ha messo la giusta verve a servizio di questa ragazza ribelle alle regole patriarcali imposte dal padre-padrone.

Il suo spasimante Edoardo è Jack Swanson (Bruschino 2021, Barbiere e Reims 2024) che mi pare migliorare di stagione in stagione, mettendo a profitto la sua voce sottile e squillante.

Il bizzarro ma progressista acquirente di anime gemelle (Slook) è Mattia Olivieri, un debuttante al ROF che però ha esperienza da vendere e lo dimostra con una prestazione davvero autorevole.

I comprimari sono altri due debuttanti: il Norton di Ramiro Marturana e la Clarina di Inés Lorans (applaudita la sua arietta Anch’io son giovine) che hanno dato il loro contributo al successo della serata.

Oggi ci aspetta una nuova Italiana!

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Il terzo ed ultimo appuntamento di Radio3 per il Festival ci ha proposto la nuova produzione de L’italiana in Algeri, opera che compare per la sesta volta nel cartellone del ROF.

Produzione affidata a Rosetta Cucchi (di cui parlerò dopo visione diretta) e al polimorfo Dmitry Korchak (nato al ROF come cantante fin dallo Stabat Mater del 2006 e poi tornato a Pesaro almeno un’altra dozzina di volte) sul podio (ma canterà anche quest’anno nella finale Messa per Rossini). La sua consuetudine con Rossini viene messa a profitto in una direzione briosa e brillante, già evidente dall’esecuzione della famosa Sinfonia e poi nel sostegno alle voci, mai invasivo. Ottima la risposta dell'Orchestra del Comunale bolognese e bene anche il Coro del Ventidio Basso diretto da Pasquale Veleno.

Protagonista sotto ogni aspetto e annunciata trionfatrice della serata è stata la Isabella di Daniela Barcellona, decana del ROF che la lanciò nel mondo del teatro fin da Ricciardo&Zoraide 1996, e poi la vide presente qui in Tancredi 1999, Donna/Stabat 2001, Semiramide/Stabat 2003, PMS 2004, Bianca&Falliero 2005, Adelaide 2006, PMS 2007, Maometto 2008, Sigismondo 2010, Adelaide 2011, Tancredi 2012, PMS 2018, Eduardo&Cristina 2023. Il contralto friulano ha ormai tanta esperienza da poter metter riparo anche a qualche piccolo problema nella parte bassa della tessitura, ma per il resto la sua mi è parsa una prestazione di gran livello, culminata nel rondò Pensa alla patria.

Bene anche Giorgi Manoshvili (PMS 2023, Bianca&Falliero 2024) che ha messo la sua voce scura e ben impostata al servizio del tragicomico personaggio di Mustafà, fin dalla cavatina d’esordio. E poi nell’aria del primo atto (Già d’insolito ardore).

L’esordiente Misha Kiria devo dire che (mi) ha piacevolmente impressionato, per la bella voce chiara e tornita e l’espressività mostrata nel caratterizzare il tronfio Taddeo, anche lui gabbato da Isabella come il Bey.

Il Lindoro Josh Lovell ha esordito al ROF con una convincente prestazione, a partire dalla famosa cavatina d’esordio (Languir per una bella) mostrando voce e portamento adeguati al romantico e innocente personaggio dell’innamorato Lindoro.

Vittoriana De Amicis, già sentita lo scorso anno nel Reims concertato e due sere orsono nelle Soirées, è stata una più che valida Elvira, della quale ha saputo interpretare gli aspetti di giovane donna schiava delle convenzioni e delle fisime del marito-patriarca.

Altri due protagonisti nelle Soirées di lunedi, la brava Andrea Niño (Gazzetta 2022) come Zulma e Gurgen Baveyan nei panni del finto feroce Haly hanno degnamente completato il cast.

Bene, chiuso così il ciclo delle prime, ascoltate via etere, mi resta ora da confermare la buona impressione generale e poi giudicare gli allestimenti; cosa che farò a breve.  


17 agosto, 2013

ROF XXXIV: L’Italiana in Algeri, ossia… altro petrolio


La mia personale avventura al ROF-2013 è cominciata ier sera con la terza delle cinque rappresentazioni dell’Italiana al Teatro Rossini, gremito quasi come la spiaggia di Rimini.


Quest’anno è toccato a Davide Livermore (che deve avere col ROF un contratto… vitalizio, smile!) riproporci uno dei più splendidi prodotti del genio di questi luoghi. 


Miracolo dell’invenzione registica moderna: siamo ad Algeri!

Niente Route66, niente Baku, niente MountRushmore, niente AlexanderPlatz, niente WallStreet. Però qualcosa che richiama il recente capolavoro di Castorf a Bayreuth c’è anche qui: il petrolio! Già, perché circa 150 anni dopo la composizione del dramma giocoso l’Algeria scoprì di avere sotto il culo un pochino (non certo tanto quanto ne hanno quei fottutissimi sceicchi) di oro nero, e così il regista ci ha trovato l’ambiente giusto (a suo insindacabile giudizio) per collocarci la sua Italiana.  

Poco importa che l’Algeri di 50 anni fa fosse tutto tranne che una città dedita a baldorie e sfoggio di ricchezza (vi vigeva anzi, con Boumedien,  un socialismo piuttosto austero) e che di Mustafà rossiniani ne circolassero pochi o punti. L’Algeri di Livermore (complici Bovey e Falaschi per scene e costumi) è una specie di sultanato o sceiccato del petrolio trasportato a Hollywood, un minestrone di cartone animato, avanspettacolo, zelig e parodia di quelle che facevano i simpatici del Quartetto Cetra al sabato sera.

Ma alla fine va bene così, compreso il disastro aereo (ma senza conseguenze) che sostituisce l’originale naufragio. Però, accipicchia: petrolio e incidente aereo che coinvolge italiani, a metà del secolo scorso… vien in mente qualcosa di drammatico e assai poco giocoso: Mattei (?!) Ah già, ma Livermore è mica quello che ha infilato la strage di Capaci nei Vespri? Ecco…

Dopodichè l’impresa di mettere in parodia e buttare in ridicolo un soggetto che è già in partenza giocoso o buffo o farsesco non è delle più semplici, diciamolo francamente. E allora il regista e i suoi compari si inventano, in barba al recitar-cantando, il ballar-cantando; dico, non c’è una sola nota di Rossini che sia stata emessa (da interpreti, coro maschile e figuranti assortiti) senza molleggiamenti, mossette da swing o balletti da avanspettacolo! Il che per un po’ diverte, ma dopo 2 ore e mezza rischia francamente di stomacare.

Insomma, una proposta che si può anche digerire, come certi avanspettacoli di 40-50 anni fa allo Smeraldo di Milano (smile!)   

Sul fronte… serio conferme e smentite rispetto alla radioaudizione di sabato scorso.  Le prime vengono da Alex Esposito, che ha riempito il piccolo spazio del Rossini con la sua bella voce brunita, aggiungendovi una gran dose di teatralità (comprese alcune cadute di stile, come l’imbottirsi di viagra e lo spararsi nelle palle, imputabili esclusivamente a Livermore).

Anche Yijie Shi si conferma solido interprete di questi ruoli Lindoriani: chi ha avuto la fortuna di sentire dal vivo Duprez (smile!) non potrà non farci un chiaro accostamento.

Brava anche la Mariangela Sicilia, che ha una voce tanto potente quanto forse non ancora ben… addomesticata. Però nei concertati sovrastava tutti gli altri.

Una menzione anche per Davide Luciano, che canta l’aria forse più mozartiana di tutta la produzione di Rossini (Le femmine d’Italia, un vero gioiellino): e lì il nostro si è davvero ben destreggiato.

Mario Cassi (Taddeo-babbeo) e Raffaella Lupinacci (Zulma) su uno standard di sufficienza.

Chi francamente mi ha deluso (rispetto all’ascolto via radio) è Anna Goryachova: forse per la trasmissione le avevano sistemato un  microfono direttamente in faringe (stra-smile!) Fatto sta che, pur nell’angusto spazio del teatrino pesarese, la sua voce si stentava proprio a percepirla. In compenso, dal vivo si son potute apprezzare altre sue pregevoli qualità: prima fra tutte, quella di essere una gran gnocca!

Il coro dei maschietti di Andrea Faidutti mi è parso all’altezza del compito, gravato oltretutto dai compiti supplementari imposti dal regista.

Orchestra non al meglio, direi, con diverse sbavature (corni, ma non solo) e Direttore (Encinar) a livello di dignitosa routine, nulla più.

Alla fine applausi per tutti (Esposito ne ha mietuti di più) e pubblico (come al solito cosmopolita) tutto sommato soddisfatto e sorridente.
     

12 luglio, 2011

L’Italiana in Algeri alla Scala



Ieri sera, in un Piermarini desolatamente semideserto, terz'ultima recita dell'Italiana, con il primo cast (minimamente rinforzato) degli artisti dell'Accademia.

Il quasi quarantenne allestimento del grande Jean-Pierre Ponnelle (ripreso da Lorenza Cantini) sta lì a dimostrare come le cose fatte con serietà, misura ed intelligenza non temano il logorìo del tempo e mantengano intatta tutta la loro freschezza e godibilità. Ma l'opera non è solo regìa, è soprattutto musica e interpreti: pretendere che il pubblico spenda - per un posto di platea e palco ad una recita di fine anno di una pur rispettabile scuola - la stessa cifra che spende per la Walküre inaugurale è cosa bizzarra non solo rispetto alle leggi del mercato, ma anche a quelle dell'arte. E così soltanto le gallerie avevano un aspetto vagamente normale: per il resto, occupazione posti sotto il 50%, a occhio e croce.
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Che Rossini rappresenti uno snodo fondamentale nello sviluppo della musica dell'intero '800 non è certo una novità, ma sempre si resta sorpresi nello scoprire i sotterranei legami che uniscono compositori e relative opere. Ecco, nell'Italiana troviamo tracce del passato e anticipazioni del futuro. Come non riconoscere il magico flauto di Papageno nell'inciso che compare già all'inizio della prima scena?
 

E il coro Viva il grande Kaimakan, non cita quasi alla lettera l'epinicio che chiude il Ratto?

E questi non sono che due dei tanti tributi di Rossini al grande Teofilo. Ma poi come non scorgere, nell'Introduzione al secondo atto, il motivo dell'Allegro marziale che ritroveremo in Norma?

E qualcosa del Finale II dell'Italiana sembrerebbe essere rimasto in testa persino al Brahms dell'ultimo tempo della sua prima Serenade:

Sappiamo poi che tracce di Rossini si trovano anche in Wagner, a testimonianza di un fil rouge che percorre un intero secolo di musica...
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Bene, come ci hanno propinato questo capolavoro Allemandi&C?

Il Direttore ha tenuto insieme l'Orchestrina con sufficiente autorità, staccando tempi appropriati (anche se nei due concertati finali ha un po' frenato, forse per timore di conseguenze sul palcoscenico). I ragazzi se la sono cavata dignitosamente, inclusi i corni, ripresisi bene dopo un non felicissimo esordio.

Quanto alle voci, i fuori-quota Pertusi e Taormina si son distinti assai più sul fronte macchiettistico che su quello canoro: Pappataci e Kaimakan dovrebbero far ridere sì, ma cantando sempre, non vociando o sghignazzando spesso e volentieri. Meglio han fatto i due negretti (Yende e Brownlee) che se la sono cavata discretamente, esibendo anche i loro DO e SI acuti con sicurezza. Tornatore e Polinelli (quast'ultimo più impegnato sul piano atletico, che su quello canoro) hanno sostenuto le loro parti di contorno con apprezzabile impegno. Chi (mi) ha in parte deluso è la ex-scolara Rachvelishvili: ha un vocione impressionante, che emerge però quasi esclusivamente negli acuti; per il resto… un ritorno in Accademia forse le farebbe bene (che ne dici, Daniel?) Bravi invece i ragazzi del Coro di Caiani (che la locandina online del teatro ignora sciaguratamente).

Comunque lo scarso pubblico ha mostrato di gradire, tributando applausi a scena aperta e all'uscita finale a tutti. Ma – ripeto – a far cilecca (e siamo proprio nel bel mezzo di bufere dei rating) è stato il price/performance.
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