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29 settembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.1

Dopo il brillante esordio alla Scala, l’Orchestra Sinfonica di Milano è tornata in Auditorium per il 1° Concerto in abbonamento della stagione 23-24. Concerto dai contenuti ultra-tradizionali, interamente dedicato alla Russia, dell’800 e del ‘900. Sul podio torna, dopo il suo debutto di un anno fa, il giovin albionico Joel Sandelson, che ancora deve fare 30 primavere ed è già lanciato nel gran mondo della direzione.

Ma è un ancor più giovane violinista, il 22enne Giuseppe Gibboni (buon sangue non mente…) ad aprire la serata, interpretando il Concerto Op.35 di Ciajkovski. Qui ecco Giuseppe nella primavera del 2021 in una delle ormai tante sue interpretazioni dei questo brano, che pochi mesi dopo suonerà a Genova nella prima giornata del Premio Paganini, da lui poi trionfalmente vinto.

In questo mio vecchio commento potete leggere invece ciò che di questa composizione pensava il purista Eduard Hanslick, che qualche decennio dopo venne preso proprio sul serio dallo… spirito santo del business!

Beh, con buona pace dello schizzinoso critico boemo-viennese, devo dire che dal violino di Gibboni sono usciti solo profluvi di suoni profumatissimi e inebrianti! Ad una tecnica stupefacente il giovane campano unisce una grande sensibilità interpretativa, evidentemente frutto di studio e di scavo della partitura: con impiego sempre appropriato di rubato e di sottili variazioni agogiche e dinamiche (purtroppo queste ultime a volte sopraffatte da eccessi di volume dell’orchestra… ma Sandelson ha ancora due occasioni per rimediare). Insomma, una prestazione veramente da incorniciare. 

Così il trionfo è assicurato, e ripagato con due encore: dapprima il trascendentale Quinto Capriccio dell’Op.1 di Paganini; poi l’Adagio dalla Prima Sonata per violino in SOL minore, BWV1001 di Bach.
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La seconda parte della serata è dedicata alla Quinta di Shostakovich. Qui alcune mie considerazioni sulle circostanze che ne caratterizzarono la composizione e sugli equivoci che essa ha da sempre generato. 

Ad ogni ascolto mi convinco sempre di più che va gustata proprio come pura musica, dimenticando le circostanze extra-musicali che ne caratterizzarono la nascita e pure la fruizione da parte del pubblico. E anche ieri, grazie alla forma strepitosa dell’Orchestra e alla direzione equilibrata di Sandelson (che merita davvero la popolarità che sta conquistando in tutta Europa, dopo la rivelazione in patria) la Sinfonia ci è apparsa in tutta la sua immanenza formale (copyright Adorno sulla Sesta mahleriana) che ne fa, proprio insieme alla Quarta di cui doveva essere… il contraltare, il punto più alto della parabola sinfonica del compositore russo.

Inutile dire del successo pieno dell’esecuzione, con ripetute chiamate, applausi ritmati e ovazioni per tutte le sezioni dell’Orchestra. Si replica oggi e domenica.

08 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 2

Ancora un programma ultra-tradizionale (nell’impaginazione) per il secondo appuntamento della stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Sul podio il 28enne londinese Joel Sandelson, uno dei tanti astri nascenti (ma proprio… in fasce) della direzione d‘orchestra, dopo esser venuto alla luce come cellista.

Ma è l’attualità ad irrompere in scena prima delle note: la Presidente Ambra Redaelli si aggiunge alla schiera di donne illustri nel testimoniare solidarietà per Mahsa, recidendosi pubblicamente una bella ciocca di capelli.

E a proposito di attualità, il brano di apertura, invece della classica Ouverture (o cose simili) è una Sinfonia-con-voce di Nicola Campogrande (testo di Piero Bodrato) che reca un titolo allusivo: Un mondo nuovo. Opera commissionata all’attuale Direttore del MITO dall’Orchestra milanese e da altre istituzioni musicali internazionali. Opera composta di getto nella scorsa estate sotto l’impressione e l’incubo della guerra che ancora (e sempre più minacciosamente, anche per noi) insanguina quel lembo orientale dell’Europa. Questa di Milano è la seconda assoluta, la prima essendo stata data a Roma lo scorso 30 settembre con l’Orchestra di Roma Tre e la stessa interprete vocale, la 43enne di Wùrzburg Theresa Kronthaler.

Strumentazione con i fiati – senza tromboni e tuba - rigorosamente a coppie, poi archi e nutrita batteria di percussioni. Quattro movimenti, come in ogni Sinfonia classica che si rispetti, con l’unica (mahleriana peraltro) eccezione del movimento finale lento e cantato:

Allegro, 4/4 (87 battute). Beh, non pretenderemo di trovarci la classica forma-sonata… però almeno vi compaiono due temi ben riconoscibili, il primo dei quali chiude il movimento.

Adagio espressivo, 4/4 (37 battute). Questo è il tradizionale movimento lento, con flauto e clarinetto che staccano pochi melismi sul tappeto degli archi.

Allegro spiritoso, 3/4 (85 battute, di cui 73 da ripetersi). Nell’800 si sarebbe chiamato Scherzo… in realtà pare più un comodo Ländler.

Adagio cantabile, 4/4 (Canto nel canto, il canto. 114 battute). Non saprei dire se Mahler (oltre alla forma) abbia anche ispirato il testo e la musica: tuttavia la presenza del canto ci ricorda la Cäcilia del Wunderhorn e la sua ottimistica chiusa.

Campogrande resta saldamente ancorato alla tonalità, solo un poco increspata, ecco, e ciò garantisce comprensibilità alla sua musica e calore all’accoglienza del pubblico.
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La parte centrale del programma è occupata da un monumento della civiltà musicale occidentale: il Quinto Concerto per pianoforte di Beethoven, universalmente noto come Imperatore. A proporcelo è il pianista volante Roberto Cominati, che ormai da anni è diventato un abitué dell’Auditorium.

Lui non si vergogna ad inforcare gli occhiali per sbirciare ogni tanto lo spartito che tiene dentro la cassa del pianoforte, l’importante è che ci delizi con la sua tecnica e la sua sensibilità (da incorniciare l’Adagio un poco mosso). Sandelson da parte sua aizza l’orchestra per calcare al massimo i contrasti del dialogo con il solista e così ne esce un’esecuzione davvero da ricordare!

Poi, come bis, Cominati ci propone un breve lamento, quanto mai appropriato per i tempi grami che ci aspettano…
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Per farci dimenticare, almeno per mezz'ora, tutti i mali del mondo, è la Prima Sinfonia di Brahms a chiudere solennemente la serata. Sandelson qui stupisce davvero, per rigore, maturità e chiarezza di interpretazione (non risparmia nemmeno il da-capo nel movimento iniziale): pochi dubbi che ne sentiremo sempre più parlare in futuro. I ragazzi da parte loro hanno dato il massimo, per illustrare al meglio questa serata davvero particolare.