Terza recita,
ieri sera alla Vitrifrigo Arena, de Le Comte Ory, nella nuova produzione targata DeAna-Matheuz. Qui l'audio della precedente realizzazione del 2009. Qui invece
l’audio della prima del 9 scorso.
Vitrifrigo
Arena non propriamente esaurita, ma abbastanza densamente
popolata da un pubblico ben… caricato.
Che cosa sia,
in termini di genere, quest’opera è cosa a prima vista inafferrabile,
tanto che musicologi e critici si sono spesso divisi su come battezzarla. Due
eccellenti saggi (a firma di Emanuele Senici e Mark Everist)
comparsi sul programma di sala del ROF ci aiutano a districarci in questa
specie di labirinto.
Intanto:
l’Ory, pur essendo stato espressamente commissionato e messo in scena dall’Académie
Royale (aka l’Opéra) manca dei principali requisiti
imprescindibilmente prescritti dal capitolato tecnico del Teatro in
fatto di GrandOpéra: è in soli 2 atti (anziché 4 o 5); non prevede alcun
balletto; ed infine ha un soggetto lontano le mille miglia da quello (a
sfondo storico-epico) tipico di questo genere e più vicino caso mai (per
struttura e contenuti) all’Italiana o al Barbiere o al Turco...
E allora come
si spiega l’arcano? Col fatto che a Parigi stava prendendo piede, accanto al GrandOpéra,
anche il PetitOpéra! Magari ottenuto per spacchettamento (via i
balletti) di opere esistenti o, come nel caso dell’Ory, per riproposizione di
musiche composte per altre opere (qui Il Viaggio a Reims) per supportare
nuovi soggetti, facendone quindi la parodia. Opere quindi relativamente
brevi che venivano poi rappresentate in abbinamento a balletti totalmente
indipendenti nel contenuto: tutte le recite dell’Ory del 1828 (la prima
e 9 repliche) furono immancabilmente appaiate a (6 diversi!) balletti.
Quanto al
concetto di parodia, esso era inteso nel duplice significato di rivisitazione del
contenuto musicale e di sdrammatizzazione o dissacrazione del soggetto. E l’Ory
altro non è che una grandiosa parodia: travestimenti (Ory per primo, poi tutti
i suoi compari); scambi di persona e qui-pro-quo (il terzetto finale) che sono elementi
tipici della farsa; banalizzazione e ridicolizzazione di situazioni
drammatiche (l’esplorazione dei sotterranei del castello da parte di Raimbaud,
che ha contorni spaventevoli ma porta alla scoperta di una catasta di fiaschi e
bottiglie di vino); comportamenti totalmente difformi dalle esternazioni dei
personaggi (primo fra tutti, la Comtesse, ma anche il Gouverneur e Ragonde…)
Bene, a che scopo
tutto ‘sto po’po’ di tormentone? Per definire non meno che geniale l’impostazione
registica del mitico Hugo De Ana!
Che ha colto
in pieno l’intima essenza e lo spirito dell’opera, restituendocela in tutto il
suo irresistibile fascino. Si è ispirato per le scene (e in parte i costumi) al
celebre trittico di Hieronymus Bosch del Giardino delle delizie, del
quale compare subito in formato gigantesco il pannello di sinistra mentre la
scena è occupata più spesso da elementi della parte mediana del pannello di destra
(l’Inferno musicale, non a caso) ma anche di quello centrale.

Il trittico è
una rappresentazione, dei concetti di ogni religione che si rispetti, oltre che
della musica secolare e profana. Non è fuori luogo considerarlo una
(involontaria?) parodia delle vicende umane e calza quindi come un guanto sul
soggetto dell’Ory.
Il Conte, travestito
da eremita, mostra in testa un paio di cornetti da diavolo; al momento del
riconoscimento, scoprirà il suo vero abbigliamento da satana tentatore; poi
catechizzerà Isolier munito delle due tavole mosaiche della legge, con i 10 comandamenti
che si illuminano a comando.
La Comtesse esprime
concetti quali fedeltà, rigore morale, austerità, sobrietà… nel mentre si
comporta come una donna in cerca di… manico, con atteggiamenti ed abbigliamenti
allusivi e provocanti (persino un accenno di pole-dance per Ory). Non
parliamo della Ragonde, custode del castello e delle sue virtù, che invece organizza
pellegrinaggi dal falso eremita per le mogli e fidanzate dei crociati lontani,
in cerca di piaceri secolari.
Il Gouverneur
si presenta come severo tutore del Conte, facendo fallire il suo primo approccio
verso la Contessa; ma poi lo scopriamo in mezzo alla banda dei gaudenti amici
di Ory nell’assalto alle donne del castello.
Il primo atto si svolge in un’atmosfera esilarante,
occupato da masse femminili in costumi dai colori sgargianti, che si muovono
(vedi la polonaise) in un giardino di delizie fatto di ortaggi e altre
cibarie, messe in carrelli del vicino Spazio Conad…
Il secondo
atto si distingue per le scene dei bagordi di Ory&soci, interrotte dall’arrivo
di Ragonde, che provoca la sparizione istantanea di bottiglie e fiaschi e la comparsa
di luminose aureole sul capo delle finte monache.
Che dire del
famoso trio? Lo vediamo in piena luce me le mosse dei tre protagonisti
sono proprio quelle che si possono facilmente immaginare data la situazione di
totale oscurità prevista dal libretto: con il povero Ory che è preso in mezzo
da due donne (sì, perché anche Isolier lo è nella realtà anagrafica…) il che
rappresenta il culmine della parodia!
Insomma, tutta
la messinscena merita una lode incondizionata, per il gusto e il garbo che mai
scadono a volgarità (ricordo con ribrezzo una produzione di Pelly passata anche
in Scala anni orsono) e sono certo che gli applausi del pubblico siano andati
virtualmente anche al regista, pur assente alle chiamate finali.
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Anche sul
fronte sonoro-canoro, buone se non ottime notizie. A cominciare da Matheuz, che alla radio mi era parso un tantino pesantuccio e che invece ieri ha
ottenuto dai professori della OSN-RAI un risultato di tutto rispetto, per
varietà di sfumature e adarenza allo spirito scanzonato della partitura. Il Coro
del Ventidio Basso di Giovanni Farina ha da parte sua movimentato le brillanti scene d’insieme che costellano
la partitura con apprezzabile qualità.
JDF è prevedibilmente stato il mattatore della serata: la voce cambia (non
necessariamente in peggio) con gli anni e… il repertorio, ma insomma il nuovo Direttore
artistico del ROF ha dimostrato di aver ancora molto, moltissimo da dire
cantare anche in futuro!
Accanto a lui Julie Fuchs ha confermato in pieno (ed anzi in meglio) ciò che di buono aveva
sciorinato alla prima: a teatro si sono potute ammirare ed apprezzare
anche le sue innegabili doti di attrice, perfetta nella parodistica interpretazione
della donna pia che nasconde un’eccezionale carica sensuale.
Monica
Bacelli poco meno che perfetta in Ragonde, e non solo per
la presenza scenica, ma anche per la voce, che evidentemente non conosce età…
La travestita
(come Isolier) Maria Kataeva ha ricevuto meritati consensi del pubblico, che l’hanno ripagata di una
prestazione davvero all’altezza, un perfetto connubio di vocalità e presenza
scenica. Anna-Doris Capitelli ha dato il suo piccolo ma importante contributo al successo dello
spettacolo.
Resta da dire
dei due bassi della compagnia. Entrambi da elogiare, il Raimbaud di Andrzej Filonczyk, convincente in particolare nella sua esternazione del second’atto; e Nahuel Di Pierro, un Gouverneur che ieri mi è parso più a punto rispetto alla prima
udita in radio.
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Concludo ribadendo
il giudizio complessivamente positivo sulla serata, 10 e lode a De Ana e voti
comunque alti a tutti gli altri protagonisti.