XIV

da prevosto a leone
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12 giugno, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 38


Per l’ultimo concerto della regular-season de laVERDI la Direttora Xian aveva pensato di mandarci un suo connazionale, no… che dico: due cinesi addirittura (non ce ne fossero abbastanza a Milano, stra-smile!) e avrebbero fatto persino tre, includendo nel novero anche uno degli autori in programma!

Invece qualcosa è andato storto e così non c’è il tre, ma solo il due: poiché sul podio, in vece di Yu Long è tornato dopo tre anni Darrel Ang, che è orientale sì, ma non cinese, provenendo dalla città dei… topi (smile!)

Concerto imperniato su Beethoven, con intermezzo appunto cinese. Apre la serata l’Ouverture dell’Egmont, mirabile sintesi del dramma goethiano centrato sulla figura dell’eroe e patriota olandese: trascinante davvero l’esecuzione, dal taglio propriamente eroico, dell’orchestra guidata ieri dalla spalla vonDellingshausen.
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Qigang Chen è un cinese francesizzato e di lui ascoltiamo un brano che di fatto è una Fantasia per violoncello e orchestra, titolato Reflet d’un temps disparu, che Yo-yo-ma interpretò per prima nel 1998, suonato qui dal suo connazionale (però australianizzato) Li-Wei Qin.

Tutto il brano, assolutamente diatonico (non per nulla ha quel titolo!) anche se ricco di sonorità… moderne, si basa su un tema originale cinese, molto cantabile, che si muove fra tonica e dominante e viene esposto subito (sul SOLb) dal violoncello, per poi dare spazio a squarci quasi impressionisti e quindi a sfrenato virtuosismo solistico. Il tema viene poi reiterato da altri strumenti in diverse tonalità e varianti; quindi viene ripreso dal solista, sulla tonica FA, e poi trasportato ancora su altre toniche: DO, SI, MI, ancora DO, FA, MI, MIb, LAb, fino a spegnersi, quasi frantumandosi, sul LA naturale.

Un pezzo che dimostra come oggi si possa ancora far musica godibile con il toolbox dei classici e dei romantici. Qin lo interpreta con grande ispirazione, poi ci concede anche un paio di bis, dal moderno all’antico. 
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Si chiude con la Settima, che l’orchestra conosce a memoria, forse e senza forse più del direttore (smile!): ne esce un’esecuzione vibrante e – nell’Allegretto – ricca di pathos, che si merita nutriti applausi da un pubblico, purtroppo, di pochi intimi.
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Quest’anno laVERDI non si ferma mai: dopo i 38 concerti della stagione principale, dalla prossima settimana parte una serie di 12 concerti estivi che si chiuderà il 3 settembre. Poi il 13 settembre appuntamento ormai tradizionale alla Scala con Bignamini; e lo stesso Bignamini aprirà il 17 la serie di 14 concerti che si protrarrà fino a fine anno, coprendo di fatto la parte autunnale della stagione 15-16.

01 giugno, 2012

Orchestraverdi – concerto n°35


Interessante programma questa settimana all’Auditorium, che impegna orchestra e coro de laVerdi. Sul podio un altro giovine asiatico, il poco più che trentenne Darrell Ang, da Singapore, che ha già dalla sua un curriculum invidiabile: direttore, compositore, educatore, fondatore di complessi… accipicchia!

Si apre con Mendelssohn e i suo Ein Sommernachtstraum, musiche di scena per il Sogno shakespeariano, di cui vengono eseguiti i numeri principali (4 su 13, più l’Ouverture). A differenza di quanto annunciato su locandina e programma di sala (dove lo Scherzo era spostato in penultima posizione, quasi si volesse dare al brano la forma di una sinfonia in 5 movimenti) l’ordine rispetta precisamente quello scenico.
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L’Ouverture, composta da un Mendelssohn poco più che fanciullo, è in tonalità di MI maggiore e principia con i quattro accordi introduttivi che sono diventati una specie di paradigma dell’atmosfera romantico-leziosa di cui tutta la composizione è permeata. Ed è una sola nota, il DO naturale del secondo clarinetto, a caratterizzarla inconfondibilmente:

Poi abbiamo l’esposizione dei tre temi principali, manipolati nello sviluppo e ripresi, in ordine diverso, nella ricapitolazione, prima della coda dove ricompaiono i quattro accordi iniziali, con lievissime sfumature armoniche, legate ad abbassamenti o innalzamenti di ottava nel primo clarinetto e nel primo corno.

Ecco quindi lo Scherzo, in SOL minore, con il famoso tema introdotto dai flauti e poi dagli oboi, ben spalleggiati da clarinetti, fagotti e corni; e poi ripreso anche dagli archi.

Segue quindi l’Intermezzo, che è pur’esso un brano piuttosto mosso, in LA minore, con un motivo secondario in DO maggiore e un secondo tema, per terze, in LA maggiore, esposto dai fagotti e seguito da un controsoggetto negli altri strumentini, che chiude il brano.

Ora il tempo lento, il Notturno, ancora in MI maggiore, dove i corni creano quella straordinaria atmosfera proprio da sogno all’interno del bosco abitato da fate ed elfi.    

L’inflazionata Marcia Nuziale – le cui prime 11 note della trombetta, spostate di un semitono in alto, verranno impiegate da Mahler per aprire la sua Quinta - chiude questa specie di suite con un prosaico DO maggiore. (Le musiche di scena si chiudono invece assai più appropriatamente, sul piano delle tonalità, con la Marcia dei clown, in SI maggiore e con un Finale ancora in MI.)
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A me pare che Ang abbia una certa tendenza a privilegiare – nei momenti di insieme – le sonorità degli ottoni, a tutto scapito di quelle degli archi e degli altri fiati. Questo può andar bene per la Marcia nuziale, ma meno per l’Ouverture, ad esempio. Qualche imprecisione proprio dei corni nell’attacco del Notturno e delle tre trombette in quello della Marcia hanno poi macchiato un’esecuzione non propriamente impeccabile. E musica come questa, se non eseguita con la massima cura, rischia purtroppo di degradare verso il banale e il dolciastro.

Ora un’opera moderna, le Sacrae Symphoniae di Flavio Testi, composizione che compie 25 anni ed è per la verità pochissimo eseguita, anche perché impegna parecchie risorse: oltre alla grande orchestra, con arpa, celesta e pianoforte, anche il coro e tre solisti di canto. Testi ha anche scelto i testi (smile!) prendendoli dalle Sacre Scritture. Sono per la precisione cinque, interpretati, nell’ordine: dal coro, tenore, soprano, basso e tutti quanti.    

Caratteristica della composizione è il grande contrasto fra il fracasso infernale di accordi dissonanti (cluster di note con intervalli di semitono, principalmente urlati dagli ottoni -  4 trombe e 4 tromboni) e momenti di religioso raccoglimento, dove magari è la celesta a creare atmosfere rarefatte. Il canto del coro è prevalentemente a voce spiegata, fortissimo, mentre quello dei solisti è più intimistico, quasi straniato.

Anna Carbonera, Gianluca Bocchino e Abramo Rosalen sono i tre solisti che danno voce a Matteo (V, 11-12), al Cantico dei Cantici (VII, 11-12) e al Lamento di Geremia (V, 15-16-17) mentre il Coro di Erina Gambarini espone Paolo (Epistola ai Galati II, 20) e, insieme ai solisti, il Salmo 105 (1-2-3).

Caloroso successo per l’opera – che è stata giustamente apparentata a Stravinski, più che a certe discutibili avanguardie novecentesche – e per l’autore, un arzillo 89enne presente in sala e salito sul palco a raccogliere applausi (e a ringraziare gli esecutori).

Chiude la serata la celeberrima Italiana, dove Ang conferma – nel bene e nel male – quanto mostrato nel Sogno. Eccessivo lo spazio sonoro concesso agli ottoni (qui corni e trombe) anche quando dovrebbero suonare solo parti di accompagnamento, da non far venire in primo piano. Molto meglio i tempi interni, dove gli ottoni tacciono o quasi, e possono quindi risaltare strumentini e archi.

Buon successo e applausi da un pubblico abbastanza folto.

Per il prossimo appuntamento, torna Zhang Xian con un programmone classico-romantico: Weber, Beethoven (con il bravissimo Cominati) e Brahms!