Interessante
programma questa settimana all’Auditorium, che
impegna orchestra e coro de laVerdi.
Sul podio un altro giovine asiatico, il poco più che trentenne Darrell Ang, da Singapore, che ha già
dalla sua un curriculum invidiabile:
direttore, compositore, educatore, fondatore di complessi… accipicchia!
Si apre
con Mendelssohn e i suo Ein Sommernachtstraum, musiche di
scena per il Sogno shakespeariano, di
cui vengono eseguiti i numeri principali (4 su 13, più l’Ouverture). A
differenza di quanto annunciato su locandina e programma di sala (dove lo
Scherzo era spostato in penultima posizione, quasi si volesse dare al brano la
forma di una sinfonia in 5 movimenti)
l’ordine rispetta precisamente quello scenico.
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L’Ouverture, composta da un Mendelssohn poco più che
fanciullo, è in tonalità di MI maggiore e principia con i quattro accordi introduttivi
che sono diventati una specie di paradigma dell’atmosfera romantico-leziosa di
cui tutta la composizione è permeata. Ed è una sola nota, il DO naturale del
secondo clarinetto, a caratterizzarla inconfondibilmente:
Poi abbiamo l’esposizione dei tre temi principali, manipolati nello sviluppo e ripresi, in ordine diverso, nella ricapitolazione, prima della coda dove ricompaiono i quattro accordi iniziali, con lievissime sfumature armoniche, legate ad abbassamenti o innalzamenti di ottava nel primo clarinetto e nel primo corno.
Poi abbiamo l’esposizione dei tre temi principali, manipolati nello sviluppo e ripresi, in ordine diverso, nella ricapitolazione, prima della coda dove ricompaiono i quattro accordi iniziali, con lievissime sfumature armoniche, legate ad abbassamenti o innalzamenti di ottava nel primo clarinetto e nel primo corno.
Ecco quindi lo Scherzo, in SOL
minore, con il famoso tema introdotto dai flauti e poi dagli oboi, ben
spalleggiati da clarinetti, fagotti e corni; e poi ripreso anche dagli archi.
Segue quindi l’Intermezzo, che è pur’esso
un brano piuttosto mosso, in LA minore, con un motivo secondario in DO maggiore
e un secondo tema, per terze, in LA maggiore, esposto dai fagotti e seguito da
un controsoggetto negli altri strumentini, che chiude il brano.
Ora il tempo lento, il Notturno,
ancora in MI maggiore, dove i corni creano quella straordinaria atmosfera
proprio da sogno all’interno del
bosco abitato da fate ed elfi.
L’inflazionata Marcia Nuziale –
le cui prime 11 note della trombetta, spostate di un semitono in alto, verranno
impiegate da Mahler per aprire la sua
Quinta - chiude questa specie di suite con un prosaico DO maggiore. (Le
musiche di scena si chiudono invece assai più appropriatamente, sul piano delle
tonalità, con la Marcia dei clown, in
SI maggiore e con un Finale ancora in
MI.)
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A me pare che Ang
abbia una certa tendenza a privilegiare – nei momenti di insieme – le sonorità
degli ottoni, a tutto scapito di quelle degli archi e degli altri fiati. Questo
può andar bene per la Marcia nuziale, ma meno per l’Ouverture, ad esempio.
Qualche imprecisione proprio dei corni nell’attacco del Notturno e delle tre
trombette in quello della Marcia hanno poi macchiato un’esecuzione non
propriamente impeccabile. E musica come questa, se non eseguita con la massima
cura, rischia purtroppo di degradare verso il banale e il dolciastro.
Ora un’opera moderna, le Sacrae Symphoniae di Flavio Testi, composizione che compie 25
anni ed è per la verità pochissimo eseguita, anche perché impegna parecchie
risorse: oltre alla grande orchestra, con arpa, celesta e pianoforte, anche il
coro e tre solisti di canto. Testi ha anche scelto i testi (smile!) prendendoli dalle Sacre
Scritture. Sono per la precisione cinque, interpretati, nell’ordine: dal coro,
tenore, soprano, basso e tutti quanti.
Caratteristica della composizione è il grande contrasto
fra il fracasso infernale di accordi dissonanti (cluster di note con intervalli di semitono, principalmente urlati
dagli ottoni - 4 trombe e 4 tromboni) e
momenti di religioso raccoglimento, dove magari è la celesta a creare atmosfere
rarefatte. Il canto del coro è prevalentemente a voce spiegata, fortissimo, mentre
quello dei solisti è più intimistico, quasi straniato.
Anna Carbonera, Gianluca Bocchino
e Abramo Rosalen sono i tre solisti
che danno voce a Matteo (V, 11-12),
al Cantico dei Cantici (VII, 11-12) e
al Lamento di Geremia (V, 15-16-17)
mentre il Coro di Erina Gambarini espone Paolo (Epistola ai Galati II, 20) e,
insieme ai solisti, il Salmo 105
(1-2-3).
Caloroso successo per l’opera – che è stata giustamente
apparentata a Stravinski, più che a certe discutibili avanguardie novecentesche
– e per l’autore, un arzillo 89enne presente in sala e salito sul palco a
raccogliere applausi (e a ringraziare gli esecutori).
Chiude la
serata la celeberrima Italiana, dove Ang conferma – nel
bene e nel male – quanto mostrato nel Sogno. Eccessivo lo spazio sonoro
concesso agli ottoni (qui corni e trombe) anche quando dovrebbero suonare solo
parti di accompagnamento, da non far venire in primo piano. Molto meglio i
tempi interni, dove gli ottoni tacciono o quasi, e possono quindi risaltare
strumentini e archi.
Buon
successo e applausi da un pubblico abbastanza folto.
Per il
prossimo appuntamento, torna Zhang Xian
con un programmone
classico-romantico: Weber, Beethoven (con il bravissimo Cominati) e Brahms!
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