Quarta replica ieri al Regio del Ballo verdiano, in una ripresa
dell’allestimento di qualche anno fa, con regìa dell’italo-yankee – Direttore
artistico del Massimo palermitano - Lorenzo Mariani. Trasmessa – in prima – martedi da Radio3 e poi
(anche in streaming, ohibò) giovedi
da RAI5.
Che la torbida vicenda
dell’attentato a Gustavo III di Svezia
dovesse diventare oggetto di libretti per opere teatrali era quasi una
predestinazione (smile!) dal momento
che il luogo in cui il Re venne sparato
alla schiena da un suo militare (Jacob Johan Anckarström) durante un ballo mascherato, il 16 marzo 1792 (morirà 13 giorni dopo) era precisamente il Teatro Reale dell’Opera che lo
stesso Re, amante di letteratura e musica, aveva fatto costruire 10 anni prima:
Invece,
che il movente dell’attentato fosse di natura sentimentale (le presunte corna che il Re avrebbe fatto al suo
militare) pare frutto della fervida fantasia di un librettista come Scribe (autore del testo musicato da Auber un quarto di secolo prima di
Verdi, e preso a modello da Antonio Somma
e prima ancora da Cammarano per Il
Reggente di Mercadante): sembra infatti che il Re (pur avendo avuto una
moglie, destinatagli per ragioni dinastiche quando lui aveva… 5 anni) fosse un
incallito omosessuale! Il che potrebbe gettare una certa luce sul personaggio –
inventato pure quello – di Oscar…
Quanto
al trasferimento dell’ambientazione e dei protagonisti (imposti, come noto,
dalle solerti censure di Napoli prima e Roma poi) va riconosciuta a Somma (ma
anche a Verdi che ci mise lo zampino) una notevole perspicacia, essendo lui
riuscito a trovare uno scenario – pur di là dall’Atlantico, con annessa
retrodatazione di un secolo e con personaggi non regali – sul quale far calzare
quasi a pennello tutti gli aspetti realistici e financo storici della vicenda
svedese.
Ad
esempio, la questione della sibilla Ulrica. La vera Ulrica Arfvidsson visse fino alla fine del ‘700 in un appartamento
di Stoccolma, esercitandovi normalmente la professione di indovina, addirittura
rispettata e tenuta in gran considerazione anche dai nobili e dallo stesso
Gustavo III: fu Scribe a inventarsi – poco plausibilmente - la storia della sua
condanna all’esilio, giusto per colorire un pochino le motivazioni del Re a farle
visita. Invece Somma, nella sua forzata trasposizione, riuscì a fare di meglio:
infatti proprio alla fine del ‘600, quando ancora il Massachusetts era colonia
britannica, vi erano proliferate in modo assai vasto le pratiche di
stregoneria, riguardo le quali ci sono rimasti documenti ufficiali di corposi processi,
come i Salem Witch Trials; quindi il
bando proposto per Ulrica nel libretto italiano è assai più realisticamente (e
storicamente) plausibile, rispetto a Scribe. (In compenso Somma – che pure era
un libero pensatore e irredentista - non perse l’occasione per
buttare lì, en passant, un luogo
comune razzista, mettendo in bocca al Giudice uno sprezzante: S'appella Ulrica, dell'immondo sangue dei negri).
Quanto al protagonista,
che Somma trasforma dal Re di Svezia nel Conte
di Warwich, governatore di Boston, l’unico indizio di una certa attinenza
storica porta a tale Robert Rich,
secondo Conte di Warwich, che si occupò a lungo di amministrazione di colonie,
divenendo anche proprietario di immensi latifondi nell’est dell’America e
azionista di diverse società commerciali (peraltro morì nel 1658, quindi assai
prima della fine del secolo XVII in
cui Somma colloca la vicenda). Invece un governatore di Boston di fine-600 che
ebbe diversi problemi politici con i suoi militari (un po’ come il Riccardo di Somma) fu tale William Phips (che peraltro morì nel suo
letto, in Inghilterra).
Comunque
sia, va dato atto a Somma di aver messo in piedi, date le circostanze, uno
scenario più che plausibile – e soprattutto coerente con le aspettative di
Verdi - per il suo Ballo. Negli
ultimi decenni – assenti censure borboniche o papaline – abbiamo assistito
anche alla proposizione dell’idea originale, con ambientazione e personaggi svedesi, a cominciare dall’allestimento
del Maggio nel 1963, ripreso alla Fenice nel 1999.
Ebbene,
per giustificare la parcella, Lorenzo Mariani si inventa qualcosa di diverso
ancora, per la verità non ben definito. «L’azione
non si svolge nel Settecento americano come previsto dal libretto, ma è
ambientata tra gli anni Venti e Trenta del ‘900: come se il governatore
Riccardo fosse il viceré dell’India o di un’altra colonia». Questo leggiamo
sul comunicato-stampa
del teatro.
Ora,
a parte che il Settecento americano
non sta né nel libretto di Somma (dove è un Seicento) né in quello di Scribe
(dove è svedese) l’ambientazione di Mariani non sembra nemmeno di 80-90 anni
fa, come lui sostiene, ma genericamente collocata in tempi moderni e in luoghi
indecifrabili o del tutto immaginari, e con personaggi ancora meno storicamente
caratterizzati. Il che può anche fare poco danno, stante il contenuto del
dramma, decisamente orientato alla sfera dei sentimenti privati assai più che a quella delle pubbliche istituzioni. (Però bisognerà pur ricordare ai registi
quanto Verdi ci tenesse ad avere un soggetto con solide basi storiche, che
conferissero al plot, e quindi alla
musica che lui ci componeva sopra, un’aureola di importanza e un pedigree di
alto livello – proprio in quel periodo Verdi pensava insistentemente a una
cosuccia tipo Re Lear!)
Ma
non si vede d'altronde quale valore
aggiunto porti una regìa come questa, che ci trasferisce in una specie di Repubblica di Bananas e in ambienti che
sanno più di avanspettacolo che di opera seria, per cui, se lo spettatore
facesse mente locale al testo (costato tanta fatica al povero Somma) dovrebbe sghignazzare
ad ogni piè sospinto, tanta e tale è la dissociazione fra ciò che si ascolta e
ciò che si vede.
Insomma,
caro Mariani, potevi fare di più e di meglio, lasciatelo dire! Eppure, volendo
proprio-proprio applicare i principi del Regietheater
e portare la vicenda ai giorni nostri per rendercela più digeribile, di spunti
ce ne sarebbero assai. Ad esempio: fare di Riccardo il Sindaco di una cittadina di provincia, il cui Segretario comunale sia Renato, dotato di moglie-gnocca, con Oscar
nei panni del Messo comunale,
Sam&Tom in quelli di due Consiglieri
di minoranza, e Ulrica impersonificata da una pescivendola che a tempo
perso scrive oroscopi sul giornalino
locale. Oppure ispirarsi al mondo del business,
dove Riccardo è il CEO di un gruppo
industriale, Renato il suo General
manager (basta che abbia una moglie-gnocca) Oscar il Public-relations manager, Sam&Tom due Executives licenziati in tronco e Ulrica la responsabile del Forecasting del gruppo. Un altro
ambientino da prendere di mira potrebbe essere la struttura di potere della
Chiesa Cattolica (dove magari al posto della moglie-gnocca si metta un qualche
efebo canadese…)
Le
scene (a parte la conclusiva mascherata, fin troppo carica di colori e festoni)
sono anonime e fredde. La qual cosa si addice, più o meno, esclusivamente
all’ambiente del campo dei patiboli del second’atto (con tanto di cappi
pendenti) ma che per il resto pare del tutto fuori luogo.
Quanto
alla caratterizzazione dei personaggi principali, va ricordato che il Riccardo di Somma-Verdi non è un Re,
vero, ma soltanto perché la censura lo impedì, mentre ha di fatto e
precisamente tutti i tratti del Gustavo III di Scribe, da cui fu mutuato quasi
alla lettera: un sovrano accentratore sì, ma illuminato, aperto a riforme e –
come nella realtà – amante dell’arte e della cultura. I suoi tratti gioviali e
persino canzonatori (vedi i rapporti con Ulrica o la propensione al
divertimento) sono comunque sempre improntati a senso estetico e nobiltà, mai
sguaiati o truculenti. Purtroppo non è ciò che Mariani ci presenta, mostrandoci
da subito un Riccardo che assomiglia, più che a un nobile sovrano, ad un parvenu di campagna, uno che balla sui
tavoli e tratta i collaboratori – direttamente o per interposto-Oscar – come
burattini. Col che diventano poi incoerenti o poco verosimili i suoi
comportamenti nelle successive scene serie
(Amelia e finale).
Va
un pochino meglio con Renato, di cui
viene peraltro esagerata la pur comprensibile ira, all’inizio dell’atto
conclusivo, con l’appartamento letteralmente messo a soqquadro, fra letti
sfasciati e sedie capovolte: non è propriamente questo ciò che di Renato ci
trasmette il testo e, soprattutto, la musica di Verdi!
L’Oscar di Mariani è sufficientemente
spiritoso, come da copione; come detto, sono censurabili alcuni suoi atteggiamenti
gratuitamente irriguardosi verso altri personaggi (il Giudice, in primis): in
fin dei conti lui è un paggio tipo-Cherubino, non un buffone tipo-Rigoletto…
Quanto
ad Amelia, lei è obiettivamente
personaggio enigmatico e dalle diverse possibili interpretazioni: Mariani
semplicemente evita di prendere una qualunque posizione, presentandoci una
donna che pare invertebrata e sulla quale gli eventi, pur drammatici, scorrono
come acqua sul cristallo.
La
figura dell’indovina Ulrica ha la sufficiente e dovuta profondità. A proposito
di Ulrica, nel libretto di Somma (ma la cosa è praticamente copiata da Scribe)
c’è un’allusione fatta da Amelia - quando realizza che il marito e i congiurati
hanno deciso la morte di Riccardo - alla possibilità di sventare l’attentato
tramite la strega (Forse potrallo Ulrica):
poi però la cosa cade totalmente nel nulla, e resta lì, come un filo pendente
che non si annoda da nessuna parte…
In
ogni caso Mariani si merita un ringraziamento d’obbligo, non fosse altro che
per averci risparmiato cose così… e anche cose-cosà!
___
Sul fronte
musicale, anche nel Ballo Verdi introduce,
pur in modo parsimonioso, alcuni precisi rimandi tematici, il principale dei
quali è ovviamente quello che riguarda Riccardo e il suo anelito per Amelia; lo
sentiamo già nel breve preludio (esposto tre volte, prima in RE, poi in LA, poi
ancora in RE maggiore):
E ricompare
poco dopo, nei pensieri di Riccardo, quando entra Renato. Lo risentiamo nel
terzo atto, suonato dai violini (in LAb) all’inizio del monologo di Riccardo, e
poi ancora nel canto del protagonista, in FA maggiore, alla fine del famoso Ma se m’è forza
perderti:
Da ultimo,
un suo inciso compare sulle parole Sin che tu m’ami, Amelia, e poi Non ho che te
nell’anima, durante l’estremo, straziante incontro con l’amata:
E legato ad
Amelia è un altro motivo che ricorre un paio di volte: il tema (in MI maggiore)
sul quale lei canta la sua implorazione nell’antro di Ulrica (una melodia che sembra
– certo casualmente - evocare la wagneriana Elsa)
viene riesposto (in RE maggiore) dal flauto e poi dagli archi, nel Preludio
all’Atto II, nel momento in cui la donna si inginocchia e prega, subito prima
di entrare nel campo dei patiboli:
Ma il nesso più sottile e quasi
rabbrividente, perché non esplicito ma sotterraneo, è quello che collega il
tema dell’aria di Riccardo È scherzo od è follia siffatta
profezia a quello della
mazurka (o walzer, o menuetto che dir
si voglia) intonata dall’orchestrina d’archi dietro le quinte nel finale dell’opera,
e che farà da sfondo alla tragica fine del protagonista, fine precisamente predetta
dalla profezia di Ulrica, così allegramente irrisa da Riccardo:
Solo con Freud (che ai tempi però era un bambinello) si potrà spiegare la
valenza di quel legame, così subdolo, fra i ritmi
dei due motivi.
___
Prestazione complessivamente più che discreta sul piano musicale.
A Gregory Kunde va riconosciuta
una grandissima professionalità e un mestiere
senza pari. La voce è quella che è, ma il modo con cui il tenore americano
affronta la parte è davvero lodevole, e così il pubblico lo gratifica di un
autentico trionfo.
Oksana Dyka conferma di possedere una grande voce, proprio a
livello di dote naturale. Mutuando un linguaggio da Formula-1 si potrebbe dire che ha il problema di mettere-a-terra-i-cavalli del suo
motore. In sostanza: espressione e portamento sono ancora da migliorare parecchio
(dovrebbe prender lezioni da Kunde, smile!)
Gabriele Viviani è un Renato passabile: anche per lui
limiti nell’espressione, più che nel suono; un po' contratto nell'aria di esordio, onesto il suo Eri tu, ormai assurto a forca caudina per ogni baritono.
Una bella sorpresa è l’Oscar di Serena
Gamberoni: voce più corposa di quelle
sottilissime che spesso si sentono in questo ruolo, ma in compenso bella e
passante, perfettamente emergente anche nel bailamme del concertati. Poi ci
mette anche le atletiche giravolte e così si garantisce il trionfo.
Anche Marianne Cornetti mette
tutto il suo mestiere per offrirci una discreta Ulrica, con qualche problema –
mi è parso – nella fascia bassa dei suoi, piuttosto forzati.
Antonio Barbagallo e Gabriele
Sagona sono due degni Sam&Tom, come Marco
Camastra nei panni di Silvano. Oneste le prestazioni del Giudice Luca Casalin e del messo di Amelia, Dario Prola.
Sui suoi alti standard la prestazione del coro di Claudio Fenoglio. Renato Palumbo
forza forse un po’ il volume in alcuni momenti, ma complessivamente manovra
abbastanza correttamente quello strumento di alto livello che è oggi l’Orchestra
del Regio.
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